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Mastro Don Gesualdo - Parte prima - I
di Giovanni Verga

Suonava la messa dell'alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perchè era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt'a un tratto, nel silenzio, s'udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant'Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando:

- Terremoto! San Gregorio Magno!

Era ancora buio. Lontano, nell'ampia distesa nera dell'Alìa, ammiccava soltanto un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l'alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava l'allarme anch'esso; poi la campana fessa di San Vito; l'altra della chiesa madre, più lontano; quella di Sant'Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una dopo l'altra s'erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti spaventato, nelle tenebre.

- No! no! E' il fuoco!... Fuoco in casa Trao!... San Giovanni Battista!

Gli uomini accorrevano vociando, colle brache in mano. Le donne mettevano il lume alla finestra: tutto il paese, sulla collina, che formicolava di lumi, come fosse il giovedì sera, quando suonano le due ore di notte: una cosa da far rizzare i capelli in testa, chi avesse visto da lontano.

- Don Diego! Don Ferdinando! - si udiva chiamare in fondo alla piazzetta; e uno che bussava al portone con un sasso.

Dalla salita verso la Piazza Grande, e dagli altri vicoletti, arrivava sempre gente: un calpestìo continuo di scarponi grossi sull'acciottolato; di tanto in tanto un nome gridato da lontano; e insieme quel bussare insistente al portone in fondo alla piazzetta di Sant'Agata, e quella voce che chiamava:

- Don Diego! Don Ferdinando! Che siete tutti morti?

Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti, nell'alba che cominciava a schiarire, globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville. E pioveva dall'alto un riverbero rossastro, che accendeva le facce ansiose dei vicini raccolti dinanzi al portone sconquassato, col naso in aria. Tutt'a un tratto si udì sbatacchiare una finestra, e una vocetta stridula che gridava di lassù:

- Aiuto!... ladri!... Cristiani, aiuto!
- Il fuoco! Avete il fuoco in casa! Aprite, don Ferdinando!
- Diego! Diego!

Dietro alla faccia stralunata di don Ferdinando Trao apparve allora alla finestra il berretto da notte sudicio e i capelli grigi svolazzanti di don Diego. Si udì la voce rauca del tisico che strillava anch'esso:

- Aiuto!... Abbiamo i ladri in casa! Aiuto!
- Ma che ladri!... Cosa verrebbero a fare lassù? - sghignazzò uno nella folla.
- Bianca! Bianca! Aiuto! aiuto!

Giunse in quel punto trafelato Nanni l'Orbo, giurando d'averli visti lui i ladri, in casa Trao.

Adesso dal corridoio, dalla scala dell'orto, tutti portavano acqua. Compare Cosimo era salito sul tetto, e dava con la scure sui travicelli. Da ogni parte facevano piovere sul soffitto che fumava, tegole, sassi, cocci di stoviglie. Burgio, sulla scala a piuoli, sparandovi schioppettate sopra, e dall'altro lato Pelagatti, appostato accanto al fumaiuolo, caricava e scaricava il pistolone senza misericordia. Don Luca che suonava a tutto andare le campane; la folla dalla piazza vociando e gesticolando; tutti i vicini alla finestra. I Margarone stavano a vedere dalla terrazza al di sopra dei tetti, dirimpetto, le figliuole ancora coi riccioli incartati, don Filippo che dava consigli da lontano, dirigendo le operazioni di quelli che lavoravano a spegnere l'incendio colla canna d'India.

Don Ferdinando, il quale tornava in quel momento carico di scartafacci, battè il naso nel corridoio buio contro Giacalone che andava correndo.

- Scusate, don Ferdinando. Vado a chiamare il medico per la sorella di vossignoria.
- Il dottor Tavuso! - gli gridò dietro la zia Macrì una parente povera come loro, ch'era accorsa per la prima. - Qui vicino, alla farmacia di Bomma.

Bianca era stata presa dalle convulsioni: un attacco terribile; non bastavano in quattro a trattenerla sul lettuccio. Don Diego sconvolto anche lui, pallido come un cadavere, colle mani scarne e tremanti, cercava di ricacciare indietro tutta quella gente. - No!... non è nulla!... Lasciatela sola!...- Il Capitano si mise infine a far piovere legnate a diritta e a manca, come veniva, sui vicini che s'affollavano all'uscio curiosi. - Che guardate? Che volete? Via di qua! fannulloni! vagabondi! Voi, don Liccio Papa, mettetevi a guardia del portone.

Venne più tardi un momento il barone Mèndola, per convenienza, e donna Sarina Cirmena che ficcava il naso da per tutto; il canonico Lupi da parte della baronessa Rubiera. La zia Sganci e gli altri parenti mandarono il servitore a prender notizie della nipote. Don Diego, reggendosi appena sulle gambe, sporgeva il capo dall'uscio, e rispondeva a ciascheduno:

- Sta un po' meglio... E' più calma!... Vuol esser lasciata sola...
- Eh! eh! - mormorò il canonico scuotendo il capo e guardando in giro le pareti squallide della sala: - Mi rammento qui!... Dove è andata la ricchezza di casa Trao!...

Il barone scosse il capo anche lui, lisciandosi il mento ispido di barba dura colla mano pelosa. La zia Cirmena scappò a dire:

- Sono pazzi! Pazzi da legare tutti e due! Don Ferdinando già è stato sempre uno stupido... e don Diego... vi rammentate! Quando la cugina Sganci gli aveva procurato quell'impiego nei mulini!... Nossignore!... un Trao non poteva vivere di salario!... Di limosina sì, possono vivere!...
- Oh! oh! - interruppe il canonico, colla malizia che gli rideva negli occhietti di topo, ma stringendo le labbra sottili.
- Sissignore!... Come volete chiamarla: Tutti i parenti si danno la voce per quello che devono mandare a Pasqua e a Natale... Vino, olio, formaggio... anche del grano... La ragazza già è tutta vestita dei regali della zia Rubiera.
- Eh! eh!... - Il canonico, con un sorrisetto incredulo, andava stuzzicando ora donna Sarina ed ora il barone, il quale chinava il capo, seguitava a grattarsi il mento discretamente, fingeva di guardare anch'esso di qua e di là, come a dire: - Eh! eh! pare anche a me!...

Giunse in quel mentre il dottor Tavuso in fretta, col cappello in capo, senza salutar nessuno, ed entrò nella camera dell'inferma.

Poco dopo tornò ad uscire, stringendosi nelle spalle, gonfiando le gote, accompagnato da don Ferdinando allampanato che pareva un cucco. La zia Macrì e il canonico Lupi corsero dietro al medico. La zia Cirmena che voleva sapere ogni cosa e vi piantava in faccia quei suoi occhialoni rotondi peggio dell'Avvocato fiscale.

- Eh? Cos'è stato? Lo sapete voi? Adesso si chiamano nervi... malattia di moda... Vi mandano a chiamare per un nulla quasi potessero pagare le visite del medico! - rispose Tavuso burbero.

Quindi, piantando anche lui gli occhiali in faccia a donna Sarina:

- Volete che ve la dica? Le ragazze a certa età bisogna maritarle!

E voltò le spalle soffiando gravemente, tossendo, spurgandosi. I parenti si guardarono in faccia. Il canonico, per discrezione, prese a tenere a bada il barone Mèndola, dandogli chiacchiera e tabacco, sputacchiando di qua e di là, onde cercare di sbirciar quello che succedeva dietro l'uscio socchiuso di donna Bianca, stringendo le labbra riarse come inghiottisse ogni momento:

- Si capisce!... La paura avuta!... Le avevano fatto credere d'avere i ladri in casa!... povera donna Bianca!... E' così giovine!... così delicata!...
- Sentite, cugina! - disse donna Sarina tirando in disparte la Macrì. Don Ferdinando, sciocco, voleva accostarsi per udire lui pure: - Un momento! Che maniera! - lo sgridò la zia Cirmena. -

Ho da dire una parola a vostra zia!... Piuttosto andate a pigliare un bicchiere d'acqua per Bianca, che le farà bene...

Tornò a scendere Santo Motta di lassù, fregandosi le mani, coll'aria sorridente: - E' tutta rovinata la cucina! Non c'è più dove cuocere un uovo!... Bisognerà fabbricarla di nuovo! - Come nessuno gli dava retta, fissava in volto or questo ed ora quello col suo sorriso sciocco.

Il canonico Lupi, per levarselo dai piedi, gli disse infine:

- Va bene, va bene. Poi ci si penserà...

Il barone Mèndola, appena Santo Motta volse le spalle, si sfogò infine:

- Ci si penserà?... Se ci saranno i denari per pensarci! Io gliel'ho sempre detto... Vendete metà di casa, cugini cari... anche una o due camere... tanto da tirare innanzi!... Ma nossignore!..

Vendere la casa dei Trao?... Piuttosto, ogni stanza che rovina chiudono l'uscio e si riducono in quelle che restano in piedi... Così faranno per la cucina... Faranno cuocere le uova qui in sala, quando le avranno... Vendere una o due camere:... Nossignore... non si può, anche volendo... La camera dell'archivio: e ci son le carte di famiglia!... Quella della processione: e non ci sarà poi dove affacciarsi quando passa il Corpus Domini!... Quella del cucù:... Ci hanno anche la camera pel cucù, capite!

E il barone, con quella sfuriata, li piantò tutti lì, che si sganasciavano dalle risa.

Donna Sarina, prima d'andarsene, picchiò di nuovo all'uscio della nipote, per sapere come stava. Fece capolino don Diego, sempre con quella faccia di cartapesta, e ripetè:

- Meglio... E' più calma!... Vuol esser lasciata sola...
- Povero Diego! - sospirò la zia Macrì. - La Cirmena fece ancora alcuni passi nell'anticamera, perchè non udisse don Ferdinando il quale veniva a chiuder l'uscio, e soggiunse sottovoce:
- Lo sapevo da un pezzo... Vi rammentate la sera dell'Immacolata, che cadde tanta neve?... Vidi passare il baronello Rubiera dal vicoletto qui a due passi... intabarrato come un ladro...

Il canonico Lupi attraversò il cortile, rialzando la sottana sugli stivaloni grossi in mezzo alle erbacce, si voltò indietro verso la casa smantellata, per veder se potessero udirlo, e poi, dinanzi al portone, guardando inquieto di qua e di là, conchiuse:

- Avete udito il dottore Tavuso? Possiamo parlare perchè siamo tutti amici intimi e parenti... A certa età le ragazze bisogna maritarle!
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