Codice cavalleresco italiano/Libro I/Capitolo II

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Offeso ed offensore

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II.

Offeso ed offensore1

ART. 5.

Chi provoca od offende subisce la situazione di offensore. In questo senso si pronunciò il Giurì d’onore di Milano, 18 febbraio 1882 — e Châteauvillard, I, 1.

ART. 6.

I rappresentanti decidono innanzi tutto quali dei due contendenti sia l’offeso, tenendo presente quanto è detto all’articolo 16 e successivi, poichè la posizione delle parti in contesa porta ad obblighi e a divieti particolari, anche se l’offeso è cavallerescamente incapace (C. d’O. Livorno, 25-3-1922; Bari, 3-5-1922).

Nota. — La eccezione d’indegnità cavalleresca non può essere sollevata, se essa non resultò già da un precedente documento di squalifica, come indicato negli art. 223 e seguenti. In generale la persistenza in codesta eccezione dev’essere giudicata come un pretesto per sottrarsi alla dovuta soddisfazione (C. d’O. Bari, 3-5-1922 in vertenza De Liso-Bogliolo). E perciò quando si presuppone uno incapace in materia d’onore, la eccezione sarà sollevata all’atto della discussione sulla domanda di soddisfazione e s’invocherà su codesto punto un giudizio superiore, solo quando il presunto indegno sia offensore, non quando egli è offeso senza provocazione. L’eccezione sarà, perciò, discussa in separata sede, e se i fatti pei quali si «presumeva» l’avversario indegno venissero provati, l’ente giudicante [p. 9 modifica]dichiarerà se l’eccepito è decaduto dalle prerogative cavalleresche. A scanso di fraintesi: all’offeso che non ha provocato si deve sempre una soddisfazione, qualunque sia la posizione sua di fronte allo leggi d’onore (v. art. 223).

ART. 7.

Poichè non può esistere una vertenza senza un offeso ed un offensore, i rappresentanti nei casi di disaccordo o di contestazione si appelleranno a un giurì (o ad un arbitro) per l’attribuzione di codeste qualità.

ART. 8.

Se i quattro rappresentanti non possono accordarsi sulla entità o qualità dell’offesa; o se una delle parti rifiuta il giudizio dell’arbitro o del giurì, o pone condizioni alla libera scelta dei giudici o degli assessori, o limitazioni al compito del giurì, l’azione cavalleresca non può avere seguito, e la vertenza verrà rimessa, se n’è il caso, alla Corte d’onore2 dai [p. 10 modifica]rappresentanti dell’offeso; a meno che si preferisca considerare il rifiuto di sottoporre la vertenza, od i punti controversi, ad un arbitraggio, o a un giurì, come rinuncia a qualsiasi soddisfazione nell’offeso, o riconoscimento esplicito del proprio torto in chi offese.

Non altrimenti si agirà di fronte a qualsiasi altro mezzo posto in essere per impedire il funzionamento dell’arbitraggio o del giurì o della Corte.

Nota. — La maggior parte degli scontri cavallereschi è determinata da cause in apparenza futili e perciò di facile componimento. Se vertenze provocate da offese di poco conto (quando cioè: sono escluse le vie di fatto, la turbata pace domestica, ecc.) si risolvono violentemente col duello, la colpa cade più sulla inesperienza, o sulla malavoglia dei rappresentanti, piuttosto che sulla volontà o sul risentimento degli avversari.

L’errore sta nel fatto che i rappresentanti fanno spesso propria la ragione del rappresentato, e non discutono i motivi che originarono la vertenza.

Da ciò i duelli più immorali ed assurdi. È per questa negligenza, infatti, che si accorda sfogo a tutte le più furiose ed abbiette passioni, e si rendono attuabili i più freddi ed efferati calcoli, facendo luogo a tutti i secondi fini.

ART. 9.

Tutte le volte che l’ingiuria, l’offesa, l’oltraggio, non furono provocati o giustificati, od originati da erronei apprezzamenti di fatti, non deve essere ammessa la soluzione con le armi. Di conseguenza, i quattro rappresentanti dovranno risolvere la vertenza in via pacifica, con un verbale, se concordi; o con l’appello ad un arbitro, o a un giurì, se discordi sulla forma della soluzione pacifica; alla Corte d’onore, se in disaccordo sulla sostanza della vertenza. [p. 11 modifica]

Veggasi la nota all’articolo 10 e anche l’Angelini, IV, 5°.

Nota. — Uno degli elementi che contribuisce a rendere più frequente il duello, è la ragione economica. La Giustizia in Italia costa cara, e una querela o un processo per ingiuria, per aggressione, o per diffamazione, porta seco una spesa molto maggiore di quella di un duello. Il ricorso alla Corte permanente di Firenze, o al nuovo istituto della Corte d’onore statale, eliminerà codesto inconveniente, e i nuovi provvedimenti promessi dal Min. della Guerra, si presume, saranno tali da rendere sollecita e non costosa la soluzione delle vertenze più complesse.

ART. 10.

Il provocatore, l’offesa del quale assumesse qualche carattere di ricatto o di sopraffazione, sarà deferito al Magistrato.

Nota. — È sopraffazione la intromissione illecita di terzi in una vertenza altrui, e ciò porta senz’altro alla squalifica (C. d’O. Bari 3-5-1922); arrogarsi la qualifica di rappresentante di una parte, quando non si ebbe il mandato; fornire documenti e mezzi ad una parte per tentare di porre l’avversario fuori dalle leggi d’onore, e ciò a scopo di vendetta, o per altro fine indecoroso tentare di far propria la posizione cavalleresca altrui; farsi paladino delle offese di altri, ecc. (C. citate). È sopraffazione, che tocca la vigliaccheria, offendere, senza essere provocati, chi si trova in condizioni morali o fisiche che gli impediscono la reazione, o vietano una domanda di soddisfazione.

È ricatto, invece, offendere uno, e alla sua domanda di riparazione porre il dilemma: «pagate se volete la soddisfazione», quando un credito è contestato. È ricatto, o peggio, è truffa o tentativo di truffa dire a uno: «scommetto».... quando si ha tanto di buono in tasca che lasci [p. 12 modifica]presumere di vincere la scommessa. E si passa addirittura nel campo dei rifiuti di galera, quando si pongano in opera male arti per esigere un credito che non esiste, e così via (v. art. 239 e in nota). Giudicò in questo senso il Tribunale d’onore composto dei signori Carlo Cugia dei Marchesi di S. Orsola, Maggior Generale; Conte Eugenio Michelozzi Giacomini, Maggior Generale; Colonnello (poi Generale) Morelli di Popolo, su appello del Cav. Leonida Giovannetti e capitano Clemente Sacco (22 dicembre 1899) rappresentanti di Gelli; il Giurì di Milano 17 settembre 1899, presidente Colonnello Cingia; e il Giurì nella vertenza tenente Di Giorgio e Argentieri, Torino, marzo 1911, presidente il Generale Corradini. Anche l’Angelini a capitolo IV, 5° p. 34 e 6° p. 36 conferma il medesimo concetto.

ART. 10 a.

L’autopresentazione ad un terzo, che trovasi in compagnia di amici comuni, non costituisce provocazione; mentre può costituire offesa di 1° grado respingere l’abituale e convenzionale domanda: Mi permette? all’atto dell’autopresentazione; e codesta offesa può diventare di terzo grado qualora resulti premeditata e consumata con preconcetto di offendere per dispregio (C. d’O. Livorno, 25 marzo 1922).

ART. 11.

Per meglio valutare la entità delle offese in rapporto alla riparazione da concedersi, esse si dividono in quattro gradi:

a) offesa semplice, o di primo grado, se diretta contro il prestigio della persona ingiuriata; e l’offensore, avendo ferito coll’offesa il valentuomo, deve rispondere di un affronto. [p. 13 modifica]

Nota. — Così, se col proposito di umiliare ed offendere negasi all’individuo qualità di decoro, come ingegno, coltura, capacità in checchessia, poteri, fortuna od altro consimile.

L’offesa di primo grado, qualora si faccia ricorso al duello, piuttosto che all’arbitraggio, o al giurì, o alla Corte d’onore, dà il diritto alla scelta dell’arme a chi ne fu colpito.

b) offesa grave, o di secondo grado, se intacca l’onorabilità del gentiluomo e, chi se ne rese colpevole, deve rispondere di un insulto.

Nota. — Così, per esempio: se negasi all’individuo veridicità, delicatezza di condotta, elevatezza di indole, coraggio, mantenimento della parola data od altre consimili, le quali essenzialmente costituiscono l’onore cavalleresco.

In questo caso, e semprechè si voglia ricorrere al duello, l’offeso ha diritto alla scelta dell’arme e a stabilire le condizioni dello scontro. Anche Châteauvillard, al Cap. I, 10° opina similmente.

c) offesa gravissima, o di terzo grado, se diretta contro l’onore del galantuomo, o se accompagnata con vie di fatto; e l’offensore risponde di un oltraggio.

Nota. — Perciò, se negasi all’individuo il senso del mio e del tuo; il rispetto della fede impegnata; il coraggio dei suoi più diretti e stretti doveri; la fama della famiglia; e in generale qualsiasi delle qualità costituenti l’onore morale.

L’oltraggiato, sempre, in caso di duello, ha il diritto alla scelta dell’arme; a stabilire le condizioni dello scontro; a imporre la natura del combattimento e a determinare le distanze nei duelli alla pistola. Così opina anche Châteauvillard al Cap. I, 11°.

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d) offesa di sommo e quarto grado, atroce, quando tocca la famiglia; e chi offende il padre di famiglia nella famiglia, risponde di un’onta.

Nota. — L’onore di una famiglia è sì gran fatto, che per salvarlo, assai volte bisogna lasciarsi ferire nell’onore. L’elemento sociale non è l’individuo, ma la famiglia; la formula iniziale, l’elemento costitutivo dalla cui somma abbiamo il genere umano è per lo meno un uomo e una donna. Più in là dell’insulto, dell’oltraggio e della percossa medesima, arrivano le offese all’onore della famiglia, quand’anche esse circondino di riserve la persona del capo.

Un uomo, il quale sente l’amore o l’onore, deve arrivare a dire questo: O che m’importa, a me, di passare per un galantuomo, per un gentiluomo, per un dotto, per un forte, per un autorevole e primario cittadino, se l’onore della famiglia mia è disconosciuto?

Perciò è da ricordare che con un duello non si rimedia all’irreparabile danno subito; ma colpendo nell’onore con i mezzi, che offre ora la legge, chi si rese colpevole di cotale sciagura morale, e, meglio ancora, nella borsa.

ART. 12.

I rappresentanti determinano il grado dell’offesa, uniformandosi agli art. 7 e 8, per le divergenze di apprezzamento.

Nota. — Nel discutere la compensazione delle offese, quando ne sia il caso, si terrà presente se l’offesa è iniziale o reattiva.

L’offesa reattiva, che passa di categoria l’iniziale, neutralizza, in chi la fece, il carattere di offesa od anche, secondo i casi, contemplati nell’art. 16, lo fa incorrere nella responsabilità morale di offensore.

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Il medesimo principio esprimono: il Regol. art. 6 — Corte d’onore Venezia; Angelini, Cap. IV da 7° a 10°.

ART. 13.

Nel determinare il grado dell’offesa si terranno presenti questi elementi:

a) la condizione sociale, l’età, la potenza materiale o morale dell’offensore; la reputazione di cui esso gode nella pubblica opinione, ecc.;

b) la condizione sociale, l’età dell’offeso; le conseguenze morali e materiali che potrebbero derivare, o che derivarono dall’offesa, ecc.;

c) il luogo ove l’offesa venne compiuta, se in pubblico o no; se in casa di uno dei contendenti; se alla presenza di persone care, superiori o inferiori; se alla presenza di molti, di pochi o di nessuno; poichè l’offesa tanto più colpisce e si sente, quanto più facilmente può essere divulgata;

d) i mezzi di offesa, e cioè: se con parole, atti, gesti, scritti, o disegni; se con armi o con bastone o scudiscio; con pugno o calcio che colpisca davanti o di dietro;

e) la forma dell’offesa: se, cioè, con modi cavallereschi, o con male forme o modi impropri; quanto dire: triviali, sconvenienti, sconci (v. nota all’art. 18 a), in poche parole indegni di una persona onesta ed educata. Se con fatti o con parole; se con minacce gravi o leggere, occulte o palesi; se per mezzo della stampa;

f) la qualità, e cioè: se grave nella sostanza o nell’apparenza; se meritata, provocata e vera o no;

g) il movente o il fine, e cioè: se in seguito a [p. 16 modifica]provocazione o a insulti; se per utile proprio, o per disprezzo o danno altrui; se per difendersi od offendere; se per vendetta o risentimento; se per sè stesso o per altri, ecc.

ART. 14.

Le offese fatte per mezzo della stampa, e quelle di turbata pace domestica, vengono considerate di quarto grado.

Nota. — Le offese a mezzo della stampa vengono considerate di quarto grado, perchè si ritiene ch’esse sieno state ponderate, premeditate, studiate e diffuse in modo da imprimere loro carattere di continuità; ma qualunque attentato alla pace domestica, a parere dei più, non consente la soluzione cavalleresca. Chi ruba l’onore della famiglia altrui non ha il diritto di fare assegnamento sulla generosità cavalleresca del derubato, il quale può — ove lo creda — scegliere la via di riparazione che più gli aggrada. Qualsiasi eccezione che l’offensore sollevasse contro l’offeso, lo priverebbe delle prerogative cavalleresche (C. d’0. Firenze, 14 ottobre 1922).
ART. 15.

Però, le censure, anche aspre, dirette con la stampa contro persone che ricoprono cariche pubbliche, per atti e cose pubbliche, non dànno luogo ad azione cavalleresca, se non contengono offese contro la vita privata dell’uomo pubblico (v. art. 264 e seg.).

Nota. — In questo senso si pronunciò anche la Corte d’onore permanente di Firenze, 8 gennaio 1889; e 20 dicembre 1922 in vert. Sorcinelli-on. Corsi; e il Giurì d’onore di Ferrara (16 giugno 1896), riunitosi collo scopo di esaminare la vertenza fra il sig. Bernaldello, redattore della [p. 17 modifica]Gazzetta di Ferrara, e il comm. De Ferrari, funzionante da prefetto, confermava questo principio, deliberando: di non essere motivo a soluzione cavalleresca negli articoli pubblicati dal Bernaldello e ritenuti offensivi dal comm. De Ferrari, non essendo rimasta intaccata l’onorabilità personale di questi, e ammettendo nella Stampa il diritto di sindacare la condotta politica dei funzionari dello Stato.

ART. 16.

Se un’offesa provoca un’altra offesa, nel determinare la qualità di offeso si terrà presente:

a) il primo che inflisse una offesa viene ritenuto offensore, anche se colui, al quale la inflisse, passò la misura, reagendo; purchè sia rimasto nella stessa categoria di offesa (Regol. Corte d’onore di Venezia, art. 4 — Châteauvillard, I, 2°, confermano l’asserto. Du Verger, I, 70°).

b) se l’offeso, reagendo, passò la misura sino a rispondere ad una offesa al prestigio (1° grado) con una di grado immediatamente più grave (2° grado), cioè: all’onore cavalleresco, le condizioni diventano pari (Regol. Corte d’onore Venezia, art. 7, conferma l’asserto).

c) se l’offeso, reagendo, andò più oltre e, saltando la categoria terza, reagì attentando all’onore morale, da offeso diventa offensore (Regol. Corte d’onore Venezia, art. 7, conferma l’asserto).

ART. 17.

Se ad una ingiuria viene risposto con un oltraggio, a colui che fu più gravemente insultato saranno riconosciuti la qualità e i diritti di offeso (Du Verger de Saint-Thomas opina nella stessa guisa, I, 10°). [p. 18 modifica]

ART. 18.

La ferita non costituisce offesa e neppure un’aggravante all’offesa, perchè può essere casuale, cioè: indipendente dalla volontà dell’offensore.

Se non fu casuale, emigra dal Codice cavalleresco per cadere sotto le sanzioni di quello penale (Châteauvillard, I, 1°, conferma l’asserto).

ART. 18 a.

Generalmente le vie di fatto devono riguardarsi come al disopra dell’apprezzamento cavalleresco; e perciò, quando non sono effetto immediato di un oltraggio subìto, esse vengono considerate come aggressione, per la quale non si ammette la soddisfazione cavalleresca.

Nota. — Angelini, Cap. IV, 12°. G. d’O., Siena 27-4-1922. Le offese inferte con mezzi impropri, sfuggono all’esame e al commento cavalleresco, perchè consentono all’offeso la via riparatoria che più gli aggrada, e cioè: o quella cavalleresca o quella penale, senza per questo perdere le prerogative del gentiluomo. Ma codesto diritto non implica affatto la squalifica dell’offensore (v. art. 3, 9 a, 14, 18, 21, 23, 30, 89, 148 b, 151, 223 e succ.).

ART. 19.

La minaccia di vie di fatto non costituisce offesa con via di fatto; ma un’aggravante all’offesa.

Nota. — Così, per es., minacciare un colpo vale come dire o stampare «se lo ritenga per dato»; ma non è via di fatto. I cosidetti schiaffi morali vanno quindi considerati come semplice aggravante all’offesa3. Châteauvillard, al Cap. I, 1°, conferma l’asserto.

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ART. 20.

Restano pure nella categoria degli oltraggi, anzichè in quella delle vie di fatto, gli oggetti lanciati contro.

ART. 21.

Le vie di fatto per aggressione, compiute a danno di un supposto o reale offensore, se consumate prima che l’aggredito abbia respinto un cartello di sfida, impediscono l’azione cavalleresca (così opinò la Corte d’onore, Firenze, 8 gennaio 1889; Angelini, cap. IV, 12°).

ART. 22.

Nelle vie di fatto provocate da oltraggio, colui che riceve per primo la percossa conserva i diritti di offeso, anche se la percossa provocò una risposta (Du Verger conferma l’asserto, I, 10°).

ART. 23.

L’aggressione in materia cavalleresca include l’idea di premeditazione, e perciò esclude quasiasi soluzione cavalleresca; ma quando sia provato che la premeditazione manca, viene a mancare l’aggressione vera e propria e l’atto potrà considerarsi soperchieria.

Nota. — In questo senso si pronunciò il Giurì d’onore in causa Riccardi-Guiola, Napoli, 4 gennaio 1878. Giudici: [p. 20 modifica]Melina, Dias, Anzani, Delle Piane, De Zerbi. Ma quando le vie di fatto susseguono l’offesa, o quando per l’atteggiamento del supposto offensore è manifesta la reazione violenta in modo da escludere la premeditazione, in allora non può addursi l’aggressione (G. d’O., Bari, 3-5-1922. G. d’O., Siena, 27-4-1922).

ART. 23 a.

Chi tocca la faccia, percote. La violenza maggiore o minore del colpo è indifferente. È, però, il solo atto materiale del toccare, che assume la gravità di via di fatto (Châteauvillard, cap. I, 1°, e De Rosis, II, 15°, confermano l’asserto).

Note

  1. Manuale del Duellante, pag. 37 e 38 della 2a edizione (Hoepli).
  2. Fino ad oggi il progetto delle Corti d’onore, presentato ripetutamente alla Camera dei Deputati dall’on. V. E. Orlando, è rimasto allo stato di progetto. Nell’attesa che sia tradotto in legge, è stato accettato dai gentiluomini il principio di rivolgersi alla Corte d’onore permanente di Firenze (presid. Gelli; giudice relatore avv. P. L. Boldrini, via Roma 3, Firenze), o a persona autorevole, non interessata nella vertenza, per la nomina a suo arbitrio dei componenti la Corte. Generalmente s’invoca l’intervento del Comando militare più elevato in grado del luogo o della regione: del Presidente del Tribunale o del Sindaco, o quello di un uomo politico, o quello di persona stimata, ed esperta in questioni d’onore. Alla Corte, così composta, si fa pure ricorso d’appello nei casi nei quali un giurì d’onore abbia pronunciato un verdetto non ritenuto privo di errori. S’intende, però, che codesti ricorsi, qualora fossero riconosciuti pretesto per diminuire il valore morale del verdetto e l’autorità del corpo giudicante, portano come conseguenza alla squalifica dell’appellante.
  3. . La Corte Suprema con sentenza del giugno 1896, e che si può consultare nel n° di giugno della Cassazione Unica, ha stabilito che lo schiaffo debba generalmente considerarsi quale ingiuria e non quale lesione personale: e ciò avuto riguardo all’intenzione dell’agente, che è evidentemente quella di offendere l’onore e non la integralità personale dell’avversario. Può quindi lo schiaffo confondersi con altre ingiurie.