Wikisource:Collaborazioni/SBM/testi/Ricordo dell esposizione Milano 1881

Da Wikisource.

RICORDO DELL'ESPOSIZIONE DI MILANO 1881

FERDINANDO GARBINI EDITORE RICORDO DELL'ESPOSIZIONE DI MILANO 1881 [DIDASCALIA IMMAGINE:] L'illuminazione fantastica nelle sere del 7 e 14 maggio - Il corso Vittorio Emanuele. RICORDO DELL'ESPOSIZIONE DI MILANO 1881

MILANO, FERDINANDO GARBINI EDIToRE. L' ESPOSIZIONE DI MILANO Fu una bella sera dell'anno passato - Che alcuni cittadini amanti sino allo zelo della grandezza e della fortuna di Milano - s'unirono insieme alla CaMera di Commercio e saltò fuori un interrogativo unanime: - S' ha da fare una Esposizione Industriale ? Forse riuscirebbe , dal momento che da circa vent'anni non ne abbiamo più tentata una ; una sola in cui poter misurare le nostre forze... - Facciamola! si rispose da tutte le parti, dalla Camera di Commercio , dai Corpi morali, dal Comune, dalla Provincia, dal Governo, dall'Italia intiera la quale fece precedere dalla sua entusiastica adesione morale il suo valido appoggio finanziario. Beninteso l'idea primordiale era quella d'una pura e semplice esposizione industriale e quasi quasi regionale. Ma questi limiti soggettivi ed oggettivi evaporarono come acqua estiva: l' Esposizione diventò Italiana, e non solo industriale ma artistica , ma scientifica, ma agricola , ma economica: insomma una propria e vera Esposizione Nazionale. Ed è questo infatti il giustissimo nome che le è rimasto e pel quale più splendido e bello ne appare oggi l'incontrastato trionfo. Man mano che l' idea veniva grandeggiando anche le proporzioni, anche i modi di personificazione dei grande avvenimento industrialo andavano facendosi sempre più imponenti. La sottoscrizione pubblica aveva frattanto fatto miracoli. Le private soltanto avevano dato oltre 900,000 lire. Lire 500,000 destinò il governo: 100,000 lire il Municipio. Oltre a 200,000 lire produssero i contingenti degli altri Municipi. In complesso , si raccolse qualcosa come due milioni di lire. Raccolti i danari si pensò subito agli uomini da preporre all' impianto ed all'organizzazione dell'Esposizione. Si nominò dunque un Comitato Esecutivo che risultò composto dai signori : Bigatti Ambrogio, Castelbarco Cesare, D'Italia Giacomo , Feltrinelli Giacomo, Ferri Vittorio, Fuzier Luigi , Galli Enrico , Ginoulhiac Luigi, Labus Stefano, Maccia Luigi, Ponti Ettore, Richard Giulio, Robecchi Giuseppe , Speluzzi Giuseppe, Vigoni Giulio. A presidente onorario fu nominato il conte Giulio Belinzaghi , sindaco di Milano, a presidente effettivo il cav. Luigi Maccia, presidente della Camera di Commercio, a vice-presidenti i signori Fuzier : e Labus , a segretario generale l'ingegnere Amabile Terruggia. Più tardi il segretario generale Terruggia diede definitivamente le sue dimissioni dall'importante ufficio da lui occupato. Uomo di battaglia, non era l'uomo del trionfi. Sinché infatti ci furono degli ostacoli da superare, e delle difficoltà da combattere, il Terruggia era una forza: ma nol fu più il giorno in cui l'Esposizione diventò un successo italiano. Ed un successo che ci ha soddisfatti tutti e sotto tutti i riguardi: un successo a formare il quale hanno concorso da settemilaseiccnto ad ottomila italiani coi loro prudotti - e ventisei milioni di italiani colla corrente morale della loro unanime e sconfinata simpatia. Io capisco che si fa presto - molto presto - a scrivere delle cifre. Nulla di più facile del resto. E il tempo questo dei numeri. Peccato che essi cosi di sovente producano delle illusioni ! Ebbene, non è questo di tali illusioni il caso : uno di quei casi essendo la nostra Esposizione Italiana in cui si trasfonde tutta intiera, la prodigiosa attività morale e materiale del nostro paese: il quale, passando oggi in rassegna i prodotti del suo primo ventennio di libertà e d'unità, può dirsi - anche a voce alta - orgoglioso di quanto ha fatto , tanto più ch'esso vuol ricordarsene per quanto farà. Ecco - in sostanza - il vero perché questa nostra Esposizione ha titolo ad essere collocata tra i fasti memorabili di Italia nuova. Nessuna meraviglia quindi che da ogni parte si cerchi di tramandarne il forte ricordo ai posteri. Nessuno stupore che le arti siensi tutte date la mano per eternizzare questa dolce e gloriosa reminiscenza. Nessuna sorpresa infine se in mezzo a tanti al- tri congeneri lavori , capita fuori modestissimo anche il nostro. Un lavoro che, lo capirete subito, non ha grandi pretese a pose letterarie, o tecniche - ma si appaga a ciò che è : cioè a dire una serie di quadretti, una galleria delle principali vedutine dello sviluppo Espositivo , dentro e fuori dal grande recinto. Dichiariamo anzi un'altra cosa. Noi non abbiamo nessuna lacuna da riempiere. Abbiamo compilato questo volumetto, perchè, fra gli altri dedicati alla Mostra Italiana, ci poteva stare anch'esso. A Palestro - diceva Vittorio Emanuele: - qui c'è della gloria per tutti... Nè altrimenti succede in questo pacifico agone della Mostra Italiana - dove la messe delle impressioni è così copiosa che il raccoglierne una piccola parte soltanto è già la migliore e la più valida tra le giustificazioni di un libro. [didascalia immagine:] Velocimano a 7 persone per pompieri in città. ATTRAVERSO L'ESPOSIZIONE. Il bello e completo disegno che il lettore ha sott'occhio (pag. 8 e 9) gli prova sino all'evidenza che la nostra Mostra vien tenuta nei Giardini Pubblici di Milano. - Questo si sa! dice il lettore stringendosi nelle spalle. Ed aggiunge: - O dove diamine la volevate tenere?

[Velocipede sospeso di Agostino Cattaneo di Milano]

eccellente amico... - Ah ! ah ! ah ! Domando perdono, ma non c'è nulla da ridere. Il fare l'Esposizione se piuttosto nei Giardini che in Piazza Castello la fu a suo tempo una questione ardentemente dibattutasi, e la stampa pigliò parte chi per questa chi per quella risoluzione: anzi gli avversarii ci si appassionarono fieramente e furono polemiche brucianti. Vinsero i giardinisti, e fu stabilito che la Esposizione la si sarebbe fatta nei giardini precisamente dove oggi essa è. Ad architetto costruttore degli edificii fu scelto Giovanni Ceruti: un nome ieri sconosciuto, oggi una notorietà italiana. Ed il progetto degli edificii, e la loro distribuzione, e la loro varietà, ed i loro rallegamenti è tutta opera del suo ingegno. Fu lui che dovendosi adattare agli accidenti dei luoghi, alle esigenze degli edifici stabili compresi nel recinto della Mostra, al raccordo delle diverse sezioni e via dicendo, fu costretto a formolare il suo progetto complessivo in una serie di riparti, di corpi staccati, di gallerie , delle quali attuò l' elegantissimo intreccio e la artisticissima parvenza, senza però poter riuscire ad imprimere un carattere di completa unita a tutta la sua creazione. Peraltro non si può non rammentare che l'architetto Ceruti fu obbligato - a misura che il fatto dell'Esposizione giganteggiava - ad acconciarsi mano mano alle più grandiose idee cha pullulavano nella mente dei promotori, anch'essi rimorchiati da un avvenimento che fu come le ombre della luna che si prolungano a misura che l'astro degli amanti spazia per la infinita curva dei cieli. Ond'è che, dal nocciolo della sua idea che il valente Ceruti personificava nella facciata dell' Esposizione verso via Palestro e nel corpo di gallerie da tale facciata irraggianti, egli fu tratto a forza ad imaginare ed a creare la Rotonda colle sue braccia eccentriche e relative sezioni : nonché a stabilire qua e là altre gallerie ed altri passaggi : comechè ad ogni giorno che passava, aumentava il numero dello domande di spazio per parte degli espositori. Da ciò naturalmente la conseguenza dell'appunto fatto al Ceruti di nessuna unificazione concettuale e di insufficienza architettonica dell'ingresso ed atrio principale dell' Esposizione : appunto cui si risponde trionfalmente con queste poche parole: - L'architetto Ceruti, studiò e lavorò questa facciata principale nella sua conclusione ad una Mostra modesta e limitata per quanto splendida - come era stata infatti escogitata. Ma giusta il proverbio vires acquirit eundo , la Mostra pensò da sè sola a diventare un colosso, e difatti lo diventò. Ciò posto, sarebbe assurdo far colpa all'architetto dei nuovi doveri impostigli da un'istantaneo ingrandimento di risultati artistico-industriali. Questo esposto per debito di giustizia, invitiamo il lettore a gittare un'occhiata sull'unito disegno,- rappresentante il colpo d'occhio generale dell'intiera Esposizione e poniamoci a brevemente illustrarlo. La parte anteriore dirò meglio, la parte inferiore del disegno, quella che vi rappresenta queste chiome di piante eccelse - vi raffigura ciò che io chiamerò il vestibolo dell'Esposizione, quel tratto cioè che occupa i Boschetti e che da via Senato - dove c'è l'ingresso - dirò cosi - più esterno - arriva sino alla via Palestro - che qui vedete, e sulla quale si sfoga il vestibolo principale della Mostra, fiancheggiato dai suoi edifici. Quanto ai Boschetti , essi beino a destra il palazzo del Senato ridotto ad Esposizione di Belle Arti , le gallerie del materiale [Didascalia immagine:] Bastioni di Porta Venezia Porta Veneziana Cupola della Rotonda Facciata principale VEDUTA A VOLO D' UCCELLO DEGLI EDIFICI DELL' ESPOSIZIONE. Corso Venezia Fontana di fronte al Museo Civico ferroviario, i cementi , i chioschi in laterizii, i blocchi di marmo di Carrara, di Serravezza, ed oggetti congeneri. Essi hanno a sinistra la galleria del materiale dei Trams , per la quale si accede al giardino della Villa Reale: la galleria delle barche, la galleria delle macchine agricole, delle terre cotte, dei carboni e via dicendo, terminando al lembo estremo col padiglioncino del Magen-Bitter. Ed eccoci ora alla linea viva della facciata vera. Ed è qui che i lettori possono tenerci dietro passo passo sul disegno , a misura che noi procediamo nella spiegazione veloce. Dunque pigliamo il centro ed entriamo dalla porta maggiore delle tre che si aprono sotto il porticato. Diamo un'occhiata alle eleganti statue che adornano l'atrio superiore - ed eccoci nella galleria massima - nella spina dorsale dell'edificio. Sono - come vede il lettore - tre gallerie che corrono parallele giù giù sino al bastione, ed è là che tutte e tre si fondono nel così detto Salone Pompeiano. Le sete, i filati, i velluti, le mode, l'ebanisteria, tutte dal più al meno le cosidette Arti usuali, dalla indoratura alla confezione, dall'industria degli utensili di ferro alla tappezzeria, tutto trova suo luogo e sua equa distribuzione nei diversi stadii di questi tre grandi intestini dell'edificio principale della Mostra. Dove i lettori vedono chiuso il percorso di queste trJ gallerie da una lanterna in cristalli sotto c'è il Salone Ponspetano: una fra lertrovate dell'architetto Ceruti. Questo Salone Pompeiano, sulla cui fedeltà storica forse potrebbesi ridire qualche cosa, presenta nullameno un magnifico colpo d'occhio, per il suo colonnato, pel suo loggiato, per la sua architettura imponente ed elegante e specialmente per la perfetta e vivace imitazione dello stile e dei colori antichi. Nel centro della sala i bigliardi danno di gomito ai pianoforti, le bacheche degl'istrumenti fiato a quelle degl'istrumenti a corda ed a percussione. Torno torno al loggiato si succedono in enormi vetrinoni i varii e sfolgoranti costumi delle campagne italiane. Di fronte roi alla porta d'ingresso , e sull' impiantito superiore alla fontana sta il gruppo degli organi esposti.

Saltando ora tutte le gallerie intermedie, passiamo dal corpo principale degli edifici a quello che le si concatena a destra. Ecco sul davanti il Caffè del Salone chiuso dentro nell'Esposizione e recinto da un lungo portico tutto gremito di oggetti in topografia, geodesia, ponti e strade quasi appendice ad una galleria geo!ogica che circoscrive il portico. Ecco il salone retrostante al caffè mutato in Mostra didattica: ecco il museo superiore aperto al pubblico ; ed ecco prolungarsi sempre a destra - e confinanti in linea parallela col corso Venezia - altre ed altre gallerie. Vedete qui quella dei ferri lavorati, quella delle armi da caccia , quella delle industrie metalliche, quella delle bilancie, e via dicendo. Vedete, proseguendo sempre a destra del salone e giù, giù sino al bastione - le gallerie del Picco:o Lavoro , quella della Beneficenza , l'altra delle campane - la galleria delle macchine, quella del Lavoro, quella delle motrici a [Didascalie immagini:]

Personale dell'Esposizione Pompiere, Custode, Fattorino. Projetile del Duilio. vapore ecc.: tutta insomma la parte viva e vitale dell'Esposizione : una parte che bisogna visitare passo passo per potersene fissare in mente almeno i principali criterii. Ne riparleremo del resto più oltre, toccando di questa o di quella specialità, come partitamente faremo cenno dei chioschi, dei padiglioni, di tutta insomma la serie di edificii isolati che - destinati a cento scopi diversi - non fanno perciò meno una esposizione nella Esposizione. Ed ora, amico lettore - ritorna coll' occhio alla facciata dell'Esposizione, e dirigiti a sinistra proprio dove il tuo sguardo è arrestato da tutto un nuovo corpo di editicii, che mentre è evidentemente un rappezzo d' aggiunta, è insieme il centro di tutto un nuovo sistema architettonico e che di " tutta l' Esposizione è senza dubbio il meglio riuscito. Scorgi tu, amico lettore, quel vestibolo a tre porte che immette in un giardino all'esterno, e all'interno - in una galleria che in linea retta marcia verso una cupola centrale? Ebbene: questo giardino è della Villa Reale, che insieme alla Villa stessa, fu per gentile concessione di Re Umberto, preso dentro nel recinto dell'Esposizione ed a questa aggregato. Questo vestibolo è della Villa, di cui attraversa il pian terreno immettendo poi nella gran sala dei preziosi, poi in quella della vetreria veneziana, poi in quella della mobiglieria laccata, poi in uno dei sei raggi che qui formano centro. Questa cupola infine è la Rotonda esagonale dalla quale partono sei raggi risplendenti: tutti consoni all'architettura leggiera di questa specie di sogno moresco che chiamasi Rotonda. Uno di tali raggi è quello della ceramica, uno quello della profumeria, uno quello della carta, uno quello dei libri, e via dicendo. Il centro poi, o, a dir meglio, lo spiazzo di questa Rotonda che è - per tutte le ore del giorno - il punto di convegno della società, più eletta, è tutto ornamentato dalla supellettile ceramica delle prime fabbriche d'Italia, da quella del Ginori a quella del Minghetti, da quella del Candiani a quella dell'Albani. Inutile poi aggiungere che questi sei raggi sono posti fra loro in comunicazione da altrettanti segmenti o sezioni d'arco: mezze gallerie, per dirla altrimenti - come ad esempio quella alimentare , quella dei vini , quella dei prodotti chimici, dei cartonaggi, delle fotografie ed altre. Amminicoli tutti e che formano un vero labirinto d'andirivieni l'uno più curioso dell'altro, e l'uno più dell'altro interessante intorno a questa magica ed orientale Rotonda (pagine 40 e 41). Discendendo pel raggio della profumeria, poniam piede in un altro lungo ed imponente corpo di gallerie. La si direbbe una enorme galleria a cinque navate, alte, solenni, magnifiche. Quella di mezzo è destinata alla produzione della carrozzeria italiana ed arnesi annessi. Qualche cosa di sorprendente! Finite le carrozze si attraversa il comparto del Ministero della marina, poi quello del Ministero della guerra. La galleria laterale a destra e la sua succedanea sono

[Didascalia immagini:] L'uovo di cioccolatte dei fratelli Franchi di Torino. Serra Morisetti destinate ai prodotti chimici, alle tintorie, alle concerie di pelli, ai saponi, alle cere, alle stearine e via dicendo. Le gallerie lasciate a sinistra contengono invece le mostre regionali delle diverse provincie italiane - dal vino alla paglia, dai legnami ai grani, dai meccanismi bacologici e sericoli sino alle incubatrici artificiali. Non dimentichiamo, che la galleria laterale destra, quella che presenta i campioni dei processi tintorii, termina con un comparto del Ministero di Agricoltura e Commercio. Con saggio divisamento l'ex ministro Miceli mise a contribuzione lo zelo e l'attività dei nostri Consoli all'Estero per inviare in patria un campionario dei prodotti agricoli ed industriali di tutti quei luoghi. E E così essi fecero - ond'ebbe compimento il bel pensiero del Miceli, al cui completamento die' grande opera la Società Italiana di Esplorazione Com-

[didascalia immagine:] Facciata e ingresso dell',Esposizione dal lato di via Palestro merciale in Africa, la quale volle e seppe raccogliere qui i prodotti di parecchie sue spedizioni al centro dell'Africa. Dal lembo di questa galleria si entra in pieni giardini: qui c'è il laghetto, e presso il laglietto la cosidetta ferrovia elettrica, e presso questa i chioschi, i padiglioni e il resto - compresa la Casa mobile dei Bachi del Sartori di Treviso che la fondò per commissione datagli da re Umberto, il quale - diciamo la verità - fu efficacissimo e validissimo protettore di questa Mostra meravigliosa. Finiamo discorrendo di ciò con cui dovevamo cominCiare : parlando cioè degli ingressi. Il primo, topograficamente parlando, è quello che da via Senato immette nei Boschetti; il secondo quello che da via Boschetti mette in comunicazione l'Esposizione di Belle Arti coll'Industriale;

[didascalia immagine:]

Padiglione russo per la liquoreria Canetta. il terzo quello che dal corso Venezia immette in via Palestro; il quarto e il quinto quelli che danno accesso all'Esposizione attraverso la cancell dia dei Giardini Pubblici sempre lungo il corso Venezia. Veramente più che ingressi proprii e veri, tutti questi - eccettuato quello di via Senato - sono puri e semplici accessi. Ingressi artistici , ingressi degni di speciale menzione sono infatti due soli; quello principale, e quello detto la Porta Veneziana , che voi vedete a sinistra della Rotonda, all'estremità del suo raggio verso le piante di via Palestro. Diciamone qualche cosa. LA PORTA VENEZIANA. (Vedi pag. 12). Eccovela qui in tutta la sua snella eleganza. Eccolia qui co' suoi pinacoli , co' suoi ornamenti a traforo, colle sue torricciuole sforacchiate a giorno, co' suoi loggiati a colonnine aeree, a finestroni ed a porte con sesto quasi acuto, meno una piccola modanatura all'apice. Tutto l'edificio - proprio uno di quelli che rubano gli occhi colla magia del loro aspetto - è in legno, raffigurante a meraviglia il moresco del marmo a colori abbinati. Vista da Piazza Cavour, questa facciata dell' Esposizione produce una im pressione eccellente. Alcuni, fatte le debite proporzioni, preferiscono questo vestibolo veneziano, par quanto modesto , al vestibolo principale. E può darsi che non abbiano torto del tutto. Abbellano assai questa entrata le serre e le aiuole che si trovano al suo fianco destro oltre la cancellata. È là infatti che fu tenuta nel maggio e fin sui primi di giugno la Esposizione orticola e floreale: quella famosa esposizione che ebbe, ahimè! un solo torto: quello d: durare lo spazio delle rose e delle fragole che ne facevano uno Ira i più splendidi ornamenti. Infatti, su quel verde continuo, la porta veneziana spiccava colle sue finte mattonelle bianco-rosa in marmo .. di legno, con inesprimibile vaghezza. Ed a quella scena dava e dà anima e vita la stupenda fontana , costrutta rimpetto al gran palazzo del Museo e che spinge ad una altezza d'oltre dieci metri una colonna d'acqua che scintilla al sole come una pioggia di diamanti, e riempie tremula e commossa un semplicissimo e vastissimo bacino-serbatoio.


IL PADIGLIONE LIQUORERIA CANETIA. (Vedi pag. 13). Lo chiamano il Padiglione Russo, ma viceversa poi è un Padiglione svedese, quello che ad uso di Birraria e Liquoreria ha eretto nel recinto dell' Esposizione il signor Maurizio Canetta


[didascalia immagine:]Il velocipede acqueo di Ciriaco Padzza e la poltrona a bilancia di Valentina. netta. È, naturalmente, tutto in legno: dal tetto accuminato e che iinisce in cuspide elegantissima. Vi si arriva sboccando nel giardino dai comparti militari del ministero della guerra, oppure attraversando orizzontalmente le gallerie vertebrali del corpo principale dell'Esposizione. Il Padiglione Canetta occupa oltre cento metri quadrati ; è in larice americano, un vero pineepin regolare, adattatissimo per costruzioni e resistentissimo alle ingiurie del tempo e dell'atmosfera. L' ha disegnato il valente architetto milanese Carlo Formanti, ed è innegabile che è uno fra i meglio riusciti di tutta la Mostra. Piace moltissimo al pubblico il bizzarro tetto a scaglia di pesce che corona questo edificio dalle leggiadre pareti intagliate. Il mobiglio, di questo padiglione, è opera della Ditta Arosio di Milano , e non potrebi,e essere più fedelmente russo di quello che è. Tutti i giorni una società elettissima concorre a geniale convegno sotto l'ombra amica degli ippocastani che si intrecciano coi pinacoli del padiglione Canetta; e sono granite a migliaia che girano, e sono fiumi di birra che scorrono, mentre al di là delle piante le ban le musicali fanno echeggiare le armonie voluttuose dei valzer tedeschi. L' ILLUMINAZIONE NELLE SERE DEL 7 E 14 MAGGIO. I nostri disegni (pag. 2 e 16) rappresentano la piazza del Duomo durante la splendida illuminazione del 7 e 14 maggio 1881. I lettori ricordano infatti che la luminaria fu una fra lo cose meglio riuse,te del programma inaugurativo della Mostra Italiana. Agli stessi lettori poi non occorre ricordare che l'eroe di quella festa della luce fu il cav. Giacinto Ottino - ovvero il mago Ottino, come per universale consenso viene oggi chiamato il celebre lucifero torinese. Il disegno a pag. 16 riproduce il gran paniere di lumi sfolgoranti nel mezzo della gran piazza : nonchè lo stemma forato e fronzuto di casa Savoja scintillante di fronte a via Carlo Alberto. L' altro disegno a pag. 2, cioè di contro al frontespizio, rappresenta l'illuminazione del corso Vittorio Emanuele, tutto abbellito da grandi ar_ tate sfolgoranti di luce, e raffiguranti una pergola gigantesca. Queste due incisioni, malgrado la fedeltà con cui riproducono il vero, non possono dare che una idea molto limitata della grandiosa luminaria che fu un vero trionfo della Commissione dei Divertimenti. L' Ottino superò sè stesso. Il suo concetto , messo fedelmente in pratica , era un vero poema. L'illuminazione partiva dal Palazzo Reale, passava innanzi al Duomo, piegava sul Corso Emanuele, tramutato in un fiammeggiante oceano, scendeva lungo il Corso Venezia, svoltaVa sui bastioni, per via Manin e pei giardini stessi, e sostava in Piazza Cavour; poi passando sui vetusti archi di Porta Nuova, proce deva per via Manzoni, Piazza della Scala, via S. Margherita, via Carlo Alberto e si riattacava in Piazza del Duomo al suo punto di partenza. Piazza del Duomo era un mare di luce a co-

[didascalia immagine] Turbina idro ora della Società Veneta. [didascalia immagine:] L' illuminazione fantastica in piazza del Duomo , nelle sere del 7 e 14 maggio [didascalia immagine:] Corsa degli ufficiali con siepi pel premio della Regina. lori, a fiori, a foglie. Sul corso Vittorio Emanuele gli archi si succedevano agli archi, i trofei ai trofei, ed una specie di sole notturno eretto in Piazza Campo Santo projettava sino in fondo il suo lucicchio a punte. Dei grappoli di lumicini e delle ceste di fiori sfolgorescenti andavan sino alla Barriera di Porta Venezia, i cui edificii splendevano anch'essi per la fausta circostanza. MAto fantastica, con tutti quei lumicini perduti nelle foglie, la luminaria dei Giardini e quella di Piazza Cavour. Stupenda poi la luminaria della Stazi tne Centrale illuminata li per lì da un altro Ottino , da un altro mago comparso al seguito del famoso fratello. Divampanti com'erano, gli archi di Porta Nuova facevano un effetto da non si dire — e tutta Via Manzoni aveva in quella sera la specialità della luminaria a fuochi di bengala che in certi momenti mutavano la splendida via in un forno Procedendo verso Piazza della Scala, la scena mutava aspetto; il rosso, lo scarlatto, il fiammeggiante scomparivano. Erano lumicini, bicchierini, rosso cupo e azzurri, disposti quasi a campanule, quasi formanti le più intricate cifre e i monogrammi più difficili che dir si possa, ond'è che Piazza della Scala - illuminata così splendidamente - ricordava le luminarie misteriosamente voluttuose di Venezia antica. Ond'è che Via S. Margherita e Via Carlo Alberto riflettevano in verde, in azzurro, in glauco le cifre reali e queste erano torno torno decorate di stemmi, di f2tegi di corone, e di auguri infiniti. Ancora una parola: la luminaria milanese del 7 maggio riuscì così splendidamente che otto giorni dopo la si dovette ripetere, ed oggi dopo tanti mesi, si susurra e si spera che, al momento dalla chiusura della Mostra, essa farà la sua terza e definitivamente ultima comparsa. LE CORSE IN PIAZZA D'ARMI. (Vedi pag. 17). Fra gli altri spassi stati organizzati dalla Commissione dei Divertimenti per chiamar gente a Milano e trattenervi quella che già c'era non bisogna dimenticare le Corse Ippiche, con molta cura ed intelligenza apparecchiate ed eseguite in Piazza d'Armi nei giorni 9, 12 e 16 giugno. Uno splendido circo erasi disposto in quella parte di Piazza d'Armi che è compresa fra l'Arco della Pace e la Caserma del Castello. Si approfittò del terreno battuto che trovasi in quella località , e niuna cosa fu ommessa perché le Corse fossero degne della città che le offriva, dei concorrenti che vi presero parte, venendo da ogni parte d'Italia ed anche dall'estero, e della folla dorata che vi si recò come spettatrice, formandone così forse la parte più imponente dello spettacolo. Queste corse erano state precedute da una benintesa pubblicità. Erasene sparsa la voce dappertutto, e tutti se n'erano interessati: dal Re e dalla Regina che stabilirono dei premi speziali pei vincitori , sino al Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio che pur esso costitni dei gremii particolari : ritenendo a buon diritto che non era solamente ad uno spettacolo di turf che andavasi ad assistere, ma altresì ad una prova di buon sangue che avrebbero indubbiamente data parecchi cavalli italiani già favorevolmente noti nei fasti della pista. Sotto tali auspicii e con tali eccellenti prevenzioni le corse, com'era naturale, riuscirono magnifiche. Ci manca qui lo spazio, ed anche avendolo, mancherebbe oggi 1' opportunità di discorrere partitamente d'ogni singola corsa. Basti sapere che fra le interessanti interessantissima fu la Corsa degli ufficiali con salto di siepi, detta ufficialmente la Corsa della Regina, appunto perché S. M. la regina donava come premio al vincitore di questa corsa una coppa d'argento, vero capo d'opera. Pel secondo giunto, il Comitato della corse aveva istituito a premio un altro magnifico oggetto d'arte. E questa è appunto la corsa che riproduce il nostro disegno (pagina 17). Il gruppo degli ufficiali passa al galoppo. È precisamente il momento in cui ha luogo il salto della siepe. Ed è proprio qui che successe un disgraziato accidente che per fortuna non ebbe le gravissime conseguenze che potevan puro verificarsi. Ma, procediamo con ordine. Erano dunque inscritti otto cavalli: Quecn Elisar del conte Roger Bellegarde de S. Lary ; Luk del signor Pietro Daneo Danseuse del signor Angelo Bozzi; Arabo del signor Antonio Scarpa; Apollo del signor Ercole Segrest; Fracassa del signor Rodolfo Pugi ; Cicuzza del signor M. V. de Greg. di Sant'Elia; Dearling del signor Gianni Bettini. A questa corsa però non presero parte che sei cavalli. Disputattissima fu la gara tra Fracassa, Apollo e Danseuse. Ma ecco il triste contrattempo. Il signor Angelo Bozzi che montava Danseuse fu sempre il primo sin quasi alla metà; ma nel mentre saltava una siepe, cadde di sella. La sua caduta profittò agli avversari; Apollo e Fracassa si disputarono accanitamente la pista; ma finalmente Fracassa del signor Rodolfo Pugi riuscì vincitore. Quanto alla caduta. del Bozzi. Le cose andarono proprio così: Nel secondo giro della regina, il cavallo gli cadde nel salto della siepe - il cavidiere fu travolto al suolo e producevasi una ferita al volto, per fortuna lievissima. Ci fu un naturale momento d'ansia nel pubblico a questo fatto - ma tutti si rasserenarono quando si vide l'egregio tenente Bozzi rialzarsi ed andarsene nel pésage in traccia del chirurgo, e quando si riseppe che quella ferita non presentava la minima gravità. Quanto alle altre corse, sarebbe lungo accennarle tutte; tanto più che quella dei biroccini nella quale si distinse assai il signor Ricciardo Bonetti di Modena con (burlo e Violetta, non furono molto animate. Animatissima fu invece la corsa dei fantini - parlo della principale : quella in cui trionfò la cavalla Sensation del marchese Lamarmora di Torino cui fu conferito il primo-premio. Intanto queste corse erano accompagnate e seguite dai più caratteristici fatti: voglio per esempio parlare del giro di scommessa all' in - glene a prò di questo o di quel cavallo ; scommessa proposta e tenuta dai gentlemen Riders e dai Boocmaker - i quali dicesi portassero via di molti danari, guadagnati specialmente per mezzo della intrepida cavalla Sensation. E voglio parlare degli ammirabili ritorni dalle Corse di tutta la Milano cui l'aristocrazia del blasone e quella dell'oro consentono di girare per le sue vie in sontuosi equipaggi. Rade volte infatti abbiamo visto correre fiammeggianti per le nostre strade tanti four-in-hand o - per dirla iu ita• liano - tanti tiri a quattro come in quei ritorni dalle Corse. La processione delle carrozze era interminabile , e pareva uno di quegli antichi Corsi di gala che formavano un tempo la specialità di Milano nell'annua parata di equipaggi della prima domenica di quaresima Fra gli altri equipaggi che nelle giornate del 9 e del 12 giugno, conquistarono l'universale ammirazione, vanno notati i breaks a tiro di quattro del marchese Fassati, di casa Triulzio, dello Schleiber, del Prinetti , dell'Arnaboldi , del Laboranti, e d'altri ed altri : tanto che nel pomeriggio del 12 giugno ne furono contati otto che maestosamente tenevansi dietro l'un l'altro, facendo spalancare tanto d'occhi e tanto di bocca ai forestieri accalcatisi a Milano. La conclusione di tutto questo si è che le Corse milanesi del giugno 1881 non saranno dimenticate nè così facilmente nè così presto. IL PADIGLIONE SVIZZERO PORETTI. (Vedi pag. 20). È senza dubbio uno fra i meglio riusciti e più graditi all'occhio fra quanti ve n' ha nella nostra Esposizione. Fu il valente architetto G. B. Ferrari che ne ebbe l' idea artistica , e lo disegnò con una sicurezza di linee ed una felicità d' insieme veramente ammirabili. Come è facile avvedersene, si tratta di un vero Chdlet svizzero nel senso più ortodosso della parola. È semplice nel suo insieme, e vi colpisce subito l'occhio, appena vi trovate fra la galleria del Lavoro ed il Salone. Tutti i suoi trafori, tutti i suoi intagli acca- [didascalia immagine:]

padiglione svizzero Poretti [didascalia immagine:]

Padiglione svizzero della ditta Premoli e C. rezzano lo sguardo del visitatore , come ne accarezza l'arsa ugola la birra varesina che vi si serve. Nell'interno c'è un'ampia sala di 64 metri quadrati: al quale spazio se aggiungiamo quello destinato ai locali di servizio, abbiamo oltre 120 metri quadrati occupati dallo Chalet. È addirittura un pezzo di Svizzera trasportato qui per incanto e che fa involontariamente ricercare dov'è l'orrido indispensabile e la non meno indispensabile cascata. IL PADIGLIONE SVIZZERO-PREMOLI. (Vedi pag. 21). Questo bello ed imponente chiosco è il punto di convegno d'una società elettissima. Di quella società femminile specialmente, per la quale una visita all'Esposizione non fu mai completa se non meriggiando alquanto nella Rotonda, attraversando lo Ceramiche, i Preziosi, il vestibolo della Villa Reale, il giardino inglese, e sotto le piante recandosi sino al tortuoso e pittoresco laghetto. Orbene gli è appunto in questo giardino di casa reale - gli è appunto presso a questo ghirigoro d'acqua - in cui pompeggia saldamente elegante il Leone di Caprera - barca che ha fatto in 113 giorni, da sola e con tre uomini di equipaggio - che però valevan per trenta - la traversata del grande oceano da Montevideo a Gibilterra gli è qui che sorge lo Chdlet del signor Prernoli e C. attuali conducenti del Caffè d'Europa sul corso Vittorio Emanuele e pertanto organizzatori d'una specie di succursale qui nel loro padiglione del loro grande negozio fisso. 11 qual loro padiglione sta in una piattaforma di cento metri quadrati. Voi vedete nel fedele disegno (pag. 21) che lo riproduce come il corpo centrale del fabbricato si elevi al disopra delle due parti laterali. Lì difatti c'6 il grande lucernario che illumina il salone spandendovi tutto un grande fascio di luce a bea otto metri dal suolo. S'è detto, e forse a ragione, che l' ornamentazione interna di questo Chdlet è semplificata al punto che quasi riesce irnpercettibile. Aia i pratici rispondono che tale semplicità è appunto la più geniale e più iiitonAta, caratteristica del luogdn cui un'aria placida "....senza mutamenti Avere in se " concilia al visitatore la più assoluta e la più solitaria delle tranquillità. LA SOLENNE INAUGURAZIONE DEL 5 MAGGIO. (Vedi pag. 24 e 25). Ecco il grande vestibolo e l'ingresso principale dell' Esposizione: quello che s'apre in Via Palestro. Al vertice del grand'arco fu issato lo stemma di Savoia: dalle due parti delle torric- [didascalia immagine:] il latte condensato della Società Lombarda. ciuole discendono sulle ali dei fabbricati laterali sciarpe a colori patriottici. A sinistra della facciata centrale s'era eretto il palco reale, miracolo di ricchezza e di abilità nell'arte milanese della tappezzeria. I Pompieri ed i Donzelli municipali, in gran divisa, le carrozze del Comune in pompa magna, il Sindaco, il Prefetto, gli assessori in abito nero e decorazioni davano alla festa un carattere eminentemente attrattivo. Il conte senatore Giulio Belinzaghi compariva a quella solennità sotto due diversi aspetti : come Sindaco di Milano e come Presidente onorario del Comitato Esecutivo dell'Esposizione: ecco perciò lo fiancheggiavano da una parte i membri della Giunta dall'altra quelli del Comitato esecutivo con alla testa il suo presidente effettivo, cav. Maccia. Erano le ore dodici precise del giorno 5 maggio - anniversario glorioso nella storia della Nuova. Italia - che ventisei anni prima ripeteva colla spedizione dei Mille la gloria leggendaria dell'Argolide antica - allorché accolti da un tuono d'applausi e dal fragore delle bande prorompenti nella Marcia reale - Re Uniberto , la Regina Margherita, il Principe di Napoli ed il Duca d'Aosta giungevano in una carrozza di gran gala alla Dauruont - innanzi al vestibolo. Facevano ala ai due lati due compagnie di soldati : più verso il vestibolo erano raggruppate le bandiere d'alcune associazioni operaie. I corazzieri in alta uniforme circondavano la carrozza reale: cui facevano seguito parecchie altre in cui erano le case del Re e della Regina, l'onorevole Miceli, ministro dell' Agricoltura, Industria e Commercio ed altri personaggi ufficiali di cui sarebbe e lungo ricordare i nomi. Notiamo di passaggio che gli invitati per la cerimonia solenne dell' inaugurazione erano assai limitati e in essi era, naturalmente, fatta gran parte ai signori Espositori, moltissimi fra i quali non v fiero perdere la vista della memorabile festa, cui tutta Italia pigliava un così entusiastico interesse. La ceinnonia del resto fu rapida, semplicissima e tutta civile. Quantunque infatti il sindaco vi avesse ufficialmente invitato l'arcivescovo di Milano monsignor conte Luigi Nazzari di Calabiana - questo non credette di poter accettare l'invito. La solennità procedette dunque così. Le Mae stà del re e della regina d'Italia presero posto nel trono: vicino a loro il principe di Napoli, il Duca d'Aosta e gli altri personaggi in ordine gerarchico. Parlò per primo e brevemente il sindaco terminando col grido Viva il re ! Rispose in nome del Governo, con un altro discorso, il ministro Miceli, il quale salutò questa prova gloriosa del grande risveglio industriale-economico della nazione, e proclamò aperta in nome del Re l'Esposizione Nazionale Italiana. I cannoni tuonarono: le bande riattaccarono la fanfara reale, le truppe presentarono le armi, e la cerimonia fu fluita. Discesi dal trono il re e la regina compirono una rapida corsa attraverso le gallerie fermandosi specialmente nelle gallerie del Lavoro e nella stupenda R otond Accettarono un rinfresco loro Alette dal Comitato Esecutivo : ed ageradirono parecchi doni e parecchi mazzi di fiori loro offerti da espositori e d bambine della 5, rada Professionale. Poi ribbalidonaron fra gli applausi lo pletidido recinto, nel quale per ò te. ero costantemente ritorno nei giorni in cui la Corte restò a Milano: visite che furono frequentissime specialmente per parte del Principe di Napoli il quale regolarmente vi si condusse ogni giorno accompagnato dal suo Istitutore, che lo guidava attraverso le gallerie sostando in modo particolare nei comparti del Ministero della guerra e di quello della marina. [didascalia immagine:] La fabbrica di confetti della Ditta Lombardi e Macchi. [didascalia immagine:] FESTA SOLENNE D' INAUGURAZIONE IL 5 MAGGIO In quel giorno e nei seguenti Milano aveva un'insolita animazione: le varie provincie d'Italia eransi riversate nella nostra città, ed a mezzanotte la circolazione era vivacissima come di pieno giorno. Fu insomma un vero trionfo dell' Esposizione e del Comitato che l' aveva preparata, e che fu il vero eroe di quella incomparabile festa. L' ESPOSIZIONE DI BELLE ARTI. Appena fu maturo il frutto dell' Esposizione Industriale di Milano, tutti gli amici delle Belle Arti - dei quali Milano conta un numero grandissimo — osservarono che quella festa del pensiero e dell'opera Italiana sarebbe stata monca se non le si fosse aggiunta una Esposizione Artistica. Il successo della Mostra Artistica torinese aveva, ed a buon diritto, persuaso tutti che anche Milano in questa bella occasione oltrecliè nelle produzioni dell'Industria doveva farsi onore in quella dell'Arte. Appena nato tale un concetto, esso si assodò, giganteggiò , e diventò un cc ncomita ite indispensabile della Mostra. - Si misero dunque d'accordo il Comitato Esecutivo dell' Esposizione, l'Esposizione Permanente ed alcuni cittadini milanesi e si procedette alla costituzione di un Comitato cui deferire l'organizzazione della Esposizione Artistica. Questo Comitato risultò composto di Cesare Cantù presidente onorario, Stefano Labus presidente effettivo, Federico Mylius vicepresidente, Carlo Bassi e Luigi Esengrini segretari: e Francesco Barsaghi, Giuseppe Bertini, Gilberto Borromeo, Cesare Castelbarco-Albani, Emilio Dragoni, Luigi Fuzier, Gerolamo Induno, Giuseppe Mongeri, Gerolamo Oldofredi, Eleuterio Pagliano, Michele Reditelli, Giulio Richard, Luigi Steffani e Gioachino Tagliaisacchi. La Permanente si riservò la gestione finanziaria, e in breve tempo si raccolsero grosse somme per acquisti. Aggiungeremo che Cesare Cantù stabilì dal suo canto un premio di 1000 lire per l'artista che sviluppasse nel marmo o sulla tela il miglior concetto storico. Anche la Accademia di Belle Arti di Milano rinunciò alla annuale Esposizione di Brera, per non frazionare la nuova e straordinaria. Lo stupendo palazzo del Senato, detto Palazzo Elvetico, e nel quale ultimamente aveva sede la Corte d'Assise di Milano , fu scelto a residenza dell' Esposizione Artistica. I suoi grandi e magnifici cortili furono coperti di cristalliere ; i suoi portici emuli di quelli che vide sorgere un dì la Grecia di Peritile, fanno ridotti ad atrii ed a Gallerie ; e così la scelta non poteva essere migliore anche perché in tal modo si otteneva che 1' Esposizione Artistica essendo limitrofa coll'Industriale, in questa si compenetrasse, formando un tutto insieme comodo ed omogeneo. Ed ecco quindi l'Esposizione di Belle Arti che per una parte presenta il suo ingresso in Via Senato prospiciente il Naviglio, e per l'altro si sfoga nel giardino cosidetto delle Palme , che fu stabilito come piacevole luogo di sosta ombrosa ed armoniosa fra la Esposizione Artistica ed i Boschetti che — come è noto - fonti no parte della Mostra Industriale. e qui opportuno notare che intorno a questo Giardino delle Palme i lie ha altresì un accesso libero verso Via San Primo furono eretti i padiglioni ad uso Birraria-Restaurant del signor Ignazio Muller , il quale vi moltiplicò le attrattive, piazzandovi sotto apposito padiglione due concerti musicali, uno dei quali tutto composto di Zingari Ungheresi, le cui armonie appassionatamente selvaggie ebbero ed hanno un grandissimo successo. Ritornando all'Esposizione Artistica noteremo di passaggio che in essa sono comprese tre maniere di lavori : quelli della pittura, quelli della scoltura e quelli dell'architettura. Non è qui il luogo di insistere con maggiori dettagli sul colpo d'occhio generale di questa Mostra Artistica. Basti dire che se è vero ch'essa non raggiunse l'importanza e la grandiosità dell'Esposizione Industriale, servì però ad affermare una volta di più che in fatto d'Arte noi Italiani non abbiamo proprio nulla da invidiare alle altre nazioni. Il che io questi tempi di Krumiri, e di repubblicani francesi... di Marsiglia non è poi cosa da buttarsi via. Il nostro disegno (pag. 28) rappresenta l'ingresso all' Esposizione Artistica dalla parte del Giardino delle Palme. Si salgono i gradini là in faccia, si passa sotto il tendone obliquo, si ammira il moro autentico, che munito dalla sua gran canna d'ebano e vestito d'azzurro all'orientale, disimpegna gravemente le sue mansioni di guardaportone, e si entra a pascere l'occhio nei molti lavori esposti e che fanno veramente onore all'arte italiana. Le modeste proporzioni di questo libro non ci consentono di descrivere anco questa Esposizione la quale per la sua importanza avrebbe diritto ad essere trattata distesamente e senza economia di spazio. Ed è perciò che ci limitiamo a ricordarla di volo riproducendo soltanto due delle più grandiose opere di scultura, cioè il Napoleone III di Barzaghi già fuso in bronzo o le Delizie Romane di Ag. Diego Sarti. IL PADIGLIONE TRAVAGLINI. (Vedi pag. 29). Poco lungi dal Padiglione Russo del Canetta, e dalla Tabernula Pompeiana del Porta della quale altrove parliamo - s'alza l'imponente Porticato in istile del cinquecento nel quale la Ditta Stabilini e Savini di Milano, proprietarii della Birraria della Stella, volle impiantato una Birraria Ristorante. Questo Padiglione ha una specialità importantissima: esso è tutto in cemento, stata una Ditta espositrice - la Ditta Travaglini e C. di Bergamo - quella che lo edificò, per mostrare di qual resistenza e di qual bellezza sieno i cementi nazionali da essa confezionati e posti in commercio. Portici, archi, colonne, terrazzi, tutto è artisticamente decorato - e tutto converge ad illustrare il bel nome in edilizia dell' ingegnere Enea Torelli , dalla cui mente eletta uscì questa opera insieme elegante e grandiosa, in cui la fedeltà allo stile del cinquecento, che è la nota dominante di tutta l'Esposizione, si accoppia ad una consistenza che ha nulla da invidiare a quella della pietra di cui simula così bene le più emergenti e più naturali parvenze. LA TABERNULA POMPEJANA DEL PORTA. (Vedi pag. 32). Senza dubbio è il più elegante fra quanti padiglioni e chioschi sorgono nei giardini. E un sorriso di Grecia antica - di Magna Grecia anzi - che ci appare da un momento all'altro sotto le grandi ombre degli ippocastani : e quando ci troviamo innanzi a questa tabernula , ci guar&amo qua e là e cerchiamo seaza volerlo la strada dell'Accademia e la casa del Fauno o quella di Pausa. L'idea di questa tabernilla venne a'la Ditta in confetteria Porta e C. di Milano; la esecuzione è merito dello Speluzzi, il quale il lavoro, eseguì colla scienza dell'archeologo e il gusto dell'artista. Piccina , ma monumentale, come tutte dalla prima all'ultima le case di Pompei, questa tabernula è larga tre metri di fronte e lunga circa quindici. Munita d' una scalèa al centro dell'intercolonnio, essa ha nel suo fronte due ordini di colonne colorate per metà in rosso - imitazione degli splendidi marmi africani che i cittadini di Pompei andavan superbi di far comparire nelle 1,,ro costruzioni domestiche. Rosse nella parte inferiore e scanalate, bianche nella superiore e lisce, ecco le colonne della Tabernula Pompeiana, sulle quali ai capitelli si intreccia un' edera dalle aeree foglie : capitelli raffiguranti il bronzo antico, quel bronzo che ormai è degenere anch'esso e si riassume sonoramente sì, ma non artisticamente di pari, nelle campane. E non temiamo delusioni : l'interno della Tabernula non ha nulla da perdere ia confronto dell'esterno. Scegliama la centrale fra lo tre porte, ed ammiriamo le belle pareti tutte dipinte ad ornati , a pampini, a figurine squisitamente pagane. Il velario vince in bellezza ed in intonazione tutto il resto. Si tratta infatti d'una danza di puttini che impastoiati fra i tessili lacci d'una ragnatela, pare vogliano tentarti una fuga. Pensiero più peeticam.nte classico era assolutamente impossibile saper meglio trovare e meglio applicare. [didascalia immagine:]

Ingresso all'Esposizione di Belle Arti dalla parte dell'Esposizione industriale. [didascalia immagine:] Padiglione in cemento nazionale Travaglini. Il pavimento è pur esso tutt'affatto di stile pompeiano: cioè a piastrelle con disegno greco-italo ne' suoi più splendidi momenti. Il lavoro, diretto oltrechè imaginato, dal valente Speluzzi , ebbe naturalmente varii esecutori. Il velario, per esempio, fu eseguito dal Biurri e dal Bacciocchi di Milano: i puttini si debbono al pastoso penello del Mantegazza. Tutta la parte decorativa in stucco è opera dei fratelli Lanfranconi. In una parola: la Tabernula Pompeiana del Porta, è un gioiello fra tutti gli altri chioschi dell'Esposizione.

IL PANORAMA DI PIAZZA CASTELLO. (Vedi pag. 33). Quando il 24 di giugno, anniversario ventesimo secondo della vittoria italo-franca - che nella storia delle guerre moderne si chiamò battaglia di S. Martino e di Solferino - s'aprì al pubblico, con modesta festa inaugurativa il Panorama costruito in Piazza Castello , fu un grandissim accorrere di gente, per quanto coloro che fanno pochino od anche niente del tutto si fossero argomentati di tentare il discredito dell'arte panoramica - un'arte, che moltissimi credono recente fino alla modernità e che per contrario è antica fino al Babilonesimo. La cosa parrà un po' strana: ma, badate, non sono io che ve l'assicuro; è nientemeno cha Cassiodoro - uno storico coi fiocchi. Qual brav'uomo infatti assicura che Semiramide, alla quale ne saltava in testa una di nuova, tutti i giorni - un bel dì si ficcò in capo di voler vedere di notte rischiarata dalla luna, e senza muoversi dal suo terrazzo, incrostato di smeraldi e coi parapetti d'oro, - le sue due migliori provincie poste fra il Tigri e l'Eufrate. Figurarsi che battissoffiola in tutto il palazzo imperiale! Semiramide non comandava in - vano, e la parola impossibile non esisteva per lei nell'idioma assiro. Ecco perchè anche questa volta il suo capriccio estemporaneo fu soddisfatto. Uno de' suoi saggi - allora i saggi si trovavano esclusivamente alle corti - prese la bisogna sovra di sè : chiese un po' di tempo: e poche sere dopo, con un abile giuoco di lenti, di specchi o di fari, fece sfilare innanzi alla eccelsa regina le sue due predilette provincie. Ecco dunque il panorama trionfare glorioso fino ai tempi di Arsace ed a quelli del povero Nino. - Che brano di storia inutile - dirà qualcuno - Oh, che cosa c'entra il Panorama di Piazza Castello colle istoriche esigenze della signora Semiramide. - Altro se c'entra rispondo io. E continuo. Dunque, come vi diceva, il sistema dei panorami darò tale e quale fino a noi. Ond'è che quando si parlò di un Panorama da piantarsi in


[didascalia immagine:]La piramiGe di candele dei fratelli Bertarelli. Piazza Castello ci furono gli increduli, i pessimisti, i brontoloni. - Un panorama! - dicevano - Non ci mancava altro! Dei panorami Piazza Castello ne ha veduti cosi ! Bel fatto davvero andar là a traguardare per l'eterno buco le eterne prospettive numerizzate , e che dalle steppe nevose della Siberia passano al golfo di Napoli e alle immancabili ruine di Pompei...! Questo dicevano i malcontenti: e gli assuntori del Panorama lasciavano dire, e continuarono nei loro lavori. Venne finalmente il gran giorno - il ripetuto 24 giugno 1881 - ed allora a Milano si potè affermare che s'era finalmente veduto in Italia il primo Panorama. Cominciamo dall'edificio , qui riprodotto dal nostro disegnatore (pag. 33). Sorge quasi rimpetto a via Cusani. Non ha - e questa è la sua caratteristica prima - nulla di comune con tutti quei baracconi provvisorii - già sede ai panorami antichi. È invece un solido edificio, disegnato con grande cura archtettonica. la forma doilecagona ed il suo diametro rasenti la cinquantina di metri. Ad oriente dell' edificio - i lettori lo vengono subito - c'è la porta d' ingresso. S' eleva in doppio usciale fra due stipiti decorati con felice eleganza; sulla porta incombe la lunetta ed essa reca due fra gli affreschi migliori del Michis ; l'uno rappresentante l'Ottica, 1' altro la Pittura. Una leggenda lì presso dice tutto. Ars et Scientia. Queste tre parole fanno da motto di guerra al Panorama: peccato che debbano , pel loro significato, ascriversi ad un latino da Merlin Coccaio. Oh non era forse meglio preferire al pessimo latino un mediocre italiano? Entrate nella porta, e percorrete un corridoio oscuro. Queste tenebre sono altrettante intenzionali quanto artificiose - si tratta infatti di disabituare gli occhi dalla luce del giorno, a beneficio Un'effetto dello spettacolo. Il corridoio finisce el eccovi sur una piattaforma circolare. Intorno ad essa si svolge il teatro della guerra del 1859, o, per parlare più propriamente, - il paesaggio della battaglia di S. Martino. Il primo colpo d'occhio è decisivo, la prima impressione indimenticabile. L'illusione diventa qui la realtà. Si risale per 22 anni il fiume dei tempi ed eccoci di fronte agli eserciti combattenti nella tremenda giornata. Il nostro punto di traguardo è un poggio aereo ed appartato. Intorno, intorno l'accidentata campagna si sviluppa in tutta la perfezione de' suoi su e giù pittoreschi. Le strade di campagna polverose e bianche rassomigliano tanti flessuosi serpenti di Faraone - se vero è - quel che dice Giustino - che il serpente Faraone - candido fosse. Il cielo azzurro - inconscio della tremenda carneficina - si distende in una tranquillità smisurata al di sopra di questi verdi poggi destinati ad arrossare pel sangue. Giù per per tutto quello sterminato colpo d' occhio, sfavillano:i fuochi , degli eserciti combattenti: i cannoni sparano, e le nuvolette di fumo , uscenti dalle bocche a fuoco, cominciano ad ottenebrare l'orizzonte. Le baionette scintillano coi loro crudi riflessi metallici al sole - al glorioso sola delle battaglie per la indipendenza della patria. Il nostro vessilli tricolorato ondeggia sur una altura È la bandiera d'Aosta « la vecchia » che è stata piantata sulla torre di San Martino. E tu

[didascalia immagine:] La ferrovia elettrica G. Vidali e Comp. [didascalia immagine:]Tabernula pompejana della confetteria Porta e Comp. [didascalia immagine:] Il Panorama da Piazza Castello. che vedi tutto questo, o spettatore - tu che odi colle orecchie della « mente inchina » le fanfare trionfali , i tamburi che battono la carica, le trombe dei bersaglieri che squillano al centro, e il sonito degli squadroni di cava'leria che muovono all'assalto - tu provi tutta la gloria suprema della tua nazionalità - e ti senti vivamente commosso. Poi ti domandi, o visitatore del Panorama , come mai l'illusione eguaglia la realtà. Ed ecco come ciò avviene. In guisa concentrica e circoscrivente la piattaforma gira una tela distesa a pochi metri e dipinta da mano maestra. Al disopra della piattaforma s'alza una specie di cupola chiusa, che mantiene il riguardante in una penombra insensibile , mentre per antitesi artificiale , la tela dipinta è rischiarata da un fiume di luce viva, calda, eguale, che piove senza riflessi e senza tinte da un'apertura del tetto. Fra la piattaforma e la tela si susseguono altrettanti praticabili, rappresentanti colli, poggi, vallette, tutta insomma la naturale topografia del celebre campo di battaglia. E la successione di questi particolari è così giusta, così ben fatta che appena appena essa è percettibile. NEL COMPARTIMENTO DEL MINISTERO DELLA GUERRA. (Vedi pag. 36). Proprio là dove la maggiore galleria in legno partendo dalla Rotonda fa una punta in mezzo ai chioschi del giardino - all'ultima sua estremità - il Ministero della Guerra ha stabilito il suo comparto. L'ha stabilito subito dopo il comparto del Ministero della Marina , nel quale v' ha un' ampia ed accurata collezione dei tipi tutti delle nostre navi di guerra, di costruzione recentissima e di costruzione risalente a vent' anni fa: e v' hanno gli spaccati del Dandolo, e quello dell' Italia, e quello del Duilio, col facsimile del suo enorme proiettile.... Ma qui parliamo del compartimento del Ministero della Guerra - ed il nostro disegno ce ne rappresenta una buona parte. Voi vedete in alto, sotto le colonne, delle intiere panoplie d'armi : sciabole, lance, baionette, squadroni da cavalleria antichi e moderni; tutto assieme un artisticissimo aspetto... I fucili di tutti i modelli antichi e moderni stanno ai due lati del riparto in apposite rastrelliere - ed alla sinistra di chi entra ci sono su appositi arganelli e persino già introdotti nelle opportune macchine caricatrici i proiettili a ghianda che, pesando essi un centinaio di chilogrammi, hanno bisogno di altrettanta quantità di polvere per essere cacciati fuori dalle enormi bocche da fuoco proteggitrici della sponda contro il mare guerreggiato. Se noi, invece che dei puri e semplici impressionisti, fossimo dei tecnici , ci dilungheremmo qui in una lunga minuziosa descrizione di questo caricatrici. Ce ne man:a sia il tempo che lo spazio ; come ci mancano 1' uno e 1' altro per passare in veloce rivista i cannoni da campagna e da montagna fissati lì presso : i carriaggi , le ambulanze pur non lungi di qui collocate : e finalmente le tende da campo tirate al suolo nello spiazzo a destra di questa galleria verso il Padiglione Russo. Ma ciò che più di tutto il resto popolarizza questo scomparto del Ministero della Guerra sono i soldati - mannequins - a piedi e a cavallo , di terra e di mare dell'Esercito Italiano. Ecoovi il Corazziere - guardia in altissima parata. - Eccovelo lì presso a piedi in mezza tenuta. Eccovi i carabinieri a cavallo, vuoi in servizio d' onore, vuoi in servizio di pattuglia. Ecco il fantaccino, 1' alpino, il bei sagliere, il pontiere, 1' artigliere, il bombardiere, il soldato del genio, il lanciere , il cavalleggiero, e via, via. Insomma una completa esposizione, una vera galleria di tutti i costumi del nostro esercito. Noi non diremo se questo album militare palpabile sia cosa molto consona alla nostra Mostra. Diciamo però che, come curiosità, piace assai, forse assai più di quello che realmente meriti. - E' inutile già. Quando quattro penne di cappone svolazzano sul cappello di un giovane militare, o quando un bel fantaccino si mette alla posizione di attenti, la cosa diventa pittoresca assai, e pare proprio che quei venticinque o trenta uomini di carta pesta vestiti in uniforme soldatesca animino completamente la sala. Un' ultima riga. Tutti questi figurini sorgono in due ripiani quadrati, elevati di qualche cantimetro al disopra del suolo e che appena è sufficiente per mettere ancor più in rilievo questa emergente e interessante Mostra. LA ROTONDA. (Vedi pag. 40 e 41). Eccola dunque qui questa famosa Rotonda : questa Rotonda, che , come è il punto più gradito di convegno della eletta fra le elette società, frequentatrici dell'Esposizione, è del pari il punto culminante della eleganza architettonica applicata ne' suoi stili diversi agli Edifici della Mostra. Oggidì - dopo il completo successo avuto dall' Esposizione - non si può non pensare che in questo successo generale grandissima parte vi ebbe l' impressione suscitata dalla Rotonda : un' impressione di ammirazione entusiastica, duratura e senza riserve. A proposito, la si chiama Rotonda: ma è un nome improprio perchè la Rotonda viceversa poi è un padiglione dodecagono di 24 metri d'altezza o di 26 di diametro , con cupola a lunette , lucernario nel centro, e sostenuto da dodici pilastri ed altrettante colonnine. Dalle sei finestre circostanti, quando sono spalancate, si scorge il cielo azzurro , e le tinte di questo armonizzano colla decorazione bianca, gialla e rossa delicata, a piccoli disegni, che raddoppia vaghezza all'arosio edilizio. Colle finestre si alternano sei medaglioni che portano gli stemmi delle antiche sei porte di Milano, e cioè : lo scudo rosso per porta Romana ; ló scanno rosso in campo bianco per porta Ticinese; lo scudo diviso in tre campi, rosso sopra, bianco sotto per porta Vercellina (oggi Magenta) ; lo scudo a scacco bianco e rosso per porta Comasina (oggi Garibaldi) ; lo scudo mezzo bianco e mezzo nero per porta Nuova, e il leone nero in campo bianco per porta Renza (oggi porta Venezia). Son questi gli stemmi che ricordano la gloriosa epoca comunale. Ne diremo una che val tutte : ormai non si mette piedi nella Esposizione che di buono o di malgrado non si vada a finire nella Rotonda. Entriamovi dunque anche noi e fermiamoci alcun tempo. Si sta così bene seduti sul canapè circolare che sta in mezzo allo spazio della Rotonda ! Ci si sprofonda così bene, colla schiena abbandonata sul dorsale e il capo protetto dal gigantesco bouquet centrale ! Riposa così soddisfatto 1' occhio sui trionfi della ceramica , che invade tutto il locale precipitandosi dentro per la porta veneziana di via Palestro, correndo come una fiumana fino al centro dei raggi, tutto allagando e tutto riempiendo intorno intorno , fino a confondersi alteramente colla vetreria e coi mosaici di Venezia! E che colpi d'occhio da panorama ! Se guardiamo già gli è sui pavimenti antichi del Raffaello Novelli di Pesaro che ci conviene fermarci. Se ci solleviamo un po' colla linea visuale ecco le sue statue - ed ecco le ceramiche del Palma di Pisa. Avanti ancora. Questi sono i piatti semplici ed i muricci smaltati, i mattonelli, i bassorilievi del Natali di Foligno. Tutto un mondo d' anfore, di vasi , di scattolette , di faccie , di statuette , di ninnoli - parte originali - parte imitate dall' antico - ed in così gran numero che mal si crederebbe sien tutti fabbricati in Italia - dove ormai in tale industria si corre sulle orme dell' Inghilterra e della Francia , con questo di vantaggio per noi , che nelle ceramiche nostre sappiamo imprimere tuttavia l'antico buon gusto. Un'occhiata all'altro lato e sfilano le majoliche magistralmente dipinte dall'Antonibon di Vicenza : il quale opificio vicentino avrebbe dritto di appiccicarsi al mento tanto di barba bianca dal momento che la sua fondazione rimonta alla bagatella di 230 anni fa - come chi dicesse al 1650. - A proposito di barbe : un' altra e non meno veneranda potrebbe inalberarne il vicino dell' Antonibon , cioè a dire il Rubbiani di Sassuolo; anch'egli espositore di majoliche, e la cui fabbrica data dall'anno di grazia 1700. Ecco poi le terraglie del principe Cesare Albani Castelbarco, fabbricate colle argille nazionali e che fanno concorrenza a quelle inglesi tanto decantate. Eccoci nel centro della Rotonda. Che spettacolo ! Che visibilio di cappellini, di nastri, di vestiti smaglianti, di manine incantevoli , di occhi [didascalia immagine:] La mostra dell: uniformi nella Sezione del R. Ministero della Guerra. [didascalie immagini:]

1. Il Bussolà di Brescia del sig. Chiappa. 2. ll rotolo di carta continua del signor Francesco Rossi. 3. 11 mobile della Regia Tabacchi. 4. La botte gigante del signor Giuseppe Ogliani.

Le campane della ditta Cavadini Luigi e figlio di Verona. maliardi, di labbra coralline, di fiori viventi dal profumo avvelenato che mette le vertigini !... Addirittura questo è il ritrovo della bellezza. Un pittore che la dipingesse tale e quale come essa si presenta dalle ore dodici alle cinque del pomeriggio e mandasse il suo quadro in una qualche città lontana scrivendovi sotto; La Rotonda quale si presenta tutti i giorni, sarebbe certamente tacciato d'esagerazione. Qui nella Rotonda abbiamo tanto lusso e tanta folla che davvero non si arriva a capire come mai questi due termini vadano ora tanto d'accordo. Bisogna, del resto, convenire che alla ceramica appartiene uno splendido avvenire, se le moltitudini si sentono tanto attratte verso di essa. E davvero se lo merita quest' arte un avvenire di splendori. Date un' occhiata alla meravigliosa mostra della Società Ceramica del nastro concittadino Giulio Richard, e poi dite se v' ha qualche cosa di più stupendo di quelle porcellane rilucenti, di quei vasi smaglianti, di quei piatti ove i colori ed il disegno sfoggiano tutte le loro seduzioni!.. E 1' esposizione Ginori? Che dite di queste manifatture che gareggiano sì bene con quelle di Sévres ? Ed il trofeo della fabbrica del professore Farina da Faenza? ... Che anfora ! che quadri !... Ed eccoci ai prodotti artistici della fabbrica Albano Castelbarco da Pesaro. Quanto sono ammirati, quei grandi vasi di porcellana e di majoliche che imitano le maioliche antiche di Urbino !... Ma , per imitazioni dell' antico , ecco anche quelli del Minghetti di Bologna ; per esempio, il gran medaglione in terra cotta , nel cui mezzo sta Gesù Cristo nel presepio, contornato da una gh,rlanda di frutta , imitazione di Luca della Robbia, ed i quattro busti dí imperatori romani e i larghi piatti alla raffaelesca... Ecco pochi passi a destra i vasi a stile etrusco del Tanfani di Roma, le terraglie del Mattioli di Pinerolo; e più oltre i putti, i vasi, i piatti, figurine ottenute a vivo fuoco, dipinte sotto vernice del Baracconi di Roma; ecco i tubi e i vasi dei fratelli Pedraglio di Corno , e poi le maioliche artistiche del Torelli di Firenze, le ceramiche dello stabilimento Chinaglia di Torino, gli oggetti di porcellana, maiolica e vetro del Bertini da Pisa.... Ecco poi la mostra Ferniani di Faenza che occupa due banchi. Da una parte ci sono il contorno d'una porta e I una specchiera di maiolica, dall'altra , vasi , saliere, un gigantesco quadro rappresentante Caino che uccide Abele, ecc. Noto che questa fabbrica è forse la più antica di Europa, perchè era conosciuta fino dal 1500. Procedendo sempre verso la porta Veneziana, prendo nota delle maioliche a riflessi cangianti del Miliani di Fabriano , le ceramiche dei fratelli Musso da Savona, i saggi di maioliche italiane ed orientali del Castellini di Roma , e finalmente le maioliche dipinte dal Dossena di Lodi. E così siamo passati attraverso la Rotonda come attraverso ad una ferie, e tutto quanto scrivemmo non è che una pallidissima idea di quanto si ammira colà. UN'OCCHIATA QUA E LA. Fin qui dunque la rapida illustrazione di alcune fra le cose principali che fecero più chiasso, e che, o per una cosa o per un' altra, specializzarono di sè questa o quella sezione. Ma tutto ciò è stata una goccia nel mare. Se volessimo infatti tener dietro a tutto il resto delle cose importanti della Mostra avremmo da compilare ben altro che un modesto ricordo. Comunque si sia, è occorso al nostro bravo disegnatore di riprodurre qualcuna delle specialità che l' han maggiormente colpito , e noi vi dedichiamo alcune linee di cenno: Velocipede sospeso (p. 7). - Una gran sbarra di ghisa che gira tutt' intorno su forma oblunga : una ruota che ci corre su, incanalandovisi come su un binario : due sbarre d' equilibrio che alla ruota che sta al di sopra uniscono la doppia carrozzella sospesa al disotto : un duplice manubrio messo in movimento dai velocipedisti - 1' impulso alla ruota e il suo viaggio d'andata e ritorno sulla sbarra trasportando la zavorra dei velocipedisti - ecco tutto il meccanismo, la cui utilità pratica non è davvero molto dimostrata. Questo velocipede sospeso si rinviene appena entrati da via Senato a sinistra, sotto il viale laterale dei Boschetti. Autore del velocipede sospeso è il Cattaneo di Milano. La Serra Morisetti (p. 11.) - È stata esposta dal signor Enrico Morisetti di Intra ad uso di giardino d'inverno. È alta 4 metri, lunga 17. Tutta in cristallo con leggera guarnitura in ferro ; essa è tutta coperta di granito bianco. Dentro v' è un calorifero che mantiene alle piante del tropico il loro calore indigeno. Tutti gli intelligenti ne dicono un gran bene. La carrozzella Thonet (p. 5). - L' Esposizione non è mica fatta soltanto pei sani : essa lo è anche per gli infermicci. Egli è perciò che, tanto per essi quanto in genere per tutte le persone provette i cui muscoli non possono resistere alla lunga corvée si è pensato ad un sistema di locomozione comodo e facile. - La ditta Fratelli Thonet di Milano, fabbricatrice di mobili in legno curvo a vapore, mise a disposizione del pubblico le sue carrozzelle-poltrone, servite da'suoi fattorini in uniforme e verso speciale tariffa, approvata dal Comitato esecutivo dell'Esposizione. Senza alcun dubbio, queste carrozzelle-Thonet furono la provvidenza di tutti visitatori dell' Esposizione deboli nelle gambe. Velocimano pei Pompieri (pag. 6.) - Questo velocimano è un complesso di ruote mobili, una successione di velocipedi, con certe ruote colossali, che si muovono non soltanto coi piedi, ma anche colle mani. L'uomo, o meglio gli ucraini, stanno seduti su certi seggiolini sospesi fra le ruote... ma che vado io descrivendovi l'apparecchio? Con tre tratti di matita, i! nostro disegnatore vi spiega la cosa meglio che no] farei io con tre pagine sudate e stacciate. E neppure è bisogno vi aggiunga che questo velocimano ha lo scopo primissimo - unico anzi - di affrettare le guardie del fuoco in caso di chiamata per incendio. L' uovo di cioccolatte (pag. 11). - Fra le stupende produzioni dell' arte dolciaria e specialmente della fabbricazicne del cioccolatte, è caratteristica quella dei signori fratelli Franchi di Torino. Questi bravi signori hanno esposto in fatti un uovo - un enorme uovo - un uovo monumentale tutto di cioccolatte - a ghirlande di cioccolatte e fiori - a disegni finamente lavorati - insomma un uovo degno di essere covato da qualche chioccia della Terra di Promis sione, dove, a sentir la Bibbia - tutto doveva di prammatica essere gigantesco ! Il proiettile del Duilio. - Nel compartimento del Ministero della Guerra, ordinato, come si sa, dal colonnello Quaglia, fra i martinetti, le leve, le macchine d'artiglieria, ed i prodotti delle fonderil di Torino e Genova, si ammira altresì il proiettile a ghianda che serve per isfamare la enorme gola del cannone del Duilio. Vero è che i tecnici discutono ardentemente la questione se meglio valgano queste polifemiche artiglierie delle corazzate o se invece i pezzi che usavansi prima. Ad ogni modo il solitario cannone che vive nella sua torre del Duilio ha ben diritto di comparire all' Esposizione, ed ivi far vedere che razza di pillole egli tien pronte per i nemici d' Italia. Una pillola che pesa la miseria d'una tonnellata - come chi dicesse mille chilogrammi. La ferrovia elettrica (pag. 31). - Poco lungi dal Laghetto, di cui in parte segue le sponde , è stata impiantata una ferrovia elettrica - dirò meglio - un piccolo treno di vagoncini mierosoopici tratti sopra un sottile binario da una motrice a batterie di pile. Il conduttore del treno se ne sta a cavallo della motrice che sola corre sulle zone del raili, e mediante un freno ne regola la marcia che non è nè eguale nè rapida. Impiantata come una novità, questa cosidetta ferrovia elettrica, si affermò come un giuoco d'infanzia ; e poco male se l'aria di speculazione non l'avesse informata. Il che fu, pur troppo per essa, e di molto scadde nella stima del pubblico scientifico. Comunque, le sue corse di piacere continuano ancora fra uno strido di tromba e 1' altro. Il Bussolà di Brescia. - Poco lungi dall' uovo di cioccolatte c' è la mostra del Bussolà. Voi sapete che il Bussolà è una specialità dell'offelleria Bresciana. Zucchero, poi fior di farina e tuorli d'uova - la pasta del bresciano Bussolà sta fra quella del panettone milanese e della focaccia alla veneziana. Questo enorme Bus- [didascalia immagine:] NELLA ROTONDA. solà - che il nostro disegnatore vi ha delineato sul tavolo elegante - è del valoroso Chiappa di Brescia, celebre altresì per la confezione della sua persicala, meglio unica che rara. Intorno al Bussolà dei Bresciani si affollano i panettoni milanesi del Baj, del Puricelli, del Fossati, vecchio offellaio di Brera ; le torte delle provincie meridionali, fra cui quella indescrivibile dello Zampichelli di Sulmona - il più grande confetturiere fra i concittadini del poeta Ovidio - e le spongate o torte di Brescello, specialità somma del Massimiliano Bacchi nonché finalmente i torroni di Cremona, fra i quali fastosissimi quelli del Cerri. Ma , via , passiamo oltre, poichè la pessima indigestione è quella prodotta dai troppi dolci. La carta continua (pag. 37). - Vedete al disotto del bussolà Bresciano quell' enorme cilindro che pare nientemeno che una macina da molino ? niente altro che un cilindro di carta da stampa: un cilindro di carta continua, eh' esce dalla cartiera Rossi. Voi cascate dalle nuvole udendo che questa carta distesa misura oltre VENTIQUATTRO CHILOMETRI, e pesa la bellezza di ventidue tonnellate, cioè a dire 22,000 chilogrammi! Eppure è così : e aggiungo che trovansi in questa galleria della carta altri cilindri quasi equi-lunghi e quasi equi-pesanti. E giacché mi trovo in argomento voglio citarvi altresì tre o quattro specialità nella produzione della carta : per esempio 1' assortimento universale di carta della Cartiera del Fibreno : la carta di paglia del falbricatore Molina : e la carta di corteccia di robinia invenzione e specialità della cartiera di Villa-Carlo presso Arona, del fabbricatore sig: Luigi Conelli , il quale col suo ritrovato non solo ha creato una carta da impacco molto solida e re« sistente, ma altresì ha dato vita ad un nuovo cespite di industria nazionale. Ritornando al gigantesco rotolo di carta di ventiquattro chilometri fabbricato nella cartiera di Arsier° del signor Francesco Rossi, non possiamo a meno di fare un elogio speciale a questo attivo e solerte industriale, figlio dell'illustre senatore Alessandro Rossi , e cosi pure un encomio ben meritato a quell'indefesso fabbricante che è il signor Paolo Andrea Melina di Varese. E giacche parliamo di carta, ricorderemo altresì la ditta Pietro Faverio di Maslianico , già ben nota per la fabbricazione delle sue carte da giornali e già premiata per queste ad altre esposizioni. La ditta Faverio ha prodotto altresì delle capsule perfezionate per fucili a retrocarica sistema Wetterly , che dagli intelligenti vengono giudicate di una superiorità incontestabile. Il mobile della Regia (pag. 37). - La Regia cointeressata dei Tabacchi, che regala al pubblico zigari così disgraziati, ha invece presentato all'Esposizione uno stupendo mobile per mettere in mostra i suoi prodotti, che essa pur fabbrica sotto gli occhi stessi del pubblico nella galleria del lavoro. Questo mobile, di tutta fantasia, ha al sommo un busto, intagliato finissimamente in legno, di Re Umberto. Intorno al piedestallo del buste svolazzano alcuni mitologici uccelli, miracolo dell' arte lavoratrice del legno ; e più inferiormente spalancano i loro limpidi occhioni alcune luci di cristallo rotonde, attraverso le quali si scorge la mostra de' suoi prodotti. Alcuni bestioni - che stanno fra la giraffa e I' ippogrifo, formano colle loro zampe il piedestallo a questo mobile, veramente magnifico. La Botte Gianduja (pag. 37). - L'ha fabbricata l' Ogliani Giuseppe di Torino, e contiene molte centinaia di ettolitri. Il suo nome leviene da ciò, che al centro della sua doga anteriore balza fuori sorridente l.t faccia beata di Gianduja. La celebre maschera piemontese sorride di letizia, e pare goda della sorpresa universale suscitata dall' immensità della botte, di cui egli è la bella e piacevole etichetta. Ed è indubitabile che questa botte, che fa pensare a quella delle Danaidi , è una f a le meraviglie della nostra Esposizione. I confetti del Lombardi e Macchi (p. 23). - In faccia, anzi confinante alla Latteria Lombarda, si distende in tutto un lungo comparto la fabbrica di confetture e di cioccolatte Lombardi e Macchi. Ad una estremità essa fa girare le sue macchine a vapore pel cioccolatte, che in un batter d'occhio passa dal cacao macinato alla elegante foggia di coriandoli e di meronetti ravvolti nelle cartine dorate ed argentate e venduti ad un banco ricco cd elegante che troneggia nel mezzo. Ma il più caratteristico sta in quei due caldaioni dí rame che servono alla fabbricazione dei coriandoli. Questi due caldaioni, che paiono due grandi cuori contorti, girano lentamente ed ob- bliquamente sovra sè stessi, rimestando e rimuginando da cima fondo tutti i globuli di zucchero che diverranno coriandoli, e lo diverranno ingrossandosi a misura che dall'esterno labbro di queste grandi caldaie casca lo stillicidio dello zucchero liquido che cadendo goccia a goccia e mai nello stesso luogo fa subire ai coriandoli di cui è questione lo stesso processo che subiscono nelle Alpi le falde di neve che da pallottole diventano mano mano valanghe. Le stesse caldaie servon altresì alla colorazione di questi confettoni che sono una vera specialità di questa celebre Ditta milanese. La capanna del Club Alpino (pag. 45). L'ha eretta l'archit. G. Ceruti. E l'ha eretta consona alla sua destinazione ed all'eccelso scopo cui è destinata, quello di innamorare del monte l'uomo del piano: quell'uomo del piano che, se conoscesse le altrettanto semplici quanto supreme delizie della vita fra i monti - ben presto questi si vedrebbero presi d'assalto da tutti coloro che amano vivere non trascinandosi sfiaccolati per l'intera giornata da un sito all'altro ; ma vivere realmente sotto l'alto cielo, agli splendori del sole, rinfrescati da un'aria ossigenata e che vi inonda tutti dai polmoni agli intimi precordii. L'iniziativa di questo padiglione del Clup Alpino lo si deve alla sezione milanese del Club. La sezione di Torino rispose con gioia, ed entusiasticamente del pari risposero altre sezioni di Italia. Fabbricato a capanna, esso è costrutto tutto in corteccia d'albero : sorge sovra un rialzo e fa di sè rustica e bella mostra. Dentro poi c'è tutto il bric-a-brac dell' alpinismo dalle carte orografiche del gruppo dell'Assler alle corde autentiche con cui si salì per la prima volta il Cervino. Quintino Sella, il deputato Robecchi, ed i signori Gaeta, Magnaghi ed ing. Calisto Villa della sezione di Milano curarono l'ordinamento e l'im pianto di questo padiglione, nel quale, oltre al resto hanno posto distinto la macchina Carel per rilevar panorami e autentiche roccie del Chimborazo , nelle quali stillò il vivo sangue dalle mani dei primi che riuscirono dopo sforzi infiniti alle sue cime. Il tempietto nel giardino della Villa Reale (pag. 14) - Eccolo qui colla sua cupola elegante, le sue semplici colonne che rassomigliano a quelle d'un chiosco arcadico del secolo scorso. Non manca, in mezzo eretta sur un piedestallo, la sua statuetta mitologica che fa da genus loci. Ma ahimè! la civiltà sfronda tutte le inutili poesie : ed oggi il tempietto arcadico fa da sede alla Poltrona - bilancia su cui gli uomini e le signore - dai magri ai grassi si fanno pesare. E bisogna vedere le risate degli spettatori quando un pesato riesce classificato di pochi chilogrammi appena, o quando una pesata s'avvicina od oltrepassa i cento chilogrammi... L'idrovelocipede (pag. 14). Accanto al tempietto, nell'adjacenti boschetti, voi vedete l'idrovelocipede: un ordigno anfibio che nuota e corre a mezzo di un complicato sistema di ruote e di pale. Quest'idrovelocipede è una specie di zattera natante: lo si mette in movimento coll' impulso delle mani e dei piedi : ma gli è sconosciuti la rapidità di locomozione dei velocipedi. Lo si vede manovrato e condotto per l'acqua da due velocipedisti, i quali gli fanno eseguire ogni specie di marcie, di contromarcie e di curve. L inventore dell' idrovelocipede il Panizza di Milano. La piramide di cera (pag. 30). Il visitatore che dalle gallerie dei saponi e delle stearine imbocca la grande galleria adiacente dei prodotti chimici, resta stupefatto alla vista di un'alta e stupenda piramide candidissima, fiancheggiata da quattro obelischi. Piramide ed obelischi son tutti in cera, e furono esposti dalla Ditta milanese di cereria dei signori Bertarelli: una fra le più antiche fabbriche italiane perchè fondata fino nel 1795. Compongono questa mostra monumentale migliaia e migliaia di candele confezionate con varai sistemi, da quello immersivo a quello a vapore : prodotti tutti d'una bellezza e d'una finezza incomparabili. La piramide Bertarelli è indubbiamente una fra le più emergenti attrattive dell'Esposizione. Le Campane. - All'estremità dell'Esposizione, proprio dove corre la fila di piante adiacenti alla cancellata in ferro che divide i pubblici giardini dal Corso Venezia - lì all'aria aperta, ma protetti dai loro incastellamenti sfilano i concerti di campane. E bisogna sentire che razza di baccano quando le suonano! Se ne esce intontiti e pare di aver passato il tempo sulla torre del Duomo! Ci sono qui campane, di tutte le dimensioni e di tutte le fabriche d'Italia. Ci sono in- [didascalia immagini:]

Delizie Romane - Gruppo in marino di Diego Sarti.

Monumento di Napoleone III. Statua in bronzo di Barzaghi. [didascalia immagini:] Galleria delle macchine.

Capanna del Club Alpino Italiano. campane del Bizzozzero di Varese, del Barigozzi di Milano , del De Poli di Vittorio e di altri parecchi. Il nostro disegno (pag. 37) rappresenta lo stupendo concerto del veronese Cavadini. Si tratta - come ormai avviene di tutti i concerti di campane - di un concerto piantato in giusta tonalità. Questo concerto è suonato mediante percussioni sui tasti di una tastiera meccanica che si rinviene alla sua de - stra: tasti sui quali si batte a pugno chiuso : l'impulso è trasmesso al battaglio delle campane mediante un filo metallico, ed è così che si odono le campane - abilmente suonate - eseguire colla massima disinvoltura alcune arie della Norma, della Traviata o d'altra opera. S'affollano intorno a questi concerti di campane molti fra grassi e magri preti di campagna : ond'è che i fabbricatori di campane fanno eccellenti affari ed a quest'ora gran parte dei loro mostri di bronzo è già venduta. Galleria delle macchine. (pag. 45) - Il disegno riproduce in parte , e come è meglio possibile in proporzioni tanto ristrette , la galleria delle Macchine - la meraviglia della nostra Mostra. Accanto alle macchine del Bosisio - le cui caldaie sono colossali - si delineano le due Turbine per inalzamento e versamento d'acqua. Escono entrambe dagli opifici della Società costruttrice di Treviso. A pag. 15 , voi vedete la turbina idrofora elevatrice. È naturalmente, come la sua consorella animata dal vapore. Essa aspira l'acqua sino al vertice - bacino della sua canna tubolare: e là la massa acquosa si forma in volume rotondo e continuo dando l'imagine di un immenso globo di limpido cristallo. Nel mezzo del disegno (pag. 45) voi vedete una gru gigantesca e sollevatrice di qualsivoglia più superbo peso. A destra della gru vedete un' altra idrofora la quale, fornita della forza d'un centinaio di cavalli, produce una enorme cascata utilizzabile come forza motrice, come inaffiamento e via dicendo. Eppoi i tubi di ghisa della fonderia di Terni, eppoi i trapani ed i ventilatori del Neville, eppoi le pompe del Fontana di Reggio Emilia... Sarebbe infinita la descrizione pura e semplice di tutte queste macchine, le quali qui convenute, d n no un'idea abbastanza lusinghiera dello svii ,..po che ha oggi in Italia la meccanica ap plicata alle industrie: tanto più lusinghiera se si pensi , come e quanto venti anni fa noi italiani eravamo in arretrato di fronte ai progressi della meccanica - questa nuova e ormai onnipotente leva del mondo. Le motrici a vapore. - Vedete quelle enormi ruote Vedete quegli statufi giganteschi? quelle braccia di ghisa che ergonsi al cielo? quei raggi che vorticosamente girano? Ebbene tutto ciò forma le così dette motrici a vapore. Stanno nel mezzo delle diverse sale e mettono in movimento tutte le macchine del grande e del piccolo lavoro. Esse escono dagli stabilimenti Siif - fert, Bosisio e Cerimedo di Milano, e Neville di Venezia. Hanno la forza complessiva di mezza migliaio di cavalli - e si tiran dietro a dozzine tutto le macchine c1.311e gallerie - da quelle della filatura di sete Cusani sino a' telai Ruspini. Nulla di più imponente che queste maestose motrici, il cui boato continua regolare e fremebondo, soffiando il loro focoso respiro che riempie tutto intiere l'ambiente. La Latteria Lombarda. - Interessante e molto frequentato è sempre il comparto nella galleria del lavoro in cui trovasi la mostra della Latte-rio Lombarda Mylius. Si trova ad un angolo della galleria vicino al comparto della Regia cointeressata. ll disegno (pag. 22) ci rappresenta la macchina condensatrice del latte, il quale sottoposto ad un processo chimico, si condensa a caldo ed immediatamente vien saldato nelle opportune cassetta di latta che si preparano lì all'atto , da una schiera di belle fanciulle , le quali servono altresì al pubblico tazze ricolme del latte condensato alla vaniglia ed a mille altre essenze. I curiosi stanno di fazione dio turna innanzi a questo cornparto, tenendo specialmente dietro alle macchine curvatrici della latta, alle trancie delle lastre, al ritaglio dei coperchi, alle saldature e al resto. Napoleone III. - (pag. 44). Egli è là sovra un colossale cavallo di battaglia - nel momento in cui dopo la battaglia di Magenta entra in Milano accanto a Vittorio Emmanuele. L' imperatore saluta col berretto il popolo festante, e la ciera seria, e l'occhio sereno par maturi il celebre proclama agli italiani, che egli pubblicò il giorno dopo. - Inutile poi aggiungere che questo monumento è quello eretto a Napoleone III per pubblica sottoscrizione, da alcuni milanesi appena saputa la sua morte a Chislehurts. - Tutto fuso in bronzo esso è opera dell'illustre scultore Barzaghi : ed opera eminentemente riuscita, se non in tutti i suoi dettagli, certamente però nel suo complesso. Bella la persona dell'Imperatore, bello il suo colossale cavallo, fusa in posa accademica, ma robustamAnte concepita e tradotta in bronzo con massima energia. Il gruppo di Sarti. (pag. 44). -- Questo gruppo colossale raffigura un feroce leone il quale nell' arena dell'anfiteatro Flavio uccide un gladiatore che s' è battuto con lui, e - questo s' intende - ne è stato vinto e ne viene ucciso e mangiato - con grande soddisfazione dei cavalieri e delle dame romane. - Autore di questo gruppo, è il valentissimo artista scultore di Bologna, Diego Sarti - al quale l'avvenire riserba una splendida carriera, se specialmente alla grandiosità del concetto egli unirà vieppiù la cura delle forme. II pallone frenato. (pag 48.) - E qui facciamo punto, giacchè ci si avverte che manca lo spazio; ma dovendo cedere alla necessità inesorabile, dichiariamo di farlo con un certo rimorso, costretti come siamo a tacere di tante e tante cose che meriterebbero larga menzione e giusta lode. C'è in questa nostra Esposizione una tal dovizia di' prodotti rimarchevoli, che, a voler mostrarsi imparziali, le modeste proporzioni del nostro libercolo basterebbero appena a farne il proemio; noi però avevamo per programma di comporre un Ricordo, e volendo addentrarci nelle particolarità si andrebbe troppo oltre. Riassumendo, l' Esposizione di Milano 1881 restergt, nella storia come una splendida prova di ciò che gli Italiani seppero fare in un ventennio di vita libera, come un saggio dei progressi apportati, alle arti e., alle industrie del loro paese. Arrivati a questo punto , potrebbe esservi qualche maligno - e pur troppo anche i maligni abbondano fra i lettori - capace di dire che il nostro Ricordo non è altro che un Inno di laudi, poiché non abbiamo fatto che lodare tutto e tutti. Ma perché non si creda che noi siamo ottimisti per partito preso, diremo che anche l' Esposizione ha il suo punto nero - di cui però non sono responsabili nè Comitati nè Commissioni. Ma non per nulla le nostre bellissime avole ponevano sotto la guancia un neo che le rendeva più belle ; quel neo assassino che conquideva tanti cuori ! E il neo dell' Esposizione è... il Pallone frenato. Era deciso nei fati che la gran cupola della Rotonda non si potesse ammirare dall'alto. Così, mentre ciascuno credeva di vedere il Pallone frenato librarsi nell' aria - com' è rappresentato nella nostra incisione - il perfido, lo sciagurato Pallone si rifiutava all' indispensabile gonfiamento. Ma che sarebbe mai avvenuto se invece, gonfiato a dovere, si fosse poi assottigliato nell' aria, com' è accaduto a tanti suoi confratelli ? La sola idea della catastrofe ci fa rabbrividire.

[didascalia immagine:]Il pallone frenato. Ciò che si sarebbe potuto vedere. Decisamente era un pallone che non tollerava il freno, e s' è vendicato sgonfiandosi. Ma siamo in Agosto, e chi sa che non lo si riduca più docile. - Si annuncia all'ultima ora che le difficoltà sono ormai superate e che il pallone frenato salirà. Lo speriamo ed aspettiamo.

Il pallone frenato. Ciò che si credeva di vedere. PREZZO 50 centesimi.