Dell'Oreficeria rispetto alla legislazione/VI

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I due metalli di cui parliamo sono malleabilissimi in istato puro; se poi si uniscono con altri o fra sè stessi, acquistano una tenacità che sta in proporzione diretta della quantità del metallo diverso immischiatovi. Questo metallo diverso è quello che in arte appellasi lega, la quale è più o manco buona secondo la maggiore o minor quantità che con essi s’impasta. Gli antichi o perchè ignorarono le differenze chimiche, ovvero sapesse lor male lo scemamento della bontà del metallo puro, o finalmente perchè riusciva più agevole al lavoro in quello stato [p. 13 modifica]perfetto (e questa è per me la precipua cagione) non usarono leghe, non avvilirono mai l’oro e l’argento, a cui mantennero sempre quel valore originale che hanno immancabilmente nella loro virginità. Tuttavia è da fare un’eccezione; perocchè ritengo non essere stato altro che un composto di oro e di argento quell’electrum adoperato in diversi ornamenti etruschi e in molte monete sicule, piacendomi il testimonio di Plinio lo storico, il quale dice: aurum in quo quinta argenti portio est, electrum vocatur (XXX, 4.). Forse la vera proporzione non sarà stata quella che assegna lo storico romano, ma è verisimile che gli elementi onde era composto sieno veramente l’oro e l’argento, e che son fantasie poetiche le tante altre congetture che fecero i Latini sull’esistenza dell’elettro.