Wikisource:Stamperia/Dell'obbedienza del cavallo/Parte IV - Capitolo III

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CAPITOLO TERZO.

Del regolamento della razza in tutte le stagioni, e delle operazioni da farsi per prevenire qualunque sconcerto.

Per prevenire per tempo qualunque inconveniente che possa apportar pregiudizio alla razza stante la diversità delle stagioni, dello stato, e dell’età della medesima d’uopo è di tenerla sempre divisa in quattro partite; ne formi la prima il branco dei Polledri dai diciotto mesi in su che devonsi tener sempre lontani dalle femine, perchè non divengano viziati, la seconda dev’esser formata delle Cavalle sode, la terza delle figliate, e la quarta della gioventù tenera; e nell’inverno, che conviene separare i lattonzoli dalla madre, che resta priva del latte, è forza far di questi la quinta divisione, stante l’assistenza maggiore che essi richiedono, ed è d’uopo d’assegnare alle medesime la pastura per ogni stagione.

Essendo quella dell’inverno la più pericolosa e la più pregiudiciale al bestiame per l’intemperie dell’aria, e per l’improvise burrasche che sogliono in essa accadere, conviene che sia prescelta per la medesima la parte più asciutta, e la più sollevata, e di maggiore scolo, più ridossata, e più coperta dai venti perniciosi, ed incomodi, e di questa devesene assegnare una porzione la più lontana che sia possibile al branco dei Polledri, nella quale è necessario che vi sia l’abitazione dei custodi, un capannone con suo fienile sopra, rastregliere, e mangiatoje sotto, provisto d’acqua di polla, perchè sia calda in questa stagione, e non sottoposta a diacciare, con il suo abbeveratojo, ed argano, o tromba, perchè possa con più facilità essere ripieno; e perchè i Polledri sono più forti, così avendo bisogno di meno custodia, e di minor comodo, può il capannone essere aperto da tutte quattro le parti di fuora, quando il clima lo permetta, essendo per loro bastante difesa quella che ricevono dalle mangiatoje e rastregliere che vi sono dentro, quando sono piene di fieno, e l’acqua basta che sia in una adequata distanza fuori di esso; Egli deve servire ai medesimi per ricovero e difesa, allorchè l’istinto loro naturale senza che sia fatta loro forza alcuna gli obbliga a mettersi al coperto dalla pregiudiciale intemperie dell’aria, e dalle burrasche, e perchè possano ritrovare in esso il loro sostentamento, sì in questo tempo che quando manca alla campagna la pastura, come suol seguire nel fine di questa stagione.

E nel contorno suo è opportuno che vi siano diversi riservi d’erba naturale, ed altri di erba seminata per il soggiorno, nei tempi buoni, di quelli che divengono magri, e dei convalescenti; di una stalletta per il ricovero degli ammalati e d’una mandria per poterli pigliare con facilità e senza strapazzo.

Quella porzione pure che deve servire per le altre partite che compongono l’intero corpo della razza, è necessario che sia provista dell’istesse fabbriche ma di maggiori comodi, come lo richiedono le pregne, le figliate, la gioventù, ed i lattonzoli, che si vanno di mano in mano separando dalla madre che resta priva del latte, e però tanto la pastura che il capannone devono essere divisi in quattro parti, di maniera che il bestiame possa aver l’accesso liberamente dall’una nell’altro, senza che le partite possano confondersi, sì quando sono in pastura, che quando l’istinto naturale le obbliga a mettersi al coperto dalle burrasche, e dall’intemperie dell’aria, ed il capannone dev’essere serrato tutt’all’intorno di muro, che lo difenda dai venti, e provisto tanto di dentro che di fuori d’acqua, perchè per tutto possa essere a portata e comoda la beva, fattavi correre per mezzo di tromba e di canali, e possano i custodi prevalersene per tutto dove occorre, e per poter approntare i pastoni, ed i beveroni a chi deve avergli, e che sopra tutte le divisioni vi sia il suo fienile, e sotto le rastregliere, e mangiatoje necessarie per governarle tutte.


Ed in vicinanza oltre i sopraddetti riservi di pastura per il soggiorno nei tempi buoni dei lattonzoli separati dalla madre, e dei convalescenti, e dell’erba per far loro le trite è d’uopo che vi sia ancora una mandria grande capace di ricevere tutto il branco della razza, annesse alla quale vi siano altre quattro mandrie più piccole, che tutte abbiano la comunicazione l’una nell’altra, e nel centro di queste vi sia uno stanzino murato con le sue finestre fornite di vetri che difendano chi vi è dentro dal vento, quando spira, ed i suoi uscetti di comunicazione, per poter fare le rassegne, le riforme, la merca, e le camerate agli stalloni, e la mostra della razza al padrone, e a chi occorre.

E vi è necessaria anche una scuderia per gli stalloni, con il suo fienile sopra, magazzini, e stanze per il foraggio, e per l’alloggio dei garzoni che gli governano, fornita d’acqua per il bisogno; e dell’abitazione dei Ministri che hanno la direzione, e del padrone quando va a vederla.

La pastura destinata per l’inverno serve anche per la primavera, poichè il terreno tutto si riveste in questo tempo d’erba nuova.

Per quella dell’estate deve destinarsi il terreno più basso, il più sottoposto all’umido, e quello che nella primavera resta sotto acqua, e va asciugando a poco, a poco nell’estate, perchè in questa stagione vi possa esser sempre dell’erba fresca, ed il luogo più ventilato che sia possibile, affinchè il caldo eccessivo possa essere mitigato dal vento e sia priva l’aria di quegli insetti che inquietano infinitamente il bestiame, e sopratutto è d’uopo che sia fornito in abbondanza d’acqua buona per bere, e per il bagno, che è molto opportuno in questa stagione quando se gli può procacciare.

Le praterie che servono per la raccolta del fieno è un’ottima pastura per l’autunno, e dà luogo che quella assegnata per l’inverno, resti nell’estate, e in questa stagione riservata, perchè il bestiame la possa ritrovare nel tempo del maggiore bisogno vergine, e però abbondante.


Del Governo e assistenza, che deve prestarsi nell’inverno a tutto il corpo della razza, alli spuppati di fresco, e agli ammalati.

Diverse sono le cose che in questa stagione si uniscono insieme al danno del bestiame di campagna; la rigidezza ed intemperie dell’aria, e l’inopportune burrasche unite all’erba di meno sostanza, di quella dell’altre stagioni, stante la mancanza del calore che anima la vegetazione, e l’acqua troppo sottile, e cruda, poichè il diaccio apporta scompiglio e sconcerto nell’interno suo come lo danno a divedere gli aborti che seguono in questo tempo, il rivestirsi d’un pelo più ruvido e irsuto, e lo smagrire che fanno tanto le femine che i maschi: La mancanza della medesima erba, inoltrata che sia la stagione, cagiona al medesimo un patimento tale che lo fa perire o lo rende mal sano, inutile e dispregievole, e questo dipende dall’essere obbligato dalla fame a mangiare un cibo nocivo per sostenersi, come sono i virgulti, le punte, e le fronde dei pruni, degl’alberi, per cui sconcertata la digestione, non può a meno che indi altrettanti sconcerti seguano a depravare l’interna buona costituzione di esso.

quindi è, che non può esser sottratto da sì pregiudiciali inconvenienti, che dal ricovero del capannone, provisto di fieno, e d’acqua di polla perchè sia calda, che lo metta al coperto dall’intemperie dell’aria, e dalle burrasche, e dall’inopportuna pastura, e beva.

E quantunque questo non lo sottragga affatto dall’incommodo dello stento, impedisce però in esso quel patimento che lo rende di poco valore, e di meno servizio, anzi che dallo stento, prodotto da tutte le sopraddette cose proviene nel medesimo la complessione forte e robusta, ed il valore e bravura sua; e però è necessario che sia lasciato in libertà di prevalersi di un tal ricovero a suo talento, poichè essendo regolato dall’istinto naturale saprà prevalersi a tempo e luogo per sottrarsi da qualunque pregiudizio che possa intaccare in minima parte la sua bontà e bravura, e da ciò proviene che le razze salvatiche portano il vanto sopra le domestiche, perchè queste all’opposto essendo allevate con delicatezza, i prodotti loro riescono gentili, fiacchi, e deboli, atti più a far comparsa che a prestar servizio, dove ha luogo la fatica, lo strapazzo, e lo incomodo; lo star questi con la testa alta alla mangiatoja, fa sì che il peso della macchina loro, perchè è sempre equilibrato sopra le quattro gambe, non faccia mai soffrire ad esse incommodo alcuno, e che però dia luogo a tutte le parti di fare il loro aumento all’insù e di formare la macchina di collo e testa scarichi, di gambe sottili, e di corporatura graziosa e gentile, piuttosto lunga che quadra, di petto più stretto che ampio, e di groppa alquanto in scolo, e non molto larga; ciò che depende dallo star sempre con i piedi tanto davanti che di dietro in quella positura raccolta che riesce più comoda al sostegno del peso della macchina.

Ed all’opposto lo stendere del collo verso terra che fanno gli altri, fino dalla nascita, per arrivar l’erba che devono mangiare, obbliga tanto le gambe di dietro che quelle d’avanti a situarsi più in largo che possono, per darli luogo: ond’è, che essendo le gambe in questa positura fuori del vero punto del centro d’equilibrio non può a meno che risentano l’incomodo del peso; tanto più che lo sforzo che è obbligato di fare il collo, rende la gravezza sua di maggiore impressione, e però i legamenti loro sono obbligati a star sempre in forza per sostenerlo; stante un tale sforzo s’ingrossano i nervi, le fibre, ed i tendini tutti, a seconda del bisogno, e a proporzione che la macchina va crescendo, perchè siano sempre in stato di potere supplire al maggior peso che porta seco l’aumento della medesima, e la provida natura col continuo succo nutritivo gli alimenta, e somministra loro il vigore, e la forza necessaria, ed in questa li stabilisce, gli consolida, e conferma; quindi è che la macchina diviene quadrata con le gambe grosse e ben nerborute, con il petto e groppa larga, e con tutte le altre parti che la compongono proporzionate alla statura della specie.

Il continuo stare in forza dei legamenti per sostenere il peso, forma in essi quell’abito che li rende capaci dipoi di resistere a qualunque fatica e strapazzo senza soffrire nè incomodo nè danno; ma una tal positura, che chiama l’umore all’ingiù, ingrossa anche il collo e la testa, e rende la figura della macchina loro rozza e grossolana all’occhio, finchè stanno in campagna a pasturare. Il soggiorno poi della stalla, perchè gl’obbliga a stare con il collo e la testa alta viene a scaricare le parti tutte dell’umore superfluo che le ha ingrossate, e le raffina in forma che si rivestono di quella proporzione, nella quale consiste la bontà e la bellezza, che dà nell’occhio con risalto.


Ma siccome troppo è facile che lo stento si converta in patimento, così ai custodi si rimetta di prevenire col riparo e governo qualunque causa che possa dare ad esso occasione; la poca sostanza dell’erba di questa stagione, (come si è detto di sopra, tanto più quando è scarsa e mancante, come segue allorchè nell’autunno non cadono le opportune piogge, che rivestano d’essa la campagna) unita all’intemperie dell’aria, apporta nocumento non solo alla gioventù tenera, ma anche a qualunque altro che sia di bocca gentile, vale a dire che mangi poco, ed in specie alle Cavalle pregne che hanno bisogno di maggior nutrimento, per poter sostentar se, e tirare avanti il feto che hanno in corpo, e molto più se oltre l’esser pregne hanno anche sotto il lattonzolo, il quale richiede di più in esse la produzione del latte; poichè la scarsezza dell’alimento indebolisce la complessione loro, e un tale indebolimento fa sì che l’intemperie dell’aria abbia più luogo di fare in essa quell’impressione che gli abbatte, e apporta pregiudizio alla salute, e che gli fa cadere dipoi ammalati; ciò che non segue agli abboccati, perchè mangiando più degli altri, con la quantità maggiore suppliscono alla minor sostanza, e così conservano la complessione più forte, per essere meno sottoposti a ricevere pregiudizio dall’intemperie dell’aria.


Quindi è, che oltre il dovere i Custodi tener sempre ripiene le rastregliere del Capannone di fieno, e gli abbeveratoi puliti e pieni d’acqua, con l’avvertenza che questa sia cavata dalla cisterna di fresco all’ore congrue, in specie quando l’aria è rigida, per non li dar luogo nè tempo di diacciare, conviene che siano pronti a dar soccorso a quelli che ne hanno bisogno.

Lo smagrire è un segno evidente dell’insufficienza dell’alimento; e però immediatamente che ciò si vede, bisogna separar dal branco quegli di qualunque sorte siano, che soffrono un tal pregiudizio, per ritirargli in pastura riservata e più abondante, a seconda del grado e stato loro, e se questo non basta, conviene ritirargli anche la notte al coperto, per difendergli dall’impressione pregiudiciale dell’aria, e accrescer loro quel governo che sarà necessario; se la pastura riservata non è sufficiente a rimediare lo sconcerto, l’alimento sia d’una porzione di fieno, e d’erba seminata, tritati insieme, e dipoi mescolati con semola datali mattina e sera, lasciandoli in libertà il giorno di restare nel capannone, o di andare in pastura, come più lor piace.

La malinconia o l’inappetenza, è un indizio quasi certo di malattia che sovrasta: onde è d’uopo correre al riparo con dare un preservativo a quelli che ne soffrono, subito che il custode s’accorge che ne sono attaccati, con mettere nella trita sopraddetta una porzione di polvere d’antimonio della quale in appresso si farà la descrizione.

Non minor premura deve aversi di soccorrere i lattonzoli dal pregiudizio che apporta loro la mancanza del latte, per impedire che divengano ammalati, e così scansare di doversi prevalere dell’arte medica perchè è troppo fallace per mancanza di quella cognizione ch’è necessaria per conoscere la causa del male, e quale sia il rimedio ch’egli richiede, in specie in animali privi di ragione, e che sono incapaci d’indicarlo, e perchè ancor che l’una e l’altro sieno cogniti, non è possibile l’applicazione nei lattonzoli, a motivo dell’età loro troppo tenera, e negli adulti a motivo della selvatichezza e della loro indocilità, poichè obligati a soffrirla per forza, lo strapazzo che questa cagionerebbe loro, sarebbe peggior del male.

Nè pigliano sbaglio senza dubbio quei Custodi che non s’arrecano a separare il lattonzolo dalla madre finchè lo vedono puppare, perchè non sanno che il latte che seguita a dare la Cavalla pregna gl’ultimi quindici o venti giorni prima che lo perda affatto, non è più nutritivo, ma acquido e senza sostanza, pregiudiciale, e dannoso; e però smagrisce, e va a male il lattonzolo, e allora indebolito dal già sofferto patimento, non è più in grado lo stomaco suo di resistere allo sconcerto che in esso cagiona la mutazione del cibo secco, per esser di troppo diversa qualità da quello del latte a cui è assuefatto, e che gli è connaturale in questa età.

Per prevenire dunque un tale inconveniente convien separare i lattonzoli dalla madre, prima che abbiano riportato il minimo pregiudizio, cioè prima ch’ella sia restata priva del latte di sostanza; e potrebbe riconoscersi da un esperto custode quando la madre s’avvicina al tempo di perderlo, dal computo di quando ella fu coperta dallo stallone; essendo a tutti noto che circa a quattro mesi prima del parto, suol restar mancante del latte; ma perchè non se ne può sapere il preciso tempo, in cui ella resta feconda, un tal computo è sottoposto ad essere fallace, ed anche sapendosi questo, può pigliarli sbaglio, poichè vi sono delle Cavalle che non lo perdono mai, e passano così senza intermittenza da una allevatura all’altra, ed lo più volte mi sono trovato a dover fare separare dalla madre il lattonzolo d’un’anno, che aveva sotto, nel giorno istesso ch’ella messe alla luce il nuovo, essendo la medesima grassa, fresca e abondante di latte, e i due lattonzoli egualmente grassi e in buon essere, quanto la madre.

Quindi è che il più accertato prognostico della perdita del latte, esente da ogni sbaglio, è quello d’osservare la maniera con la quale il lattonzolo puppa; poichè se egli inghiottisce andantemente a gola piena, certo è che la madre glie lo somministra abondantemente; e all’opposto opposto, quando è mancante lo dà a divedere l’affaticarsi ch’egli fa per tirarlo fuori, e che ciò nonostante inghiottisce con stento, segno ch’è poca la materia che tira, e per conseguenza di poca, o punta sostanza; e di qui avviene che nonostante che puppino i Polledri smagriscano, e vanno a male, perchè un tal latte, se pure si può dir tale, è talmente snervato che non fa nutrimento alcuno, e scioglie loro il corpo in forma che si perdono: Onde sul dubbio, meglio è di privare il Polledro del latte qualche giorno avanti quando è anche fresco, che un giorno dopo quando ha cominciato a patire, tanto più che il patimento non dà subito nell’occhio, e quando apparisce, non può a meno che sia di qualche tempo; conviene pure separare dalla madre prima del tempo il lattonzolo, senza stare in dubbio, quando questa cada ammalata, per non correre il rischio di perdere e l’uno e l’altra, o che il primo resti malsano.

Non può mettersi in dubbio che i lattonzoli di recente spuppati siano i più pericolosi, ed i più sottoposti a cadere ammalati ed a perdersi, per la loro eccessiva delicatezza, e che se sono stati staccati dalla madre dopo aver patito, riesca loro più difficoltosa anche per questo capo la digestione del nuovo e meno opportuno cibo, stante l’indebolimento, ed allentamento delle fibre, cagionatoli dal patimen- to sofferto, e che per questo sopravvenga loro la diarea, come suol seguire, ed il sollevameto dei bachi che portano seco conseguenze funeste, se non si è a tempo di prevenirle con qualche preservativo che rimetta in sesto ed attività le parti sconcertate e rilassate, affinchè le operazioni interne possano essere eseguite in regola.

Perciò devono esser questi riguardati con più gelosia degli altri dall’intemperie dell’aria, tanto più se sono caduti ammalati, senza privargli contuttociò del vantaggio che alla salute loro apporta il respiro dell’aria viva, allorchè questa non può esser loro di pregiudizio.

Sia il governo loro, mattina e sera, un misto di semola, con trita di fieno scelto, tagliato giovine, perchè sia di meno consistenza, e di più facile masticatura, e digestione, con tal porzione d’erba seminata che non possa cagionare, nè dare impulso allo scioglimento del corpo, com’è la sua intrinseca proprietà quando è tenera e non matura, e in supplemento della sostanza, e umido del latte, si dia a quei di complessione più debole dei beveroni di farina di grano, e ai più vegeti e vigorosi di farina d’orzo per mitigare l’eccessivo calore loro, e mai non manchi l’acqua negli abbeveratoj, perchè possano a loro talento cavarsi la sete che vien eccitata dal mangiar secco, affinchè l’umido dell’acqua corregga l’aridità del fieno, che dev’essere il governo loro tra giorno.

Subito che si adattano a mangiare con gusto, senza quella difficoltà che mostrano prima, quando si conosca il bisogno, si dia loro per preservativo la polvere d’Antimonio che qui sotto sarà descritta, mescolata nella trita, o in porzione di semola, ma da principio in poca dose, perchè non vengano dall’ingrato odore suo disgustati, e a proporzione poi che si adattano a mangiarla, si vada crescendo la dose, a seconda del bisogno, che potrà dedursi dal profitto che vanno facendo, e dal ritardo di esso, e si continui a dargliela fino a tanto che non abbiano acquistato l’appetito, e che si veda che il nuovo cibo lor faccia prò, la qual cosa si conosce dall’ingrassare, ovvero dal mantenersi nell’istesso stato senza scapito, che allora si può desistere di dargliela, per ripigliarne l’uso, subito che si veda che vada scemando il profitto.

Deve questa darsi non solo a quegli che recentemente sono spuppati, per prevenire in essi le conseguenze, e disordini sopraddetti nello sconcerto che allo stomaco cagiona la mutazione del cibo, ma va data anche a tutti quelli che con l’inappetenza, la malinconìa, e lo smagrire danno a temere di qualche prossimo attacco alla salute, qualunque sia l’età loro, e la loro condizione, sì maschi che femine, pie- ne, vuote, o figliate, per tagliare la strada a qualunque pregiudizio che sovrasti loro.

Superato che sia lo sconcerto che cagiona la mutazione del cibo, ed accostumati a mangiar con piacere, e con profitto il nuovo, ed inoltrata vicino al suo termine la stagione pericolosa, e per conseguenza assicurati da non poter più soggiacere agl’inconvenienti della medesima, deve il custode rivoltare le sue mire e premure a minorare al possibile la spesa di quel governo, che di mano in mano si va rendendo inutile, non solo per il profitto che da questo si ritrae, ma anche perchè è d’uopo rimettergli insensibilmente a quello dell’erba naturale, a proporzione che questa va acquistando maturità e sostanza, e perdendo la facoltà di sciorre il corpo, per evitare al possibile l’incontro di una nuova pericolosa mutazione, allorchè si dovranno rimettere alla pastura della campagna.

Però è d’uopo di scemare nella sopraddetta trita a poco per volta la semola, fino ad abbandonarla affatto, e dipoi con l’istesso metodo ancora il fieno, tanto che vi resti solamente l’erba seminata, già divenuta di maggior sostanza.

Devonsi allora tenere più tempo in pastura, e far loro mangiar dentro l’erba sopraddetta, perchè ripieni da questa non abbia forza l’erba tenera di campagna d’apportar loro nocumento, e la purga che lor cagiona produca loro il dovuto profitto; allora poi che anche questa ha presa la sua consistenza devono essere lasciati liberamente in campagna notte e giorno, e la premura del Custode deve ristringersi a far loro sempre sfiorire la miglior pastura, passandoli dall’una all’altra, prima delle altre partite, che così verranno dell’ultima perfezione e bravura, perchè lo stento, gli averà fatta la complessione forte e robusta, e la custodia gli avrà liberati da quel patimento che pregiudica loro.

I beveroni pure, e qualunque altra cosa, benchè utile e avvantaggiosa, dovranno essere abbandonati subito che manca il bisogno, dovendosi sempre aver la mira d’impedire il solo sconcerto che cagiona danno, per tenersi lontani dal pericolo d’accostumargli ad una vita molle e delicata, come quella in cui si tengono le razze domestiche, per le ragioni di sopra addotte.

Polvere d’antimonio.

La polvere d’Antimonio mentovata altro non è, che un composto di egual porzione d’Antimonio, Zolfo, e Salnitro; ridotto in polvere il zolfo, si versa in un vaso di terra cotta, e si pone sopra d’un fuoco lento, dove si possa struggere senza infiammarsi, come facilmente seguirebbe quando il fuoco fosse più gagliardo, o il vaso fosse di metallo; nel zolfo poi così strutto e liquefatto si versa prima l’Antimonio similmente ridotto in polvere, e col mezzo d’una spatola insieme si mescolano; indi lo stesso si pratica col salnitro, mescolate insieme queste tre polveri strutte, e liquefatte, si versa il composto sopra una pietra, o mattone a raffreddare ove li consolida; raffreddato e consolidato si pesta in un mortajo, finché sia ridotto in polvere, la quale passata per setaccio fine, è quella che col nome d’Antimonio si dà ai Cavalli per preservativo e per medicamento, secondo le occorrenze, mescolata con la biada, semola e con qualunque altra cosa che mangino, un poco inumidita avanti, perchè vi si possa attaccar sopra e non si disperdere.

Questa polvere da me provata non solo in moltissimi Cavalli, sì adulti, che di tenera età e vecchi, e nelle femine sode, pregne, e lattanti, ma anche nei Cani, e nei Cammelli femine e maschi, senza essere mai restato deluso, credo che sia anche più efficace, e di maggiore attività del fegato d’Antimonio a motivo della diversa preparazione che richiede l’aggiunta del zolfo, riputato pettorale, e una quantità maggiore di salnitro, è anche perchè l’evaporazione a fuoco lento non può cagionare quello svanimento, che deve fare il fuoco violento nella preparazione del fegato sopraddetto.

Solleysel nella sua opera intitolata le Parfait Mareschal, fa tali elogj del fegato d’antimonio, fino a dichiararlo la medicina universale di tutti i mali dei Cavalli, alla riserva solo dei frigidi, ed io che non meno di lui ho fatta anche di questo la prova, sono stato confermato nel sentimento suo dall’esperienza: Però credo opportuno di trascriverne quì la preparazione sua, a benefizio di chi non ha cognizione di quest’opera, o non ha il comodo di averla, perchè tutti possano prevalersi dell’una o dell’altro come più lor piace.


Foye d’Antimoine.

Prenez Antimoine crud fort èguillé six livres, pilez-le grossierement, prenez du salpestre de la seconde fonte quatre livres & demy; le blanc, & le refiné est trop violent & brule tout, pilez fort le salpestre, melez-le avec l’antimoine dans un pot de fer, ou mortier de fonte, en sorte que les deaux tiers du pot demeurent vuides, mettez-y le feu avec un tison de feu, ou mèche, d’abord que le feu a pris à la matiere, eloignez-vous du pot, parceque la fumée de l’antimoine dans le temps qu’il s’enflamme ne vaut rien; laissez boüillonner ensemble les matieres jusqu’a ce, que le tout soit refroidy; Il ne faut point d’autre feu pour cette preparation, que celuy que est autour de la mèche, pour enflammer les matieres.

Quand il serà refroidy ostez-le du mortier en le renversent, le foye sera au fond & le salpestre, qui ne sera pas enflammé sera a dessus joint avec les impuretés de l’antimoine, qu’on nomme scories, vous pourrez facilement separer les doux: Car le foye doit etre luisant, comme du verre, mais fort opaque brun, s’il est autrement il est mal fait, & s’il tire sur le feüille morte, il est brulé & n’est pas bon pour les chevaux.

Il ne faut point laver le foye d’antimoine; on lui oste beaucoup de sa vertu; pour les scories vous le garderez pour d’autres usages, particulierement pour les lavements; & par tout, ou vous trouverez dans ce livre que j’ordonne du policreste dans le lavements, vous povez substituer a la place du policreste la mesme quantité des scories, & assurement elles produiront un aussi bon effet & peut-etre meilleur, car les scories sont un veritable policreste, fait avec le soufre d’antimoine, & le nitre, mais outre cela les scories sont impregnées de quelque vertu de l’antimoine qui les fait agir plus efficacement, que le policreste ordinaire.

Vous donnerez de ce foye en poudre fine deux onces l’avoine ou dans du son moüillé pendant un mois: il donnera bon appetit, & fera bien manger les degoutés, il tuera les vers, contribuera a la guerison des playes, du farcin, & de la gale, & purifiera les sang desobstruant, & debouchant les conduits, il engraissera les chevaux, qui ne peuvent se restabilir, appaisera la toux, & donnera bonne baleine. L’effect de ce remede n’est pas sensible au cheval: il agit par insensible transpiration; refraichissant par reactions les partes interieures, ne les purgeant aucunement; & si la medecine universelle des chevaux est dans quelque remede, elle est dans celuy-ci, hors dans les occasions, où il faut èchauffer; tous les jours son usage fait reconnoistre des nouvelles vertus, & proprietés.

On peut remarquer qu’il agit par insensible transpiration, en vojant etriller le cheval, qui en use, car il aura dans commencements plus de crasse, de moitiè, qu’il n’avoit auparavant, parce que l’usage de cet antimoine purifiant le sang, chasse au de hors par les pores du cuir les excrements de la troisieme coction, qui sont ces fuligines, ou vapeurs, qui corrompent le sang; & cette plus grande abondance de crasse, qui s’arreste sous le poil pendant l’usage du dit foye d’antimoine, & qu’il n’avoit pas au paravant, en est una marque asseurèe.

Onde da tutto questo rilevasi con sicurezza, che la polvere d’Antimonio preparata sì nell’una che nell’altra maniera è uno specifico per tutti i bisogni di una razza, ed un preservativo della salute dei Cavalli, anche di stalla, di maggior utile, e profitto dell’erba, che secondo l’inveterato costume si suol dar loro a questo effetto; poichè operando ella per insensibile traspirazione, e per reazione, invece d’apportar disturbo alle parti interne, loro viene ad accrescere forza ed attività, in forma che nel tempo ch’ella è messa in opera agiscono con maggior vigore ed effetto, senza cagionare alcuno sconcerto, nè la minima alterazione al sistema ed ordine di natura; dal che depende, e la salute, e la preservazione dalle malattie; all’opposto l’erba non solo cagiona sconcerto, e confusione nello stomaco nel principio che la mangiano, ma bene spesso anche disordine nella digestione, e pregiudizio alla salute, in vece dell’ideato e supposto vantaggio, come l’esperienza lo dà a conoscere, e ciò segue a motivo di essere un cibo del tutto diverso dall’ordinario.

Passati i pericoli dell’inverno, altri s’incontrano nell’erba tenera della primavera, perchè essendo questa di poco nutrimento è molto purgativa, quanto è giovevole e vantaggiosa a quel bestiame ch’è in tuono, e che ha bastante forza per poter resistere alla purga sua (poiché questa lo libera da tutti quei cattivi umori, che nel corso dell’inverno sono stati prodotti in esso dal cibo meno proprio, del quale hanno dovuto più o meno nutrirsi) altrettanto è nociva per le medesime ragioni a quello che si è per la debolezza reso incapace di potervi resistere; poichè restando privo di nutrimento quando più ne ha di bisogno, cresce in esso quella debolezza che lo fa soccombere alla medesima; per dar riparo a un tale sconcerto convien separare questi da quelle partite, nelle quali si ritrovano per supplire col governo, prima di metterlo in pastura, a quell’insufficienza di nutrimento dell’erba tenera che apporta pregiudizio senza lasciare di profittare dell’avvantaggio che porta la purga necessaria in essi, anche più degli altri, come lo dà a divedere l’impressione maggiore che ha fatto nei medesimi l’incomodo sofferto nell’inverno, per prevenire le conseguenze che porterebbero seco gli umori nocivi non evacuati; si tengano dunque anche questi dentro, come si è detto della gioventù tenera, a quel governo ch’è loro necessario di trita di fieno, e di erba seminata, mescolata con semola, o d’erba sola seminata già venuta in sostanza più o meno, a seconda che si conosce il bisogno particolare loro, e solo quando è asciutta la guazza si mettano in pastura, ritirandoli dentro la sera per poter loro dare il governo sopraddetto, e durando così finchè l’erba di campagna, non ha perduta la facoltà purgativa.

E se nonostante questa precauzione vi resta alcuno bisognoso d’assistenza, segno evidente è che ha qualche particolare imperfezione interna: onde conviene ricorrere al preservativo, e rimedio della polvere d’Antimonio con ritirarlo dentro all’ora del meriggio, che il bestiame sta in riposo senza pasturare, per dar tempo al cibo che faccia la sua digestione, e dargliela in una adequata porzione di semola, che così non li viene interrotta la pastura, e mangiata che l’abbia, rimetterlo nella sua libertà primiera, continuando così fino a tanto che non si vegga la sua salute posta in sicuro da ogni pericolo.

Tutto ciò devesi praticare anche in tutte le altre stagioni, quando si riducono in tale stato, subito che si comincia a vedere il deterioramento, senza aspettare che siano caduti ammalati.

Dall’avere osservato che il siero, o sia linfa del sangue dei Cavalli magri, che stentano a pigliar carne (ancorchè ben governati) raffreddato che sia, è sempre cotennoso, ed estremamente resistente al taglio, e difficile a risciogliersi, e tal volta si mantiene così condensato dei giorni, senza fare una goccia d’umido, quando quello dei graffi appena rappreso gentilmente, poco tempo dopo da se si riscioglie, sono venuto in cognizione che per assottigliarlo perchè possa fare il suo corso liberamente, ottimo rimedio è il far mangiare a tali Cavalli la semola, o la biada inumidita con acqua salata, o con acqua di mare, ch’è più efficace, per più giorni, o per dir meglio finchè non si è ottenuto l’intento, quando con la cavata preventiva di sangue si è venuto in cognizione di tal consistenza che minaccia sconcerto nella salute; il pigliar carne è una riprova sicura che l’acqua salata produce l’effetto desiderato, e quando li si ricavi, si potrà ciò riconoscere anche col fatto: onde in tal caso può il custode prevalersi di questa, in vece della polvere d’Antimonio, perch’è più pronta, e di meno spesa, in specie quando si abbia si comodo dell’acqua di mare; se poi lo smagrimento è cagionato da ostruzioni formate, non ha meno attività di scioglierle della polvere d’Antimonio, quella del ferro limato, come l’esperienza mi ha fatto toccar con mano, e però anche questa può darsi ai Cavalli nella semola con profitto.


Della Merca.

Il mese d’Aprile, fuor d’ogni dubbio, è il tempo più opportuno per fare la Merca, la riforma, e la scelta delle Cavalle da destinarsi alli stalloni.

Il merco è un contrassegno che si fa nella ganascia, overo nella coscia, o nella spalla destra dei Cavalli, sì maschi che femine, con impiastri o acque caustiche, o sì vero con ferro infuocato per distinguere una razza dall’altra, ed insieme indicare la proprietà del padronato; e nelle razze selvatiche è molto opportuno anche per poter riconoscere, giustificare, e rintracciare rintracciare con più facilità quelli che s’allontanano dal branco, e vanno dispersi.

Ciascun padronato lo destina nella sua razza a suo talento; chi si serve d’una cifra, chi d’un numero, chi d’una Corona; taluno v’imprime l’arme propria, e finalmente chi la forma con la lettera iniziale del proprio nome; e non torna male che il merco della coscia indichi il padronato, e quello della spalla la qualità, e specie della razza; con l’impronta d’un C, si denota ch’è di razza corsiera, cioè da Carrozza: con un G. ch’è Ginetta vale a dire da sella: con S. I. B. ch’è di sangue Spagnuolo, Inglese, o Barbero.

Nelle razze accreditate il merco apporta di più il vantaggio, che non possano essere confuse con le altre, cogliendo ai sensali il modo di potere ingannare il compratore, con farli credere che un Cavallo d’una razza vile, e di poco valore, sia di razza distinta, e di pregio.

In quelle razze, dov’è il pericolo che qualche Cavallo si smarrisca, o sia trafugato dalla poca fedeltà del Custode, o per qualunque altra causa, è indispensabilmente necessario che sia mercata la gioventù nel terminar dell’anno.

Ma siccome l’impressione che deve fare il ferro infuocato non può succedere, se non si getta a terra quello che deve riceverla per legarlo in forma che nè punto nè poco si possa muovere nel sentirsi scottare, affinchè il merco non rimanga difettoso, così nel farlo è d’uopo di usare tutta la diligenza ed attenzione possibile, perchè al medesimo non segua danno, o stroppiatura.

Perciò prima d’ogn’altra cosa devesi coprire di paglione, o di fieno tutto il terreno della mandria, dove devesi fare l’operazione, perchè cada sul morvido; indi approntata la lacciaia, ch’è quella corda lunga braccia venticinque, ad un capo della quale è fermato un anello tondo di ferro, in cui s’ infila l’altro capo per formare il cappio scorsojo, e questo si getta al collo del Polledro da un’adeguata distanza con destrezza, tanto quando sta fermo, che quando fugge, lasciando scorrere nell’istesso tempo che si getta, la fune che si ha raccolta in mano, quel tanto che fa d’uopo per arrivarlo, e con ritirarla a se subito che il cappio, entrato per la testa, va a cadere sul collo, egli resta preso, perchè il medesimo si serra immediatamente.

Approntata dunque la lacciaia, tirata, e preso il Polledro per il collo, se ne prenda allora un’altra e raddoppiata, si getti la parte di mezzo parimente sopra il collo, nel tempo che il Polledro lo stende in avanti per contrastare con quella, che lo tiene, informa che si possa ripigliare il capo di sotto al medesimo collo per infilare in esse il restante della corda raddoppiata, ed infilata che sia e scagliata tra le gambe di dietro, due garzoni ne piglino un capo per uno, ed accomodata ciascuno d’essi la sua corda alla pastoja del piede di dietro, che resta dalla sua parte vadano ambedue ad infilare il capo della corda che hanno in mano, nel cappio scorsojo che la medesima ha formato intorno al collo, e tornati in dietro tirino con forza verso di loro la medesima corda tanto che le anche siano obligate a ripiegarsi sotto la pancia, in forma che restino incapaci di poter più sostenere il peso della macchina: onde questo sia obligato, secondando adagio adagio la piega loro, a cascarli sopra senza far colpo alcuno, nella forma istessa che segue, allorchè si colca da per se per prender riposo; e perchè ciò possa riuscire con più facilità e più presto, quegli che lo tengono davanti, nel tempo istesso che quelli di dietro li tirano le anche sotto, devono allentare la loro tenuta, tanto che possa dare addietro e maggiormente metter sotto le anche, perchè più presto restino prive d’attività di poterlo sostenere in piedi.

Caduto che sia, subito un garzone li metta le ginocchia sue sul collo, e presoli con le mani il muso glie lo tenga alto da terra, ed un altro di dietro gli agguanti la coda, e fattagliela passare tra le cosce glie la tenga ivi con forza, perchè non possa più agitarsi nè davanti, nè di dietro, e per impedire che non si faccia male agli occhi, nelli sforzi che fa per sottrarsi da tal suggezione: li si metta sotto al capo del fieno ad uso di guanciale; indi altro garzone li leghi insieme i piedi d’avanti, e dipoi tirato per forza quanto più si può il piede di dietro, agguantato per la pastora con l’istessa corda, con la quale ha legato i piedi d’avanti, e fattoli incrociare questo sopra i medesimi lo fermi, e dipoi faccia il simile all’altro piede di dietro, come si fa ai capretti quando si vogliono trasportare in qualche luogo; ed allora senza perdimento di tempo deve esserli applicato il merco, ripulito che sia stato prima da una specie di schiuma, che suol fare il ferro nello stare nel fuoco, e perchè possa ripulirsi meglio suole ungersi spesso nel rimettersi al fuoco con della sciugna liquefatta, in specie quando sono molti, quelli che devono esser mercati.

Nel tempo che il Polledro è in terra così legato, mercato che sia, li si devono tagliare crini del collo e della coda, lasciando solo al fondo di questa una spazzola, perchè possa scacciarsi le mosche, ed i tafani dai quali non poco vien tormentato il bestiame tutto nell’estate.

Quattro sono i vantaggi che dal taglio dei crini, fatto in quest’età, si ricavano.

Primieramente, perchè nell’estate possano i sopraddetti vivere meno incomodati dal prudore in essi cagionato dalla forfora, che fra i crini si genera, poichè tagliati che questi siano, viene essa dalla guazza e dalle piogge in gran parte dilavata, e smaltita.


In secondo luogo, perchè i medesimi crini prima, che i Polledri siano rimessi in stalla hanno tutto il tempo necessario per ricrescere più belli, e più forti, e però anche meno sottoposti a strapparsi quando sono sotto il pettine.

Il terzo, è l’utile che di essi si ricava con l’impiego loro dove occorre.

E finalmente, perchè restando il collo di essi privo, non poco giova a mettere in vista la proporzione e finezza dell’incollatura, e della testa, (ch’è la maggior prerogativa di risalto nei Cavalli) ed il difetto di essi; cognizione, che dà luogo all’emenda nei nascituri, con la riforma dell’uno, o dell’altro genitore, dal quale viene il difetto originato, o con un diverso accopiamento di essi, quando questo sia bastante a produrne la correzione; essendo sottoposto a sbaglio quel giudizio che si forma, quando resta coperta all’occhio la vera struttura di esse dai crini arruffati, e mal propri, come gli hanno sempre in quest’età i Polledri di razza salvatica.

S’ingannano, al parer mio, quelli che apprendono per troppo tormentosa l’azione del ferro infuocato che imprime il merco, e che si danno ad intendere che sia di troppo strapazzo il doverli gettare a terra; ma se faranno riflessione che non può seguire un’impressione visibile e stabile, senza che la parte resti macerata, poichè ogn’altra impressione superficiale non è durevole, e siccome una tal macerazione non può farsi senza dolore in parte sensitiva, e non potendoli negare che l’azione tormentosa che dura più tempo, riesca anche più fastidiosa, e di maggior incomodo al paziente, così facile li farà il comprendere che all’opposto del loro sentimento quella del caustico, perchè richiede il tempo di più giorni per compire l’esecuzione, dev’essere più tormentosa ed incomoda di quella del ferro infuocato, perchè improvvisa, subita, e momentanea.

E resteranno maggiormente convinti dello sbaglio, nel dovermi accordare che il poterli mercare in piedi non apporta utile, nè vantaggio alcuno, perchè il supposto strapazzo del gettarli a terra è del tutto ideale, e senza fondamento di ragione; poichè non può mettersi in dubbio che eseguita una tale azione, come sopra ho dimostrato nella maniera appunto che segue quando il Cavallo si getta in terra da se volontariamente per prender riposo, non può apportare il minimo pregiudizio nell’esterno suo, ed il violentarlo ad eseguir ciò per forza, senza il concorso della volontà che cagiona interna commozione ed agitazione nello spirito, porta seco vantaggio, in vece dell’ideatosi danno, e pregiudizio, perchè così si comincia di buon’ora a far conoscere ai Polledri l’obbligo che hanno di doversi adattare alla subordinazione dell’uomo.


Non hanno meno paura dell’uomo i Polledri, di quella che hanno i ragazzi del maestro per timore che sia per far loro del male, che però quando lo sentono o lo vedono, fuggono, si nascondono, e scappano, quando possono farlo; e se a motivo delle carezze che da esso ne ricevono, perdano un tal sospetto, li pigliano il sopravvento, di maniera che ad ogni minima correzione li rispondono becco becco, ed i più risentiti e coraggiosi si rivoltano, quando egli minaccia di percuotergli come se la cosa fosse del pari, e non vi corresse differenza alcuna tra di loro; ma se da esso sono castigati in forma, che siano obbligati a riconoscere la sua autorità e superiorità, e di non poter con esso competere, il sospetto si cangia nell’animo loro in timore del castigo, che gli obbliga alla sommissione, per sottrarsene, e le carezze che avevano loro fatto pigliare ardire sopra d’esso, fatte loro in questo tempo cangiano di natura ed in vece dell’animosità, promuovono nel loro interno la gratitudine verso di lui, e l’affetto; poichè arrivano così a capire che il castigo non viene dato loro dal maestro per puro capriccio come si supponevano, ma solo perchè eglino stessi li vanno incontro, e se lo procacciano col mancare al loro obbligo nello sfuggire la dovuta sommissione, e restano convinti ch’è in loro balia l’essere accarezati, o gastigati; e però divengono docili, e pronti a far tutto; così segue appunto nei Polledri di tenera età, i quali hanno sospetto dell’uomo da principio, perchè credono che sia per strapazzargli e far loro del male; assicurati poi dalle carezze che non è così, i maligni ed i più coraggiosi e superbi, pigliano ardire, e ricusano la subordinazione, e se il Cavallerizzo non sa obbligarveli, in forma, che conoscano l’impossibilità di poter competer seco, e se riesce loro con la vittoria d’aver luogo di lusingarsi di potersene esimere, pigliano il sopravento, e difficilmente si può ottenere da essi quella docilità che si vuole esigere, e per questo molti vengono rigettati per incorreggibili; e quando si arrivi ad ottenere l’intento, ciò non segue, che dopo lungo tempo di contrasto, e con tutto questo non sono eglino mai di quell’esatta obbedienza ch’è necessaria, perchè mancando loro il raziocinio non ha luogo la ragione di convincerli, e non vi è che la forza, che possa loro incuter quel timore che in vece della ragione gli mette in dovere; e però altrettanto è di vantaggio, che la prima volta che fanno prova della loro forza e coraggio, per esimersi dalla subordinazione dell’uomo, restino convinti della loro insufficienza a potervi riuscire, quanto e dannoso e di pregiudizio che ottengano con la vittoria il loro intento; perchè incoraggiti da un tal lusinghevole successo non così facilmente in avvenire si danno per vinti, allorch’è d’uopo di obbligarveli in età più avanzata, perchè essendo dotati di maggior coraggio e forza, sono meno sottoposti a perdersi d’animo, e però molto opportuno è che una tal prova segua in quest’età sì tenera, incapace di poter fare resistenza.

Della Riforma.

Il numero che forma tutto il corpo della razza, deve esser correlativo all’estensione della pastura assegnatasi, perchè l’eccesso di esso fa perire quegli che vi sono di più, ed il minore di quello che la medesima pastura può nutrire, fa perdere il frutto maggior che si potrebbe da essa ricavare; deve dunque a tal fine il direttore di essa por riparo a tale sconcerto con la riforma delle Cavalle di soprannumero, togliendo via dal branco primieramente tutte quelle nelle quali si è scoperto qualche difetto ereditario, sì di spirito che di corpo, e le sterili, e quelle che non allevano bene per scarsezza o mancanza di latte, e dipoi quelle che hanno passata l’età, capace di formare dei buoni allievi, o che i prodotti delle quali degenerano, e tutte quelle che terminati i quattr’anni, che avanzano alla scelta fatta, rimpiazzate quelle che sono morte dentro l’anno, e le riformate, e devonsi riformare nella gioventù, quelle che vengono stentate, e che si conosce che non sono capaci di formarsi col crescere dell’età, come dovrebbero fare.

Eseguita tal riforma si faccia un branco da per se, e si mandi in pastura separata, per scaricare, e lasciare libera quella, dove devesi fare la monta, affinchè possa rivestirsi d’erba per poter supplire al bisogno a suo tempo; ed a quest’effetto si faccia passare in altro luogo anche tutta la gioventù, perchè possano restar libere da ogn’impaccio, quelle che devono essere incamerate con gli stalloni.

Fatta la merca, e la riforma convien far la scelta delle Cavalle che devono andar sotto lo stallone, per formare a ciascheduno la sua camerata, a seconda che richiede la specifica qualità loro, con la regola e metodo indicato nel Capitolo antecedente a questo, perchè giunto il mese di Maggio possa il custode, separate le Cavalle pregne, assegnar le sode al suo respettivo stallone, nel modo divisato di sopra, e di mano in mano che le altre figliano, andare accrescendo loro la camerata, fino all’intero compimento. In questo tempo cade anche la raccolta del fieno.

Terminato poi quello della monta, con il terminare la stagione della primavera, o quel più ch’è necessario, quando si vede che le Cavalle non sono anche sodisfatte, e che li stalloni seguitano a operare, si mandino gli stalloni che devono restare in campagna nel branco dei Polledri, e si ritirino in stalla quegli che devono tornare al loro servizio nelle loro respettive scuderie, e si tengano questi qualche giorno a erba e semola, per non li rimettere subito di punto in bianco al secco; dall’erba si facciano passare al fieno, con la solita semola, e dipoi si rimettano alla paglia, e biada, dopo aver loro allentata la vena, che così si scansa, o almeno si minora lo sconcerto che cagiona nello stomaco, e nella digestione la mutazione del cibo; e tornati a loro servizio, li si dia la polvere d’Antimonio per rinfrescargli, e garantire la salute loro da qualunque pregiudizio che possa aver loro apportato il sofferto incomodo, ed insieme per ripromuover loro l’appetito, che gli faccia ritornare in carne più presto.

Immediatamente che sono stati levati dalle Cavalle li stalloni, si passi a separare le figliate dalle sode, facendo due partite per rimettere il corpo della razza nell’istess’ordine, e regolamento in cui era prima dell’operazione della monta, e si mandino nella nuova pastura statali assegnata per la stagione dell’estate, e nel tempo istesso, avendo un tal comodo, si mandi il branco dei Polledri in montagna.

Quando nella primavera cadono spesse ed opportune pioggie, l’erba del terreno secco, e arido, (come lo dev’esser quello delle razze) viene di tal sostanza nella fine di questa stagione, e nel principio della susseguente, che mangiata dal bestiame, cagiona in esse quel male che chiamasi anticuore, il quale fa cader morto all’improviso quello che è grasso ed in tuono.

Onde per por riparo a sì grand’inconveniente, è d’uopo che il custode subito che vede l’abondanza della pastura, divida il magro dal grasso, e faccia sfiorire e snervare al primo che ha bisogno di maggior governo la medesima, e dopo così snervata, vi faccia passare il secondo, al quale è di bastante nutrimento anche la poca che vi resta, e così si rimedia all’eccesso che cagiona quell’intemperanza da cui dipende lo sconcerto, e nell’istesso tempo si provede al bisogno dei magri, e di dannosa si fa divenire utile e di profitto.

Ma se non ostante tutta la diligenza usata qualcheduno viene attaccato da questo male (ciò che suol succedere a quelli di buona bocca, che mangiano più degli altri) è forza di ricorrere al rimedio del fuoco, per tagliar loro il corso prima che s’interni.

Suole l’anticuore attaccare le parti d’avanti più spesso che quelle di dietro; si conosce da un’enfiagione, che apparisce nel suo principio nell’esterno del collo, o nel petto, quale immediatamente s’interna verso il cuore, e giunta ad esso lo fa cader morto e però chiamasi anticuore; e quella che apparisce nelle parti di dietro, internata che sia dentro, fa perdere subito quella parte ch’è attaccata senza rimedio; si conosce anche dalla malinconia e dall’inappetenza quel Cavallo, che ne è attaccato; il suo rimedio è d’allentargli immediatamente la vena del collo della parte opposta, a quella ch’è aggravata, e con un ferro, in forma di coltello, nella sua punta infuocato fare una riga che circondi tutto l’intorno dell’enfiagione, per impedire che non si dilati, e dipoi nel mezzo di questo circolo si formi una croce, con due altre linee di fuoco, e nello spazio con dei bottoni o punte, che penetrino la pelle, si procuri per tutto un’abbondante evaporazione al di fuori, con ungere le cicatrici con della sciugna, perchè restino esenti dalla crosta che l’impedirebbe, ed è meglio il metterci, in vece di questa, un impiastro che abbia l’attività di tirare a se l’umor maligno, perchè possa con più facilità svaporare; se tal rimedio sarà applicato nel principio del male, prima che abbia preso possesso, egli non porterà pregiudizio alcuno all’animale, ma in caso diverso converrà ricorrere ai medicamenti proposti nel Perfetto Marescalco di Solleysel, o nell’anotomia del Senatore Carlo Ruini; e quando prema che il segno che lascia la cicatrice del fuoco non deformi la parte, può farsi prima l’apertura, a seconda del pelo, con una lancetta, ed in questa dare il fuoco col ferro introdotto in un cannello di canna che impedisca, che i labbri della pelle possano esser lesi dal fuoco.


Inoltrata che sia la stagione dell’estate, allorché le piscine d’acqua piovana restano asciutte, si deve ripulire il loro fondo da tutte le feccie pregiudiciali, che ivi si sono formate, e fare il simile anche a quelle di polla, data la via all’acqua nella miglior maniera possibile, perchè dalle prime acque possano essere rinnovate.

Se la pastura è abondante d’acqua corrente, colla quale possa inondarsi il terreno, v’è chi si dà ad intendere che con questa si possa mantenere nella stagione d’estate l’erba fresca con ripromuovere con l’inondamento una nuova vegetazione nella radica sua, e nel seme da essa di recente caduto, ma l’esperienza con farmi toccar con mano, che il forzare con questo le radiche ad’una nuova produzione, le snerva inutilmente, perchè l’erba che nasce non avendo tempo di pigliar sostanza è sciapita, e però vien ricusata, ed abbandonata dal bestiame: e quella che proviene dal seme caduto non è appena nata, ch’è bruciata subito dall’eccessivo calor del Sole, assieme con le barbe ch’egli ha gettate, per essere tanto l’una che le altre troppo deboli per poterli resistere, onde in vece d’apportar profitto, e quel sollievo che uno s’idea al bestiame, apporta danno, poichè lo sforzo cagionato alle radiche dalla replicata, forzata, e intempestiva produzione, ed il nocumento sofferto dalle tenere barbe del seme, a motivo della medesima, non può a meno che abbia in essi cagionato uno sforzamento tale, che gli abbia resi incapaci di poter rendere il dovuto frutto nella nuova stagione, e che per conseguenza questa debba essere per la parte loro mancante di tal necessario prodotto; onde io non posso arrecarmi a consigliar nessuno di prevalersi di questo comodo in terreno secco e arido, se non in congiuntura di dover promuovere la vegetazione dell’autunno, quando mancano le necessarie pioggie nel mese di Settembre, per far che l’inondazione supplisca alle loro veci, ancorchè la creda opportuna anche nel sopraddetto tempo in terreno grasso e fertile di natura, per il nutrimento delle vacche lattanti di cascina; perchè l’umido naturale, o sia grassezza di questo terreno resiste, e mitiga il calor del sole, ciò che non puol fare il secco ed arido di natura, e però in questo l’erba vi granisce, e piglia sostanza, ed all’opposto nell’altro, per mancanza dell’umor nutritivo della terra, resta il prodotto suo in questo tempo insipido, perchè è privo di quel sugo che gli da il sapore, e la virtù nutritiva.

Quando cade al suo tempo la pioggia nel mese di Settembre, e che va asciutto quello d’Ottobre, il terreno riposato e rinvigorito dal calore dell’estate, appena ch’è inumidito, somministra l’umor vegetativo alle radiche dell’erba, e al seme che deve nascere, e viene rivestito di tale abbondanza di pastura, ch’è sufficiente a supplire anche al bisogno dell’inverno, perchè divenuta in sostanza prima che seguano le brinate, resiste alle medesime senza ricevere nocumento; ma all’opposto quando la pioggia indugia a cadere nel fine del mese d’Ottobre o di Novembre, l’erba che nasce, essendo troppo gentile e debole, allorchè sopravengono le brinate, riceve da queste tal pregiudizio, che gran parte di essa va a male, e però il terreno resta privo della necessaria pastura; quindi è che il bestiame deve essere soccorso col fieno, e però quello ch’è mancante di esso perisce.

Nell’Autunno devono essere riscavati tutti quelli scoli che si sono ripieni, perchè l’acqua possa avere il suo corso, e lasciare libera la pastura, e nella primavera, è d’uopo che stano per l’istessa ragione ripuliti dall’erba, che glie lo rattiene.

Cade nel fin’dell’anno la rassegna della razza, vale a dire nel fine di Decembre, perchè possano esser saldati i libri, e reso conto dai Ministri a chi si aspetta di tutto ciò ch’è seguito in esso:

Se la stagione si mantiene dolce, si può indugiare fino a questo tempo a far passare le partite che compongono il corpo nella pastura destinata per l’inverno, ma quando segua diversamente, è d’uopo che il cambiamento di pastura preceda la rassegna perchè questa non deve farsi che alla fine dell’anno, come si è detto, e molto più il ritiro degli stalloni, e dei Polledri di tre anni e mezzo, che convien rimettere in stalla in questo tempo; i primi per garantirli dall’intemperie dell’aria dell’inverno, perchè nella primavera possano trovarsi lo stato di poter fare la loro funzione, ed i secondi per domargli, affinchè nella medesima possano mandarsi nelle respettive loro scuderie.

Essendo regola generale d’impedir loro sempre il patimento, così conviene aver l’avvertenza di mettere in esecuzione il rimedio, prima che abbiano sofferto il minimo incomodo; quindi è che quelle precauzioni che si pigliano per prevenire l’inconveniente che sovrasta, è forza che siano messe in opera per tempo: Onde qualche giorno prima che cominci a inrigidire l’aria, deve seguire il passaggio della razza nella pastura da inverno, e la rimessa degli stalloni e Polledri in stalla, perchè vi entrino freschi, ed in forza, affine che possano superare con più facilità l’incomodo che non può a meno d’apportar loro la diversità del cibo, essendo di gran pregiudizio, che questa succeda in quelli che hanno patito e sono divenuti magri, e che per conseguenza hanno bisognò di ristoro, poichè un tal nuovo disturbo nello stomaco, essendo del tutto opposto a quello che richiedono, non poco pregiudica alla salute, ed in vece di risarcire il danno sofferto, vien loro dal medesimo accresciuto: onde stentano per questo più degli altri a riaversi, se pure non cadono ammalati, e vanno a perdersi, se non hanno complessione assai forte e robusta, per poter resistere a sì gran sconcerto; e di qui avviene che cresce la perdita della gioventù tenera, ed in specie dei lattonzoli spuppati, quando si rimettano in questo stato; e però in questo caso tutti quelli che cominciano a smagrire di qualunque sorte siano, devono essere rimessi prima degli altri, senza riguardo alla stagione ancorchè la campagna sia abbondante di pastura, quando si conosce che non profittano, essendo segno che hanno bisogno del preservativo dell’acqua salata, polvere d’Antimonio, o limatura di ferro come ho proposto a suo luogo.

E’ superfluo qui replicare quale sia il governo che devono aver gli stalloni ed i Polledri di rimessa in questo tempo, e quale sia la maniera che si deve tenere per far perdere a questi la selvatichezza per rendergli mansueti e docili, perchè dei primi si è dato contezza a suo luogo in quest’istesso trattato, e dei secondi l’ho fatto ad estensum nel Capitolo primo della parte seconda in quello dell’obbedienza del Cavallo a questo annesso.

Nell’inverno dev’esser cura e premura di chi s’aspetta, di far tagliare le macchie da profitto che sono venute in taglio, e dei pruni, e macchia bassa che nasce da se, e occupa la pastura affinchè questa sia sempre pulita, e abbondante, e di far potare a suo tempo le siepi che separano una pastura dall’altra, perchè si possano mantener folte e impenetrabili; il risarcimento poi dei palancati, Fabbriche, e d’ogn’altro bisognevole d’ogni genere, nessuno eccettuato, conviene che sia fatto in tutti i tempi, e nel momento istesso che qualunque cosa si guasti con somma premura e diligenza, perchè mai possa mancare cosa alcuna che apporti disordine e sconcerto al sopraddetto indicato regolamento.

Per dar compimento intero a questi due miei trattati, sarebbe senza dubbio necessaria l’aggiunta d’un terzo che indicasse il modo di ferrare i Cavalli e quello di medicargli quando cadono ammalati; ma siccome quest’è un’impresa superiore al mio talento e fuori del mio assunto, ch’è solo di mettere in vista ciò che ho potuto scoprire, secondando le tracce della natura, che per anche non è renduto in cognizione ad altri, ed essendo a ciò stato supplito ad estensum e compitamente dal senator Carlo Ruini con la sua Anotomia stampata in Bologna l’anno 1618. e da Solleysel col suo Perfetto Manescalco ristampato per la quinta volta in Parigi (che è il più corretto, ed il più ampliato di tutti quelli che a me sono noti) nell’anno 1680.; così inutile sarebbe stata ogni mia fatica, perchè non averei potuto dire di più di quello che hanno detto questi due insigni Autori oltre molti altri che sopra l’istesso soggetto con applauso universale hanno scritto; quindi è che potendosi da chiunque aver ricorso ai sopraddetti autori nel suo bisogno, non resta dalla mia mancanza apportato pregiudizio alcuno in questo genere al pubblico.

Non credo mal’a proposito di dar termine a questo mio trattato con esporre al pubblico diversi casi particolari che ho veduto succedere nell’osservare gli andamenti della natura, tanto più che non mi è ignoto qual sia la difficoltà che s’incontra d’indurre a cambiar sentimento, chi da lungo tempo ne ha adottato uno diverso, quando è appoggiato all’opinione comune, poichè alcuni di questi servir potranno di conferma e di riprova, di quanto ho detto contro l’opinione universale; ed altri potranno servir di lume alle ricerche dei filosofi, e di divertimento agl’amanti delle novità.