Amor, tu vuoi di me far tante pruove

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Lorenzo de' Medici

XV secolo Indice:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu Letteratura Canzone V. [Il poeta lascia la via trista dell’amore e dá a miglior vento le sue vele.] Intestazione 3 ottobre 2023 100% Da definire

Una ninfa gentil, leggiadra e bella Sí presto il ciel mai vidi alluminarsi
Questo testo fa parte della raccolta Opere (Lorenzo de' Medici)/III. Rime


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canzone v

[Il poeta lascia la via trista dell’amore e dá a miglior vento le sue vele.]


     Amor, tu vuoi di me far tante pruove,
e sí i tuoi servi aspreggi,
quanto piú fedel sono, antichi e interi;
ché piú servire alle tue inique leggi
non vo’, ma per vie nuove5
andare e ricercar nuovi sentieri;
perché non par ch’io speri
nel vecchio altri piacer che affanni e pianti,
sospir, paura, vergogna, ira e disdegno.
Cosí avess’io il tuo regno10
conosciuto e la vita degli amanti,
quel dí che i casti e i santi
pensier miei in tutto volsi
a te, che dimostravi darmi pace,
quando me a me tolsi,15
che quanto fu piú presto men mi piace!
     Io m’ero senza alcun riserbo dato,
e per piú vero segno
della mia intera, pura e vera fede,
non prezzo alcun, ma il cor li die’ per pegno;20
e ’l dominio e lo stato
di me libero prese, ove ancor siede;
sperando che merzede
dovessi aver de’ miei gravosi affanni,
e di mille promesse che almen una25
fussi vera, e Fortuna
qualche volta mutassi volto e panni.
Or la fatica e gli anni

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mi veggio avere al tutto
perduta, e l’etá mia florida e verde,30
senz’altri fiori o frutto,
ché ’l tempo piú che un tratto non si perde.
     Ma non è maraviglia s’io fui giunto,
semplice e giovinetto:
sotto tal ésca mi mettesti l’amo;35
perché non mortal cosa per oggetto
mi desti l’ora e ’l punto
che facesti che ancor servo mi chiamo,
perché chi mi fe’ gramo
cosa divina parve agli occhi miei;40
né credo che ingannar potessi o voglia,
onde i pianti e la doglia,
ch’io ho sofferti per seguir costei,
giá corsi solar sei,
mi fûr piacer, ma ora,45
ch’io veggo esser fallace ogni mia spene,
sendone al tutto fòra,
Amor io lascio i lacci e le catene;
     e do le vele mie a miglior vento,
che in sí crudel tempesta50
non era il navigar senza periglio.
Lascio la vita lacrimosa e mesta
e ’l faticoso stento;
e nuova via, altro governo piglio,
e con miglior consiglio55
reggo la barca mia fra le salse onde,
ch’era giá sí vicina ad uno scoglio.
Per altro mare ir voglio:
la stanca prora vo’ drizzar d’altronde,
ove non si nasconde60
sicur riposo e porto,
che poco innanzi m’era sí lontano.
Fammi il passato accorto,
e la fatica e ’l tempo perso invano.

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     E’ mi s’agghiaccia nelle vene il sangue,65
quand’or meco ripenso
la dura vita perigliosa e ria,
e come quasi perde ciascun senso
chi un venenoso angue
passando calca in mezzo ad una via;70
che poi vie piú che pria
teme, giá sendo del pericol fòre,
non conoscendo il mal allor quand’era;
e quella crudel fèra,
la qual calcato avea con franco core,75
rimira con maggiore
temenza giá sicuro;
cosí riguardo il mio viver indrieto,
rigido, impio, aspro e duro,
né so ben qual son piú, pauroso o lieto.80
     Canzona, poi che abbiam mutato stile,
non far l’usata via,
conforta a libertá l’alma gentile.