Con la scorta possente

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Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Canzoni Letteratura Intestazione 13 giugno 2023 75% Da definire

Benchè la sacra mano Quando Febo al re Ferèo
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II

IN LODE DEL SIGNOR

GIO. VINCENZO IMPERIALE

Per lo stato rustico ec.

Con la scorta possente
     Delle Muse immortali
     Alti alberghi reali
     Io trascorsi sovente:
     5Ivi d’oro lucente
     Vidi coperte fiammeggiar le mura,
     E con vaghi colori

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     Ingannar gli occhi altrui nobil pittura.
     Vidi eccelsi lavori
     10In marmi peregrini,
     E con arte infinita
     Dar sembianza di vita
     A dari sassi alpini.
Ivi pur gli occhi miei
     15Ben sovente ammiraro
     Allor che rimiraro
     Altissimi Imenei.
     Cetre di novi Orfei
     Alle vestigia altrui volgeano il freno;
     20E femminil beltate
     Altrui spargea di care fiamme il seno;
     Bionde chiome gemmate,
     E di vivo ostro aspersi
     Bei sorrisi cortesi
     25Foco di guardi accesi,
     Miracolo a vedersi.
O lucid’acque e vive
     Del real Mincio ombroso,
     O d’Arno glorïoso
     30Incliti Numi e Dive,
     Qual sulle vostre rive
     Già vidi ornarsi e passeggiar destrieri?
     E ’n simulati assalti
     Quaggiù governa i regni.
     35Pur sazio il guardo mio
     Quai vidi aste vibrar veri guerrieri?
     Vidi fra gemme e smalti
     Così splendere un giorno
     Ampi teatri egregi,
     40Che d’ogni antico i fregi
     Volano meno intorno.
Ivi non pur sul mare
     Mosse finto Aquilone,
     Ma dell’alma Giunone
     45Le nubi or fosche, or chiare:
     Ivi siccome appare
     Del Gange uscendo a seminar rugiade
     Sorse bugiarda Aurora
     E del cielo illustrò l’alme contrade;
     50Così forte avvalora
     I peregrini ingegni
     Nel corpo infermo e frale,
     Se destra liberale
     Quaggiù governa i regni.
55Pur sazio il guardo mio
     Di pompa e d’alterezza,
     Or solamente apprezza
     Non superbo disío:
     Corso di puro rio,
     60Che serpeggiando lava erma campagna,
     Par, ch’oggi a sè mi chiami,
     E rosignuol, che sul mattin si lagna
     Entro selvaggi rami.
     Deh chi mi scorge dove
     65Io goda ombre romite?
     E piagge colorite?
     E fresche erbette e nove?
Ove d’Arcadia i monti,
     Desiderate sedi
     70Dalle città, miei piedi
     A colà gir son pronti:
     Tu, che gli Aonii fonti
     Governi Euterpe, d’Aganippe l’onde,
     Additami il sentiero;
     75Sì dico, ed a’ miei detti ella risponde:
     Dolce e gentil pensiero,
     Fedel, t’infiamma il petto;
     Alla virtude odiata
     Piaggia disabitata
     80È ben grato ricetto.
Da che ferro ed acciaro
     Divenne infra la gente
     Quel primo oro lucente
     A rimembrar sì caro,
     85Intra i boschi volaro
     Pace ed Amore, e ratto seco insieme
     Tranquillità sen venne;
     Indi conforto, e non frodata speme
     Seco spiegò le penne,
     90Sì tra foreste oscure
     Stansi le Dee giojose
     Per l’anime orgogliose
     Mal note, e ben sicure.
Or s’al vulgo nemico
     95Le pompe a dietro lassi,
     Governerà tuoi passi
     Spirto di Febo amico,
     Chiaro per sangue antico,
     Fulgida stella alla Liguria splende;
     100E su leggiadre piume
     Contro le nubi inverso il cielo ascende,
     E suo gentil costume
     Di dolci preghi al suono
     Pronta porger la mano,
     105Ed io nel corso umano
     Giammai non l’abbandono.