Wikisource:Collaborazioni/SBM/testi/In morte della contessa Lara

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PER LA COMPAGNA D’ARTE

Alla creatura pietosamente appassionata che nelle angosce della strana vita cercò rifugio nel nome di “ Contessa Lara ” e vi trovò tutta la fatica del lavoro quotidiano troppo arduo per un fragile corpo di donna, la chiara fama letteraria, colta in mezzo all’ invidia sorda, continua — a lei l’ ultimo saluto dei colleghi, degli amici, degli ignoti, di ogni creatura che ha intelletto d’amore. E ciò non per invitare ancora a polemiche accanite varie che servono di scusa per lo sfogo dei piccoli interessi volgari, delle gelosie querule, delle vendette inopportune e ridicole, non per chiamare a tenzoni nuove, nè per dare una raccolta di gemme letterarie che rechino onore e luce ad autori noti e sconosciuti, ma per offrire un tributo di affetto ad una intelligenza che rifulse ed operò nel nostro campo, ad una compagna d’arte che seguì senza presunzione e senza invidia la via serena tracciatale dall’ideale e la via duramente incisa dalle esigenze della vita, non cercando di discuoprire (e, conoscendole, non curando) le malignità grette di chi aveva di lei più vanità, più fortuna, maggiore o minore ingegno — un saluto e pace a lei che travagliata nelle vicende dell’ artista e della donna, seppe tutte le dolcezze e le crudeltà umane, ebbe sulla terra ebbrezze brevi, lunghi singhiozzi e chiuse il suo romanzo nel proprio sangue. Noi che raccogliamo in queste pagine le manifestazioni gentili e pietose di tutti coloro che le vollero bene, che furono generosi pe’ suoi casi di amore e di dolore, che seppero a tempo intendere e perdonare, compassionando alla sciagura nella quale si chiuse con violenza la sua storia, non vogliamo fare un esame di quella vita per ricercarne e mostrarne crudamente gli errori ed intanto salire in cattedra, portando in luce la nostra morale, e lavorare così alla gloria di molti vivi più che alla pace di una solitaria, povera morta; ma intendiamo soltanto ricordare che se ella seguì fino all’ultima ora i miraggi lieti che l’affascinavano, ne’ quali l’ anima sua assetata di gioia credeva ancora afferrare le dolcezze della giovinezza, le estasi della vita e non trovò invece che la fine tragicamente improvvisa, ella fu crudele soltanto verso se stessa poichè passò sulla terra beneficando tutte le miserie, consolando tutti i dolori, e ciò senza mai esser padrona di un soldo che non fosse il prezzo della nobiltà del suo lavoro. ed anzi lottando sempre con le strettezze. Essa che fu uccisa, si uccise da se medesima nella corsa vertiginosa a cui si abbandonò come una bimba cieca, nella ricerca di un bene per cui, dopo il primo disinganno (che le faceva ancora sanguinare il cuore) tutta la sua esistenza fu un affanno, uno spasimo. E su questo chi la conobbe e le volle bene — chi mai non la vide, ma l’amò nei suoi scritti così eleganti, così gentili — chi la consigliò e non fu ascoltato, piange e getta la parola di misericordia, compone questo volume come legherebbe una ghirlanda di immortali, sacri ai sepolcri. Tra questi fiori, come ultimo mazzo, poniamo alcuni versi suoi, scelti fra i più belli, ne’ quali il soffio lirico o più caldo, la passione più dolorosamente intensa e potente, e la parola é spesso vaticinio. E brevemente, a tratteggiarne la figura in queste pagine, in cui ella tale rimarrà quale nel pensiero una lieve ombra nella biondezza di luce che va sperdendosi come l’oro di un tramonto d’estate , segnamo in fretta qualche linea fuggente.

Giovinetta e, più tardi, per molti anni ella fu un’apparizione di bellezza soavissima e di grazia — negli affetti veemente e docile, impetuosa e carezzevole, cercò sempre nella dedizione il sacrifizio continuo ed intero di se stessa, scendendo. sorridente agli uffici più umili nell’intimità della casa, perché voleva che tutti gli amati — fossero esse persone o bestie, o fiori — si sentissero felici per lei, e che da lei sola emanasse e si diffondesse il bene su ciò che le era caro. Quante, in vece, non intendono l’amore così e fanno servire l’ irregolarità della vita al proprio vantaggio e al danno altrui! La bellezza delle sue pagine che qui sono poche perchè troppe ne scrisse e sarebbe impossibile raccoglierle, dice di qual fina ed eletta tempra fosse l’ingegno suo, quanta la cultura: e forse ancor più ne danno prova evidente le invidie femminili che ella destò da viva e che neppure le risparmiarono l’oltraggio delle più basse accuse, poi che fu morta. Anzi, l’ultimo dramma parve scatenasse tutta la furia di una tempesta d’odio che si era addensata in segreto, quando essa trionfante nel suo duplice valore di donna bella e di forte scrittrice passava lietamente gloriosa fra le molte ignote le poche celebri. Alcune vollero pronunziare l’orazione funebre a lor talento, a seconda dei casi e dell’opportunità: apparvero articoli in lingua italiana, infarciti di citazioni greche latine, bibliche e pagane — altri e in un idioma straniero, la cui grazia elegante non valse a velare la inverecondia del concetto nè la volgarità dell’ attacco — i quali tutti potrebbero riassumersi, in frasi assai più brevi, così: — “ finalmente adesso il mondo parlerà di noi e tacerà di te, che scrivesti abbastanza ! ” — “ finalmente verremo in possesso di quell’eredità di lavoro, per cui fino ad ora siamo andate raminghe all’accatto per gloria e per bisogno, per vano orgoglio e per fame! ” Ma come le foglie che il rovaio strappa, solleva e trasporta, caddero e marcirono subito sotto l’acqua scrosciante. Il cielo tornò sereno ed un bel raggio tepido e chiaro scese pietosamente come una benedizione sulla tomba della sventurata che aveva saputo trovare nello strazio supremo la forza dell’eroismo per morire come signora e come cristiana. Quando lo spettro della morte le si parò dinanzi inesorabile, ella dapprima ebbe paura; chiuse gli occhi e provò il sussulto della ribellione nella carne infranta dal colpo di rivoltella, nello spirito che voleva ancora la sua parte di bene nel mondo, da Dio e dalla società, dall’amore e dalla famiglia - desiderò in un ultimo sforzo di tutto l’essere la vita, sognò nell’ estremo punto quelle manucce piccole e violente che scompigliando le carte s’affondano nella offesa anima stanca, che chiudono con dolcezza gli occhi quando la vita nella madre manca - tutto ricordò, tutto rivolle, o che aveva posseduto e ciò che non fu mai suo ..................................... - Ditemi voi - chiese ad un tratto ad un collega con l’accento di bimba pentita e bisognosa di quelle carezze che salvano — se meritavo una fine così atroce? Ad un’amica sussurrò piano: — Questo, vedi è il giusto castigo. Altri morì per me di questa morte che non si era meritata — ..….. poi guardò lo spettro, lo fissò con gli occhi sbarrati e “ Iddio ti manda — disse — ed io ti accetto come espiazione e come ricompensa ”. Dettò le ultime volontà, sentendo fuggirsi la vita ; consegnò alcuni lavori completi a chi già gliene aveva data la retribuzione in un’ ora di angustie; disse addio ai vicini, ai lontani, chiedendo il perdono e concedendolo; perdonando perfino al primo assassino del suo candore e della sua pace, ed all’ ultimo — a chi l’aveva male amata o sprezzata — pregando per chi la confortava per chi la lasciava morire nell’abbandono — e, riassunta tutta la vita in una confessione che fu completa nella brevità della parola di moribonda, tenendo strette le mani dei pochi amici che le erano accosti, fissò gli occhi nel bronzeo Cristo a cui ogni sera era tornata qualunque fosse stato il corso della giornata sua e spirò l’ anima in Dio. Intanto, alla sua porta venivano i meschini ai quali ogni giorno ella solea dare aiuto dell’elemosina e della parola, ed il suo cane danese vagava smarrito per le stanze desolate.

Quando il suo corpo era già fatto a brani dal coltello incisorio, laggiù sul Tevere, nel triste albergo dove si raccolgono ed espongono gli ignoti che il fiume ha travolto o in cui il delitto e la disperazione hanno spento la vita, giunse per lei, inviato da due fanciulle fiorentine, un canestro di rose fresche, meravigliose nella pallida morbidezza della tinta eburnea, nel profumo. Questi fiori furono legati in un lino macchiato di sangue dove erano L’ ultimo “ articolo ” della contessa Lara comparso sulla “ Roma letteraria ” poche ore prima che Ella spirasse.

Il dolce miracolo anco una volta è stato ottenuto dal fervore delle preghiere, dalle lacrime del cuore, dai voti dell’ amor disperato. E la buona novella volò, attraversando lo spazio, valicando montagne brulle, aride lande, mari burrascosi, come, un tempo, la colomba dal simbolico ramoscello d’ulivo. La pace è conclusa. Questo pregavano, questo volevano, questo bramavano con tutta la potenzialità del sentimento le madri, le mogli. le fidanzate, le sorelle dei nostri prigionieri d’Africa. E Dio ha esaudito la preghiera, ha consolato le lacrime, ha portato il sorriso nelle case dov’ era il dolore. Quando l’ atroce telegramma giunse a Roma, si propagò per l’Italia tutta, narrando la sventura toccata alle nostre armi, il primo del passato marzo, un lamento lugubre e lungo risonò dovunque; un lamento che rispondeva ( Dio solo, ha potuto udirne l’eco), a quello delle donne etiopi orbate de’ loro cari, caduti e si pure nella terribile mischia, per la patria, per i villaggi nativi, per le forti tradizioni succhiate col latte materno. E questo grido s’è tramutato per otto mesi di martirio, in un singhiozzo continuo, ma represso, acciò, non affligger troppo i congiunti rimasti a casa, i buoni che anch’ essi soffrivano, pur facendosi coraggio. Da che una schiera de’ figliuoli d’ Italia era in mano al nemico, lontana, dispersa per luoghi inospiti, senza il conforto supremo ed unico che dà anche la separazione: il corrispondere con gli esseri amati e ricevere pagine e pagine dov’ essi mettono il meglio di loro stessi, il sentimento del cuore. Quante famiglie, non soltanto quelle in lutto per un morto, ma quelle in lutto per un vivo, di cui ignoravano la sorte, figurandosela tra le più miserevoli, hanno, dalla fatale giornata d’ Abba Carima rinunziato a ogni più innocente svago, perch’ egli, l’assente desiderato, l’ eroe, ( tutti i soldati dell’ orrendo combattimento — nostri e nemici — sono stati eroici quel giorno), mancava al famigliare appello. E la Regina d’Italia per la prima, ha rinunziato a qualsiasi ritrovo; ha abbandonato persino ogni festa dell’ arte, tanto intellettualmente amata da Lei. Chiuse tra le pareti domestiche, apparentemente continuando la loro esistenza di cure gentili, ma forse sentendo la vita, mancare a poco a poco, le donne de’ nostri prigionieri hanno pregato, pregato molto. Soltanto la preghiera, quando ogni altro soccorso umano sembra inutile, può dar il maggior coraggio, il più semplice, il più potente di tutti alla prova: quello di aspettare. La comunione col mondo occulto, ch’é il mondo di Dio, é nella preghiera ecco perché da essa deriva il grande, l’infinito conforto. Io penso, scrivendo queste parole, alla pericolante navicella degli Apostoli spaventati dalla tempesta, mentre Gesù, a prua, dormiva tranquillamente. Le onde, sollevate come montagne mobili dal vento rabbioso, minacciavano di sommergere la fragile imbarcazione; le vele erano strappate a lembi, non, più remi; non più timone; e la loro tempesta aumentava. Gesù, dormiva sempre. — Maestro, déstati ! La morte ci sovrasta ! — gridano gli Apostoli. E il Signore si sveglia e dice O gente di poca fede, ma non son io con voi? Questa scena stupenda dovettero ricordarsi le madri, le spose, le fidanzate, le sorelle dei nostri prigionieri quando la piccola, la misera, la contrastata navicella della loro speranza parve ( chi sa, Dio mio, quante volte! pronta inghiottita, inesorabilmente, e per sempre. E il Signore venne anche questa volta in aiuto ; la preghiera operò il miracolo. La pace è conchiusa . Anche voi notate la delicatezza cavalleresca d’ una frase della lettera del sovrano dello Scioa diretta al Re nostro? " So — dice egli — che il 20 novembre è una grande festa per la Casa vostra; e desidero che in codesto giorno s’allieti il cuore dei padri e delle madri de’ prigionieri italiani ". Fata benefica, dolcissima bellissima, Margherita di Savoia estende, incantamento arcano, l’ influenza sua persino su gli animi di gente lontana, non perfettamente civile, e a noi giustamente ne; da che Menelik stesso sceglie, per annunziare la liberazione de’nostri eroici fratelli, il genetliaco della Regina. Noi l'amavamo già molto, questa Santa: da oggi in poi Ella s’avrà raddoppiate le benedizioni delle donne d’Italia.

CONTESSA LARA. stati raccolti alcuni lembi di carne sua, e messi con lei nella cassa mortuaria. Così fu esaudito il desiderio di chi li aveva mandati accompagnandoli con parole che erano una carezza “ perché vadano a cuoprire quel povero corpo straziato ” . E così — come si espresse un’ altra scrittrice in un gentilissimo frammento di cronaca del suo giornale — “ fiorì tutt’intorno alla tragedia l’idillio; sulla recente fossa in cui riposa — alfine! — il misero corpo straziato, cade ora una pioggia odorosa di freschi fiori di versi — fiori dell’anima — e di pensieri delicati, di gentili omaggi, di episodi e narrazioni e ricordi, freschi e poetici come i versi e come i fiori: tanto che la cronaca del tragico fatto di sangue che prelude, ai resoconti lugubri del dramma giudiziario, la cronaca che s’aggira tra la questura, l’ospedale, la morgue e la galera, diventa, per incantesimo di arcana poesia, mesta e soave conte un’ elegia ” .

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia.

FANNY VANZI-MUSSINI. Per la compagna d’arte — F. Vanzi-Mussini pag 1 Lettera della Contessa Lara “ 9 Altra lettera della stessa “ 13 Desiderio " 15 Nunc et semper " 16 Gioielli " 17 A la contessa Lara— R. Canudo Stampacchia “ 18 Dalla “Tribuna” — Rastignac “ 19 Cronaca " 23 Dal “ Don Chisciotte ” — D. de Miranda. " 25 Per la Contessa Lara — G. A. Costanzo “ 29 Al mio Crocefisso “ 30 Al suo Crocefisso — E- de Lagar “ 31 A S. M. Maddalena — P. V. Bruni “ 32 I miei versi “ 35 Sgomberatura “ 36 Pensiero fisso “ 37 Amò; sofferse — E. Comitti “ 40 Sul Tevere — F. Vanzi.Mussini “ 41 Per un’ assassina — Papilìunculus ” 43 Logicamente — Febea “ 44 Contessa Lara — A. Matterni “ 49 Dal «Mattino» — M. Serao “ 51 Alla Contessa Lara — Alisa “ 55 Sogni di madre “ 56 Prima visita " 57 Nel mio testamento " 58 Per un. ciocca di capelli biondi ” 59 Dal “Fanfulla” — L Copuana “ 61 Dalla ”'Tribuna” — Rastignac “ 64 Dalla ”Roma letteraria” “ 67 A madame Lodi — L A. de Pologovv “ 69 Alla stazione di Napoli " 71 L' ultimo “articolo” della Contessa Lara “ 73 La Naufraga “ 77 Per la Contessa Lara— .A Testoni “ 79 A la memoria di Contessa Lara — N. Mar- toglio “ 80 A tutte le donne — F. Vanzi-Mussini “ 81 Post scriptum — F. Vanzi- Mussini " 85 Se mai ci rivedrem " 89 La bambola rotta " 90 IN MORTE DELLA CONTESSA LARA

MODENA G.T. VINCENZI E NIPOTI

1897 LA CONTESSA LARA

Cliché gentilmente favorito dal Sig. Cav. Danesi di Roma. SUL TEVERE

Sul Tevere — laggiù ! — che in grembo accoglie E mostra nuda in desolati avanzi La gran miseria delle umane spoglie, Tu pur posavi dianzi.

Ma l’ amicizia a te pietosamente Viene e ricerca — dove infranta l’ onda Piangere infranti palpiti si sente – La tua parvenza bionda;

Ed in silenzio, in un asil più pio Entro un letto di rose ti trasporta — Dolce e profondo ti sarà l’ oblio Cosi, povera morta !

Ancor, sfidando, vien sulla tua traccia Dell’ irrisione il barbaro saluto, E ancor ti strazia con la lama diaccia.... Ma questo fior caduto Raccoglie bacia una vecchia mendica, Come ricordo della tua corona, Pregando che il Signor te benedica, O sventurata e buona.

Roma, 5 dicembre 1896

FANNY VANZI-MUSSINI. Dal “ Mattino ” di Napoli

Io non ho mai potuto incontrare la contessa Lara senza provare meraviglia e pietà. Meraviglia: giacché vedendo il suo volto e le sue vesti, udendo la sua voce e le sue parole, comprendendo quel che pensava e quel che sentiva, la fantastica, poetica e anche vituperevole leggenda tessuta intorno a lei, impallidiva, svaniva. La sua beltà fulgida, irresistibile: la sua bizzaria di creatura complicata e misteriosa: la sua eleganza singolare: la sua completa mancanza di cuore: il suo disprezzo di ogni virtù e di ogni pudore: ecco quello che era, la leggenda della contessa Lara, di questa povera infelice che è stata assassinata, ieri l’ altro! Ebbene, già dieci anni sono la sua fragile beltà di bionda era sfiorita, consunta: i suoi occhi erano stanchi e deboli: i suoi capelli erano arruffati, un po’ incolti: e, quel che é più, ella non aveva l’ aria di preoccuparsi di questa decadenza. Vestiva alla meglio, nascondendo il suo viso sotto fitte velette nascondendo la sua persona sotto un gran mantello, non seguendo le mode di cui parlava spesso e bene, non trovando mai una occasione di fare una grande toilette, non adornandosi mai dei pochi gioielli che possedeva: infine, mancando del tutto di quella infernale civetteria e di quella squisita eleganza cui i suoi cronisti la ingiuriavano e la corteggiavano. Questo essere accusato di avere in se un’ anima complessa, nascondente Dio sa quali profondi abissi di perfidia, viveva senza odio e senza fiele, incapace di dir male di una donna o di un collega di lavoro, incapace d’invidiare, incapace di riportare una calunnia o un pettegolezzo: e così, senza nessuna posa semplicemente, fin troppo semplicemente, fino a far dubitare che ella fosse un ingegno acuto e un’anima vibrante! Questa poetessa accusata dei più strani gusti, andava da se, borghesemente a comperare la cicoria per rendere il suo caffè meno eccìtante e meno costoso: quando alla sera, la sua serva se ne andava, spesso ella si metteva uno scialletto sulla testa e andava a comperar un francobollo di un soldo dal tabaccaio della cantonata: ella andava in omnibus, o a piedi: ella scriveva su carta comune, senza motto, senza suggello curioso, senza ceralacca a colori estetici: ella faceva delle economie: ella aveva persino, questa poetessa folle, un curatore delle poche migliaia di lire che possedeva, Narciso Pelosini, un avvocato, un deputato, che è morto anche lui! Questa sirena ammaliatrice che, non aveva più, a trentacinqueanni, nè bellezza nè eleganza, questa donna dallo pseudonimo romantico che accomodava da sè i suoi vecchi corsages aggiungendovi un fiocco di nastro o un merletto, questa crudele che amava tanto i bimbi, i fiori, gli animali, questa perversa che, quasi, neppure davanti alla morte voleva denunciare il suo assassino, era una creatura di fatica, un essere che passava ore e ore, a scrivere, senza stancarsi, senza troppo pretendere, non seccando nè i direttori di giornali, nè i lettori, lavorando quando gli altri si divertivano, e sciupando i suoi poveri occhi malati sulla carta, correndo da una redazione di giornale alla posta, vegliando tardi, mangiando in una trattoria o sovra un angolo di tavola. Ella produceva della prosa senza fine, e dei versi talvolta. Bei versi, limpidi, e schietti, senza gelida preziosità, senza pretensioni psicologiche, ma che dicevano sempre qualche cosa di tenue e di appassionato: prosa gentile, un po' scialba, un po' prolissa, ma sempre piacevole alla lettura.

Ahimè, ella non è stata vecchia! Il brivido tenue di sgomento che ella c’ ispirava, corrispondeva all’oscuro sua fato, a questo colpo di rivoltella, un sol colpo, che così sicuramente l’ha presa, a questo assassinio commesso non per amore, non per gelosia, ma per laida vendetta d’interesse deluso: era il presentimento di una punizione tremenda che scendeva su lei, che era stata una donna, una signora, una scrittrice di gran talento, una poetessa, e che era destinata a perire come una delle ultime perdute, che uccide un amante ignoto! Ognuno di noi, vedendola, l’ultima volta, ha avuto il sentore mistico di una catastrofe qualunque che la travolgesse: ed è stata travolta: e la pietà, di adesso, anche è vana, poichè era detto che nessun uomo e nessuna cosa potessero mai giovare, beneficare, confortare la infelice!

MATILDE SERAO. Dal “ Fanfulla ”

Non so perché si sia voluto vietare agli amici di rivedere per l’ultima volta colei che stata buona con tutti, troppo buona con parecchi che non se lo meritavano, e che lascia rimpianti anche nel cuor di coloro che poterono giudicarla severamente quando ella era viva ma che non possono non essere contristati e commossi dalla sua tragica fine. Mentre io tentavo di forzare la consegna della polizia, un mazzo di giunchiglie, di giacinti, di garofani, di altri fiori, tutti bianchi, arrivava, dato da ignota amica, con preghiera di spargerli sul letto della defunta. Erano i primi. Ne verranno altri? E mi parve che essi confermassero il gran perdono già sceso su colei che ha confessato di aver errato, che è morta perdonando a tutti coloro cha le hanno fatto del male, e chiedendo perdono a tutti coloro a cui ella ha forse fatto, involontariamente del male. Poche vite sono state più agitate e più tristi della sua. Una fatalità le incombe sopra, sin dai primi anni ch’ ella entra nella società, bella, colta, spirituale, sposa felice. Ella rinunzia al proprio nome, quasi per scancellare il passato, domanda all’ arte e al lavoro i mezzi di sussistenza, lotta, cade, torna a lottare; ma la malvagia fatalità la vince, la travolge nei suoi gorghi, la conduce finalmente al macello. .................................................................................................................................................. Le urgenze della vita le impongono un lavoro ingrato, affrettato perchè miseramente retribuito, ed ella non ha ormai altro mezzo di sussistenza all’ infuori della penna. Che pena vedere questa ombra di bellezza e di grazia trascinarsi dalla redazione di un giornale all’ altra, dove qualche volta non tutti si rammentavano dell’ indulgenza e del rispetto dovuto a una donna! Lavorava affannatamente, faceva soltanto il mestiere, come ella stessa diceva, giorno per giorno, senza tregua, atterrita dall’ incertezza del domani. Che meraviglia che la sua debole fibra di donna abbia sentito bisogno di stordirsi, di cercare un compenso, un riposo, forse spinta anche dalla smania di gustare un istante la felicità sognata, intravista e non potuta raggiungere mai? Che meraviglia, se passando da delusione in delusione, qualcosa si sia sconvolto nel suo cervello, nel suo organismo, e le abbia impedito di accorgersi per quale china ella precipitava? Il cuore è stato il suo nemico, il cuore l’ ha tradita; e col cuore, i nervi irritati e infiacchiti da eccessi di sensazioni e di lavoro. ......................................................................... ......................................................................... E con tanta tristezza di vita, ella non avrebbe voluto morire. Ma quando lesse negli occhi dei dottori la sua sentenza, ed ebbe i conforti religiosi da lei chiesti, la rassegnazione entrò subito in quella povera anima agitata. Si sentì perdonata, perdonò, si accomiatò dalle poche persone presenti, e disse loro: Non addio, ma a rivederci! — L’agonia sopravvenne: — La pace! Finalmente, ecco la pace! Furono queste le ultime parole di colei che non ne ebbe quasi mai nella sua vita.

LUIGI CAPUANA. Dal “ Don Chisciotte ” di Roma.

A TUTTE LE DONNE

E’ così! Alle grandi tragedie, vissute nel segreto della casa come ai grandi drammi simulati in pubblico sulla scena, succede il verdetto dell’opinione universale, che per le prime è quasi sempre condanna, confortoe e perdono mai. Una donna è stata uccisa lì, nella sua dimora, nella casa che dovrebbe per tutti essere sacra, dove nessuno poteva difenderla dall’ oltraggio e dalla violenza d’un malfattore — una donna di alto e fino ingegno; d’ animo caldo e gentile, un temperamento di bimba carezzevole, troppo bisognosa di affetto di gioia — una lavoratrice indefessa che aveva saputo farsi uno stato nel campo delle lettere e ciò non è poco specialmente in Italia — e pure la fatica, il dolore, la bontà non hanno bastato a farle un argine che la salvasse dalla crudeltà crudeltà della gente, della società umana che è sempre formata di pochi virtuosi e molti ipocriti. In quella camera dove il disordine delle carte ammucchiate, de’libri, delle penne, caldi ancora delle mani che li sfogliò e li strinse nell’ attività del lavoro, dove ogni oggetto d’ arte alle pareti racconta una lunga storia di sogni, di disinganni, di errori e di pianto, dove oggi essa è discesa immobile nella morte, l’irrisione si affaccia subitamente, entra senta rispetto e là, accanto a quel misero corpo disfatto dal delitto, si assiede per gridarvi la condanna crudele: — Essa ha avuto quanto si meritava. Sorge pietosamente benevola la parola degli amici e dei colleghi e tenta toglier da quel luogo doloroso lo spettro del biasimo sociale; ma egli, freddo e tenace, vi rimane ripetendo con insolenza vereconda la inesorabile sentenza — senza guardare al romanzo di quella vita, al povero libro sfasciato che è aperto a tutti, dove così poche sono le pagine serene e luminose, lacere quelle candide, tante quelle inzuppate di lacrime e tinte di sangue, e di cui la coperta che le accoglie è un lembo di coltre nera, squarciata da un’ arme da fuoco. E le voci più alte, nella folla che susurra e grida, sono voci muliebri. Dunque le donne sono senza pietà. Le altre donne — quasi tutte esseri deboli e amanti — poiché poche sono caratteri freddi e forti anche se integri, poche senza macchia e pochissime senza macchia e senza paura. E pure è appunto da noi tutte, e specialmente da noi che la società rispetta ed onora, e la famiglia ama, che aspettano la parola di misericordia, il suffragio della pietà, quelle meschine le quali, se ebbero molte colpe, ebbero spesso meno fortuna. Voi, belle che, sedendo in alto, siete irreprensibili nell’ apparenza della condotta, che sorridete ingenue nell’accogliere in pubblico un madrigale e avete parole di fuoco dietro le portiere pesanti che tengon bene i vostri segreti, ripensare qualche volta che, se è agevol cosa il nascondere agli occhi del mondo, nulla si cela a quell’ occhio che guarda dalle altezze somme, sotto alle quali, sebbene grandi e potenti, rimanete sempre piccole e vili — voi dame austere non dimenticate che la fede vera è semplice e buona, che insegna anzi tutto la pietà verso i traviati e ne dà esempi sublimi nel Cristo il quale accoglie Maria di Magdala e nella Vergine che è invocata qual rifugio dei peccatori — voi spose e madri intemerate che fate di voi sacrificio quotidiano all’ amore senza egoismo, camminando diritte nella via chiaramente tracciata, non distogliete lo sguardo, non fuggite inorridite da colei che smarrita cadde e non seppe rialzarsi per ribattere il buon sentiero, perchè le mancò il sostegno dell’affetto felice e fedele! Non credete che a cancellare le macchie della vita sia lavacro bastevole il proprio sangue? Non per tutti è uno il martirio; non a tutti è data la pace solenne delle catacombe, nè la gloria dell’altare. E voi tutte che dite “ essa ha peccato ”, senza ricordare che quasi mai ella trovò la felicità nella libertà della vita, aggiungete almeno “ ha sofferto, ha espiato ”.

FANNY VANZI-MUSSINI