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Sul progetto di legge per il concorso dello Stato nella spesa dell' Esposizione industriale nazionale di Milano

DISCORSO DEL DEPUTATO ROBECCHI PRONUNZIATO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI NELLA tornata del 17 novembre 1880

ROMA TIPOGRAFIA EREDI BOTTA 1880 ROBECCHI. Mi permetterà la Camera che io svolga qualche considerazione intorno a questo disegno di legge. Trattandosi di un progetto a cui io ho preso qualche parte, per amore al paese, e alla mia città nativa, ho piacere che mi si presenti l'occasione di esporre le mie idee alla Camera. Io non verrò oggi a rompere una lancia in favore delle esposizioni industriali, poichè mi parrebbe di sfondare quasi una porta aperta, e di combattere per una causa già vinta. L'esempio delle nazioni più civili in Europa e fuori, le quali hanno dedicato ai fatti di questa natura delle somme ingentissime, e l'opinione degli statisti più accreditati, ci insegnano che le esposizioni industriali, quando siano fatte con buoni ordinamenti e dirette con scopi elevati, sono oggidì uno dei mezzi più efficaci per conseguire il progresso intellettuale e materiale, sono diventate una fase necessaria del movimento economico moderno. Esse si possono considerare come uno dei frutti della libertà economica, che tende sempre più a prevalere fra le nazioni, e che raggruppa e collega gli interessi materiali dei vari paesi, nello stesso modo che la libertà politica, da cui la prima scaturisce, avvince e rende solidali gli interessi morali. E qui permettetemi di citare una frase eletta di Jules Simon, il quale disse da ultimo in un suo pregevole scritto, che il progresso industriale è il risultato combinato del progresso della scienza e della libertà. Una volta, e non è molto lontano, i mercati erano chiusi e ristretti in forza delle legislazioni ostili, della difficoltà delle comunicazioni, e delle barriere doganali quasi insormontabili. Il debole era, anche economicamente, schiavo del più forte. Il produrre era una specie di arte misteriosa dominata da un'infinita serie di restrizioni, di privilegi, di segreti, di privative. Ora tutto è mutato, e agiscono cause interamente opposte. I mercati si sono aperti, ed i popoli ravvicinati, in forza della somiglianza delle istituzioni, della facilità e rapidità dei mezzi di trasporto, e della diminuzione graduata degli ostacoli doganali. I progressi della scienza, uniti all'incremento delle arti meccaniche, e alla diffusione dei metodi e dei processi industriali, hanno fatto sì che ora il produrre non è più il privilegio di alcuno, ma è un'opera alla portata di tutti quelli, che possono avere a loro favore le condizioni del lavoro e del capitale. Alle vecchie rivalità, alle cieche gelosie , alla guerra a colpi di tariffe, e molte volte g colpi di cannone, è subentrata, od almeno dovrebbe suben- trare, la leale concorrenza, fatta possibilmente con mezzi di poco dissimili e noti, la lotta alla luce del sole, in cui la palma rimane ai prodotti più perfetti ed a più buon mercato. Conseguenza di questo stato di cose, ed anche delle celeri evoluzioni e dei rapidi spostamenti, che noi vediamo avvenire nel mondo commerciale, in causa soprattutto dei nuovi mezzi di viabilità, e delle frequenti crisi annonarie e monetarie, è questo bisogno, in cui si trovano gli industriali, di riunirsi, di riconoscersi, e di mettere in comune i risultati dei loro sforzi, onde attingere dal mutuo insegnamento, dai confronti, dalla discussione, e dalle cifre inesorabili della statistica, quei lumi e quell'energia di cui hanno bisogno per scegliere, e per seguire la via migliore. Ciò che vale, o signori, per le esposizioni universali, vale anche, in un campo più ristretto, per le esposizioni nazionali. Parlando dell'Italia, si può dire che i problemi del lavoro nel nostro paese sono ancora più difficili che altrove, poichè, omessa ogni altra considerazione, noi muoviamo da sistemi economici affatto diversi, e ìe varie sue parti hanno bisogno di un più intimo legame nella materia degli scambi e della produzione. In certi rami il mercato italiano, per i nostri produttori, è più difficile a conquistare che non il mercato estero. L'unica esposizione nazionale industriale che è stata fatta in Italia è quella di Firenze del 1861. Questa, sebbene abbia dato luogo alla pubblicazione di pregiate monografie, pure in sostanza fu più un fatto politico che un fatto economico; fu l'affermazione dell'unità econo- mica del paese, la quale teneva dietro ai plebisciti politici; ma ín realtà i risultati non furono, e non potevano essere che scarsi, da troppo poco tempo ancora essendo congiunte insieme le provincie italiane. Ora, dopo venti anni, e dopochè nella cerchia della vita nazionale sono entrate altre provincie, è legittimo il desiderio e il bisogno di conoscere quale lavoro si sia compiuto, quale progresso raggiunto, quanto gli ordini liberi ci abbiano giovato nel campo economico; di saggiare, per così dire, alla prova dei fatti, la bontà dei nostri ordinamenti, e della nostra legislazione doganale e commerciale. Una esposizione nazionale la credo più utile per noi in questo momento, che non il nostro intervento alle mostre internazionali, dove, parlando di industrie, siamo andati più per mettere in rilievo la superiorità degli altri, che non il nostro merito. È perciò che allorchè, nella mia città nativa, per ardita iniziativa di quella Camera di commercio, e col mirabile appoggio di ogni ordine di cittadini, è sorta l'idea di tenere in Milano nel 1881 una mostra nazionale dell'arte e dell'industria italiana, io la favorii colle mie deboli forze, poichè mi pareva che si toccasse un tasto giusto, che si corrispondesse ad un vero bisogno del paese, che si volesse dimostrare, non colle vane teorie, ma coi fatti, cosa siamo, e cosa possiamo divenire, dove siamo forti e dove manchevoli, e che si tendesse, per così dire, ad armarsi dirimpetto ai formidabili problemi dell'avvenire, nelle questioni economiche e sociali. Io considerava la mostra quasi come un seguito e una continuazione della inchiesta industriale del 1871 e 1872, alla quale io ebbi in pregio di prendere parte, che fu così sapientemente diretta prima dallo Scialoja e poi dal Luzzatti, e che è, e sarà sempre anche in avvenire, il fondamento di ogni nostro studio in questa materia. Certo è che in Italia, colpa forse in parte dell'infierire della imposta che impedisce la formazione del capitale, e che aumenta di soverchio il prezzo di costo delle mercanzie, e colpa anche dei frequenti turbamenti nel sistema monetario e della incertezza nei rapporti doganali, certo è, dico, che in Italia noi non abbiamo ancora saputo trovare un assetto industriale stabile. Siamo sempre ad affacciarci le medesime questioni, non ancora risolute. In questi anni fu un continuo avvicendarsi di tentativi e di disinganni, di momenti favorevoli, seguiti subito da periodi contrari. Un fatto grave abbiamo sotto gli occhi, ed è la nessuna elasticità, anzi direi la quasi stazionarietà del nostro movimento commerciale, ad onta di qualche miglioramento nel rapporto tra la importazione e l'esportazione, movimento che, come tutti sanno, è il termometro più sicuro dell'operosità, della ricchezza e del capitale circolante di una nazione. Ecco le cifre, che mi permetto di esporre alla Camera, e che sono tratte dai resoconti ufficiali. Nel 1875, fra importazione e esportazione, in Italia abbiamo avuto 2 miliardi e 249 milioni; nel 1876 due miliardi e 546 milioni, con un aumento sul 1875; nel 1877 si hanno 2 miliardi e 120 milioni, colla diminuzione di più di 400 milioni sul 1876 ; nel 1878, due miliardi e 111 milioni, continuando in leggiera diminuzione sull'anno antecedente; e nel 1879, due miliardi e 363 milioni, ossia un aumento, il quale però non raggiunge ancora le cifre del 1876, e di poco sorpassa quelle del 1875. Queste cifre sono assai eloquenti, e anche, oso dire, poco confortanti. Sono pari a quelle del Belgio, una nazione di 4 milioni di abitanti ; ed inferiori di tre quarti quasi, al movimento commerciale francese. Esse non possono per certo corrispondere all'avvenire, e segnare la sorte di una giovane nazione di 28 milioni di abitanti, quale è l'Italia. E si noti, che mentre il movimento commerciale, come diceva, è pressochè stazionario, d'altra parte le imposte, anche in questi ultimi anni, sono andate di molto aggravandosi. Vuol dire che non vi è stata una sufficiente armonia tra causa ed eff. tto ; e che non si sono colpite nuove correnti, ma Che si è tratto sangue dalle vecchie vene già esauste. Ora per fortuna, pare che i capitali facciano ritorno alle industrie, spinti a ciò fare anche dal minor profitto che si trae dall'impiego in valori pubblici. Ma non è a dimenticare che molti nostri importanti prodotti, specialmente agricoli, sono minacciati; e che la seta, la principale delle industrie italiane, la quale da sè sola dava quasi un quarto del commercio speciale italiano, la seta, dico, versa da lungo tempo in una gravissima crisi, che minaccia di divenire permanente. Oltre a ciò, e oltre ai problemi gravissimi che nascono dalla circolazione cartacea a cui siamo tuttora in preda, e dallo stato della nostra marina mercantile, la quale è altrettanto importante, a mio parere, quanto quella da guerra, ed a cui lo Stato dovrà pensare e provvedere più di quanto ora faccia, oltre a ciò, dico, converrà che noi studiamo attentamente l'influenza che possono avere í nuovi valichi ferroviari alpini, e specialmente quello del Gottardo, sulle industrie e sul commercio italiano. Questo grande fatto, il quale ravvicinando la valle del Reno alla valle del Po, segna un progresso nella civiltà europea, non passerà senza qualche scossa per i nostri industriali, a cui è bene che essi si apparecchino. Poichè noi siamo più importatori che esportatori, e se da una parte se ne avvantaggerà il transito, e nuovi sbocchi si apriranno per lo sfogo dei nostri prodotti, specialmente agricoli e minerari che sono i prodotti di esportazione, d'altra parte la diminuzione delle distanze, la rapidità dei trasporti e il ribasso dei noli, favorito dalle tariffe differenziali, faranno sì che le concorrenze diverranno più vive ed intense, e quindi la produzione, specialmente neì primi tempi, più difficile. Il che, in condizioni analoghe, è avvertito anche altrove, poiché si verifica oggi in Europa questo strano fatto, che mentre gli Stati sono trascinati da una spinta irresistibile ad aumentare dappertutto i mezzi di comunicazione, alcuni di essi si mostrano poscia quasi impauriti di questi eccessivi contatti, e tentano di reagire e di neutralizzare il benefizio di questo fatto, rinforzando gli ostacoli doganali. Movimenti, come voi vedete, uno a ritroso dell'altro, ma dei quali il primo schiaccierà il secondo, poichè il progresso è fatale. Io non ho voluto sottomettere alla Camera che pochissime idee, quasi a modo di citazione e di esempio, al fine di persuaderla che un'esposizione industriale viene ora in Italia in un momento opportuno. Bene io avrei amato e preferito, che questa esposizione fosse protratta al 1882, vale a dire che si fosse fatta coincidere con un altro grande fatto nazionale quale sarà quello dell'apertura del Gottardo. Questi due avvenimenti mi pareva che potessero avvantaggiarsi ed illustrarsi a vicenda. Ma questa idea non fu accolta, ed ora i fatti sono compiuti, e non vi è più luogo a retrocedere. Una mostra industriale, predisposta con larghe vedute, diretta con intenti patriottici, e con sicuri criteri scientifici e pratici, estesa ad ogni parte del suolo italiano, e che abbia in mira di dare lo specchio esatto, e la vera situazione attuale del lavoro e della produzione in Italia, non può a meno di non essere un grande avvenimento nazionale, un fatto che impegna al più alto grado tutto il paese, sia per la sua riuscita, sia anche per gli utili che se ne possono trarre. In quanto alla mostra di Milano io posso dire che i principii furono buoni ; i programmi speciali delle singole classi redatti da persone competentissime ; e il paese rispose con molta lena e fervore all'appello; in guisa che si hanno già a quest'ora da ogni parte d'Italia più di 7000 domande di ammissione, ed altre ancora se ne aspettano. Dimodochè mentre prima era stato calcolato che fosse sufficiente uno spazio coperto di 30,000 metri quadrati, ora, andando di questo passo, ce ne vorrà forse il doppio. Naturalmente molte sono le difficoltà sia finanziarie, sia d'organizzazione, che si devono superare in un' intrapresa di questa natura. Una mostra consimile non può essere un semplice ammasso di materie prime e manufatte, una specie di fiera o di mercato. Il progresso è entrato anche in queste cose, stante la larga esperienza, che si è fatta nelle ultime esposizioni in Europa e fuori. A mio ,parere una mostra industriale deve essere (e qui mi permetta la Camera che io entri in qualche particolare tecnico), deve essere una raccolta razionale, sistematica ed illustrata di oggetti, classificati piuttosto secondo la destinazione e l'uso, che non secondo l'origine, in guisa da dare la concatenazione di tutti i prodotti, che derivano da unb, medesima materia. In altre parole, deve tendere alle collezioni, e a dare la storia del lavoro di ogni singola industria, mostrando gli anelli che congiungono il prodotto primo col prodotto più perfetto, passando per tutta la serie delle successive trasformazioni intermedie. In questo modo le analisi tecniche, le indagini statistiche, e le deduzioni scientifiche ed economiche, saranno più facili e concludenti. È necessario inoltre in un'esposizione italiana che vi sia equilibrio, per così dire, fra le varie provincie, e che tutte siano equabilmente rappresentate, secondo quello che valgono, e secondo le loro forze economiche. Bisogna altresì difendersi contro quella colluvie di piccoli oggetti, che tendono ad invadere tutte le esposizioni, e che, sebbene dimostrino un'abilità ed uno sforzo individuale, pure non hanno alcuna importanza industriale, nè per il prezzo, nè per l'uso, nè per la quantità che se ne produce. Ogni oggetto deve essere accompagnato dalla dimostrazione delle circostanze in cui è stato prodotto, e dagli elementi per poterne pronunciare con sicurezza un giudizio industriale, ossia dal punto di vista del costo, dell'utile e della perfezione relativa. In Italia tutti sanno che vi sono alcuni quesiti speciali a dibattere; poichè a fianco della grande industria nascente, abbiamo la piccola industria casalinga e disseminata, che ha vita e tradizioni tenacissime nel nostro paese, che bene corrisponde all'indole artistica e indipendente del nostro popolo, e che così opportunamente si collega colle industrie agricole. Questa è quella che permette agli operai di divenire fabbricanti, ed in essa è forse riposta la soluzione di molte importanti questioni industriali dell'avvenire. Poichè lavoro in grande non è solo quello che è fatto nei grandi opifici, ma anche quello a domicilio e delle piccole fabbriche, quando il complesso dei prodotti sia egualmente scelto, copioso, e conveniente. Operando in questo modo, io credo che i problemi della produzione italiana potranno essere in una mostra industriale esattamente agitati e discussi. Nè mai nel proferire i giudizi bisognerà perdere di vista che ora, i mercati essendo aperti, il lavoro non è che una gara e una competizione, e che i prodotti italiani per necessità si troveranno sempre in concorrenza coi prodotti similari esteri, anche agricoli, che ora vengono da molto lontano, perfino dalle Americhe e dall'Asia. Io spero che nell'ordinamento della mostra di Milano si seguiranno queste massime, e che in ogni fase più importante di essa, programmi, ammissioni, giurìa, si farà sempre appello al giudizio e alla collaborazione delle persone competenti, at- tenendosi al fecondo principio della specializzazione, e della suddivisione del lavoro. Ora, o signori, veniamo alle dolenti note, ossia alla parte finanziaria. Mi duole di dover dire alla Camera che il concorso che è offerto dallo Stato per questa esposizione, a me sembra troppo scarso e veramente insufficiente, anche quando sia portato alle 300 mila lire, che furono assentite dalla Commissione e dal Governo. Un sussidio simile sarebbe appena bastevole per una mostra locale, ma è affatto sproporzionato per un'opera come questa, che riveste un carattere nazionale, i cui effetti e risultati vanno a beneficio di tutto il paese, per una mostra nella quale si accettano e si offre lo spazio gratuito a tutti i prodotti dell'industria italiana da qualunque provincia provengano. Rammenti la Camera che cosa si è speso per le altre esposizioni, sia internazionali, sia nazionali, ed anche parziali in Italia, come fu quella di Napoli del 1871, e giudichi se il concorso che ora il Governo si propone di dare per la mostra del 1881 sia adeguato alle circostanze. Il dilemma è chiaro. Dal momento che l'esposizione di cui si tratta è divenuta un avvenimento nazionale, il Governo non può più abbandonarla a se stessa, non se ne può più accusar fuori, ed è interessato più e meglio di chiunque perchè riesca bene, decorosa, ed utile alla generalità dei cittadini. Ora se l'esposizione sarà buona, e perchè questo avvenga sono necessari molti mezzi, anche una grossa somma sarà bene spesa, mentre se l'esposizione riuscirà mediocre, qualunque somma, anche piccola, sarà sciupata. I cittadini di Milano, seguendo un impulso ammirabile di cui si hanno pochi esempi in Italia, hanno sottoscritto da se soli per quest'impresa quasi 900 mila lire, senza contare quello che hanno votato e promesso di dare la provincia ed il comune di Milano. È facile notare la sproporzione che esiste tra questa cifra e il proposto sussidio dello Stato. Sarebbe questa la prima volta in Italia che in una impresa nazionale, i profitti della quale ridondano a beneficio, come ho già detto, di tutto il paese, lo Stato dia appena un terzo di ciò che offrono privati cittadini. Questo io credo non sia nè giusto, nè conveniente. Il programma di questa esposizione, già vasto fino da principio, si andò successivamente allargando per la necessità delle cose, e per gli eccitamenti che venivano da ogni parte, sia dall'opinione pubblica, sia dai corpi morali, sia anche dagli stessi poteri pubblici. Io sono convinto che una mostra di questa natura non può essere che completa in ogni sua parte, e ho cercato di far prevalere questo mio concetto. L'arte, la più nobile delle produzioni, che educa ed affina il gusto dell'industriale ; l'agricoltura, la creatrice delle materie prime, industria cospicua, anzi la prima delle industrie essa stessa, avranno una parte rilevante nella esposizione. Le domande di ammissione e di spazio piovono numerose da ogni parte d'Italia, e come ho già detto, ammontano alla cifra di più di settemila. Scendendo a qualche dettaglio, gioverà indicare alla Camera, che dal Lombardo-Veneto giunsero 1767 domande, dal Piemonte 972, dall'Italia centrale 2010, dalla Sicilia 326, e via dicendo. Anzi, io mi permetto di profittare di questa pubblica e solenne discussione per pregare alcune province (e sono pochissime), le quali non hanno ancora dato segno di molto interesse, e hanno inviate poche domande, per pregarle, dico, di volere ampiamente concorrere anch'esse coi loro prodotti, perchè il loro intervento è desideratissimo; altrimenti la esposizione non potrebbe essere che un fatto incompleto, e mancante di quei vantaggi economici e politici che si vogliono raggiungere. È evidente che uno degli scopi precipui e fondamentali della mostra è quello di attivare maggiormente gli scambi tra il mezzogiorno e il settentrione d' Italia. Ora questo scopo sarebbe in parte frustrato se alcune delle provincie meridionali fossero scarsamente rappresentate a questo geniale e fecondo convegno. Le stesse amministrazioni pubbliche ed i Ministeri hanno domandato replicatamente di farsi espositori. Il Ministero della guerra, per esempio, da solo, ha chiesto quasi 1000 metri di spazio, e l'amministrazione delle ferrovie dell'Alta Italia si è fatta inscrivere per 1500 metri. Tutto quanto è relativo alla didattica, al materiale scolastico, all'insegnamento tecnico e professionale, troverà degna sede nella esposizione. I problemi ferroviari, monetari, i trattati di commercio, le imposte in quanto entrano come elemento nel costo di produzione, la difesa dello Stato, le armi, la marina, i lavori pubblici, la storia del lavoro, l'arte applicata alla industria, la beneficenza, il risparmio, la previdenza, tutto questo starà in prima linea, e sarà dimostrato con speciali raccolte, o illustrato col mezzo di monografie e di conferenze. Si formeranno campionari, raccolte e collezioni di ogni natura, principio di musei industriali, didattici, artistici ed etnografici, nucleo di fondazioni permanenti di altissima utilità. Come mai lo Stato potrà, o signori, dichiararsi quasi indifferente a un avvenimento di tanta importanza, il quale ne anticipa l'azione, entra così profondamente nell'ordine delle sue attribuzioni, gli apparecchia e facilita i mezzi per la soluzione di molte fra le più gravi questioni economiche e amministrative? Sebbene io sia uno dei più zelanti partigiani e custodi dell'ordine nelle finanze pubbliche, e del pareggio dei bilanci, anzi appunto per questo, oso proporre alla Camera un emendamento a questo disegno di legge, pregando il Governo e la Camera di voler portare la somma in esso stanziata dalle 300,000 lire alle 500,000, e credo di essere parco, poiché il fabbisogno sarebbe di molto superiore. Dico, appunto per questo, poichè nessuna spesa io considero più produttiva di questa, e più atta a creare l'alimento di cui si pascono le finanze di uno Stato. Vi sono due metodi, o signori, di amministrare le finanze pubbliche : o il metodo che io chiamerò fiscale, e che consiste nello spremere tutto quello che si può dalle imposte, accontentandosi di raddoppiare le aliquote, e di taglieggiare i contribuenti: o il metodo del vero finanziere ed economista, che sa seminare per raccogliere, e trova il vantaggio delle finanze, nella prosperità del bilancio della nazione, e nell'aumento della ricchezza pubblica e della materia imponibile. Io non dubito che l'onorevole ministro delle finanze, distinto economista come egli è, non appartenga a questa seconda scuola, e quindi non tenda a favorire tutto quello che è inteso a promuovere l'operosità industriale del paese. Col disegno di legge per l'abolizione del corso forzoso, che egli ha presentato l'altro giorno, egli si è lanciato in una politica finanziaria assai ardita, la quale ha un'unica e sola base per riescire, vale a dire l'aumento degli scambi e delle esportazioni, al fine di introdurre l'oro in paese, e lo sviluppo del lavoro e della produzione nazionale. Io spero quindi che egli vorrà fare buon viso alla mia proposta, dal momento che io gli dichiaro che questi danari sono indispensabili perchè l'esposizione industriale del 1881 riesca, e bene. Pensi alla grave responsabilità che egli si assumerebbe se, per la differenza di una piccola somma, avvenisse che un fatto di questa natura si arrestasse ed abortisse. Del resto io non dovrò ricordare alla sagacia dell'onorevole ministro delle finanze, ed all'acume dei miei onorevoli colleghi, come un avvenimento simile, imprimendo un grande slancio agli affari e alla circolazione delle persone e delle cose, le somme che lo Stato sarà per ispendere rientreranno nelle sue casse raddoppiate e triplicate, sotto forma di tasse d'ogni genere, e principalmente di tasse ferroviarie, per il trasporto delle migliaia di tonnellate di mercanzie, e delle centinaia di migliaia di viaggiatori che accorreranno alla mostra industriale. Questo fatto fu molto bene precisato nell'ultima esposizione industriale che ebbe luogo a Bruxelles, dove fu dimostrato come, non già le 300,000 lire, ma i sei milioni che il Belgio ha dato per la sua mostra industriale, furono bilanciati da altrettanta e maggiore rendita ottenuta dallo Stato in quella occasione per aumento nelle tasse diverse e nell'introito dei servizi pubblici. Ricordiamoci, o signori, che l'esposizione ha luogo nella valle del Po, dove si chiede così poco e si paga così tanto, dove per l'operosità degli abitanti, e per l'abbondanza della forza motrice, l'industria si è sviluppata più che in altre parti d'Italia, e dove per la vicinanza dei paesi esteri la ripercussione degli incidenti e dei fenomeni economici si fa sentire più viva ed incalzante. Ricordiamoci che siamo a Milano, città altamente benemerita della nazione, per il suo patriottismo e per la sua forza contributiva, dove la vita economica ferve gagliarda e tenace, come lo dimostrano i proventi ferroviari, telegrafici e postali, che ivi il Governo effettua, e che sono superiori a quelli di ogni altra città italiana, come io potrei facilmente provare colle cifre alla mano, compresa la Capitale, e compreso Napoli che ha il doppio di popolazione. Signori, io non voglio più oltre annoiare la Camera colle mie parole e coi miei argomenti. Mi pare di aver discorso abbastanza perchè la Camera si faccia un esatto concetto dell'indole dell'intrapresa, e della importanza della deliberazione che sta per prendere. Facciamo onore ad una grande ed ardita iniziativa privata, sorta in uno dei centri più cospicui dell'Italia. Fatti simili non sono così frequenti nel nostro paese, perchè, ove essi si presentino, non sia dovere del Governo di raccoglierli con gelosa cura, di favorirli colla sua potente adesione, e di additarli ad esempio a tutte le altre città italiane. (Bravo!) PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l' onorevole Merzario MERZARIO..... PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Robecchi. ROBECCHI. Io non voglio che aggiungere una parola sola per togliere quella impressione spiacevole che può essere rimasta nell'animo dell'onorevole ministro di agricoltura e commercio circa una parola da me pronunziata. Evidentemente gli apparirà che quella parola non poteva avere alcun significato ostile, se egli la voglia esaminare non da sola, ma nel complesso del periodo e della argomentazione a cui apparteneva. Io dissi che non mi pareva giusto che lo Stato desse solamente un terzo di quello che contribuivano i privati cittadini di Milano. La frase vista così, nella sua sede naturale, potrà essere ardita, ma non ha per certo quel significato ostile e poco conveniente che il ministro gli ha voluto attribuire. Quanto poi alla parte del suo discorso in cui alluse alle trattative che vennero fatte dalla Commissione che da Milano si recò a Roma in quella circostanza, io, associandomi a quanto disse l'onorevole Pedroni, debbo pur ricordare che quella Commissione non venne a Roma per altro scopo, se non per domandare a Sua Maestà che volesse accogliere sotto l'alto suo patrocinio la esposizione. Dalla Commissione in quella circostanza non si formulò la domanda di una cifra positiva, domanda che sarebbe stata affatto intempestiva, non conoscendo ancora precisamente la Commissione il terreno su cui si trovava, e l'estensione che l'esposizione avrebbe preso. Bensì la Commissione si accontentò di dire che avrebbe in seguito fatto appello al concorso dello Stato. Furono i ministri stessi che allora spontaneamente annunciarono alla Commissione che lo Stato avrebbe dato lire 200,000, sulla qual cifra alcuni membri della detta Commissione fecero le loro riserve, parlando col signor ministro d'agricoltura e commercio e col ministro delle finanze. Rammento questo perchè non sembri che vi sia contraddizione tra il fatto d'allora e l'attuale richiesta delle 500,000 lire.