Arcadia (Sannazaro)/Egloga VII

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Egloga VII

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Prosa VII Prosa VIII
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EGLOGA SETTIMO.

Sincero solo.


Come notturno uccel nemico al sole,
Lasso vo io per luoghi oscuri e foschi,
Mentre scorgo il dì chiaro in su la terra:
Poi quando al mondo sopravvien la sera,
Non com’altri animai m’acqueta il sonno,
Ma allor mi desto a pianger per le piagge.
Se mai quest’occhi tra boschetti o piagge,
Ove non splenda con suoi raggi il sole
Stanchi di lacrimar mi chiude il souno;
Vision crude, ed error vani e foschi
M’attristan sì, ch’io già pavento, a sera
Per tema di dormir dittarmi in terra.
O madre universal benigna terra,
Fia mai ch’io posi in qualche verdi piagge,
Tal che m’addorma in quella ultima sera,
E non mi desti mai per fin che ’l sole
Vegna a mostrar sua luce agli occhi foschi,
E mi risvegli da sì lungo sonno?
Dal dì che gli occhi miei sbandiro il sonno,
E ’l lelticciuol lasciai per starmi in terra,
I dì seren mi fur torbidi e foschi,
Campi di stecchi le fiorite piagge;
Tal che quando a’ mortali aggiorna il sole,
A me si oscura in tenebrosa sera.
Madonna, sua mercè, pur una sera.
Giojosa e bella assai m’apparve in sonno,
E rallegrò il mio cor; siccom’il sole
Suol dopo pioggia disgombrar la terra;
Dicendo a me: vien, cogli alle mie piagge
Qualche fioretto, e lascia gli antri foschi.

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Fuggite omai, pensier nojosi e foschi,
Che fatto avete a me sì lunga sera;
Ch’io vo’ cercar le apriche e liete piagge,
Prendendo in su l’erbette un dolce souno;
Perchè so ben ch’uom mai fatto di terra
Più felice di me non vide il sole.
Canzon, di sera in Oriente il sole
Vedrai, e me sotterra ai regni foschi,
Prima che ’n queste piagge io prenda sonno.


ANNOTAZIONI

all’Egloga Settima.


Come notturno uccel ec. Giacchè non ci occorre notare nulla per la intelligenza di questa sestina, sufficientemente chiara a chiunque la legga, ne diremo alcuna cosa in genere. Le sestine furono usate dal principe de’ poeti Italiani, Dante Alighieri, e dal Petrarca; e ad imitazione di quest’ultimo può dirsi, che il nostro Sanazzaro, componesse la presente. Non ostante la dolce sorpresa di udire in fin del verso replicate di continuo in ogni parte di esse le medesime parole, adatte ad esprimere differenti pensieri, egli è da confessarsi, che non sono i componimenti, che più piacciano al maggior numero degli amatori delle Muse. E che questo sia il vero, non parmi debole prova il vedere, che a poco a poco le sestine sono andate in disuso. Quando però alcuno amasse di scriverne, osservi due cose. Una che nelle migliori degli eccellenti poeti, quantunque talvolta vi si esprima la vita tranquilla e beata, d’ordinario però vi si dipingono le umane afflittive passioni, e i tristi accidenti della fortuna, con copia di allegorie, di metafore, e di comparazioni convenienti. L’altra, che l’ultime voci de’ versi voglien essere piuttosto nomi che verbi, piuttosto sostantivi che aggettivi. Non si può negare, che Dante nella sestina che comincia:


Al poco giorno, ed al gran cerchio d’ombra,


ha l’aggettivo verde, in fin di verso; che il Petrarca in quella:


Mia benigna fortuna, e ’l viver lieto,


termina egli pure un verso coll’aggettivo lieto, che in questa [p. 83 modifica]medesima del Sanazzaro ci ha in fin di verso la parola foschi, parola aggettiva; ma non si dee negare altresì, che s’hanno a prendere dai celebri poeti le cose più giuste e belle, e che più sono ad essi piaciute, e non quelle altre, che sono men conformi alle giudiziose regole, ed usate per necessità anzi che per vaghezza e leggiadria.

Quando a mortali aggiorna ’l sole. Questo verbo aggiornare è qui usato in significato attivo, ma il Petrarca non l’usò mai se non o in significazione neutra, e neutra passiva; como nel Sonetto Quando ’l pianeta ec., ove dice:


Ma dentro, dove giammai non s’aggiorna.


ovvero nel Sonetto Se ’l sasso ond’è più chiusa ec., ove parimenti dice:


Degli occhi è ’l duol, che tosto che s’aggiorna.


Del resto il Bembo, che tanto fu studioso della lingua nostra nel Sonetto Sento l’odor ec. l’usò egli pure, come la qui il Sanazzaro, in attiva significazione, dicendo:


Sorgi dall’onde avanti all’usat’ora
Dimane, o Sole, e ratto a noi ritorna:
Ch’io possa il Sol, che le mie notti aggiorna,
Veder più tosto, e tu, medesmo ancora.