Antico sempre nuovo/Relazioni sull'insegnamento del latino nella scuola media

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Relazioni sull'insegnamento del latino nella scuola media

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Relazioni sull'insegnamento del latino nella scuola media
Ai cortesi lettori Il latino nelle scuole
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RELAZIONI
SULL’INSEGNAMENTO DEL LATINO,
NELLA SCUOLA MEDIA

I.1


Eccellenza,

Chiamati con esempio, che parrebbe non avesse dovuto essere nuovo, come è, a indagare cause e accennare rimedi di mali, di cui noi più direttamente soffriamo, presentiamo all’E. V. il risultato delle nostre modeste conversazioni, con la speranza che al nobilissimo proposito dell’E. V. non sia per mancare l’effetto desiderato, come non è mancato in noi l’amore e lo studio per rispondere meno indegnamente al degnissimo invito. [p. 2 modifica]

Quesito Primo

«Indipendentemente dall’attuale ordinamento a degli studi classici, quali possono essere le cagioni principali dello scarso profitto del latino nei Ginnasi e nei Licei? E quali i rimedi?»

Causa principalissima dello scarso profitto del latino negli Istituti classici noi crediamo il fatto che le nostre scuole sono popolate e affollate di troppi giovani che non hanno attitudine alcuna a tali studi. Sono questi, che nella scuola screditano i nostri umani studi colla loro inerzia, di cui danno colpa a tutt’altro o tutt’altri che a sè stessi; e sono forse i medesimi che, fuori della scuola, inveiscono contro la lingua morta che rivivificò la terra dei morti: inveiscono filando ragionamenti con la sicura coscienza di cieco che parli di colori a cieco. Inoltre sì questi e sì gli altri meglio naturati vengono a noi senza una sufficiente e conveniente preparazione elementare. Dal Ginnasio al Liceo, dal Liceo all’Università è, per così dire, un ponte; dalle Elementari alle scuole Classiche un fosso. Il fanciullo al suo primo entrare nel Ginnasio prova una meraviglia, uno stordimento, uno sbigottimento, del quale spesso non si riavrà mai: parole nuove, strane, di colore oscuro. Ora se da una parte si fa ben poco per preparare il fanciullo a tale novità, dall’altra non si fa molto per diminuire l’effetto di tale smarrimento: qualche volta si cerca d’accrescerlo. Alcuni de’ nostri bravi colleghi, come per pietà di quelle tenere intelligenze, seguono un metodo troppo empirico; e non fanno bene. Altri, con rispetto maggiore della [p. 3 modifica]scienza che della disciplina, si mettono in una via troppo teorica; e fanno male. Procedendo, si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica. I più volenterosi si svogliano, si annoiano, s’intorpidiscono; e ricorrono ai traduttori non ostinandosi più contro difficoltà che, spesso a torto, credono più forti della loro pazienza. E l’alunno, andando innanzi, si trova avanti ostacoli sempre più grandi e numerosi; a mano a mano che la via si fa più erta e malagevole, cresce il peso sulle spalle del piccolo viatore. Le materie di studio si moltiplicano, e l’arte classica e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso. Anche nei Licei, in qualche Liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un’ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come può, dal Liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de’ quali ogni linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio. E le famiglie, che condussero per mano il fanciullo alla nostra scuola, senza fede nell’umanità de’ nostri studi, con una specie d’obbedienza dispettosa e riottosa alla legge per loro assurda, che segna sì lunga e aspra via per giungere al titolo e alla posizione, le famiglie assistono sovente inerti all’inerzia, malcontente giustificano il malcontento del fanciullo e giovinetto che perde il tempo con noi.

Queste le cause: troppi alunni nelle scuole classiche negati agli studi classici; preparazione a tali studi nè conveniente nè sufficiente; insegnamento [p. 4 modifica]spesso o troppo teorico o troppo empirico; poca lettura e poco viva e vitale; uso e abuso di traduzioni nei lavori assegnati per casa; molteplicità di materie; aridità di esposizione; le famiglie inconscie della natura e dell’utilità degli studi classici e indifferenti ai portamenti e ai successi del giovane alunno. Ciò in generale: non mancano davvero i buoni scolari, assecondati da saggie famiglie e guidati da ottimi maestri: potremmo anzi dire che di scadimento non si parlerebbe in confronto anche di tempi creduti molto più felici per lo studio del latino, se si paragonasse il numero assoluto dei buoni d’ora e d’allora, lasciando la proporzione tra i buoni e i cattivi.

I rimedi? Sono umili proposte, Eccellenza.

Si desidera maggior rigore negli esami di ammissione alla prima classe ginnasiale, e negli esami, generalmente, delle prime classi. Nella prima classe si impieghi il primo bimestre esclusivamente in esercizi pratici di grammatica e lingua italiana, quale preparazione allo studio del latino, nè s’incominci lo studio del latino se non dopo che il professore si sia assicurato dell’italiano. E il latino si studi prendendo per base e punto di partenza l’italiano, e le due grammatiche abbiano uguale terminologia e metodo. Si provvedano queste prime classi d’insegnanti sempre adatti al difficilissimo officio, abolendo l’odiosa distinzione tra essi e i professori del Ginnasio superiore e del Liceo, acciocchè ognuno resti volentieri nella classe e nell’officio a cui ha maggiore attitudine. Così può sperarsi che lo studio del latino sia reso attraente sin dal principio e abbia saldo e sicuro fondamento. [p. 5 modifica]

Nell’insegnamento il professore si tenga ugualmente lontano dal metodo esclusivamente empirico e dal metodo puramente teorico. Nè vieti sistemi, nè troppa filologia. Il metodo corrisponda tanto alle esigenze della scuola quanto a quelle della scienza. E si tengano gli alunni sempre desti, attenti, curiosi; quando si offra l’opportunità, si diano loro, per esempio, notizie di mitologia e di antichità pubbliche e private.

Si sprigioni dallo scritto antico tutta la vita che esso conserva. La grammatica dia la chiave dell’interpretazione, ma stia, quando non è necessario, in disparte. L’insegnamento della grammatica sia tenuto ben diviso e distinto dalla lettura e interpretazione dei classici. Si mandi molto a memoria, ma con discernimento: ciò che scese più dentro l’anima, più facilmente e più a lungo vi si conserva.

E l’esame di licenza ginnasiale sia più rigoroso: vi intervenga il professore di latino del Liceo, il quale possa così accertarsi che l’insegnamento grammaticale fu compiuto e lascia aperto il campo a letture più lunghe e studi più geniali. E questo insegnamento deve essere così bene compiuto nel Ginnasio, che nel Liceo non sia necessario fare altre versioni dall’italiano in latino che nella scuola, a dimostrazione di leggi stilistiche, e si debba abolire la corrispondente prova d’esame, oltre che nella licenza, anche nelle promozioni. Nel desiderio tuttavia di abolire la detta prova negli esami di promozione non fu unanime la Commissione; e per la importanza dell’argomento, segniamo i nomi di quelli tra noi che si mostrarono contrari: sigg. [p. 6 modifica]Amoroso, Cima, Decia, Garizio, Tincani, Tosato, Petroni.

In ultimo nel Ginnasio superiore la divisione per materie, desiderabile sempre, ci pare che debba farsi in modo che l’uno dei professori insegni italiano e storia; l’altro latino e greco. Ci pare necessario che e nel Ginnasio e nel Liceo si riducano le materie scientifiche. Esprimiamo il desiderio che uniformi siano i criteri degli ispettori destinati a ispezionare le nostre scuole. Facciamo voti che si stabilisca che nessuna classe o sezione abbia più di trenta alunni.

Tanto in risposta al primo quesito.

Quesito Secondo

«Il metodo scientifico nell’insegnamento della «grammatica latina affretta o ritarda l’apprendici mento della lingua?»

Sono pubblicate, e non sappiamo quanto e dove usate, grammatiche latine, ove i fenomeni fonetici e morfologici sono sistematicamente insegnati e illustrati col lume degli odierni studi glottologici. Che queste siano già buone e ottime, non osiamo affermare; che perfezionandosi, possano dare miglior frutto è da non dubitare; ma in tanto possiamo dichiarare che il metodo che vi regna, con le sue minuzie e lungaggini e necessarie soste e continui richiami alla meditazione e al raziocinio, non affretta davvero l’apprendimento della lingua. Per noi la grammatica più efficacemente didattica è quella che, non dissidendo dalla grammatica condotta secondo [p. 7 modifica]i risultati della linguistica e le sue successive vicende, congiunge alla chiarezza e alla semplicità la giusta e proporzionata partizione della materia. L’insegnante potrà sempre, quando la condizione della classe lo permetta, fornire agli alunni qualche dato della scienza linguistica dei più semplici e accertati, che non confonda, ma chiarisca l’intelletto e aiuti così la memoria.

Quesito Terzo

«Che pensa la Commissione dell’attuale orario assegnato al latino nel Ginnasio e nel Liceo? Che cosa dei limiti del programma nelle varie classi?»

Le ore assegnate al latino non ci pare possano aumentarsi, considerato l’orario complessivo d’insegnamento delle varie materie nelle singole classi del Ginnasio e del Liceo.

Quanto ai limiti del programma, crediamo di dover raccomandare che nelle prime due classi ginnasiali l’insegnamento della morfologia sia accompagnato, quando l’occasione si presenti, colle nozioni più elementari e pratiche della sintassi e che all’insegnamento metodico di questa parte della grammatica si ponga mano fin dalla seconda classe, appena compiuto lo studio della morfologia. Solo anticipando così lo studio della sintassi, sarà possibile al professore della quinta farne una ripetizione generale.

Per il Liceo, desideriamo che la storia letteraria sia distribuita in tutti e tre i corsi e con limiti certi, sì che vi sia uguaglianza d’insegnamento tra tutti gli istituti pubblici e privati. E in questa trattazione ci [p. 8 modifica]pare che il professore nell’illustrare i caratteri generali delle varie età, non debba dimenticare di dare qualche semplice ed elementare nozione sulla storia dell’arte classica. Infine non crediamo necessario lo studio dei metri oraziani tutti: bastano i principali. Piuttosto s’insista, prima di trattarne, sui principii della ritmica onde ogni metro deriva.

Quesito Quarto

«Non crede la Commissione che, prima di promuovere un alunno da una classe all’altra gioverebbe accertarsi, meglio che non si sia fatto finora, ch’egli possiede veramente tutta la materia di studio assegnata alla classe dalla quale esce? Per esempio: l’alunno fa le sue prove scritte di latino; mette in ciascuna tre o quattro errori, più o meno gravi, più o meno leggeri, e se, nonostante quelli errori, le prove nell’insieme paiono passabili, si dà all’alunno l’approvazione con un 6 od un 7. Questo su per giù si fa dove le Commissioni non sono troppo indulgenti: dove l’indulgenza è soverchia, l’approvazione si dà anche a prove meno buone. Intanto queste prove dimostrano che l’alunno non sa ciò che dovrebbe sapere per essere promosso. Così accade che gli alunni salgono da una classe all’altra, e poi dal Ginnasio al Liceo portando con loro una deficienza, alla quale non si rimedia mai. Così accade che gli alunni arrivano alla licenza liceale, senza avere una conoscenza scura, non pure delle regole di sintassi, ma delle forte me dei nomi e dei verbi. Vegga e dica la Commis[p. 9 modifica]sione se non gioverebbe imporre ai professori di fare un programma bene determinato della materia che «debbono insegnare in ciascuna classe, e stabilire «che un alunno non potesse avere la idoneità ed u essere promosso, senza aver dato prova di posse«dere con sicurezza tutta la materia insegnata dal «professore. L’alunno, per essere promosso, non «dovrebbe fare neppure un errore vero e proprio. Potrebbe solo perdonarglisi qualche svista».

D’indulgenza soverchia, pur troppo, si pecca, e un po’ da per tutto; e ciò non è delle ultime cause del poco profitto nello studio, come delle altre materie, così anche del latino. Si adducono spesso, a giustificarla, ragioni speciose: il lavoro è cattivo, ma l’alunno ha studiato durante l’anno; si è confuso, si ammetta agli orali. Questa ragione di scusa dovrebbe piuttosto valere per chi si confondesse, per timidezza, agli orali, dove non c’è tempo e modo di raccogliersi e ricomporsi. Ma ci sembra che pretendere che in uno scritto non si debba trovare alcun errore vero e proprio, sia pretender troppo. Già tra questi errori e le sviste la distinzione non è facile nè sempre possibile: tra dimenticanza momentanea e ignoranza e oblio assoluto aiuta a giudicare un cenno, una scossa, una parola; non la muta carta. Si lascerebbe, a parer nostro, luogo all’arbitrio e alla disparità. E occorre invece, ciò che nè a noi nè agli scolari nè alle famiglie pare ci sia ancora, un criterio unico. Cosicchè sarebbe nei voti di tutti fissare una norma per giudicare gli alunni in modo uguale nei vari Istituti classici. Ma fondarla sul numero degli errori, non ci pare pratico se non forse nelle classi inferiori del Ginnasio, dove l’esempio [p. 10 modifica]segue più da presso la regola. Nelle classi superiori del Ginnasio e del Liceo, si deve tener conto dell’insieme, perché troppi più elementi concorrono all’elaborazione d’un compito. Utilissimo invece teniamo imporre ai professori di fare un programma bene determinato della materia che debbono insegnare in ciascuna classe. E non solo farlo, aggiungiamo noi, ma comunicarlo agli alunni, i quali così, conoscendo sin dal principio dell’anno quanto cammino debbano percorrere per giungere all’altra classe, si porranno, giova sperare, in via subito e di maggior lena. Ma anche agli alunni di scuola privata o paterna sia fatto obbligo di consegnare, prima dell’esame, il programma particolareggiato degli studi fatti. Infine noi raccomandiamo che quella sorveglianza che il Ministero esercita, non senza buoni effetti, sugli esami di licenza liceale, si estenda anche a quelli di licenza ginnasiale e, possibilmente, di promozione e ammissione, sì negli istituti regi e sì, e con maggior ragione, nei pareggiati.

Quesito Quinto

«Gli esercizi di traduzione scritti dall’italiano in latino e dal latino in italiano, che si fanno fare nel Liceo, forse, anzi senza forse, sono pochi. Gli alunni, oltre i componimenti italiani, oltre l’obbligo di prepararsi a tutte le altre lezioni, hanno esercizi scritti di matematica e di fisica, e talora anche di storia e di geografia; e spesso si scusano al professore di latino di non poter fare il lavoro scritto per lui, oppressí come sono dalle altre le[p. 11 modifica]zioni. Vegga la Commissione se non si possa in qualche modo rimediare a questo sconcio, e se uno dei modi non potrebbe essere lo stabilire fino dal principio dell’anno scolastico, in una adunanza del collegio dei professori, il numero dei lavori scritti che il professore di latino deve dare agli alunni, determinando i giorni nei quali i lavori debbono essere fatti, e coordinandoli con gli esercizi scritti delle altre materie, e con la preparazione alle altre lezioni, in modo che i giovani non potessero addurre a scusa del non averli fatti la mancanza del tempo necessario. Vegga anche la Commissione se non convenga stabilire che, a parte il componimento italiano, gli esercizi scritti di traduzione dall’italiano in latino e dal latino in italiano, questi in special modo, debbano avere nel Liceo una grande prevalenza, e se non convenga stabilire che non si diano esercizi scritti sulle altre materie, salvo il greco e le matematiche, ma con grande parsimonia. Vegga finalmente la Commissione se non convenga proibire severamente agli insegnanti di scienze di fare scrivere e copiare dagli alunni, come in qualche scuola si fa, le lezioni dettate dal professore, con grande perdita di tempo, che va tutta a danno dello studio delle due materie più importanti, l’italiano e il latino».

Abbiamo già nella risposta al quesito 1º assegnata come una delle cause del poco profitto nel latino la molteplicità delle materie e indicato come rimedio il restringere le materie scientifiche. Riteniamo ora utili ed opportuni i modi proposti nel quesito che ci è presentato dall’E. V.: stabilire a principio dell’anno il numero dei lavori scritti di latino; coordi[p. 12 modifica]narli agli altri lavori, coll'intenzione di far sì che le traduzioni latine abbiano quella prevalenza che si ritiene indispensabile a raggiungere il fine cui si mira; ridurre al minor numero possibile gli esercizi scritti di greco e di matematica e prescrivere che per le altre materie non si abbiano a fare, di regola, lavori scritti, e vietare infine severamente che gli alunni siano obbligati a scrivere o copiare lezioni dettate da professori, i quali, quando non trovassero un libro adatto, potrebbero stamparne uno proprio. Con questo divieto non s’intende però che non sia lecito di fare scrivere talvolta qualche riassunto, o classificazione, o quadro sinottico che valga a meglio ordinare ed imprimere nella mente la materia studiata.

Abbiamo riflettuto ancora che possa contribuire non poco al miglior profitto desiderato una prudente distribuzione dell’orario scolastico, che dovrebbe esser compilato in modo, che alle materie più importanti fossero assegnate le ore migliori, e gli alunni potessero trovar sempre nell’alternata varietà degli esercizi e nel loro graduato svolgimento un certo allettamento a proseguirli, senza sentirsene aggravati o infastiditi.

Quesito Sesto

«Ciò che è detto degli esercizi scritti, il numero dei quali è insufficiente al bisogno, può dirsi della lettura che si fa degli scrittori latini nelle classi superiori del Ginnasio e del Liceo. Ciò che si legge, è in generale, troppo poco. Vegga la Com[p. 13 modifica]missione se non convenga assegnare un minimo di lavoro che in ogni classe alla fine dell’anno debba esser fatto. Tanto del tale autore, tanto del tale altro, ecc.; in modo che alla fine del corso liceale gli alunni abbiano letto de’ principali scrittori quanto basta ad avere acquistato una specie di famigliarità con essi. S’intende che questo maggior lavoro da imporsi agli alunni dovrebbe fino dal primo dell’anno scolastico essere coordinato con quello delle altre materie d’insegnamento. Ciò che si aggiunge da una parte, dovrebbe esser tolto dall’altra, affinchè gli alunni non fossero gravati da un lavoro superiore alle loro forze».

Crediamo che convenga assegnare un minimo di lavoro per ogni classe liceale secondo il modo che è indicato nella prima parte del quesito, pur lasciando ai professori una certa libertà di scelta rispetto agli autori. E se ciò è opportuno per tutte le scuole, è assolutamente necessario per quelle che sono frequentate dagli alunni che studiano privatamente. I quali spesso, abusando della larghezza concessa dai regolamenti ora in vigore, si presentano agli esami di ammissione e delle licenze con tale scarsa lettura e preparazione, da muovere, non si saprebbe, se più a riso o a sdegno.

E questa libertà, del resto saviamente concessa, se offre ai valorosi ed attivi insegnanti più aperto campo a manifestare la loro inclinazione ed attitudine, può d’altra parte aver per effetto, ove non sia temperata con opportuni freni, che i pigri e i meno valenti, usando di essa a lor senno, possano rendere vano quel frutto che si attende e puossi ottenere dai nostri studi nobilissimi. [p. 14 modifica]

Quesito Settimo.

«La prova poco felice degli ultimi esami di licenza fa sorgere il dubbio che gli esercizi scritti di traduzione dal latino in italiano fatti fare dai professori di Liceo ai loro alunni siano, oltre che scarsi, anche poco accurati, che cioè i professori in genere si contentino di una traduzione un pò all’ingrosso, sen£a insistere quanto sarebbe necessario sulla traduzione migliore, che non può es«sere che una. Stima la Commissione che possa e debba farsi in questo proposito qualche utile raccomandazione agli insegnanti?»

Le considerazioni che l’E. V. premette al quesito, sono di indole assai delicata, nè facilmente noi potremmo pronunziarci rispettivamente ai singoli Licei. Può essere che in qualche Liceo gli esercizi siano stati pochi e la cura della forma, dal lato del docente, sia stata inferiore al bisogno o non costante, onde il poco profitto finale. Può anche avere al risultato poco lusinghiero della prova finale di licenza contribuito la brevità del tempo intercorso tra le disposizioni ministeriali, che alla versione dall’italiano in latino sostituivano quella dal latino in italiano, e gli esami stessi. È però indubitabile che nelle scuole, nelle quali il culto della buona forma è costante e fondamentale, gli effetti desiderati avrebbero dovuto pure manifestarsi. Ma poichè è notorio che parecchi docenti si preoccupano maggiormente della interpretazione rigorosamente esatta, anche se in forma men pura, anzi che della perfezione formale possibile nella nostra lingua di fronte [p. 15 modifica]al classico latino, noi riteniamo necessario raccomandare che nelle traduzioni dal latino in italiano il professore badi prima alla retta interpretazione del testo, ma poi esiga una pura e spigliata forma italiana, talchè il periodo non latineggi, ma sembri italiano di getto.


Eccellenza,

Quale possa ora parerle l’opportunità e la bontà delle nostre risposte, noi speriamo che l’E. V. non vorrà pentirsi della fiducia avuta in noi. Se noi non vi corrispondemmo degnamente, fu colpa del nostro ingegno, non del consiglio Suo. Resti l’esempio; e non mancheranno tra tanti cari, modesti, valorosi colleghi nostri de’ Licei e de’ Ginnasi quelli che con lo stesso amore di noi e con maggior sapienza e scienza ne profitteranno a benefizio della scuola italiana.

Roma, 28 settembre 1893.

la commissione

Valentino Cigliutti, presidente - Ignazio Bassi - Ermanno Ciampolini - Antonio Cima - Vincenzo Crivellari Giovanni Decia - Eusebio Garizio - Vitaliano Menghini - Carlo Moratti - Carlo Alberto Murerò Giuseppe Morsolin - Alfredo Pais - Giuseppe Petroni - Umberto Ronca - Giovanni Setti - Carlo Tincani - Ignazio Tosato - Ugo Brilli - Felice Amoroso - Giovanni Pascoli, relatore.
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II.2


Eccellenza!

Che le lettere latine siano o possano essere fonte di sanità per gl’ingegni e i cuori, ho sempre creduto, veduto e, forse, provato. Con questo anche: che io penso che qualunque via si prenda, purchè si giunga a una tal quale conoscenza della lingua, si ottiene questo effetto salutare di vigore e di serenità. È certo per la grave compostezza dello stile, per la nobile altezza del pensiero romano; poichè quegli scrittori sembrano stare piuttosto avanti che in mezzo al popolo e voler sì essere popolari ma di quella sola popolarità che si conviene a chi insegna, ammonisce, corregge, governa e conduce. E se questa gravità, che è il carattere generale della letteratura romana, divenne pesantezza in alcuni, anzi molti, scrittori italiani, fu ad altri difesa contro il vano, il caduco, il fuggevole, diede il buon gusto, preparò l’immortalità. Esempio per tutti, il virgiliano Manzoni, che nella vertiginosa evoluzione del romanzo, nell’apparire e sparire di generi e forme, resta esempio che sfida la variabilità infinita dei gusti, esempio sempre nuovo di finezza nell’analisi dell’anima e di verità nella rappresentazione della natura. V. E. non parlava dunque a volontà repugnante e a mente impreparata, quando raccoman[p. 17 modifica]dava, come ai miei colleghi così a me, di non trascurare l’ispirazione educativa che viene dagli scrittori di Roma. Come io la ho sentita in me, così sempre mi sono studiato di farla sentire altrui. Ma non posso affermare di essere riuscito sempre e coi più, a qualche buon effetto. Nè perciò ho perduto cuore e fede: gli studi classici, per me, hanno il fine di provare e cernire i buoni tra i meno buoni, e avviarli alla lor via. Ai meno buoni gioverà pur sempre aver fatto quel poco di strada, se non per altro, perchè possano a suo tempo, o afforzare i loro figli a superare quegli ostacoli o distoglierli di mettersi per quel cammino. Ma anche per altre ragioni gioverà loro, specialmente se si seguano le norme che l’E. V. ci ha voluto indicare.

Però seguirle quest’anno con la genialità che meritano, e mostrarne i frutti vistosi e abbondevoli che è ragionevole sperare, non ho potuto nè potrò come vorrei. Noi abbiamo due mesi di vacanza, nei quali la mente si prepara più che non si riposi, si arma più che non dorma. Quei due mesi sono necessari a me per preparare i miei esercizi, ordinare le mie letture. Ora, poichè l’ultimo autunno mi passò in altri pensieri, voglia l’E. V. considerare che quanto le dirò d’aver fatto e di fare è meno di ciò che voglio e posso fare.

Le traduzioni, che oltre i testi d’ordinaria lettura si assegnano per saggiare il profitto e il volere del discepolo, ho curato che avessero virtù di commuovere con antichi palpiti i cuori nuovi. Ricordo: Roma In pericolo, I volones di Gracco, La marcia di Claudio Nerone, (Tito Livio: excerpta dal libro XXVI, 9-11, dal XXIV, 15-16, dal XXVII, 43-50); [p. 18 modifica]Le grandi battaglie di Roma (Excerpta dai libri ab urbe condita, XXI, XXII); La vendetta di Varo (Tacito: Annales: excerpta da I, 50-52, 55-72. II, 526). Sono raccolte fatte a poco a poco, le cui singole parti hanno un titolo che dovrebbe valere a sprigionare dalla narrazione, in una o due parole, il suo senso intimo e poetico. Riferisco ad esempio, «Il lupo e il cane» titolo dato ai capitoli 9 e 10 del 2º libro degli Annali di Tacito. Si tratta di Arminius e del suo fratello cognomento Flavus, mercenario romano, che parlano da una sponda all’altra del Visurgis.

Ma cura maggiore devo spendere a che non si disperda in fumo la lettura che si fa degli autori. L’E. V. sa e poco o nulla ne resta nella mente e nei cuori dei nostri alunni, per due ragioni principalmente. La lettura non s’imprime nelle menti, perchè queste non ci durano generalmente fatica; poichè la fatica è loro risparmiata dai traduttori, brutti libercoli che gli speculatori sull’ignoranza offrono a buon mercato. La lettura non sveglia nessun sentimento nei cuori, perchè il libro di testo, generalmente, nelle sue note richiama a ogni passo lo Schultz e il Madvig, non evoca mai la vita antica. Necessario è quindi raccogliere a mano a mano l’importanza di ciò che s’è letto, comunque si sia letto. Perciò assegno dei lavori di collegamento, più che d’altro, ai quali gli alunni si mettono con fervore e serietà. Ricordo di questi: L’idillio nei tempi torbidi, Roma e l’Italia nella Poesia Romana, Hostes, Legio Romana. Il primo è una scorsa per le Ecloghe e le Georgiche di Virgilio e per i Sermoni, Epodi e Odi di Orazio. Dai tumulti atroci [p. 19 modifica]che videro e dalle ansie che provarono nella loro giovinezza, venne a questi poeti queir amore della semplicità e della mediocrità, quel gusto della campagna che informano la loro poesia. Quale doveva loro parere l’Augustus, il grande pacificatore, quali i tre giorni del suo trionfo!

Laetitia ludisque viae plausuque fremebant
Omnibus in templis matrum chorus, omnibus arae.

(Aen. VIII, 717)

E Virgilio aveva bensì, nella sua giovinezza, prestato l’orecchio a un vagito, pieno di promesse; ma aveva poi disperato avanti la sinistra visione del carro che rotola senza più freno! E con quanta dolcezza, piena di gratitudine per se e per tutti, il tribuno di Filippi parla del «figlio» della patria! — Instar veris!

Tutus bos etenim rura perambulat etc.

(Hor. c. IV, 17)

Così presentando ai giovani la poesia di Virgilio e di Orazio sotto questo aspetto, vengo anche a togliere dal loro animo, se vi s’impresse, l’accusa, indegna, d’adulazione fatta dai retori ai due più grandi poeti di Roma.

Il secondo lavoro è una raccolta di canti altissimi; per es. le lodi d’Italia nelle Georgiche, (G. 2, 136) la storia e l’ufficio di Roma nell’Eneide, (Aen. VI, 756) e, con altri, il più sublime di tutti: la solenne testimonianza d’un Gallo, di Rutilio (De reditu suo I, 63):

Fecisti patriam diversis gentibus unam,
Profuit iniustis, te dominante, capi:
Dumque offers victis proprii consortia iuris,
Urbem fecisti quod prius orbis erat. [p. 20 modifica]

Il terzo è una serie di ritratti e fatti caratteristici dei grandi nemici di Roma, Brennus, Pyrrhus, Hannibal, Jugurtha, Mithridates, Vergingetorix, Arminius, e altri: e tra questi Spartacus e Catilina.

Il quarto è una piccola memoria sugli ordinamenti militari di Roma. Per questi lavori è necessario ai giovani tornare agli scrittori che hanno già studiato nel Ginnasio, a Cornelio, a Cesare, a Sallustio. Per ottenere che essi li rileggano con attenzione, ho proposto alcuni temi di traduzione dall’italiano che per la modernità del dettato e per il linguaggio tecnico hanno grande difficoltà, non però insuperabile a chi cerchi negli autori le parole e le frasi, più che nei dizionari. Sono per es. l’«ardita mossa» del Pianell alla battaglia di Custoza, raccontata dalla relazione del Lamarmora, il «quadrato» del Principe Umberto, tratto dalla medesima relazione, e altri simili. Altri temi di traduzioni dall’italiano sono alcuni aneddoti di virtù civile e militare di italiani, ricavati dalle opere storiche. Sono peraltro lavori ben difficili, anche per l’insegnante, e vogliono molto del suo tempo; del tempo ch’egli ha il dovere più che il diritto di dedicare anche ad altri studi che procaccino a lui e alla scuola il rispetto e l’amore degli alunni. Presentarli poi al Ministero e al Ministro nella loro forma greggia e scolastica, non amerei. Se l’E. V. me lo permette, prima della fine dell’anno scolastico gliene presenterò un largo saggio, non con l’aspetto di poveri «pensa» tutti segnati e colorati, ma di nitidi quaderni che attestino oltre che l’opera paziente dell’insegnante, anche la docile gentilezza dello scolaro. Per ora l’E. V. spero che voglia credere che io la ho compresa. [p. 21 modifica]

Certo, anche con gli esercizi più umili si può suggerire un’alta idea e un nobile affetto; anche nelle materie più fredde e aride si può far circolare la vita. Ecco un esercizio di «prosodia» per il Natale di Roma, fatto fare agli alunni sopra un sonetto, non bello, ma poetico:

XI Kal. Maias

Iam sulci coeunt: sacrum consistit aratrum,
et rictum niveus fumantem taurus ad ulmum
tollit, vacca iugo sub eodem candida mugit
ac resonant viridis mugitu saxa Palati.
Pastorum medius palpat sudantis arator.
terga bovis puraque ferox innititur hasta,
dum latium prospectat agrum vitreasque paludes
et procul inde Albae declivia moenia Longae.
Proxima tam leni circum fluit Albula cantu
ut sonitum pici libros tundentis acernos
adstanti sacri referat nemus Argileti.
Quernea collucet Tarpeio vertice silva
qua decedentis flammatur lumine solis.
Descendens aquilae nigrescit forma per auras.

L’E. V. misuri da questo saggio non l’abilità (non è il caso di parlarne), ma il buon volere; e mi creda

Livorno, 2 maggio 1894.

dev.mo
Dott. Giovanni Pascoli
insegn. di lettere latine e greche
nel R. Liceo Niccolini di Livorno


A. S. E.
il Ministro della
Pubblica Istruzione


Note

  1. Dal «Supplemento al n. 42 del Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Istruzione Pubblica», Roma, 23 ottobre 1893.
         La relazione non è un lavoro individuale di Giovanni Pascoli, ma una sintesi del pensiero della Commissione creata dal Ministro F. Martini per riordinare lo studio del latino nei Ginnasi e Licei, raccolto, ordinato ed esposto da lui essendo stato unanimamente nominato relatore.
  2. Relazione sull’insegnamento del latino nel R. Liceo Niccolini di Livorno presentata a S. E. il Ministro della Pub blica Istruzione.