Geografia (Strabone) - Volume 2/Libro IV/Capitolo VI

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Capitolo VI

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Strabone - Geografia - Volume 2 (I secolo)
Traduzione dal greco di Francesco Ambrosoli (1832)
Capitolo VI
Libro IV - Capitolo V Indice

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CAPO VI.


Descrizione delle Alpi e dei popoli dai quali sono abitate. — Animali che vivono nelle Alpi. — Strada che va dall’Italia nella Gallia transalpina passando per le Alpi. — Miniere d’oro presso i Taurisci — Norici. — Estensione ed altezza delle Alpi.


Dopo della Celtica posta al di là delle Alpi, e dopo le nazioni ond’essa è occupata vuolsi parlare delle Alpi stesse e dei popoli che le abitano; e poscia di tutta quanta l’Italia: conservando così nella descrizione quell’ordine stesso che somministra la natura del paese.

Le Alpi adunque cominciano non già dal porto di Monaco siccome dicono alcuni, ma sibbene da quei medesimi luoghi dai quali han principio anche i monti Apennini presso Genova, emporio dei Liguri, e dalle maree dette Vada Sabatia1. Perocchè l’Apennino comincia da Genova, e le Alpi dai Sabazii; e fra Genova e questi ultimi v’hanno circa due cento sessanta stadii. A trecento settanta stadii da queste maree trovasi la piccola città di Albingauno2, i cui abitanti sono denominati Liguri Albingauni: e da questa cittadella al porto di Monaco v’hanno quattrocento ottanta stadii. Nello spazio frapposto poi è l’ampia città detta Albium Intemelium3, co’ suoi abitanti nominati Intemelii. [p. 434 modifica]E da questi nomi suol dedursi la prova che le Alpi han dai Sabazii il loro principio. Perocchè le montagne che ora diconsi Alpi dicevansi uua volta Albi4; ed anche oggidì un’elevata montagna ch’è fra i Japodi, e si congiunge in certo modo coll’Ocra5 e colle Alpi, chiamasi Albio, come se fino a quel punto si estendessero le Alpi6. Siccome pertanto alcuni dei Liguri sono Ingauni ed altri Intemelii, fu naturale che anche delle loro colonie lungo la spiaggia del mare l’una si chiamasse Albium Intemelium, come a dire Intemelio alpino, e l’altra più concisamente Albingauno7. A queste due popolazioni di Liguri delle quali abbiamo parlato, Polibio aggiunge anche quella degli Oxobii e dei Decieti8. In generale poi tutta la [p. 435 modifica]spiaggia da Monaco fin alla Tirrenia è senza interrompimenti e senza porti, tranne qualche piccolo sito da approdar navi e gettare ancore: e le sono imminenti grandi dirupi di montagne, che lasciano appena un angusto passaggio lungo il mare. So quella spiaggia abitano i Liguri, i quali vivono per lo più di pecore, di latte e d’una bevanda fatta coll’orzo, coltivando i luoghi lungo il mare quasi tutti montuosi. Quivi si trovano selve abbondanti di legname acconcio alla costruzione delle navi, e con alberi di tal mole che qualche volta hanno nn diametro di otto piedi. Ed alcuni di questi alberi somministrano un legno che per la varietà delle vene non è punto meno del cedro opportuno a farne delle mense. Portano dunque cotesto legname nell’emporio di Genova, e così fanno anche delle pecore, delle pelli e del mele; e ne ricevono in cambio olio e vino d’Italia: perocchè quel poco vino che si fa nei loro paesi sa di pece e riesce aspro al palato. Quivi poi trovansi ginni, che sono piccoli cavalli, e muli, e tonache e saj ligustici: e v’abbonda anche il lingurio, denominato da alcuni elettro. Nella guerra poco si valgono della cavalleria, ma hanno buoni fanti così di leggiera come di grave armatura: e perchè hanno scudi di rame ne traggono alcuni argomento per crederli elleni.

Il porto di Monaco poi è siffatto che non vi possono approdare navi in gran numero nè molto grosse, e v’ha un tempio d’Ercole soprannomato Monoeco9; e per [p. 436 modifica]essere questo nome greco, apparisce che i Marsigliesi siansi estesi navigando fino a quel punto. Questo porto è distante da Antipoli10 poco più che duecento stadii. Di quivi poi fino a Marsiglia, ed anche un poco più oltre si stende la nazione dei Salii, i quali abitano le Alpi imminenti alla spiaggia, ed alcune parti eziandio della spiaggia stessa promiscuamente cogli Elleni. Gli antichi Greci diedero a questi Salii il nome di Liguri, e Ligustica dissero quella regione ch’è occupata dai Marsigliesi. Dissero poi Celtoliguri i popoli che vengono appresso, ai quali assegnarono tutto il paese fino alla Druenza11 ed al Rodano. Questo paese diviso in dieci cantoni, può in tempo di guerra somministrare non solamente milizia di fanti, ma sì anche di cavalleria. E furono questi fra tutti i Galli transalpini i primi ad essere domati dai Romani, i quali peraltro dovettero sostenere una lunga guerra così con costoro come coi Liguri. Perocchè tenevano chiusa la via che mena all’Iberia lungo la spiaggia del mare, ladroneggiando, come solevano, e per terra e per acqua; ed eran di tanta potenza che solo con grandi eserciti era lecito praticar quella via; e i Romani dopo una guerra che durò ben ottant’anni poterono appena vincerli tanto da obbligarli a lasciare pubblicamente libera una strada larga dodici

[p. 437 modifica]stadii. Nondimeno in processo di tempo li soggiogarono tutti, e li ridussero a vivere sotto ordinati governi imponendo loro anche un tributo.

Dopo i Salii, abitano le parti settentrionali delle Alpi: gli Albii, gli Albieci e i Voconzii: e fra costoro i Voconzii si stendono fino agli Allobrogi12, occupando alcune valli nelle profondità di que’ monti, le quali sono grandi e sotto nessun rispetto inferiori a quelle degli Allobrogi stessi. Tanto poi questi ultimi, quanto i Liguri sono subordinati a’ governatori mandati da Roma nella provincia narbonese. Ma i Voconzii, come dicemmo anche dei Volci che stanno intorno a Nemauso, si governano da sè medesimi. Rispetto ai Liguri abitanti fra il Varo e la città di Genova, quelli che si distendono verso il mare appartengono ai popoli italiani: ma a quelli invece che stanno nelle parti montuose suol essere inviato qualche prefetto dell’ordine equestre, come si fa anche per gli altri popoli assolutamente barbari.

Al di là dei Voconzii stanno gl’Iconii13 e i Tricorii, e dopo di questi i Medulli, i quali abitano sulle parti più elevate delle montagne: perocchè dicono che per ascendere fino a loro v’hanno ben cento stadii in linea perpendicolare, e che altrettanti ve n’ha per discendere da quell’altezza sino ai confini d’Italia. Colassù [p. 438 modifica]poi in certe cavità di que’ monti si trova raccolto un gran lago; e vi sono eziandio due sorgenti non molto lontane l’una dall’altra. Dall’una di queste sorgenti escono il fiume Druenza che a guisa di torrente discende giù verso il Rodano, ed il Duria che tenendo contrario cammino va a mescolarsi col Pado dopo essere passato a traverso dei Salassii nella Gallia Cisalpina. E dall’altra sorgente, ma in luoghi molto più bassi di quelli ora detti esce il Pado, grosso e veloce14; il quale poi procedendo nel suo corso diventa e maggiore di prima e più placido; perocchè s’accresce delle acque di molti altri fiumi che vi mettono foce dopo ch’è già disceso nelle pianure, per le quali va spaziando e perdendo a poco a poco la sua rapidità. Finalmente sbocca nel mare Adriatico quando già è divenuto il maggiore dei fiumi che siano nell’Europa, dall’Istro in fuori15. I Medulli, da noi poc’anzi accennati16, abitano molto di sopra del lago dove l’Isara entra nel Rodano.

Sull’altro fianco di questi monti rivolto verso l’Italia stanno i Taurini17 nazione ligustica, ed altri Liguri. [p. 439 modifica]Appartiene a costoro anche il paese detto d’Ideonno e quello detto di Cozzio. Al di là poi di queste genti ed anche del Pado stanno i Salassii; e al di sopra di costoro nelle sommità delle Alpi abitano i Centroni, i Catorigi, i Varagri, e i Nantuati; e vi sono anche il lago Lemano18 che il Rodano attraversa, e la sorgente di questo medesimo fiume. Non lontano di quivi sono le sorgenti del Reno ed il monte Adula, d’onde discorrono il Reno verso il settentrione, e l’Adua dalla parte contraria, la quale si getta nel lago Lario che mette a Como. Al di sopra di Como, situata alla radice delle Alpi, stanno i Reti e i Vennoni19 inclinati all’oriente; e dall’altra parte i Leponzii, i Tridentini, gli Stoni e parecchie altre piccole genti, le quali ne’ tempi antichi occuparon l’Italia e vivevan di ladronecci poveramente; ma ora in parte furono sterminate, in parte furono ridotte al viver civile: sicchè mentre prima per quelle montagne a traverso delle predette popolazioni, v’erano solo angusti e difficili passaggi, ora per lo contrario se ne trovano molti e in più luoghi, e non solamente sono sicuri da quegli abitanti, ma sono

[p. 440 modifica]tali altresì da camminarvi comodamente, per quanto almeno è stato possibile all’arte. Perocchè Cesare Augusto, dopo avere liberati que’ luoghi dai ladroni che gl’infestavano, aggiunse a questo bene la cura di aprirvi delle strade, quali almeno le comportava la natura di quei siti: mentre non sarebbe stato possibile fare da per tutto violenza alla naturale disposizione degli scogli e delle rupi scoscese che in parte sovrastano alla strada, in parte le stanno al di sotto, sicchè poi chiunque n’esce alcun poco si trova di subito nel pericolo di rovinare in profondi precipizii. Quivi pertanto la strada è di quando in quando sì angusta che fa cadere in vertigini sì coloro i quali vi camminano a piedi, come anche le bestie che non vi siano abituate: ma quelle invece native di que’ paesi vi passano coi loro carichi sicuramente. Questi inconvenienti non potrebbon essere tolti; e lo stesso dee dirsi delle grandi masse di ghiaccio le quali si staccano dall’alto sì ampie che possono opprimere tutta una compagnia di viaggiatori, e strascinarla con sè ne’ precipizii che si aprono sotto alle strade. Perocchè molti strati di ghiaccio si ammassano gli uni a ridosso degli altri a cagione delle nevi le quali cadono sopra il ghiaccio e s’agghiacciano anch’esse, formandovi nuovi strati; dei quali poi quelli che trovansi al di sopra facilmente sdrucciolan via dagl’inferiori prima che il sole liquefacendoli abbia potuto fonderli insieme.

Il paese dei Salassii è situato per la maggior parte dentro una valle profonda20 chiusa da monti da un [p. 441 modifica]lato e dall’altro: ma in parte si stende poi anche sulle alture de’ monti stessi circonvicini. Coloro che partendosi dall’Italia vogliono superare quelle montagne sono necessitati di fare la strada che attraversa la valle predetta: quindi il loro cammino partesi in due21, e l’uno va per le sommità degli Apennini in luoghi inaccessibili ad ogni maniera di carri; l’altro è più occidentale e attraversa i Centroni. V’ha nel paese de’ Salassii miniere d’oro, delle quali una volta era padrone quel popolo, che oltre di ciò dominava anche i passaggi già detti. Ed a valersi delle miniere predette giovava loro moltissimo il fiume Duria di cui si servivano per lavare l’oro; d’onde poi derivando in più luoghi e in parecchi rigagnoli l’acqua, ne assottigliarono la principale corrente. E questa operazione, se da una parte giovava a quelli che cercavano l’oro, dall’altra nuoceva a coloro che avevano campi da coltivare in siti più bassi, restando perciò privi di quella irrigazione che il fiume avrebbe potuto somministrare a tutto il paese, qualora si fosse lasciato discorrere naturalmente alla china. Per questa cagione poi v’ebbero frequenti guerre fra i due popoli: ma prevalendo all’ultimo anche in que’ luoghi i Romani, i Salassii furono spogliati delle miniere non meno che del territorio: pur tuttavia avendo il possesso dei monti, vendevano l’acqua a coloro che pigliavan dal pubblico l’impresa delle miniere; sicchè poi per l’avarizia di questi intraprenditori vi furono frequenti [p. 442 modifica]litigi: e così avvenne che i governatori romani mandati in quei luoghi trovavano sempre mai pretesti per soddisfare al desiderio che avevano di far guerra. Ciò non pertanto fino a questi ultimi tempi i Salassii, essendo ora in guerra, ora pacificati coi Romani, conservarono qualche potenza, sicchè a modo di ladroni recavano molti danni a coloro che passavano quelle montagne attraversando i loro paesi. Però quando Decio Bruto fuggì da Modena gl’imposero di pagare una dramma per ciascun uomo che aveva con sè. Messala che svernava in luoghi vicini ai loro dovette comperare a prezzo le legne, sì quelle da abbruciare, come anche le aste d’olmi per valersene ad esercitare i proprii soldati. Finalmente que’ popoli depredarono una volta anche il denaro di Cesare22, e sotto colore di attendere a riattare le strade ed a costruir ponti sui fiumi, fecero precipitare grandi ruine sopra i soldati di lui. Ma all’ultimo poi Augusto li debellò, e li vendette tutti all’incanto, avendoli prima fatti trasportare in Eporedia colonia dei Romani. E l’avevano da principio fondata appunto stimando che dovesse servire a contenere i Salassii: ma a stento potè invece essere difesa dagli abitanti, finchè non fu distrutta quella nazione. Il numero poi delle persone vendute fu di trentasei mila; quello degli uomini capaci di guerreggiare fu di otto mila; e furono venduti tutti all’asta da Terenzio [p. 443 modifica]Varrone, il quale essendo allora capo di quella guerra li vinse. Augusto poi avendo inviati colà tre mila romani fondò la città d’Augusta23 in quel medesimo luogo nel quale Varrone aveva posto il suo campo: ed ora tutto il paese circonvicino è in pace, fino alle estreme sommità del monte.

Le parti di quelle montagne che guardano all’oriente, e quelle che sono volte al mezzogiorno le occupano i Reti ed i Vindelici confinanti cogli Elvezii e coi Boi, siccome quelli che stanno al di sopra delle costoro pianure. I Reti pertanto si allargano fino all’Italia sopra Verona e Como; e il vino retico tenuto fra i più lodati d’Italia si fa alle falde delle costoro montagne. Stendonsi inoltre anche fino a quei luoghi pei quali scorra il Reno. E sono di questa schiatta anche i Leponzii e i Camuni24. I Vindelici ed i Norici occupano per la maggior parte il fianco opposto di que’ monti insieme co’ Brenni e Genanni che sono già Illirii. Tutti costoro poi fecero sempre scorrerie sopra le parti d’Italia ad essi vicine, e nei paesi degli Elvezii, dei Sequani, dei Boi e dei Germani. Fra tutti i Vindelici hanno voce di arditissimi i Licazii, i Clautinazii e i Vennoni; e fra i Reti i Rucanzii e i Cotuanzii. Anche gli Estioni e i Briganzii appartengono ai Vindelici; e le loro città sono Briganzio, Campoduno, e Damasia25, ch’è quasi un baluardo dei Licazii. Della ferocia [p. 444 modifica]esercitata da questi ladroni sopra gl’Italiani raccontasi, ch’essendosi costoro impadroniti di un borgo e d’una città, non solamente uccisero tutti gli adulti, ma sì anche tutti i fanciulli maschi; e non contenti nè anche di ciò, ammazzarono tutte quelle donne incinte dalle quali i loro indovini affermavano che nascerebbero figliuoli di sesso maschile.

Dopo costoro vengono quelli che stanno presso al golfo Adriatico e nei paesi vicini ad Aquileja, e sono alcuni dei Norici ed i Carni; ai primi dei quali appartengono anche i Taurisci. Tiberio e Druso suo fratello in una sola state fecero cessare tutti questi popoli dalle frequenti loro scorrerie; laonde già volge il trentesimo terzo anno da che stando in pace, pagano il tributo ad essi ordinato. Lungo poi tutto quanto il dosso delle Alpi si trovano alcuni rialti di terra acconcissimi ad essere coltivati, e vallee di buonissima pastura. Il più di que’ monti per altro, principalmente verso le sommità, dove appunto solevano abitare i ladroni già detti, è terreno aspro e infecondo, tanto a cagione delle ghiacciaie che vi si fanno, quanto per la propria natura del suolo. Per la mancanza dei viveri e di tutte le altre cose la perdonarono que’ ladroni talvolta a coloro che abitavano nelle pianure per avere da chi potessero trarre le cose necessarie; ed essi davano poi in cambio a costoro pece, resina, cera, mele, e cacio, delle quali cose tutte abbondavano. Sopra i Carni è il monte Appennino26 [p. 445 modifica]con un lago che riesce nel fiume Isara: il quale poi ricevendo in sè un altro fiume detto Atage, va a sboccare nell’Adria. Dallo stesso lago esce anche un altro fiume che portasi all’Istro e chiamasi Atesino27. Che anzi l’Istro medesimo ha le sue origini da questi monti che sono divisi in molti rami e in molte sommità. Perocchè dalla Ligustica fino a questo sito del quale ora parliamo, si distendono senza interrompimento le alture delle Alpi, e rendono immagine di un monte solo. Ma procedendo più oltre si trovano ora più eccelse ora più abbassate quelle montagne, e come divise in parecchie parti e sommità. La prima di queste divisioni è quel dosso che oltre il Reno ed il lago s’innalza a mediocre altezza ed è rivolto all’oriente, dove sono le sorgenti dell’Istro vicino agli Svevi ed alla foresta Ercinia28. Alcuni altri sono volti verso l’Illiria e l’Adria; ed uno di questi è il monte Appennino già detto, e il Tullo, e il Fligadia, e i monti sovrastanti ai Vindelici, dai quali discendono e vanno a sboccare nell’Istro il Dura, il Clani e parecchi altri torrenti. Intorno a questi luoghi abita la gente di Japodi, già frammischiata cogl’Illirii e coi Celti, e presso alla quale si trova il monte [p. 446 modifica]Ocra. Questi Japodi, una volta potenti pel numero, e per l’estensione del loro paese ai due lati del monte, e pel ladroneggio che esercitavano, furono poscia sconfitti e pienamente domati da Cesare Augusto. Le loro città sono Metulo, Arupeno, Monezio e Vendona.

Appresso a costoro sta collocata in una pianura la città di Segesta, vicino alla quale scorre la Sava che mette poi capo nell’Istro, Questa città è opportunissima, per la sua posizione, alla guerra contro i Daci. L’Ocra poi è la parte più bassa delle Alpi, ed è quel punto dov’esse congiungonsi coi Carnii29, e pel quale si portano sopra carri le mercatanzie da Aquileia a Nauporto, percorrendo una strada di circa quattrocento stadii: di quivi si conducono poscia sopra fiumi fino all’Istro ed ai luoghi circonvicini. Perocchè Nauporto è lambito da un fiume ch’esce navigabile dall’Illiria, e gettasi nella Sava: e così torna agevole il condurre le merci tanto a Segesta, quanto fra i Pannoni o i Taurisci. E mette foce nella Sava nelle vicinanze di Segesta anche il Colapi30. Amendue questi fiumi sono navigabili, e scorrono dalle Alpi.

Hanno poi questi monti cavalli selvaggi e buoi: e Polibio afferma che vi nasce un animale di forma singolare, somigliante nella figura ad un cervo, all’infuori del collo e del pelo, nei quali somiglia piuttosto a cinghiale; con una specie di carnosità sotto il mento in [p. 447 modifica]forma di cono, pelosa nell’estremità, lunga un palmo all’incirca, e grossa quanto la coda di un cavallo.

Uno dei passaggi dall’Italia nella Celtica Transalpina e settentrionale è la strada che attraversando i Salassii conduce a Lugduno. Questa strada è duplice: l’una può praticarsi con carri, ma si allunga passando pei Centroni: l’altra aspra ed angusta, ma breve, attraversa le Alpi Pennine. La città poi di Lugduno è nel mezzo del paese, a guisa di rocca, o vuoi pel confluente dei due fiumi, o vuoi perchè trovasi accessibile ugualmente a tutte le altre parti circonvicine. Quindi Agrippa ordinò che appunto per quella città passassero le strade ch’ei fece aprire; l’una delle quali attraversando i monti Cemmeni andasse fino ai Santoni ed all’Aquitania; un’altra verso il Reno; una terza verso l’Oceano passando pei Bellovaci, e per gli Ambiani; una quarta è quella che va nel territorio Narbonese ed alla spiaggia marittima di Marsiglia. Si può anche, lasciato a sinistra Lugduno e il paese che gli sovrasta, attraversare il Rodano nello stesso monte Appennino ovvero il lago Lemano nelle piannre degli Elvezii, e di quivi passar tra i Sequani e i Lingoni attraversando il monte Jura. Quivi poi la strada si parte in due, l’una alla volta del Reno, l’altra verso l’Oceano.

Polibio racconta che al suo tempo furono trovate fra i Taurisci ed i Norici, principalmente presso Aquileia, miniere tanto copiose che scavando la terra all’altezza di due piedi s’incontrava subito l’oro, nè mai facea d’uopo di scavare più che quindici piedi: che l’oro di quelle miniere in parte trovavasi in grani della [p. 448 modifica]grossezza di una fava o di un lupino, i quali poi posti al fuoco non diminuivano se non di un ottavo; in parte avea d’uopo d’una purificazione maggiore, ma nondimeno tornava di molta utilità lo scavarlo. Soggiunge poi che essendosi uniti in quell’opera ai barbari alcuni Italiani per lo spazio di due mesi, incontanente diminuì di un terzo in tutta quanta l’Italia il pregio dell’oro: se non che avveduti di questo i Taurisci, discacciati que’ loro compagni, vollero esser soli all’impresa. Ora poi tutte le miniere sono soggette ai Romani. Del resto in que’ luoghi non altrimenti che nell’Iberia, oltre all’oro che vi si scava, anche i fiumi portano arena di questo metallo, sebbene in minor quantità. Questo medesimo scrittore poi parlando dell’estensione e dell’altezza delle Alpi, pone loro a confronto le maggiori montagne che si trovino fra gli Elleni, cioè il Taigeto, il Liceo, il Parnaso, l’Olimpo, il Pelio, l’Ossa; e fra i Traci l’Emo, il Rodope, il Dunace: e dice che un buon viaggiatore può nello spazio di un giorno pervenire alla sommità di ciascuna di queste montagne, e in un giorno eziandio percorrerne la circonferenza: ma le Alpi invece nessuro le potrebbe ascendere in cinque giorni, e la loro estensione è di duemila e duecento stadii. Egli poi nomina quattro luoghi soltanto nei quali si possono superare le Alpi: l’uno attraverso dei Liguri vicinissimo al mar Tirreno; poi quello per Torino, pel quale passò anche Annibale; il terzo attraverso ai Salassii; e il quarto pei Reti: strade tutte precipitose. Finalmente asserisce esservi parecchi laghi in que’ monti, e che fra questi tre sono [p. 449 modifica]grandi: dei quali il Benaco31 è per lunghezza di cinquecento stadii, e per larghezza cento cinquanta; e da esso sbocca poi il fiume Mincio: quindi il Verbano è lungo quattrocento stadii, e nella larghezza è minore del precedente, e n’esce il Ticino: il terzo è il Lario, lungo pressochè trecento stadii, e largo trenta, da cui esce il grande fiume dell’Adda. Tutti poi questi fiumi concorrono a metter foce nel Po.

Questo era da dire intorno alle montagne delle Alpi.


  1. Savona.
  2. Albenga.
  3. Ventimiglia.
  4. Il testo (anche nell’edizione del Coray), aggiunge καθάπερ καὶ Αλπιόνια come anche Alpionia.
  5. Il Casaubono pel primo propose di leggere συνάπτον τῇ Ὄκρᾳ in luogo di τῇ ἂκρᾳ nell’estremità. Gli Ed. franc. lodano questa correzione, e il Coray non esita a trasportarla nel suo testo.
  6. I Japodi o Japidi occupavano le coste della provincia di Murlaka vicino all’Istria lungo il golfo di Venezia. Il monte Albio conserva il nome di Alben, e dicesi anche Monte della Vena. Esso è una prolungazione delle Alpi Carniche o Giulie che limita l’Istria dalla parte orientale, e si estende sotto varii nomi nella Murlaka. (G.)
  7. Osserva per altro il Casaubono che gli scrittori romani si valsero sempre di due parole Albium Ingaunum.
  8. Gli Oxobi e i Decieti abitavano dalle viciuanze di Frejus e d’Antibo sino al Varo.
  9. Monoeco vale che abita solo, il qual nome fa dato (dice Servio) ad Ercole, o perchè avendo cacciati i popoli della Liguria ne rimase solo abitante, o perchè ne’ tempj a lui consacrati non solevasi mai associargli verun’altra divinità.
  10. Antibo.
  11. La lezione comune è μέχρι Λονερίωνος. Correggo col Coray μέχρι Δρουεντία.
  12. La capitale degli Allobrogi era Vienna.
  13. Le edizioni comuni leggono invece Siconii. Osserva poi il Gossellin cbe non si può dire con precisione in qual parte si trovassero i tre popoli menzionati qui da Strabone.
  14. Leggendosi in Mela che il Po parvis se primum e fontibus colligit, et aliquatenus exilis et macer; gli Edit. franc. sospettano che debba forse leggersi οὐ πολὺς non grosso.
  15. Lucano (lib. ii, v. 416) lo dice maggiore anche dell’Istro; e in generale i poeti usano le espressioni di gran padre Eridano, di re dei fiumi.
  16. Da noi ecc. Queste parole non sono nel testo, ma pajono necessarie a congiungere il senso.
  17. La capitale di questi popoli era Torino, detta dai Romani Augusta Taurinorum. - I Liguri sono denominati sempre Ligui (Λίγυεσ) da Strabone; ma, come in molti altri casi, ho sostituito il nome moderno giacchè la somiglianza coll’antico è tanta da togliere ogni dubbiezza.
  18. Il lago di Ginevra.
  19. I Reti sono i Grigioni; e i Vennoni sono i popoli della Valtellina. I Leponzii abitavano l’alto Valese e la Valle Leventina; i Tridentini il territorio di Trento; gli Stoni quello di Steneco. (G.)
  20. La Valle d’Aosta.
  21. In due; cioè, nella strada del gran san Bernardo, ed in quella del piccolo san Bernardo.
  22. Giulio Cesare non racconta alcun simile avvenimento; e però (dicono gli Ed. franc.) è da credere che Strabone intenda parlare d’Augusto, del quale fa menzione subito dopo.
  23. Aosta.
  24. I Camuni abitarono la Valcamonica.
  25. Ora Kempten, Bregentz, ed Ausburgo sul Lech.
  26. Il Cluvier vorrebbe invece leggere Ἀλπιον e il Gossellin è di parere che questa variante sia buona.
  27. Osserva il Gossellin non trovarsi alcun fiume Isara nè Atage che sbocchi nell’Istro: e che Atesino o Atesi si disse anticamente l’Adige, il quale per altro riesce al mare Adriatico.
  28. L’Autore accenna in questo luogo quella catena di montagne che attraversa la Svevia dal mezzodì al nord parallelamente al corso del Reno. Quivi ha le sue sorgenti il Danubio (l’Istro). — Il lago poi qui menzionato pare che sia quel di Costanza. - La selva Ercinia è la selva Nera. (G.)
  29. La Carniola ed il Friuli.
  30. Kulp.
  31. Il Lago di Garda. - Il Verbano è il Lago Maggiore.




Fine del Tomo secondo di Strabone.