Wikisource:Collaborazioni/SBM/testi/Giovanni Brocca Mongeri

Da Wikisource.

GIOVANNI BROCCA

COMMEMORAZIONE [Ritratto] GIOVANNI BROCCA ARCHITETTO E PITTORE

COMMEMORAZIONE DI GIUSEPPE MONGERI







MILANO TIPOGRAFIA DI ALESSANDRO LOMBARDI 1876 L'uomo, sotto il peso della finale sua condanna, può trovare ancora nella coscienza di sè stesso un movimento d' orgoglio, misero orgoglio! al pensiero che, cadendo, sa di portarsi seco un lembo di storia che tutto gli è proprio, che lo contrassegna, e che può essere tanto singolare e, talvolta, prezioso quanto più colui che si avvolge in esso, quasi entro sindone funeraria, trovossi infrapposto nel moto della vita pubblica, o in qualsiasi guisa ebbe a rappresentare sia il pensiero, l'operosità contemporanea. È vero, pur troppo, che sia a fronte dei pochi cui è dato vantare un brano di questa viva storia, v' ha un gregge stipato e confuso che trapassa senza nome, non che senza infamia e senza lodo. Ma dell' ingiustizia che regge il mondo sarebbe ancor maggior la misura, se il giorno in cui si spegne tale un cittadino cui il cielo sorrise benigno, togliendolo dalla folla, i superstiti non si affrettassero di raccoglierne divotamente le memorie, come sempre l'affetto consiglia e la gratitudine impone, e poi, perchè, dove altro non fosse, la storia delle nazioni e quella Testo non disponibile. V. immagine corrispondente [nelle condi]zioni sue famigliari, egli poteva affrontare impavido altri meno stringenti indirizzi, tanto più che nessuna aspirazione lo solleticava che non fosse quella del lavoro bensi , ma libero e omogeneo alle inclinazioni dello spirito suo. In questi incontri di circostanze, le vocazioni sogliono mostrarsi tarde e incerte, per intimo contrasto di forze. La sua di cui portava inconscio il germe, aspettava il terreno propizio per schiudersi a vita e lo trovò quando dalle scuole ginnasiali del collegio, ascendendo alle liceali nel 1820, pose il piede in quelle di S. Alessandro, presso la quale, tra le scuole libere, se ne apriva una di disegno ornamentale, cui presiedeva ad insegnante un uomo allora caro alla gioventù studiosa, vogliamo dire Domenico Moglia. Pronunciando questo nome, che si lega ancora alla memoria di tanti artisti, ora incanutiti e stanchi del lavoro , non ci crediamo lecito e di trascorrere oltre, senza consacrargli una parola. Venuto su colle riforme pseudoclassiche della fine dello scorso secolo, non ne aveva peraltro, intere sposate le discipline: egregio intagliatore in legno, portò in cotesto ramo dell' arte un' energia severa, un'accorta intuizione dell'arte romana più del comune: il modo suo d'ornare aveva già forme più risentite e grandiose di quelle del suo maestro e prototipo l'Albertolli. Ma quello che, come insegnante, meglio lo distingueva era l'amore che metteva nella coltura e nella riuscita de'suoi allievi; arguto nelle osservazioni, sottile e acuto nei motti, sen- z'ombra di acrimonia , incoraggiatore non facile ma all'occorrenza efficace, possedeva tutte le qualità per essere maestro ed amico, nel tempo istesso, di quanti accolti nella sua scuola, rivelavano apertura d' ingegno e animo disposto alla via dell'arte. Il giovanetto, entrando nell'aula del disegno presso il liceo, due cose gli si fecero incontro, nel medesimo tempo, a decidere del suo indirizzo nella vita: la coscienza della propria vocazione e le lusinghe del maestro e degli amici; sicché, non che persistere, procedette coraggiosamente avanti. E vi perseverò, infatti, nonostante gl'inevitabili tentennamenti che, di solito, accompagnano i primi passi, tantoppiù laddove, come era negli studi del liceo, la scuola del disegno non poteva essere frequentata coll' assiduità di chi intende consacrarvisi per intero. In prova, non fu se non dopo l'anno successivo, compìto il corso liceale, cioè nei primi mesi del 1824, che egli presentossi alle scuole dell'Accademia di Brera con dichiarazione del Moglia istesso, che lo affermava tale da essere direttamente ammesso alla scuola del disegno architettonico. Nella scuola d'architettura, come allora era retta, il giovane Brocca dovea sentirsi a disagio. Non che fosse egli menomamente indocile alle discipline , ma il metodismo dogmatico che vi prevaleva doveva comprimere in lui ogni naturale elaterio di operosità. Gli studi che aveva percorsi, il liceo che aveva già superato, la società intima di famiglia della quale portava lo spirito e la svegliatezza non potevano fargli omogenea l'aura d'una scuola accomodata piuttosto alla levatura d'artigiani e di capi-fabbrica che di chi aspira al libero spaziar nei campi dell'arte mercè lo sviluppo delle naturali e congenite facoltà della mente. Egli doveva cercare più spirabil aere, e lo trovò, come l'ordinamento degli studi voleva, e come solevasi, passando alla scuola di prospettiva. Non era rimasto più di sei mesi nella classe dell'architettura da che vi era stato ammesso, che prese posto (8 novembre 1824) in questa di prospettiva. Non è che abbandonasse addirittura l'una scuola per l'altra; ma questa della prospettiva gli rendeva più comportabile la prima, temperata com'era dall' alterno loro insegnamento che i regolamenti permettevano. E il correttivo non da altro traeva la sua ragione che dall' artista ben diverso che presiedeva all' insegnamento prospettico. Chi, anzi, avesse detto che tra i due correva la differenza di un antitesi, avrebbe affermato nettamente il vero. Francesco Durelli teneva alto in quel momento il vessillo dell'arte indipendente e della libera estimazione degli stili creati dal genio dell'architettura. Era accademico di nome non di fatto, in un momento in cui cotesto titolo voleva dire un ossequio completo e cieco al dogma della prevalenza del classicismo. Prima che all'arte, fattosi alle belle lettere, agli studi matematici e filosofici, dessa, per lui, fu uno strumento intellettuale, non una muta formola da applicare. Per questo solo, non indegnamente, fu famigliare al Romagnosi, ed ebbe ad amici Giuseppe Pozzone e Carlo Cattaneo, perciocchè sapeva comprenderli, e ne era compreso. Il nuovo scolaro, entrando in quell'aula, ebbe certo a provare i sensi di chi rimpatria: era quasi l'aria natale che vi respirasse; indole di lavoro e parola educatrice ne trovarono l' animo aperto per far loro lieto accoglimento. Spirito calmo, analitico, quegli esercizi primi che risolvono la razionalità geometrica della visibilità del mondo fisico non erano per lui, preparato com'era dagli studi liceali, un precettismo tradizionale ma la dimostrazione del grande principio per cui i corpi possono prendere allo sguardo forma grafica. Se le insinuanti e vivaci espressioni del Durelli sapevano sollevare a tanto la mente appena colta del neofita, tanto più quella di chi era preparato ad assimilarsene il soggetto. La mano, educata alla eleganza ferma e severa della linea cui erasi votata, mercè l' insegnamento del Moglia, ebbe così la somma ventura di trovarsi nel Brocca posta direttamente al servizio di quell'inviolabile elemento su cui l'arte riposa. Egli acquistava così sempreppiù coscienza di sè e delle sue forze: avrebbe voluto salire di subito, bastare ai propri intendimenti; ma quello che per gli spiriti audaci e insofferenti di ogni indugio sarebbe stato un atto subitaneo d'indisciplina e di orgoglio, col pericolo non infrequente di rovesciar nell'abisso, fu per lui, come il temperamento dell' animo voleva, una risoluzion, irrevocabile bensì, ma condotta con quel processo lento e riflessivo che ne lascia innavvertiti i moti, e non permette di constatarne gli effetti se non quando, giunto l'artista alla meta, attira lo sguardo di quanti lo avevano perduto di vista. Non può, quindi, essere cagione di meraviglia, se lo vediamo, parecchio tempo ancora, nella scuola d'architettura e di prospettiva, offerendo saggi così nell'uno come nell'altro ramo (1826 e 1827), finchè nella prima riportandovi il premio d'invenzione (1827), potè lasciarle entrambe, dopo un tempo relativamente breve, tre anni, dacchè eravi entrato; lo che ben dimostra, insieme alla disposizione dell'animo, l'ardore e l'operosità che spiegava in siffatti studi. Le quali doti, anzichè intiepidirsi, trovavano nuovo argomento nella vita tutta inpendente del Brocca, cimentandosi nei lavori dei concorsi maggiori, come fece, nel 1829, in quello, pur vasto, per un collegio di sordo-muti, e nell'anno successivo, chè se la sorte in un altro per un teatro notturno ; non gli arrise in cotesti grandi esperimenti, non fu così in quello per la classe ornamentale del 1833, cui era stato proposto a soggetto un ricco pulpito isolato da condurre in marmo per un sontuoso tempio di stile del rinascimento classico, o, come allora cominciava a dirsi, bramantesco. Il premio da lui conseguito in questo lavoro ci apprende due cose : e il sempre maggior procedere negli studi dell' arte e il sollevarsi in quelle forme stilistiche che meglio rispondono alla vita moderna, cui appunto per la naturale attitudine sentivasi attratto. Ad appigliarsi a stili diversi concorrevano per altro verso, nonchè i nuovi studi cui si volgevano le lettere. e con esse le arti, gli esempli del maestro e dei colleghi. Dal Durelli, anzi ogni cosa e appunto di questo tempo, egli tolse esempio ad un impresa non meno ardita che di sommo momento. Tutti sanno come quell' egregio maestro, associato al fratello Gaetano, avesse, ben prima di quel tempo (1823), posto mano ad un lavoro, in allora capitale, e che rimane ancora, a difetto di più degna pubblicazione, quanto si ha di meglio sulla Certosa di Pavia dal punto di vista grafico. (1) Ciò che il maestro, adunque, aveva inteso pel monúmento modello dell'architettura lombarda, nel XV secolo, egli volse in pensiero di fare, e vi diede opera bentosto, per un altro nostro monumento ecclesiastico cui toccarono non diverse vicende artistiche di quelle della Certosa pavese, e che porta analoghe impronte di stile; imperocchè, singolare coincidenza! - entrambi trassero il loro architetto fondatore dalla fabbrica del Duomo di Milano. nel 1396, Giacomo da Campione e Lorenzo di Spazii,ed ebbero, un secolo dopo, il massimo lustro decorativo in uno stile istesso da pari scultori ornamentisti, a Pavia dai fratelli Busti e Mantegazza, a Como dai padre e figli Rodari. A cosiffatte attrattive d'arte s' aggiungeva quella che ragioni di possessi rurali, presso la città,trattenevano spesso il Brocca a Como. L'occasione si confederava colle naturali tendenze del suo animo. Il Brocca prese quasi d'assalto l' impresa sua coll'entusiasmo d' un primo amore: e ben ne aveva di che: le opere dei Rodari, intorno alle due piccole porte laterali e ai monumenti dei due Pali. sulla fronte istessa della cattedrale, sono fra le più elette della scultura decorativa, in Lombardia, al principio del XVI secolo. Egli, per l' incisione, si associò ai fratelli Brusa, Angelo e Domenico, suoi amici e antichi condiscepoli, che ebbero mano alla pubblicazione della Certosa; sicché egli si tenne il grave peso dei rilievi sul luogo e dei disegni; ai suoi commilitoni ne affidò l'incisione; infine, a lui stesso il dispendio di una compiuta pubblicazione. Ignoriamo a qual numero dovessero ascendere le tavole: non più al certo di diciotto o venti: una parte di esse cogli studi preparatori relativi ci rimangono tuttora, e dimostrano quanto vi dedicasse la diligenza d'un neofita e la potenza d'un artista provetto. Ma l'opera non giunse a compimento; peraltro, possiamo rallegrarci di possedere condotti a fine quindici rami che potrebbero vedere quando che sia la luce. Due ostacoli pare arrestassero la pubblicazione sul meglio: il più leggiero, certo, quello fu della mancanza d'un testo che rispondesse agl' intendimenti dell'autore; più grave l'altro, e fu lo scoraggiamento anzi la mortificazione onde in quel tempo appunto (1833-35), furono presi gli artisti dallo spettacolo meraviglioso offerto dalle riproduzioni fotografiche dei lavori di ornamentazione architettonica, tali, invero, da vincere ogni lavoro della mano, ma non tali, però, come proclamavasi dal fanatismo contemporaneo, dal sopprimere ogni necessità dell' arte, e neppure siffatti da menomare punto, come in questo caso; i diritti suoi di assoluta superiorità. Anziché darsi per vinto, fu quello, invece, il momento che in lui decise un nuovo indirizzo. Nelle ore più di riposo che di sfiducia, si volse alla tavolozza e ai pennelli del pittore : in questo campo si sentiva sicuro dalla crescente marea della fotografia. Non pertanto lasciava in riposo gli istrumenti dell'architetto. Di questo tempo (1834), è il progetto d'una dipintura policromatica della vÒlta del Duomo di Como. Nessuno meglio di lui, dopo gli studi fatti, poteva tentare con perfetta riuscita una tant'opera. Ma la fortuna troppo sovente non viene sui passi dell'intelligenza e del merito effettivo: il suo progetto, il progetto d'un artista, doveva cadere nel dimenticatoio per lasciar luogo, alcuni anni dopo (1839), ad un altro immaginato da pratici decorativi, che allora tenevano il privilegio di cosifatte imprese, quali erano i soci Gabbetta e Fontana. A proposito di questo progetto per la cattedrale di Como, vogliamo avvertita una delle doti dell' animo suo nobilissimo, la sollecitudine non meno scrupolosa che disinteressata con cui prestava l'opera propria appena richiesto, a qualsiasi lavoro d'arte ornamentale od architettonica, a qualunque consultazione per consiglio, a qualunque concorso della mano istessa dove venisse desiderata, e presumesse poter riuscire utile e proficua. La è una dote questa che dovremmo troppe volte ricordare nella sua vita d'artista, per non averla a proclamare, a tutta prima, qual uno de' suoi caratteri principali: egli portava il convincimento che, datosi a proposito, poichè le condizioni sue glielo permettevano, di non entrare nella carriera officiale dell'architetto, non era meno doveroso di portarne i frutti a pro d'uo- mini e di cose cui potessero giovare pel migliore loro indirizzo, pago infine se la riuscita veniva a coronare le sue mire. Ma. nel medesimo tempo, doveva sentire, e forse il progetto della cattedrale di Como glielo dimostrò fino da principio, che, per tal modo, egli veniva creandosi, nella sua incrollabile delicatezza, una condizione tacita di inferiorità, che non poteva accettare davanti alla coscenza propria, e che pur doveva subire per non contendere a colleghi e ad amici l'onesto compenso delle costoro fatiche. La qual condizione egli non dissimulavasi, considerando che, togliendosi dalla gara dell' esercizio pratico dell' arte, anche le sue forze non potevano raggiungere il naturale sviluppo. Epperò, non volendo pretendere a lavori di sommo momento onde tenersi preclusa la via alle rimunerazioni professionali, non credeva doverglisi essere negato di provarsi in opere di minor conto. Tale fu il disegno (1834) pel monumento da erigersi sotto il portico superiore del palazzo di Brera alla memoria del giovane pittore Vitale Sala: esso vi sta, e consiste di un semplice cippo ornato con busto sull'apice e di una figura piangente, nel seno dello specchio frontale, opera dello scultore Luigi Croff: il pensiero, però, non esciva ancora dai confini dalla scuola del Durelli. Egli avrebbe, però, voluto rompere questo incanto che lo rinserrava e ne rimpiccoliva l'operosità: se non che venne a soccorrerlo una circostanza di famiglia, chiamandolo nella Spagna (1835), dove da lunghi anni questa teneva dimora, e quasi diritto di cittadinanza. Colà egli rimase tre anni. Per un artista, compiti in patria i suoi studii e fatto padrone di sè, la miglior fortuna cui possa toccare è quello d'uscire dall'ambiente artistico che lo circondò ond'ebbe così virtù, come pregiudizi. Per lui la fortuna fu doppia, perchè trovossi sgombrata la via, e sè stesso più alacre ad esercitare le proprie forze. Di quel periodo sono parecchi suoi progetti pubblici e privati per la città di Barcellona; ricordiamo quelli di diverse case, di un Pubblico Mercato e di un Monumento scultorio che s'intendeva d'innalzare alla reggente Maria Cristina e all'infanta Isabella, che gli avvenimenti politici e la sua lontananza, dappoi, lasciarono senza seguito. Un germe, in lui latente, ebbe ivi pure a riscuotersi e a sentire la propria presenza. L'architettura moderna non vi possedeva certamente di che farlo meravigliare; non così l'antica; e questa antica s'improntava di una varietà di generi diversi, e talvolta bizzarri tanto da sconvolgere ogni precetto scolastico. Colà, vedeva atteggiarsi l'arte lombarda, importazione, anzi quasi continuazione dell'architettura romanesca del mezzodì della Francia; là, la vedeva, riluttante, accoppiarsi a quella moresca, ed invece notava più facile il contemperarsi di quest' ultima con con quella ad arco acuto, inoculazione venutavi dalla Francia del nord. Da quel tempo prende origine e moto lo studio suo per l' arte medioevale. Vi si trattava di distruggere la chiesa e il claustro di S. Caterina, un modello elegante d' architettura acuta, non senza uno spruzzolo d'arabo, ed eccolo ad affrettarsi di rilevarne i linea- menti. Poscia si volge dove non sono più le minaccie di demolizione che lo sollecitano a farne salve le memorie, ma là dove l'amore della forma e della significanza monumentale lo avvincono, come a Girona, a Lerida, a Tarragona, e quivi specialmente si diede allo studio della cattedrale, opera d' architetti normanni del XII secolo. Ritornato a Milano, tra la fine del 1837 e il principiare del 1838, recò insieme ai suoi lavori anche il novo affetto per monumenti che la scuola non gli aveva insegnato; gli parve che ponendosi sulle loro orme, gli sarebbe state, possibile di seguire una linea d'operosità parallela a quella de' suoi colleghi senza incrociarsi, almeno per allora, con essi. Ma, come questo non bastasse nella sfera dei suoi propositi, volse in animo più risoluti concetti. Si ricordò egli in buon punto d'aver toccato già, non senza compiacenza e senza frutto, alcuni anni prima, gli strumenti del pittore ad olio: gliene sorridevano gli esercizi; nè gli incoraggiamenti, anzi gli esempi, a lui venivano meno, in mezzo alla baraonda artistica. che allora aveva fatto centro nello studio del pittore Giuseppe Molteni, che professavasi legato con doppio vincolo alla famiglia Brocca, la parentela del latte e quello della gratitudine. (2) Basta dire che ivi convenivano l'Azeglio, il Gonin, l'Amerling, il Tetar-van-Elven, i due fratelli Wecardi, tacendo d'altri, per mettere in chiaro come si trovasse vinta ogni rilfittanza dell' animo suo esitante davanti alle prove d' ardire che vedeva coronate dal più prospero successo. Ma, per toccare al suo fine, bisognava rifarsi da capo agli esercizi primi, in un' età in cui l'accingervisi pareva quasi presunzione, e in mezzo a contatti che non lo lasciavano libero di nascondersi e quasi non meno agli altri che a sè stesso, per raddoppiare di sforzi, senza testimonii dei propri tentativi e dei loro effetti. Ciò che a Milano, però, gli pareva un'utopia , gli si parava dinnanzi come possibile in un' altra città artistica, sopratutto a Roma. Non tardò, pertanto, a portarvisi: fu sul cadere dell'anno 1839. Colà, l'esistenza sua fu quella del trappista compreso da un solo pensiero: non era, per altro, desso uno di morte ma uno di vita. I primi tempi furono quelli d'un neofita che prende l'arte dal disegno del nudo, del fantoccio palliato, dai mille costumi Che la città offre alla avida curiosità degli artisti. I suoi portafogli, ben presto, rigurgitarono di siffatti lavori, sia a chiaroscuro, sia a colori d'acquarello o in olio. Egli, colà, erasi facilmente fatto collega ed amico della pleiade degli artisti italiani, dei milanesi specialmente, ma più strettamente col Clavé, pittore di figura, spagnuolo, pensionato da Barcellona, e col pittore paesista Landesio, romano, artista di non larga fama, ma di un alto intendimento artistico, un esecutore, poi, felicissimo per accuratezza di lavoro e insieme per esquisita spontaneità di mano. Entrambi non erano artisti d'impeto, ma invece artisti convinti, tranquilli e studiosi dell'opera propria. Era ben facile l'accordo loro col Brocca. L'insegnamento era reciproco tra essi, ed era il migliore che vi si potesse desiderare, chè ciascuno aveva qualche cosa a prendere in ricambio di ciò che porgeva. Il Brocca non tardò, per altro, a ricredersi circa il poter far violenza alle prime e più naturali sue inclinazioni, quelle verso l'archittettura. Gli studi della figura umana e quelli del paesaggio, dei quali sempreppiù profittava, non distruggevano in lui l'edificio degli studi primordiali , invece lo consolidavano , circondandolo dei prestigi di quanto la pittura ha di più gentile e attraente; in una parola, tutti cotesti studi creavano in lui una media tra il pittore di prospettiva e il pittore, cosidetto, di genere. E in prova, vagando egli per la Campagna romana, in traccia di soggetti intorno a cui esercitare il pennello, era,, senza avvedersene, trattenuto specialmente laddove il fondo architettonico valeva a dar espressione e risalto alle sue figure. I suoi studi, in massa, recati di là, lo avrebbero dimostrato anche senza un incidente che ebbe un importanza massima nello svolgimento del suo ingegno. Fu in una di quelle escursioni che gli accadde di toccare la piccola città di Toscanella. A capo questa già d'una delle maggiori lucomonìe etrusche, l'antica Tuscania, insieme alle camere sepolcrali di quel tempo, possiede due templi, quelli di S. Maria e di S. Pietro, elevati entrambi al principio del XIII secolo giusta lo stile del più schietto lombardismo; e quindi, notasi ivi il dominio dell'arco tondo, l'altare difeso dal rituale ciborio, il pulpito marmoreo; e poi, la scoltura rozza ma energica, la pittura, non minore per ardimento che per severità, distendersi siccome un linguaggio scritturale, per ogni intorno, dalla maestosa faccia dell'arco trionfale ai grossi pili circolari della chiesa. Quivi, il Brocca, si trovò, quasi per incanto, trasportato nell'ambiente delle sue visioni artistiche; chè v'incontrò, al medesimo tempo, nel suo pieno sviluppo, quell'arte architettonica la quale, specialmente nei monumenti chiesastici, a senso suo, avrebbe dovuto addottarsi invece del pseudoclassicismo allora in voga; trovò il ricordo dei patrii monumenti, quali sono, a Milano, il S. Ambrogio, e a Como, il S. Abbondio; dippiù vide, nelle chiese di Toscanella la giusta alleanza della pittura e della scoltura coll'architettura; finalmente, a lui parve che in quest'arte dovessero trovarsi e l'equilibrio delle sue facoltà, e il punto verso cui dirigere i suoi studi e gli esercizii del suo pennello. Se mai al Brocca, per un momento, balenò a Roma il pensiero di rifarsi alla pittura di genere, s'avvide allora esservi una forza maggiore de' suoi propositi per trattenerlo nella cerchia dei primi studii, svolgendoli sotto il doppio aspetto dell'architettura pittoresca e della pittura archeologica. Reduce da Roma, nel 1845, era già fermo in questo concetto. Rimasero, però, a testimonianza e delle sue oscitanze a Roma e delle ultime e definitive sue risoluzioni, le opere da lui poste all'Esposizione di Brera nell'autunno 1846. Erano cinque quadretti ad olio. Mentre uno di essi mostrava la prima tendenza alla pittura di genere: Una scena di ciarlatani in Genaz- zano, gli altri quattro rappresentavano un momento di transizione : così erano due diverse Vedute interne di S. Maria di Toscanella; l'una con una scena di battesimo, giusta i costumi della campagna romana, l'altro, similmente, con una scena di sponsali (3), e ultimi, potevano aversi diggià come quadretti che, addirittura, non aspiravano più in là della pura prospettiva, Il cortile del palazzo Colonna, in Genezzano, e La porta principale di S. Maria di Toscanella. (4) Questi dipinti, e specialmente quello del battesimo in S. Maria di Toscanella, furono una doppia rivelazione: dimostrarono, quello che meno si aspettava nel Brocca,un vero artista nel trattare del pennello e un modo di fare più fedele al naturale, più meditato, diverso poi da quello che allora ancor seguivano gli scolari del Migliara, i quali si risentivano, talvolta, del troppo facile prestigio del maestro. Giova notarlo; e l'ambiente diverso in cui i dipinti del Brocca erano stati condotti, e la scienza di cui l'autore andava fornito dovevano del pari contribuire a questa singolare trasformazione. D'allora in poi l'operosità del Brocca tenne un indirizzo distinto e immutabile. Non deponeva la tavolozza che per volgere la mano agli strumenti geometrici onde rispondere o ad una occorrenza di famiglia o a rendere servigio ad un amico, non mai come architetto costruttore. Nei primi momenti del ritorno da Roma, la prevalenza rimaneva sempre alla pittura, e in questa, di più in più a quella d'architettura. Fece uno dei primi lavori (1845), prendendo motivo dall'interno della chiesa di S. Francesco di Lodi, chiesa caratteristica per le sue forme acute e le pitture di stile lombardo della seconda metà del secolo XIII: un quadro ne era stato da lui predisposto, che rimase poi imperfetto per le manomissioni cui la chiesa andò soggetta alcuni anni dopo, a motivo di ristauro o di ripulimento (5). A quest'epoca pure vuol essere riferita una sua gita a Venezia , dove più che all'architettura si volse alla pittura, riportandosi alcune piccole copie di celebri dipinti di quella scuola esistenti nella pinacoteca dell' Accademia. Citiamo fra le altre quella del quadro di Paris Bordone, L'anello miracoloso di S. Marco. Crediamo che non occorra dir più per dimostrare la serietà della via per la quale il Brocca si era messo. Uno dei più memorandi e più gravi avvenimenti sovraggiunse, in questo mentre, ad assorbire la vita del paese, e con ciò ad estinguere in lui ogni preoccupazione che ad essa non si annodasse. Vogliamo parlare dei casi del 1848 che ebbero i loro prodromi nell'anno precedente, toccarono l'apogeo nelle prodigiose cinque giornate di Milano , e che si chiusero coll'infausta rotta di Novara. Il Brocca, non che sottrarsene, vi si tenne preparato, deponendo le armi dell'artista per quelle del combattente. Il 18 Marzo lo trovò al suo posto a capo d'una delle barricate, e non si concesse in quelle cento venti ore nè un momento di riposo, nè un mutar di vesti. Il 23 fu dei primi ad iscriversi nei ruoli della guardia nazionale: ed il voto dei commilitoni riconoscenti lo chiamò immediatamente al posto di capitano della sua ripartizione. Noi non possiamo pensare a quei quattro mesi senza rammentarci di vederlo sempre pronto, alacre, indefesso a capo della sua compagnia colla serietà d'un solenne debito da adempiere, colla tranquillità serena ed inalterabile della coscienza del proprio mandato. E quando sui primi agosto, all'annuncio del ritirarsi dell' esercito italiano, la leva in massa fu decretata dal Comitato di pubblica difesa, e venivano invitati i militi della Guardia d'iscriversi per tenersi pronti ad accorrere alla linea dell'Adda, il Brocca si trovò unico iscritto della sua sezione parrocchiale: eppure, egli aveva già oltrepassato gli anni che gliene facevano obbligo! O gnuno sa che l' incalzare degli avvenimenti non concesse tempo alla spedizione, laonde non rimaneva più che la difesa delle mura e delle porte della città. Il sabbato fatale, 5 agosto, che ne fu l'ultimo giorno, egli stava a guardia coi suoi della barricata di Porta Romana, il punto più minacciato e più pericoloso della città, presto ad ogni evento, quando gli giunse secretamente a notizia la convenzione Salasco. Senza mostrarsene informato, riconosciuto vano ogni indugio, rimanda alla spicciolata i militi nell'interno della città sotto vari pretesti, ed ultimo lasciò a sera il posto, solo quando il triste destino della città era pur troppo un fatto noto e diffuso. Fu per lui quell'avvenimento uno stimolo decisivo per ingolfarsi sempre più negli studi prediletti, come angoscia dei casi. Ritrattosi, sul che atti a sopirgli l' primo momento, colla famiglia a Lugano, dove perdeva entro brevi mesi la madre, egli non molto tardò a ripassare nella Spagna. I due anni che seguono (1849 e 1850) furono da lui consacrati per intero alla vita del pittore nomade che cerca ispirazioni e soggetti ai monumenti d'arte che gli stavano dintorno. Egli corse specialmente tutte le città litorane della penisola iberica, da Barcellona a Cadice, trattenendosi più specialmente a Segovia, dove lo occuparono le chiese di S. Lorenzo, di S. Andrea, di S. Emiliano e dei Templari in cui vedeva ripetersi le forme di monumenti patrii che lo avevano colpito a Toscanella. Indi, per la via di Siviglia risalendo a Madrid, potè ivi ristarsi pieno di meraviglia davanti ai dipinti del Velasquez, onde tolse copia del celebre quadro della famiglia di Filippo IV. noto sotto il titolo di Las Meninas, e di parte dell'altro non meno celebre della Veduta Saragozza di Giovan Battista Martinez del Mazo dove la parte figurata del piano anteriore è attribuita allo stesso Velasquez. Non dimenticò, ivi, nei suoi studi alcuni dipinti dei Van Ostade, di cui, come di molt'altri olandesi, va ricca quella Pinacoteca, e, ben si comprende, sempre allo stesso scopo di sviluppare maggiormente le sue facoltà di pittore figurista nelle sue applicazioni ordinarie quale pittore prospettico. In quell'operosità egli sentivasi tutto rinascere all' arte. Lontano dalla città natale, alle notizie dei disinganni e dello squallore ond'era colpita non poteva che tardare a ricondurvisi. Trasse, quindi, motivo per ispingersi fino in Inghilterra (1850). Il frutto principale di quell'escursione furono alcuni studi tolti dall'interno dell'abbazia di Westminster, di cui ci avverrà di ricordare i frutti. Ma ormai non rimaneva che rientrare nel focolare domestico, tutto raccogliersi negli affetti della famiglia. Al ritorno non dimenticò uno sguardo artistico all'Olanda per cui aveva provato così sincera simpatia a Madrid; ma, toccando Strasburgo, gli apparvero più vive che mai le reminiscenze dell'architettura lombarda, tanto che non volle lasciarla senza prendersi un'accurata copia prospettica del suo portale di mezzogiorno, dove si compiaceva di notarne le più dirette attinenze, e vedeva uno dei più squisiti modelli dell'arte prediletta. L'esistenza dell' artista, sebbene sorvoli alle condizioni domestiche, perché abbia ad occuparsene chi ne segue i passi, non è a tacersi, che, ridottosi nella casa paterna colla desiderata compagna del cuore, trovò quel vivere riposato e sereno che, per poco unito sia ad agi modesti, permette di dar vita ai lavori da lungo tempo escogitati: tali per lui erano quelli ai quali i viaggi gli avevano dato argomento e stimolo. Testimonianza di una operosità, non febbrile certo ma assidua, durante questo periodo, ci stanno le Esposizioni di Brera degli anni 1851, 1852, 1855, 1856, 1858. Quivi, noi vedemmo, infatti, passarci dinnanzi il largo frutto dei suoi viaggi, nonché quelli della sua prima dimora a Roma, e al seguito loro, altri minori lavori, opera degli ultimi tempi dopo il suo ritorno. Lo studio del Portale meridionale della Cattelrale di Strasburgo (6) vi apparve nel primo dei detti anni: nel 1852, ebbe posto, fra altri dipinti suoi, la Veduta interna dell'Abbazia di Westminster (7): i prospetti tolti, a Segovia, dalle chiese di S. Lorenzo, di S. Andrea e dei Templari li incontrammo ripartiti nei primi tre anni: così, risalendo ai più antichi studi, quelli cui furono tema le due chiese di S. Maria e di S. Pietro di Toscanella ci ricomparvero, diversamente ripetuti, in tutti codesti anni, ad eccezione che nel 1852. Fra questi il prospetto del Portale di S. Maria, dipinto a larghe dimensioni, istoriato con figure del Bertini, ritornò anzi. quattro volte alle pubbliche esposizioni; a quelle di Brera del 1858 e del 1859, a quella Internazionale di Parigi del 1867, e da ultimo, a quella Nazionale in Milano nell'autunno del 1872 (8), nella quale mise in mostra pure il nartece interno della chiesuola di S. Pietro al Monte sopra Civate (9). Per essere il meno incompleti che è possibile, dovremmo qui ricordare altri minori quadretti di genere e di prospettiva esposti nelle occasioni anzidette. Per tutti , atteso il suo interesse archeologico , faremo menzione soltanto del Prospetto esterno della cappella dei Mantegazza alle Cascine d'Olona, piccola e modesta ma gentile costruzione religiosa del 1468, nello stile del Solari. Coteste sue esposizioni non s'imponevano, certo, per soggetti singolari, nè per lusso di colori; possedevano, invece, il carattere di una serietà geniale, che accaparava specialmente gli spiriti studiosi e miti. Molte delle sue opere egli ebbe a dare in dono ad amici o a concedere per scopi sia patriottici, sia di beneficenza: tuttavolta, per esse richiesto, non rifiutò di cederle a prezzo. Così avvenne che, nel 1855, fu acquistato dalla Società per le Belle Arti di Milano un quadretto figurante l'interno di S. Maria di Toscanella, con una scena di battesimo, variazione d'un precedente soggetto, e che altro di simil genere ebbe la Permanente di Torino. Si può contare una sola occasione in cui, d' allora in poi, egli lasciasse la sua dimora in Milano, e fu nel 1853. Una gita a Roma per faccende domestiche gli fu occasione ancora una volta di varii studi d'arte, fra cui quello dell'Interno della chiesa dei SS. quattro coronati, pregievole per la conservatissima sua ossatura del principio del XII, cui risale (11). Gli succedono, in ordine di tempo diversi studi da lui condotti entro l' antica chiesa di S. Pietro al Monte sopra Civate, onde il quadro citato, e costruzione dell'ultimo re dei longobardi, e quindi, dell'ultimo quarto del secolo VIII. Siffatti studi fatti, non senza molto disagio, in un luogo silvestro e desolato, ed insieme incantevole, colle sue fantasie architettoniche, colla singolarità delle sue pitture simboliche ridestarono più vivo in lui l' amore delle costrutture lombarde, di cui già erasi fatto un luminoso concetto nelle varie loro fasi, considerando il S. Ambrogio di Milano, il S. Zeno e la S. Anastasia, di Verona e infine, il S. Francesco di Lodi che aveva più accuratamente studiato, sei o sette anni prima. Dopo tutti cotesti studi e coteste opere sarebbesi detto che egli aveva risoluto deporre squadro e matita per tenersi solo al cavalletto del pittore. Il destino è più forte di ogni nostro proposito. La chiesa di Sermide, su quel di Mantova, lungo la sponda destra del Po , da più anni aveva sofferto tali lesioni da renderne necessaria la ricostruzione delle fondamenta ; per essa erasi chiesto al Governo un rilevante soccorso in denaro. Questo non rifiutava; ma poneva a condizione l'approvazione del disegno, e richiedeva che si uscisse una volta dalle viete forme scolastiche delle Accademie. Un primo disegno chiesto a Venezia non veniva accettato. Il Ministro del Culto, prima di inviare egli stesso un disegno dall'estero in Italia, volle se ne facesse domandare uno anche a Milano, lasciando libera la proposta dell' artista. Il Brocca era stato poco prima (1856), chiamato a sedere nel Consiglio Accademico. Egli ne venne officialmente pregato; al che in breve tempo corrispose: e l'esito fu tale che, non solo ebbe accoglimento e approvazione, ma gli fu significato essere questo il primo disegno architettonico proveniente dalle provincie italiane cui l'Accademia di Vienna aveva il piacere di concedere la propria sanzione. La chiesa di Sermide da lui immaginata era, tuttavia, una chiesa ben modesta, e semplice, come volevasi per una chiesa d'una borgata ma non era senza elezione di proporzioni e proprietà di stile; l'autore erasi tenuto alquanto a quel lombardo del secolo XV, di cui vale ad esempio il S. Francesco di Lodi, senza però estendersene fino alla ricca decorazione policromatica. Nello stesso 1858, eragli pure conferito il carico di dirigerne la costruzione; ma egli se ne schermì, assumendone soltanto la vigilanza, e proponendo, invece, per la direzione e l'assistenza sul luogo il giovane architetto Alessandro Arienti, scambio che venne accettato. E su questo soggetto aggiungeremo una sola parola. Sospesa la costruzione per gli avvenimenti nazionali del 1859, venne pochi anni dopo ripresa e condotta a termine nel 1865, senza alcun atto di riconoscimento all' autore che forse oggi vi corre ignorato. Ma, in questa e somiglianti occasioni, malgrado il lavoro prestato, egli soleva tenersi troppo in disparte per non doverne andare spesso dimenticato, come suole ai troppo peritosi, e come a lui accadeva, senza però che uscisse dalle sue labbra un motto di querimonia. A richiamarlo all'architettura sarebbesi creduto, in quel momento (1858), tessersi intorno a lui la rete di una congiura. Fino dalla fine dello scorso anno il Governo dominante lo aveva aggregato alla Commissione incaricata di dirigere i ristauri della basilica di S. Ambrogio in unione ai professori Schimdt e Luigi Bisi nel medesimo tempo, ne era cresciuta così di tanto l'autorità, che non era raro il caso di chi, sentendo bisogno d'appoggio in lavori di concorso o d'architettura, e conoscendone l'animo delicato e benevolo, si rivolgesse a lui per averlo guida e sostegno nell'operare. Intanto, egli cedeva pure alla voce d'un amico che lo inanimava allo studio d'un progetto di Cimitero pei monumenti della città nostra; era il momento in cui si vedeva irremisibilmente caduta la possibilità, dal punto di vista dell'arte, di far rivivere quello che, vent'anni addietro, era stato a luogo contrastato per deficienza di stile, e che allora , morto l' autore, si ritirava da sè. Non era ancor tutto ; un altro assalto nello stesso 1858 a distoglierlo dai pennelli, gli veniva di proprio moto, cadendogli sott' occhio un programma di una chiesa di rito greco-illirico che intendevasi erigere in Trieste. Era in lui un irrefrenabile bisogno di render forma alle idee architettoniche in continuo fermento nel suo pensiero, e la preferenza cadeva spesso, meno su un proposito che su quanto il caso affacciava vivamente alla sua attenzione. L'arte del pittore forse lo condannava troppo all'imitazione per non sentire il bisosogno di riscattarsi con qualche lavoro d'invenzione. Questo della chiesa per Trieste lo lusingava colla speranza di applicare degli studi già da lui fatti a Roma sulle costruzioni bisantine. Ma un fortuito incontro di circostanze volle che, in quel mentre , egli prendesse a conoscere l' architetto Maciacchini e si trovassero d'avere scambiata, quasi senza addarsene, la confidenza che tentavano entrambi celatamente il medesimo soggetto. Il primo momento, come vuole cortesia d'artista, fu una reciproca gara per cedersi il passo; se non che, in breve, la vinse il Brocca; il ritrarsi per lui in siffatta contingenza era non solo nel suo carattere, nelle sue condizioni, ma se ne faceva un pregio e una compiacenza; e questa volta accompagnava il suo ritiro dall'arringo colla intera comunica- zione de' suoi studi, libero di approffittarne a chi, d'allora in poi, doveva essergli amico costante e affezionatissimo. Queste cose accadevano alla vigilia degli avvenimenti per cui dovevano andar vendicati nelle pianure della Lombardia i disastri del 1848. Basta pronunciare una data per trovarci dispensati da ogni cenno e da ogni commento. Pel nostro amico fu, nel medesimo tempo, il principio d'una nuova èra. Nello stesso 1859, a quella Esposizione autunnale che fu una solenne e straordinaria festa degli artisti lombardi, egli vi riapparve ancora una volta. Vi riportò, come dicemmo, quel dipinto del Portale di S. Maria di Toscanella che era stato presentato nell' anno precedente, e vi aggiunse, dippiù, il progetto della costruzione cimiteriale che aveva iniziato nello stesso 1858. Su questo progetto giova una parola. Esso con- sisteva di nove tavole disegnate, alcune dèlle quali policromatiche. Era ideato secondo lo stile dell'architettura lombarda all'ultimo suo periodo, quali sono, in Milano, le chiese dell'Incoronata, di S. Pietro in Gessate, e della Pace. Coteste forme così caratteristiche, e l'area ristretta su cui era impiantata la composizione, che era ancora quell. consentita dal Comune nel 1838, bastano senz'altro a far chiaro, l' invenzione dell'architetto Brocca essere assai diversa da quella dell'attuale cimitero monumentale. Il suo rintuffarsi negli studi architettonici era salutato dall' applauso degli amici e degl' intelli- genti, e la riuscita istessa dei suoi lavori gliene recava la conferma, rispondeva pure all' atmosfera artistica che in quel momento ci avvolgeva. Già da più anni, l'antica scuola del classicismo accademico non aveva potuto resistere ai replicati colpi che, tra noi, la battevano in breccia, e più che tutto, al conto che se ne faceva da tutta l'intelligenza europea. Ma i materiali con cui elevare il nuovo edificio da noi si ricercavano invano per ogni intorno. Sentivasi il nuovo spiro venire incontro, ma le forze mancavano per assimilarlo nell'organismo artistico. I rampolli protestavano contro il ceppo che loro aveva dato 1' essere ma rimanevano pur sempre i figli dei loro padri. I migliori tentavano spastoiarsi dal ricettario convenzionale, ma l' architettura non è meno scienza che arte, e l'intuito, come il buon volere, non bastano da soli supplir ad entrambe. Conveniva, ad ogni modo, innalzare cotesta bandiera delle riforme, ed è ciò che prendevano a fare alcuni buoni: tra questi era il Brocca. Il lungo amore e gli studi fatti sull'arte lombarda, allora un nome non ancor del tutto officiale, gli davano diritto, in questa congiuntura, di addittare se non altro con degli esempi di fatto qual larga via fosse aperta a nuovi venuti. La generosa iniziativa del Brocca rimase per un momento interrotta dalla grandezza degli avvenimenti; ma come un fiume cui. dischiuse le naturali cateratte, suole aprirsi il passo attraverso qualunque ostacolo,così, fino alla fine de'suoi giorni riversò piena la sua ope- rosità in lavori di stile cosiffatto, cogliendo anzi le nuove e varie occasioni che sembravano mettere capo in lui, per insistere sempre più nel concetto che erasi formato della necessaria riforma architettonica. Nei primi giorni della liberazione iscrittosi alla milizia cittadina, nella quale aveva lasciato così nobili memorie, dovette in breve togliervisi: le forze glielo consigliavano, 1' età gliene dava diritto. I suoi concittadini non potevano tuttavia dimenticarlo; e colle prime elezioni amministrative del 15 gennaio 1860, per la rappresentanza civica, egli uscì eletto consigliere comunale, e durò in carica fino all' epoca della sua morte, colla sola interruzione di un anno, che fu quello del 1873, pel quale non essendo stato rieletto, si riparò all' ommissione nella ricorrenza successiva del 1874, in seguito alla concentrazione dei due Comuni, il civico e il suburbano. Due volte fu pure proposto ad assessore per la Giunta, anzi ne sostenne per qualche tempo la supplenza, ma nè le sue occupazioni, nè le sue attitudini potevano permetterglielo. La elezione del Brocca a consigliere del Comune, nel momento in cui era sentita da tutti la necessità suprema non solo di provvedere alle grandi costruzioni richieste dal decoro pubblico, ma di una radicale riforma del centro della città e delle sue ramificazioni, era l'omaggio più gradito, e il più giusto e proprio che potevagli essere tributato. Ai suoi colleghi il dire del'opera sua nel Consiglio; certo, che le sorti dell'edilizia cittadina non potevano essere confidate a mente più eletta e illuminata, ad animo più integro e indipen dente. Nè tale atto di fiducia rimase una manifestazione isolata. Già consigliere accademico, pochi anni dopo (novembre 1863), all'istituirsi di una Consulta Archeologica, congiunta al nuovo Museo d' antiquaria, egli era stato iscritto tra i primi, per la Sezione artistica cui lo designavano gli studi fatti specialmente intorno all' architettura lombarda, e quasi contemporaneamente, in vista appunto di queste sue doti, veniva invitato ad assumere l'ordinamento e la direzione, coli' amico e collega architetto Enrico Terzaghi, del ristauro della basilica di S. Eustorgio. Nè tutti questi incarichi lo sorprendevano inoperoso. Mutate le sorti d'Italia, stando il Re per visitare Firenze nel 1860, quelle proposte che andavano rinfocolandosi da più anni, per una fronte al tempio di S. Maria del Fiore, vennero in allora rimesse alla fortuna d'un concorso solenne aperto a tutti gli artisti. Egli erasene tosto invaghito; ma il sopraccarico che in quel mentre appunto, veniva ad accrescersi, stante l' accettazione di presentare la proposta di un monumento pel Comune di Magenta, a memoria della storica battaglia del 4 Giugno 1859, lo determinò, senza rinunziare all' impresa, di associarsi un altro artista, e questo fu l' architetto Maciacchini che allora trovavasi a Trieste. Fu un lavoro fatto quasi intero per via di corrispondenza e che non ebbe sorte felice, sicchè nulla gioverebbe l'arrestarvisi sopra. Diverso fu l'esito dell'altro suo progetto, quello per la battaglia di Magenta. Stabilitane l'erezione fino dal 15 agosto dello stesso 1859, affidato poscia l'incarico del disegno al Brocca, ai 9 del febbraio 1862 ne venne posta la prima pietra, e giunto a compimento, piuttosto che inaugurato, nel 1866, ebbe poi l' ufficiale e solenne sua consacrazione colla deposizione delle ossa tutte raccolte dal campo della battaglia, il giorno 4 giugno 1869, anniversario della battaglia. Il monumento sorge fuori della borgata e dappresso il transito della ferrovia. Non è che un'edicola funeraria; e tale si presenta nel suo interno, ma esteriormente tiene la forma piramidale di un obelisco a forti proporzioni, in guisa da servire all'occorrenza di faro, e infatti, la sommità è appropriata a tale scopo. Lo stile è un accoppiamento di lombardo e di egizio, risultamento di una di quelle idee amorosamente accarezzate dall'autore, qual'è quella di trasfondere in questo connubio gli elementi di architetture diverse, che abbiano identità di principii fondamentali. Sarebbe poca serietà di mente non apprezzar tanta altezza degl' intendimenti: certo è che in questo monumento si riscontra un grande spirito di indipeidenza e d' originalità. La croce della Legion d'onore concessagli dalla Francia, nel 1866, in seguito al compimento dell' opera , fu l' atto di riconoscenza migliore anzi l'unico, per quanto il Brocca vi consacrò di forze. Nel 1871, ebbe pure la Corona d'Italia. Egli, ormai, non divideva il suo tempo che tra il Comune, l' Accademia e la Consulta Archeologica da un lato, e dall'altro, le due basiliche, l'Ambrosiana e l'Eustorgiana presso cui era lieto dell'esservi aiuto e guida. La sua modestia, come il suo carattere mite e contegnoso sono tuttavia di grande ostacolo a tenergli dietro nell' operosità assidua che spiegava intorno a questi due insigni monumenti dell'arte lombarda: nè meno vivamente, benchè riguardasse sempre dal far mostra di sè, contribuiva col consiglio e col lavoro alle molteplici imprese del Comune, senza che ciò gli togliesse animo e lena a non poche opere a lui del tutto personali. Se per noi si volesse minutamente ricercare in ogni dove il prezioso cumulo delle fatiche sue spese, per tal modo, negli ultimi quindici anni della sua esistenza, tutte a pro degli altri, colla sola ed intima compiacenza della più perfetta abnegazione, ci sarebbe necessario di prolungare oltre misura le nostre già lunghe parole; ma come il tacere di questo cumulo sarebbe sopprimere quanto gli ha conferito quel singolare carattere di amabilità operosa onde rimane caro agli amici e ammirato per quanti appena lo conobbero, così la memoria, degna è che non ne vada perduta a nota di chi ci sopravviene negli eventi della vita. Anzitutto, per quanto si voglia cercar esempio a prova che, meglio dell'attività concitata nella produzione del lavoro, vale la calma assennata e perseverante, pochi esempi potrebbero essere addotti che eguagliano il suo. Oltrecciò, animo facile e conciliante, le sue idee trovavano modo di temprarsi sempre con quelle dei colleghi, sicchè seco lui la bisogna proce- deva sempre, il vigore del moto raddoppiavasi e giungevasi, di leggieri, rapidamente allo scopo dove troppo spesso accade che altri incespichi o s' arresti. Non dobbiamo dissimularci essere proprio degli animi colti e delicati quella onesta remissione di modi, che suole troppo spesso interpretarsi per fiaccchezza, mentre non è che tacita e dura rassegnazione allo straripare di idee invincibili, e talvolta fatali. Egli non era nato uomo di battaglia: e nel campo della lotta, che fu per lui quello del Comune, se recò il proprio contingente di idee semplici, moderate, pratiche, non ebbe la fortuna di sentirsi sempre compreso, come che gli ripugnasse quella ressa e quella insistenza che anche il trionfo dei leali e grandi convincimenti esige. Ond'è che egli, così disposto all' indulgenza, rammaricavasi nell'intimità di certe risoluzioni edilizie e dei fatti che venivano a compirsi, i quali provocavano una disapprovazione generale di cui valutava tutto il fondamento e la gravità. E certamente, tra i colleghi, pochi avevano più ragione di lui di portare giudizi e di deplorare certi procedimenti, chè, per ogni tema edilizio su cui il Consiglio del Comune era chiamato a versare, non mai veniva alle convocazioni impreparato: egli più o meno aveva nel suo segreto ritentato il soggetto. Lo vedemmo, infatti, prima del 1859, predisporre un progetto di Cimitero Monumentale, quando non se ne attendeva ancora l'attuazione: fu la medesima cosa dappoi e in più vive occasioni. Il grosso cumulo degli studi lasciati dimostrano come avesse fin da principio meditato l' ordinamento della piazza del Duomo, e poi il Piedestallo alla statua di Napoleone I di Canova nel palazzo di Brera, e il Sottopassaggio della via Principe Umberto al baluardo di Porta Venezia, e il Restauro dell'antico palazzo della Ragione nella piazza dei Mercanti, e la Sistemazione della fossa interna della città; cosicchè, di volta in volta che se ne presentava motivo, furono a lui tema intimo i lavori del Comune e tali da entrare in atto, anzi più d'uno venne da lui presentato alla Giunta. Infine, a coronamento, nell' ultimo anno di sua vita , consacrò quanto erano ancora in lui di forze intorno ad un progetto per un Monumento commemorativo delle cinque giornate, e lasciò due varianti del medesimo concetto condotte a perfetto compimento di disegno (12). Noi non giudicheremo del merito loro. Vogliamo notare soltanto, che nell'idearli, egli dipartivasi ancora una volta da quel vagheggiato concetto dell' integrazione architettonica degli stili di natura analoga, come fu pel monumento di Magenta, forse utopia d'artista, ma utopia di una mente fortemente temprata e che avrebbe voluto essere giudicata alla maturità dei fatti. L'Accademia delle Belle Arti e la Consulta Archeologica, in modo diverso bensì, non si giovarono meno dell'opera del Brocca. Non era la solerzia nel rispondere ad ogni chiamata che vogliono in lui essere lodate; è debito questo d' ogni animo consciente del1' impegno assunto; sibbene lo studio che poneva a so- spingere ogni atto al miglior suo frutto. Sin dai primi momenti (1861), in cui si dibatteva ancora dell'ordine migliore per spastoiare l'insegnamento accademico da restrizioni troppo compromettenti, e per crescere all'istituto nerbo e credito, egli dettava osservazioni e proposte assennate che, lette nell'adunanza del 14 agosto, per voto del Consiglio venivano date alla stampa. Non è a credersi che fossero tal panacea da portar rimedio ai difetti lamentati, ma gl'intendimenti erano alti e generosi, come severi e liberi da ogni preoccupazione erano i giudizi da lui manifestati in qualunque circostanza. Nè manco dell'Accademia, la Consulta faceva assegnamento su di essi. A lui, anzitutto, il merito d' essere stato uno di coloro che curò l' impianto e l' ordinamento del Museo; nè il nome suo mancava mai quando trattavasi di missioni dilicate in argomenti archeologici, nel che portava sempre la calma osservatrice e leale di chi alla molta scienza aggiunge la molta esperienza. Avveduto nei consigli, era oltremodo temperato nella proposta di atti. Ammetteva i ristauri edilizi; li raccomandava non rado, ma li voleva condotti con scrupolo e cautele: tutto voleva conservato, quanto appena si potesse conservare, anche i segni meno evidenti ed in apparenza dissonanti, come che caratteri del monumento e rivelazione delle sue vicende. Nell'eventualità, poi, di parti di nuovo conio esigeva che queste da sè si dimostrassero, per chiare note, d'origine diversa del monumento: quindi, nessuna maschera su di esso concedeva che potesse trarre in inganno il futuro os- servatore. E non era raro il caso che, dovendo aver ragionamento di simili opere, si preparasse con rilievi di monumenti, con esempi grafici del come procedere al ristauro, concorrendovi fino coll'opera talvolta, come fece, in unione del professore Boito, nel 1868, al ristauro della fronte esterna dell'atrio di S. Maria presso S. Celso. Dove ancor più vivo si affacciò il suo zelo e il suo fervore per l' arte è nelle due basiliche per le quali consacrò, in unione ai colleghi, la sua predilezione del ristauro edilizio. Mentre, al S. Ambrogio, come al S. Eustorgio, l' azione delle due diverse Commissioni procedeva concorde e consenziente,accadeva in entrambe del pari che all'uno o all'altro dei commissari si lasciasse talvolta la cura da dirigere e finanche di determinare il disegno di certe opere. Il Brocca non ha certo mancato alla sua parte. Nella basilica di S. Ambrogio sua particolare composizione sono La vasca del battisterio, giusta lo stile dell'edificio, valendosi delle colonnine dell'antico, e La divisione di laterizio a trafori delle cappelle laterali del fianco meridionale (1868), fatta per guisa che rimangono queste conservate, e l'aspetto del tempio è richiamato all' originaria forma basilicale. Attese poi più specialmente (1860) al restauro dell'antichissimo mosaico onde si riveste la cupoletta della congiunta basilica fausta. Per la basilica Eustorgiana dobbiamo accordargli ancor più: il disegno dell'intera Ricostruzione della facciata (1864), seguendo le antiche traccie del secolo XIII che lo spoglio aveva messo in vista; similmente, il Nartece interno, aggiunto alla parte mediana e l'innalzamento su di esso dell'Organo nello stile del tempio (1868); il nuovo Altare del Crocifisso (1872); oltre di ciò, prese a curare in particolar modo lo scoprimento e il ristauro delle pitture della cappella del capo di S. Pietro martire (1872), la nuova collocazione del suo monumento (1875), e infine, il Nuovo altare per la cappella medesima, invenzione che precedette di qualche mese appena la compianta sua fine. Pochi, invero, numerando coteste opere, possono dire d'avere ridotto in atto, quanto lui, l'adagio romano del festina lente. La sua non era un' operosità chiassosa, anzi, per quanto possibile, era intima, sebbene incessante. Ce ne fanno prova altri lavori che, appunto nella intimità della famiglia e degli amici, egli condusse. Citiamo, del 1866, un nuovo e tutto personale Progetto per la fronte di S. Maria del Fiore: e poi, uscendo dai propositi volontari per dire dei richiesti nel 1868, disegnava e faceva edificare a Grosio, nella Valtellina, una Edicola cimiteriale per la nobile famiglia dei Visconti-Venosta, elettissima composizione di stile lombardo: e in un ordine di monumenti minori, accolti dal nostro Cimitero Monumentale, La lapide con frontone figurato pel fratello Francesco, l'Arca monumentale a Giuseppe Spandri, ideata (1871) secondo lo stile dei primi sepolcri cristiani, e da ultimo (1875), la Lapide-edicola di stile lombardo collocata nel cimitero del piccolo comune di Baggio, a memoria del nobile Giuseppe Gianelli, intorno a cui aveva spese le ultime sue cure, senza il conforto di vederne il compimento. Quale ponderosa somma di lavoro richieda l' arte lo ignorano troppo spesso i profani, ai quali, di solito, non ne apparisono che gli ultimi effetti, e credono che in essi tutto abbia principio e fine. Nulla lo manifesta meglio d'allorquando una tomba si chiude sull'artista: c'è d'andarne attoniti alla concerie di cose che allora si levano dalla oscurità in cui più o manco giacevano, secondo la longevità di lui, da anni ed anni. Sono opere compite o appena segnate, tentativi sotto forme diverse, lavori interrotti poi abbandonati, pensieri e schizzi d'ogni forma, di svariatissime dimensioni, condotti in modi molti e disparati : s'aggiunga il materiale artistico, interminabile di cui l'artista si circonda, e allora soltanto si avrà un'idea che sia la sua vita. Nel caso del Brocca, in cui due vite d'artista si compenetrarono, l'architetto e il pittore, anche doppia se ne affacciò la messe, e parve tale da vincere ogni aspettazione, anche considerata quella sua attività, di cui vedemmo così ripetute testimonianze. Fu davvero un' esistenza piena, un' esistenza che levavasi pronta ad ogni chiamata, sia che gli venisse spontanea dell'animo, sia che gli fosse mossa da uomini o da circostanze. Venire in soccorso deeli amici era per lui un'ambizione; e anche quando le richieste per consiglio gli giungevano per altri lati, bastava che l'interesse dell'arte vi fosse in questione perchò all'invito succedesse la spontaneità dell'atto. Como, per tal modo, lo vide più volte per consulti e giudizi intorno al restauro di S. Abbondio e del S. Fedele, e del pari, Brescia, nel 1865, invitatovi dal Sindaco del Comune pei restauri che s'intendevano recati a quella magnifica loggia, opera in cui più d'un artista celeberrime ebbevi mano. Rispondere alla domanda; trovar modo di renderla soddisfatta, era per lui il migliore dei conforti; tale egli fu sempre con chi ricorresse a lui, e la rimunerazione sua migliore, poi, quella del riuscire. Ma, anche tuttocciò, come ogni cosa quaggiù, doveva finire. Nell'estate del 1875 aveva tocco il settantesimo secondo anno d'età, adusto della persona, coi tratti del viso fiorenti, nel muoversi agile, pronto, nervoso, elegante anzi; a ciò solo faceva contrasto una canizie che avrebbesi dovuto credere precoce; quando una forza ascosa, innavvertita dapprima, lenta ma indomabile poi lo atterrò. Gli ultimi mesi furono una lotta seco stesso, come chi ad ogni atto vigoroso per rialzarsi sente rispondere un ricadere più greve e sfiduciato. Prima, alla sua villa di Como, poi a quella di Magenta chiese aure più miti, e forse il silenzio e la solitudine, come chi sperasse dissimulare agli altri, più che a sè, l'irrevocabile destino che gli stava sopra. In quell'ore lunghe e tristi il sorriso della famiglia e degli amici lo confortava ancora, ma non era un sorriso pieno e convinto. Tuttavia, vinse la prova della stagione invernale. Allora, davanti ai giorni tepenti dell'aprile, gli parve quasi diritto di sperare. Agli ultimi del marzo del 1876, alla villa di Magenta. Vi si recò con parecchi e vari progetti di lavoro, cui riponeva lenta la mano, ingannando l'ore. Ma l'ora fatale, troppo temuta e sperata invano, non fu ingannata: venne, d'un tratto, sul primo mattino dell' 8 maggio. Poche ore ancora, ed egli non era più.

Il Brocca così spegnevasi un lunedì: due giorni dopo al mercoledì, nella stessa borgata, verso le dieci antimeridiane, dalla villa sua partiva un lungo convoglio nel quale vedevansi numerosi i congiunti e gli amici, e a loro in seguito i coloni appartenenti alla famiglia. Vi si contavano, diverse rappresentanze; pel Comune di Milano, l'assessore e consigliere comunale avv. cav. Stefano Labus; per la R. Accademia di belle arti, i consiglieri accademici ing. cav. Luigi Tatti e prof. cav. Abbondio Sangiorgio; per la Consulta Archeologica, lo scrivente. Il Comune della borgata faceva atto di presenza col Sindaco e con parecchie persone appartenenti all'amministrazione di esso; all' egual modo, vi erano presenti le amministrazioni delle Basiliche milanesi cui ebbe il defunto a prestare l'opera sua. Dopo gli uffici della chiesa, accompagnata dal corteggio istesso, fu la salma tradotta al cimitero del Comune; e sul luogo istesso dove riposa gran parte della famiglia e dove, da circa tre anni, era stato deposto il maggiore dei fratelli, anche la recente salma del caro estinto veniva posata. Prima che la bara fosse discesa nella fossa, egli riceveva ancora un' estrema parola di congedo dai consiglieri Labus e Tatti, a nome dei corpi ond' erano rappresentanti, come lo era pure del rappresentante della Consulta a nome, nonchè di questa, dei parenti e degli amici. (13) Anche da parte del Comune di Magenta non mancò chi ne interpretasse i sentimenti. Dopo ciò, tutto per lui era finito quaggiù. Ma v'ha cosa che non vorremmo così presto finita, e che, anzi, speriamo che rimanga, ed è la memoria diletta di colui che alla benemerenza del patriota e del cittadino, congiungeva le rare doti dell' artista e le virtù del parente e dell' amico. Ora, intanto, se altro fiore non posa sulla sua zolla, valgano a così mesto officio queste parole. NOTE. (1) La Certosa di Pavia, descritta e illustrata dai fratelli Francesco e Gaetano Durelli Milano, Nicolò Bettoni, 1823. (2) Il pittore e ristauratore Giuseppe Molteni, morto nel 1867, e che lasciò così lungo desiderio di sé, era fratello di latte di due dei fratelli Brocca, maggiori di età del nostro commemorato. Egli è dovuto a questa coincidenza di casi se il Molteni fu salvo dalla umile vita rustica nella quale era nato, onde tratto agli studi dell' arte in Milano, fu accolto nel seno della famiglia istessa, cui serbò, fino all'ultimo momento di sua vita, una devozione e una riconoscenza che non possono immaginarsi maggiori, e che non cessava dal proclamare altamente. (3) Allora entrambi acquistati dal Marchese Filippo Ala di Ponzone. La Vedova dell' artista possiede una ripetizione d' entrambi questi dipinti in minori dimensioni. (4) E' posseduto dalla Vedova sopraddetta. (5) Questo quadro, rimasto così incompiuto, venne terminato dopo la morte dell' autore, a cura del pittore Leopoldo Burlando cogli studi dal medesimo lasciati, ed è ora posseduto dal nipote Dott. Giovanni Brocca, ecc. (6) E' proprietà del pittore Eliseo Sala. (7) Esso si conserva presso il signor Dott. Giovanni Gavazzi. Una veduta di questo interno, sotto diverso punto di vista, si trova presso il signor Fortunato Brocca, fratello dell' artista. (8) Questo dipinto venne acquistato dalla Deputazione della Provincia in cosiffatta solenne circostanza. (9) Si ha dal signor Fortunato Brocca, sopraddetto. (10) Anche questa piccola tela è posseduta del sig. Dott. Giovanni Gavazzi. (11) Ne rimase il dipinto incompiuto. (12) Questi ed altri dei sopraccennati progetti e studi furono donati dai nipoti eredi al Comune che li depose nel proprio archivio storico. (13) Porgiamo, qui di seguito, le parole pronunciate dei singoli rappresentanti ai funerali di Magenta, e per primo, quelle dell'avv. cav. STEFANO LABUS dette all' improvviso :

I.

Signori ! Se, facendo forza a me stesso, io, qui, prendo a discorrere, non lo faccio per rammentare il nome di quell' egregio, che, in mesto stuolo, abbiamo seguito a quest' estrema dimora dei mortali: quel nome io lo leggo espresso nel dolore che traspare dal volto di tutti i presenti: esso raffigura quell' armonico connubio di doti che rese l' architetto Giovanni Brocca affezionato cotanto al cuore di quanti ebbero la ventura di conoscerlo. Ad un grado meritamente elevato toccò la noméa artistica di lui; ma chi non sa che i pregi dell' animo suo di uomo e di cittadino soverchiano cotesta sua fama istessa? Ben pochi, invero, sono quelli che trapassando lasciano dietro di sé un' imperitura eredità di affetti cari e di ricordi preziosi: costui egli è di cotesti pochi. E se di lui ci è dato di dire tanto, non sappiamo di quali lodi migliori nessuna memoria di defunto possa desiderarsi celebrata. Sin che ad alcuno di noi batterà il cuore, non vi sarà chi non rammenti con affettuosa ammirazione quest'uomo esemplare, e insieme non lo additi modello di vivere pubblico e privato. Egli vivificò l' eletto suo ingegno con un amore ardentissimo per l' arte ... per quell' arte che fu da lui coltivata con tanto onor suo e con tanto lustro pel paesè. E questo paese ei l'amò efficacemente perché seppe amarlo con opere di tal merito che non potranno non pervenire alla più tarda posterità. Utilissimi sono i servigi che da lui furono resi alla città di Milano, della quale era il Nestore nel Consiglio in cui teneva una ben meritata autorità.... autorità. che viene solo da una distinta intelligenza, unita alla lealtà più perfetta ...

E si è appunto ricordandolo come consigliere del Comune, anzi quale il più provetto di essi, commissario operoso in ogni circostanza, sorretto del pari dal voto degli amministrati, e che era sempre circondato dalla estimazione più schietta e dal più divoto rispetto dei colleghi, egli è, dico, circondandolo con queste manifestazioni, che la Rappresentanza del Comune di Milano mi affidò il mesto officio di far udire ancora una volta su questa fossa l' ultimo suo vale ispirato, per quanto esser può, da un' ammirazione profonda e da un affetto sincero. Giovanni Brocca, . . . Addio ! Tennero dietro le parole lette dal Consigliere accademico cav. ingeg. Luigi TATTI, le quali riportiamo quali furono poi ripetute al Collegio degl'ingegneri e architetti, cui il defunto era aggregato. Carissimi colleghi Adempio ed un mesto ufficio commemorandovi il nome del nostro socio architetto cav. Giovanni Brocca tolto ai vivi da lungo pertinace morbo in Magenta il giorno otto del mese andante. Chi di voi non lo conosceva, non lo amava e non ne pregiava le doti squisite dell' animo e dell' intelletto ? L'architettura, come arte, fu il soggetto pressoché esclusivo de'suoi studi, la preoccupazione e dirò, il conforto più caro di tutta la lunga ed onorata sua esistenza, benché non tracurasse l' arte del paesaggio e della prospettiva di cui diede lodevolissimi saggi ammirati nelle nostre esposizioni. Ma queste arti minori coltivava piuttosto a corredo della prima che a scopo principale, servendosene a ritrarre i migliori e più curiosi monumenti della nostra Italia. Egli, primo fra noi sortito dalla nostra Accademia di Brera da quei tempi in cui il convenzionalismo classico dominava asso'uto e sprezzante di tutti gli altri stili che non fossero greci o romani, egli, primo della nostra generazione, portò le sue indagini fra monumenti medio-evali, e colla parola, col disegno e coi dipinti tentò di illustrarne le bellezze e tornarli al meritato onore. La sua passione in ciò era viva ed intensa, e lo trasse a peregrinare per l'Italia e fuori, ed a studiare nei più reposti segreti l' indole dei varj tipi secondo le varie epoche e regioni, e la storia intima delle continue trasformazioni che il mutarsi dei tempi e delle sociali condizioni, e la qualità dei materiali disponibili che si andavano di continuo introducendo; sicché crebbe a fama di eruditissimo archeologo al cui verdetto sempre sicuro ricorrevano fiduciosi e privati e corpi morali nei loro bisogni. A lui torna il principal merito se fra noi tornò in onore lo studio dei nostri monumenti dell' età di mezzo e del rinascimento ai quali è attaccato tanta e sl gloriosa parte della nostra storia civile, e nei quali è meglio scolpita 1' indole del modo di sentire dei nostri avi. A lui è principalmente dovuto se i restauri testé compiuti delle nostre primarie basiliche di S. Eustorgio, di San Ambrogio, di S. Marco, di S. Simpliciano riescirono tanto lodevolmente, essendo che la sua voce nelle relative commissioni fosse sempre la più autorevole ed ascoltata. Alieno dalle brighe, di carattere tranquillo e modesto, e dotato d' altronde di sufficienti mezzi di fortuna, egli poco esercitò la professione pratica e dirò, militante; ma fu all' incontro prodigo di consigli e di disegni agli amici ed allievi, e ne ispirava i migliori concetti, e ne guidava con appassionata cura lo militante ; svolgimento, e ne correggeva i difetti massime se di stile e di armonia generale. La sua influenza, nel progresso contemporaneo dell'architettura a Milano a'nostri tempi, benché apparentemente non avvertita, fu grande, ed i miei colleghi tutti debbono convenirne. L'eccessiva sua verecondia lo ritraeva dello affacciarsi alla scena del mondo, ma i suoi concittadini ne conoscevano e ne ammiravano le sue doti e lo vollero, benché spesso riluttante, agli onori del Consiglio Comunale dove sedette dacché quell' ufficio dopo il nostro risorgimento politico divenne elettivo fra i cittadini, dell' Accademia di belle arti a Brera, e della Consulta archeologica da pochi anni fondata fra noi per la conservazione dei monumenti della Provincia; ed i suoi pareri sempre dettati da profonda cognizione della materia e di gusto squisito dell'arte furono sempre apprezzati da tutti i partiti prevalenti. Morì a 73 anni. Tale era l' uomo che con molto animo trovai mio debito di commemorarvi e come mio caro amico, e come socio e decoro nobilissimo del nostro sodalizio. Il rappresentante della Consulta archeologica, prof. G. Moriamo diede lettura delle seguenti parole:

III.

Amici e Signori !

La morte che sembra volerci stancare coll'assiduo suo spettacolo, riesce pur sempre a colpirci con dolori nuovi e quasi inaspettati. E un dolor nuovo e acuto è quello che oggi ci raccoglie intorno a questa bara che sta per togliere d'in mezzo a noi un uomo che per la santità dell'esempio e per la soavità degli affetti, avrebbe dovuto aver perpetua esistenza. Ogni mia parola non può che parere fiacca e scolorita per ricordare chi fosse 1' architetto Giovanni Brocca. Parenti, colleghi, compagni, amici , e voi stessi che lo conosceste appena, qui presenti , non avete che a discendere nelle memorie vostre, per trovarvi già tessuto tale un elogio che vi dispensa dalle pa- rola altrui, come che inadeguate al soggetto. Ma quale miglior omaggio a chi ci precede nella meta dei giorni compiuti che il ricordo delle sue vinti t E qui, la corona non è meno splendida come uomo , che come cittadino e come artista. Artista, e quale voi lo conoscete diggià , non avete che a girare lo sguardo al solenne e magnifico testimonio, che è quel monumento onde il nome di questa terra onorata si lega splendidamente, non solo alla storia del paese nostro ma a quella del mondo e della civiltà. Nè questa è l'unica delle sue creazioni architettoniche; altre costruzioni si onorano del suo nome, come la chiesa di Sermide e la fronte della basilica Eustorgiana di Milano, senza dire dei pa- recchi e bellissimi suoi monumenti cimiteriali, spiranti grazia e sentimenti cristiani , che sono sparsi in diversi campi mortuari e particolarmante in quello monumentale di Milano. E non è ancor tutto; ché unitamente ad altri colleghi, e nei lavori di associazione per commissioni, portò senza riserva il contributo del suo ingegno, sicché sono, qui e là, frutto del disinteressato suo concorso non pochi lavori anonimi che meritano il plauso degl'intelligenti.

Egli è che in lui esisteva, in un giusto equilibrio piuttosto unico che raro, l'artista-architetto, il pittore, e la mente colta e ispirata ad un tempo. La sua modestia gli faceva portare queste molteplici virtu congiunte ad un operosità costante e vigile, con tale peritanza che doveva quasi lottare seco stesso per accogliere quegli encomi che otteneva sovente non meno dagli amici che dal pubblico, desideroso piuttosto, com' era, delle osservazioni quale incitamento a perfezione dei propri concetti e delle loro manifestazioni. Il suo segreto, per altro, stava nell' essere artista nell' anima ; artista di un sentimento alto, fino, delicato; artista a larghe vedute che non mirava a stringersi solo all' ordine delle opere contemporanee, ma a quelle del passato , di tutti i tempi e di tutti gli stili, sicchè se nelle escursioni della storia si formò e fece suoi con particolare predilezione i monumenti dell' arte lombarda egli è perché, facendosi scorta della ragione delle cose, vedeva in essa i veri ed eterni principi dell'arte edilizia: e tanto si era incarnato in cotesto stile che quando trattossi dei grandi restauri alla basilica di S. Ambrogio e a quella di S. Eu- storgio, in Milano, tostamente venne associato alle Giunte artistiche che dovevano guidarne il lavoro ; come lin dal primo istituirsi del Museo patrio d' archeologia venne aggregato alla Consulta destinata a presiedervi mentre già apparteneva qual Consigliere ordinario alla R. Accademia di Belle Arti. A tanto gli davano diritto non meno i grandi concorsi vinti presso di essa, che le costruzioni pubblicamente condotte, i dipinti ond' aveva ripetutamente arricchito le Esposizioni di Brera, quanto l'autorità conquistata mercé i lunghi studi d'una non brave dimora a Roma e i viaggi ripetuti nel resto d' Italia, nella Spagna, nell' Olanda e nell' Inghilterra, ricercatore attento delle opere dei grandi maestri. Ma singolare coincidenza ! intanto che gli artisti e i dotti pregiavano l'artista, i cittadini riconoscevano e pregiavano in lui il cittadino, l'uomo senza ambizioni e pur devoto alla patria fino al fondo dell' animo, come ne aveva dato prova luminosa coli' arme in pugno nelle famose cinque giornate e nei quattro mesi che loro successero, e tutti poi ammiravano l' uomo dalla mente illuminata e accorta, dal carattere semplice e intemerato, dai sensi placidi ma aperti e schietti, dai modi temperati e gentili sebbene contenuti e dignitosi. Bastava, certo anche meno, per segnalarlo al voto popolare tra i suoi rappresentanti, e questo voto come non mai gli mancò dal primo dl che il Comune si eresse a regime rappresentativo secondo le leggi del Governo nazionale, cosi non gli venne meno dappoi, anzi per alcun tempo sedette in Consiglio della stessa Giunta, per quanto l'indole sua ne fosse aliena. Ma io vado dicendo cose troppo note per insistervi , e meno vorrei insistere sullo zelo, sulla solerzia, sulla abnegazione che portava in queste e tutte le al tre funzioni toccanti l' ordine e il pubblico benessere. Per lui era questione di dovere e fondamento di moralità il porgersi disinteressato a qualunque richiesta di concorso personale, dove il vero, il giusto, l'onesto lo consigliassero, e la richiesta gli venisse pur sia da noti , che da ignoti , da cittadini o da esteri. Lui fortunato ! che il cielo gli aveva trasfuso il vero senso della carità evangelica, e gli aveva dato anche le condizioni di censo per esercitarla! ed egli vi obbed1 con un elevato e sereno amore del bene. La vita fu degna di tal sentimento, degna di lui; fu modesto, calmo, tranquillo, onorato, senza preoccupa- zione di passioni, un continuo ricambio d'affetti, un felice contesto di virtù operose e casalinghe. Ond' è che vi trovò quello che, anche inaspettato, è forza che sia, un arra, anzi il presagio palpitante di quella seconda vita che s'addice al giusto nel seno di quell' Ente supremo che è principio e fine di ogni cosa. tutti in una sola, in un'ultima parola : addio Giovanni Su quest' ultimo e inviolato limitare, non ci rimane, adunque, che di unirci per sempre addio. ...