Gli scorridori del mare/16. In mare!

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16. In mare!

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15. La fregata 17. Nei mari della Cina
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Capitolo XVI.

IN MARE!


Dopo due giorni di rapida navigazione la Garonna giungeva sana e salva alla baia dell’isolotto. I pennoni, le vele e le gomene offese dalle palle nemiche, erano stati cambiati e aggiustati ed i danni riportati dalle murate, prontamente riparati. I dieci uomini, uccisi dalla mitraglia, erano stati già gettati in mare dopo essere stati chiusi in un’amaca.

Senza perder tempo, il capitano Parry, appena giunto, fece sbarcare i dodici cannoni che armavano gli sportelli della Garonna e li fece trasportare sui bastioni del forte.

Era certo che la fregata dopo aver aggiustato i suoi attrezzi, si sarebbe rimessa in caccia e che presto o tardi sarebbe riuscita a scoprire il rifugio dei corsari.

Perciò diede subito ordine di fare preparativi per sostenere l’attacco che, secondo le sue previsioni, doveva essere formidabile.

Innanzi tutto fece chiudere il canale che portava alla baia con delle grosse catene, legate fra uno scoglio e l’altro ed a diverse profondità. Su di un’alta roccia che dominava il canale, fece mettere due pezzi da ventiquattro, pronti a difendere l’entrata nel caso che venisse scoperta o che delle scialuppe tentassero l’approdo.

Gli altri cannoni furono disposti sui bastioni settentrionali, essendo da quel lato la salita più facile e perciò uno sbarco possibile.

Fece poi riempire d’acqua un certo numero di botti e le distribuì per le stanze, onde spegnere prontamente qualsiasi principio d’incendio.

Sessanta uomini furono incaricati del servizio delle artiglierie; gli altri ottanta, muniti di fucili di lunga portata, dovevano disporsi fra le rocce, per tormentare, col loro fuoco, i marinai della fregata.

Due giorni dopo tutto era pronto per sostenere la lotta.

La fregata non era ancora comparsa sull’orizzonte, però nessuno dubitava che si fosse già rimessa in caccia. Tutti l’aspettavano da un momento all’altro.

Anzi verso il tramonto del secondo giorno, ad alcuni era sembrato d’aver già scorto un punto bianco verso l’oceano.

La sera stessa, mentre le sentinelle disposte sulle roccie [p. 104 modifica]vegliavano attentamente, Banes saliva silenziosamente sulla mura di cinta, e spiava, con un piccolo cannocchiale, tutti i punti dell’orizzonte.

Era già da vari minuti che stava in osservazione, quando si sentì afferrare per un braccio. Coll’agilità propria dei brasiliani fece un balzo indietro e con rapido gesto nascose il cannocchiale in saccoccia...

— Che cosa facevate? — gli chiese una voce ben nota.

— Ah! sei tu Bonga? — disse Banes, avvicinandosi al negro...

— Avete scoperto nulla? I miei occhi hanno già veduto la fregata.

— Sì, mi pare d’averla scorta, — rispose Banes.

— Domani mattina sarà qui, ne sono certo.

— E darà da fare a queste canaglie, — aggiunse Banes.

— Credete che possa distruggere questo forte?

Il brasiliano scosse il capo con aria incredula poi mormorò:

— Non lo credo; questa posizione è quasi insuperabile.

— Le sue palle però causeranno delle gravi perdite ai pirati.

— Questo è vero, ma anche la fregata verrà maltrattata. Andiamo a riposare, Bonga; domani non ne avremo il tempo.

Il negro scosse il capo, dicendo:

— No: voglio vedere se è la fregata.

Banes non rispose e andò a dormire.

Al mattino egli venne destato da grida acute che risuonavano per le stanze del forte.

— La fregata! la fregata! — urlavano i pirati, precipitandosi sui bastioni.

Banes in un salto fu in piedi; afferrò il suo fucile e corse fuori. Tutti i tiratori erano ai loro posti, nascosti fra le roccie o sulle mura, mentre gli artiglieri cambiavano le cariche ai cannoni.

La fregata francese, riparati i suoi danni e rinnovato il trinchetto, veleggiava rapidamente verso il forte. Sul ponte si vedevano i marinai aggruppati dietro i cannoni da caccia e numerosi fucilieri installati sulle coffe, sulle crocette e sui pennoni.

Giunta a cinquecento metri dall’isolotto, la grande nave imbrogliò gran parte delle sue vele, mentre i suoi artiglieri puntavano i loro pezzi in alto pronti ad aprire il fuoco.

Anche i marinai delle coffe e delle crocette e dei pennoni parevano non attendere che un segnale per scaricare le loro carabine.

Dal canto suo il capitano Parry, fatti riunire i suoi venti pezzi in direzione della fregata, ordinò ai suoi fucilieri di sparpagliarsi fra le rocce, onde avvicinare maggiormente i nemici.

A mezzogiorno la bandiera nera fu issata sulla cima del forte, e uno dei più grossi cannoni della Garonna tuonò rumorosamente, [p. 105 modifica]mandando una grossa palla da trentasei sul ponte della nave avversaria.

Quaranta bocche da fuoco tuonarono insieme, con un rimbombo orrendo. La fregata, scaricati i suoi pezzi di babordo, girò lentamente su sè stessa e scaricò quelli di tribordo, tempestando le roccie ed i bastioni.

Dopo quelle due scariche si portò più al largo per poter avere maggior tiro e riprese l’infernale musica coi suoi pezzi da caccia, lanciando granate in così gran numero, che i marinai del capitano Parry furono in breve sloggiati dalle loro posizioni e obbligati a ripararsi dietro le mura.

Anche i venti cannoni del forte non rimanevano però inoperosi, nè i loro colpi andavano perduti.

Parecchie palle erano cadute sul ponte della nave, facendo strage d’uomini e di attrezzi.

Quel duello tremendo durò un paio d’ore, causando gravi danni ad ambo le parti, poi la fregata, già assai maltrattata, si portò al largo onde concedere un po’ di riposo ai suoi uomini.

Nel pomeriggio però riprese il fuoco, scaricando alcune bordate contro i bastioni meridionali del forte, rovinando parecchie muraglie e fulminando alcuni artiglieri, ma alle quattro il fuoco cessò e la fregata, approfittando d’un colpo di vento, si allontanò dal forte, mettendosi in panna a circa tremila metri.

I suoi uomini si misero a sbarazzare il ponte dai cadaveri e dai rottami, mentre altri aggiustavano gli attrezzi.

Il capitano Parry constatò i suoi morti che ascendevano a undici, fece rinnovare le provviste di polvere e di palle e raddoppiò gli uomini di guardia, temendo che i nemici, col favore della notte, cercassero sbarcare.

Calata la notte fece scaricare di quando in quando i pezzi, ma la nave non rispose alle incessanti provocazioni dei pirati.

Ai primi albori, il capitano Parry s’accorse che la fregata stava per ricominciare il bombardamento coi suoi più grossi pezzi.

Si era allontanata di due miglia, onde tenersi fuori di tiro dalle piccole artiglierie dei pirati.

Il capitano Parry comprese che ciò tornava a suo danno, giacchè solo i quattro cannoni da trentasei potevano giungere a tale distanza. Però egli non si smarrì e fatti avvicinare i quattro pezzi, ordinò il fuoco.

Alla quadruplice scarica, la fregata rispose con una bordata e dieci palle andarono a cadere nel bel mezzo del forte, forando il tetto e diroccando alcune muraglie.

Il cannoneggiamento continuò con soli quattordici pezzi, dieci della fregata e quattro del forte. [p. 106 modifica]

Le palle del forte cadevano con matematica precisione sulla nave, colpendo uomini ed attrezzi; però anche i proiettili francesi non andavano perduti, causando gravi danni ai bastioni, costringendo i fucilieri a sgombrare le vicinanze della baia.

Dopo un paio d’ore di vivace bombardamento, la fregata, ripostasi alla vela, cominciò ad avvicinarsi scaricando tremende bordate, come se fosse decisa a tentare uno sbarco.

I suoi quaranta cannoni vomitavano torrenti di ferro, diroccando una buona parte delle mura del forte. I pirati rispondevano vigorosamente, ma penavano a tener testa a tanta furia.

Alle dieci si tirava a mitraglia, fulminandosi quasi a bruciapelo. Allora dai fianchi infiammati della fregata, si videro staccarsi sei imbarcazioni cariche di uomini, e dirigersi rapidamente verso la piccola baia.

Il capitano Parry li vide a tempo e lasciati quaranta uomini al servizio dei cannoni, lanciò gli altri in mezzo alle rocce, per impedire ai nemici di prendere terra. Un vivo duello di fucileria si svolse fra i pirati ed i marinai delle imbarcazioni, ma quest’ultimi, più numerosi e meglio armati, sbarcarono fra le scogliere, poi passarono sull’isolotto, cominciando ad arrampicarsi su per le roccie.

A metà via pirati e francesi s’incontrarono, azzuffandosi ferocemente. La mischia fu orribile su quel pendìo sdrucciolevole e in mezzo a quelle acute roccie. Francesi e pirati, aggrappandosi e stringendosi in un abbraccio mortale, cercavano di rovesciarsi giù per le roccie.

La lotta fu breve. I francesi, più numerosi, costrinsero ben presto i loro avversari a ripiegare verso il forte.

Parry vedendo i suoi in rotta, accorse con una ventina di artiglieri, gridando:

— Avanti! Avanti! Uno sforzo ancora e vinceremo.

I pirati piombarono nuovamente sui nemici i quali correvan su per le roccie con straordinaria agilità, cercando di accostarsi al fortino.

In quel mentre Banes, abbandonando il suo cannone, si slanciò fuori delle mura, per cercare di unirsi ai francesi.

Già stava per scendere attraverso le roccie, non curandosi delle palle, quando un braccio di ferro lo arrestò, mentre una voce gli diceva:

— Fermati, imprudente!

Banes si volse come se una serpe l’avesse morso, e si trovò dinanzi a Bonga. Il negro gli additò i pirati, i quali si arrampicavano su per le roccie, mentre quattro cannoni carichi a mitraglia, stavano per fulminare i disgraziati francesi.

Banes ebbe appena il tempo di ripararsi dietro una rupe che i [p. 107 modifica]quattro cannoni avvamparono insieme, fulminando i francesi a trenta passi di distanza.

Questi, presi fra la mitraglia dei cannoni e il fuoco dei fucilieri compresero che la partita era perduta e ripiegando prontamente, cercarono d’imbarcarsi.

Cinque minuti dopo le quattro lancie, portando numerosi feriti, prendevano il largo, lasciando parecchi cadaveri sulla spiaggia.

Anche dall’altra parte le cose volgevano alla peggio pei francesi. La fregata, troppo esposta al fuoco, aveva sofferto enormi danni, malgrado il suo incessante tuonare.

Vele, pennoni, attrezzi erano stati assai maltrattati dalle palle. Il ponte era tutto coperto di rottami, di schegge e di cadaveri e le murate non resistevano quasi più. Nondimeno per qualche ora la nave resistette al fuoco, poi con un fiocco e la vela di maestra si allontanò di quattro miglia dal forte.

Un hurrà fragoroso s’alzò fra i pirati. La vittoria era stata completa, però anche lo stato del forte era compassionevole. Una grande parte del muro di cinta era franato, così pure alcuni bastioni, ma ciò non importava nulla. Erano danni che si potevano riparare in qualunque momento.

Alla sera, mentre i pirati celebravano la vittoria con un banchetto, un forte vento cominciò a soffiare da sud ed il cielo si coperse di densi nuvoloni. Il mare, diventato agitatissimo, si frangeva con estrema violenza. Grosse ondate venivano a rompersi con grande fragore sulle roccie e sugli scogli, schizzando a grande altezza.

La fregata, avariata come era, non doveva trovarsi troppo bene fra gli elementi scatenati.

Tutta la notte il vento soffiò fortissimo, accompagnato da furiosi acquazzoni ed il mare si mantenne agitatissimo.

Nondimeno le sentinelle vegliarono attentamente, temendo ancora una sorpresa.

Al mattino, appena spuntò l’alba, il capitano e i marinai volsero i loro sguardi sul mare tuttora sconvolto, e non videro più la fregata.

— È sparita! — esclamarono alcuni.

— Sarà andata a picco, — risposero gli altri.

— Si dovrebbero vedere dei rottami, — osservò il secondo.

— Mentre non si vede nemmeno un albero, — disse il capitano. — Io temo...

— Che cosa? — chiese il secondo.

— Che abbia preso il largo per farci pagare cara la vittoria.

— E come?

— Temo che la Bellona si sia diretta verso l’Australia per [p. 108 modifica]cercare altre navi e che un giorno o l’altro ci piombi addosso una intera squadra.

— Sarebbe finita per noi, — disse il secondo, impallidendo. — Cosa fare, signore?

— Non lo so.

— Bisognerebbe impedire alla fregata di giungere in Australia.

— Aspettate, mi viene un’idea.

— Quale?

— D’inseguire la Bellona, e di appiccare battaglia per mandarla a picco. È già ormai ridotta in uno stato compassionevole, e con alcune cariche ben dirette si può finirla.

— La vostra idea mi sembra splendida, capitano. — Facciamo subito i preparativi di partenza.

I marinai, subito avvertiti dell’ardito progetto, ricollocarono i dodici cannoni sulla Garonna, poi levarono le catene che impedivano l’entrata nel canale.

Due ore dopo la nave, montata da ottanta uomini, lasciava la baia drizzando la prua verso l’Australia. L’oceano era ancora sconvolto, però la Garonna era troppo buona veleggiatrice per curarsene. Anzi, il capitano, approfittando del vento che era piuttosto forte, aveva fatte spiegare tutte le vele, essendo premuroso di raggiungere la fregata.

— Se giungo a impadronirmene, guai all’equipaggio che la monta — disse il capitano, guardando il mare con un cannocchiale.

— Se non la raggiungiamo oggi, sarà per domani, — disse il secondo. — Così danneggiata non deve correre molto.

— Lo volesse il diavolo! Quei dannati francesi voglio vederli danzare all’estremità dei pennoni, e bruciare la fregata sotto i loro piedi. Certamente sarà un bel spettacolo e...

— Oh! Guardate! — lo interruppe il secondo. — Vi è qualche cosa laggiù? Non vedete quel punto luminoso in lontananza.

— Che sia una vela? — chiese Parry, facendo un gesto di viva soddisfazione.

— Nave sottovento!... — gridarono i marinai di guardia.

— È la fregata! — esclamarono parecchi uomini.

— Miserabili! — tuonò una voce minacciosa, ma che fu impossibile sapere da quale bocca uscisse.

Il capitano Parry udì quella parola e fece un gesto di furore. Chi lo avesse guardato bene, avrebbe veduto la sua faccia impallidire di collera, e le mani stringere il calcio delle sue pistole.

Intanto la vela ingrandiva a vista d’occhio; si vedeva che perdeva cammino. Tutti i marinai della Garonna, arrampicati sugli alberi, aggrappati alle sartie, seduti sulle coffe, divoravano cogli occhi quella nave, quasi volessero attirarla coll’intensità dei loro sguardi.

Tutto il giorno continuarono a veleggiare spiegando tutte le [p. 109 modifica]vele possibili, ma il sole tramontò e la vela intravveduta sparve fra la nebbia della sera. Tutta la notte i pirati stettero sul ponte, interrogando coi loro occhi le tenebre.

Il capitano, sperando di attirare l’attenzione di essa e di farla arrestare, fece tirare due colpi di cannone, ma sul fosco orizzonte nulla comparve, nè i due spari ebbero risposta alcuna.

Finalmente dopo la notte ansiosa venne il mattino tanto desiderato. Tutti gli sguardi si volsero verso i quattro punti dell’orizzonte. Con grande sorpresa di tutti la vela era scomparsa.

I marinai cominciavano ad imprecare; s’inerpicavano sugli alberi, scrutando invano l’orizzonte e discendevano sagrando. Altri mormoravano sordamente contro il capitano Parry, il quale non meno furioso dei suoi marinai, vomitava torrenti d’ingiurie all’indirizzo della malaugurata nave e del suo comandante.

— La ritroveremo, capitano, — disse il secondo. — Non può essere andata molto lontana. La Garonna è una nave troppo lesta per farsi battere da un mercantile.

— Lo spero bene, — rispose Parry. — Ecco però la prima volta che una nave sfugge alla mia Garonna.

— Avrà approfittato di qualche salto di vento.

— Giù di là, imbecilli! — gridò Parry facendo cenno agli uomini arrampicati sugli alberi di scendere.

La Garonna riprese la navigazione verso l’ovest, perchè secondo i calcoli del capitano, il veliero doveva aver preso quella direzione.

Tutto il giorno trascorse così. A bordo si disperava ormai di raggiungerla, e l’equipaggio, inasprito, cominciava già a mormorare contro la mala fortuna e contro la poca capacità del capitano e del secondo.

Però l’indomani, verso le undici del mattino, alcuni marinai installati in crocetta, segnalarono la vela a dieci miglia sottovento.

Era ancora avvolta in mezzo ad una leggera nebbia, però non doveva tardare a mostrarsi distintamente sulla linea dell’orizzonte.

Alla notizia inaspettata, marinai e ufficiali si precipitarono ai loro posti. I coltellacci e gli scopamari furono spiegati in fretta e in furia, e la Garonna riprese l’inseguimento con maggior velocità.

Il capitano, che la osservava con un cannocchiale, si volse verso i marinai, dicendo:

— Non è la fregata, bensì un grazioso brik-goletta e mi sembra ben carico.

— E la fregata? — chiesero i marinai.

— La troveremo più tardi; pensiamo ora a mettere al sicuro quel legno.

— Inseguiamolo! — gridarono tutti. [p. 110 modifica]

— Avete scorto la bandiera di quella nave? — chiese il secondo al capitano.

— Sì, e se non m’inganno deve essere francese.

— Ah, questi francesi! — urlarono i marinai, con furore. — Vendetta per i nostri camerati!...

— Al suo equipaggio non accorderemo quartiere, — rispose il comandante. — Questi uomini la pagheranno per quelli della fregata.

— Gettiamoli in mare e bruciamo la loro nave, — urlarono i marinai.

In quel mentre alcune grida giunsero agli orecchi dei pirati.

— Cosa significano queste urla? — chiese il capitano, afferrando il suo megafono e facendo cenno agli artiglieri di appuntare i cannoni.

— Forse l’equipaggio si è accorto che noi diamo la caccia alla nave. — chiese il secondo.

— Vedranno che caccia, — rispose Parry, con accento feroce.

Ben presto il brik-goletta, che continuava a perdere via, non fu che a due sole miglia dalla nave corsara. Certo l’equipaggio doveva ormai essersi accorto con quali avversari aveva da fare, poichè aveva smascherato due cannoni piazzati sul cassero.

Con due bordate la Garonna si avvicinò fino a cinquanta passi dal brik-goletta, però ad un tratto la vela di maestra si staccò dal pennone e cadde sul ponte senza che nessuno l’avesse toccata.

— Dannazione! — esclamò il capitano, lanciando uno sguardo minaccioso ai marinai.

La Garonna aveva subito rallentata la corsa e il vascello inseguito aveva guadagnato cento passi.

I pirati senza perdere un istante inserirono nuovamente la vela, i cui capi erano stati tagliati da una mano colpevole, mentre Bonga guardava Banes che sorrideva malignamente.

— È stato lui, — pensò il buon negro.

Appena la maestra fu spiegata, la Garonna riacquistò il cammino perduto, e s’accostò al brik-goletta cercando di abbordarlo sottovento. Ormai non distava che duecento passi, quando sulla poppa del veliero balenarono due lampi, e due palle da diciotto, attraversando il ponte della Garonna, fecero saltare parte della murata di prora uccidendo, col medesimo colpo, tre uomini.

— Ah! Canaglie! — urlò Parry.

Poi rizzandosi in piedi:

— Fuoco gli artiglieri! Fuoco!

Alcuni lampi balenarono a babordo e sei palle, prendendo d’infilata il brik-goletta, andarono a spezzargli l’albero di trinchetto, facendo contemporaneamente saltare una parte del castello di prora e colpendo sei o sette marinai. [p. 111 modifica]

Poi fra il fumo dei cannoni la Garonna si avvicinò maggiormente, scaricando addosso alla disgraziata nave una tale bordata di ferro, da spezzare gli alberi, pennoni, murate e manovre. I grappini d’arrembaggio furono gettati e le due navi si trovarono ormeggiate.

Allora i pirati, armati sino ai denti, aggrappandosi alle manovre e balzando al di sopra delle murate, si precipitano come un torrente sul ponte del brik-goletta. Colà, alcuni uomini, armati di fucili, pallidi e sanguinolenti, li attendevano. Senza aspettare oltre, accolsero gli assalitori con una furiosa scarica, però i pirati si scagliarono su di loro, li strinsero coi coltelli, li trucidarono, li afferrarono tra le robuste braccia e li gettarono in mare a pasto dei pesci.

Pochi minuti bastarono per sbarazzare la nave del suo equipaggio.

Compiuta la strage, i pirati si gettarono nella stiva e vi fecero man bassa. Vi era colà un completo carico di velluti e di sete provenienti da Calcutta, e di più, nella camera del capitano, Parry trovò due casse di ferro contenenti duecentomila dollari in oro, destinati alla banca di Melbourne.

— La banca ne farà a meno, — disse il pirata, con feroce accento e diede ordine di trasportare le due casse nella sua cabina.

I due cannoni del brik-goletta, le due imbarcazioni, i viveri, le merci e le masserizie furono imbarcate a bordo della Garonna, poi quando non vi fu più nulla a bordo da asportare, quei furfanti diedero fuoco al veliero, colla speranza che qualche nave attratta dall’incendio, venisse a gettarsi sotto il tiro dei loro cannoni.

La Garonna, rimessasi alla vela ed approfittando d’un colpo di vento, si allontanò di un cinquecento passi, mettendosi in panna.

Il brik-goletta, ormai preda delle fiamme, ardeva su tutti i punti, rischiarando il mare ad una distanza di cinque miglia.

I pirati bevendo, danzando, e cantando, si godevano quello spettacolo. Alcuni di loro giuocavano, imprecando e rissando ogni volta che un colpo di dadi portava loro sfortuna. Il capitano Parry assieme al secondo e al nostromo giuocavano al montes spagnuolo, attingendo senza posa ad un barilotto di arak che avevano trovato sul brik-goletta.

Tutta la notte il veliero bruciò come un fastello di paglia senza che nessuna nave si mostrasse, e verso il mattino, mentre i marinai si preparavano a riprendere il largo, balzava in aria con orribile rimbombo. Poco dopo scompariva fra i gorghi dell’oceano.

Un frugoroso hurrà, salutò l’immersione della disgraziata nave.

— La festa è finita, — disse il capitano, dando un calcio al barile di arak. — Partiamo!...

I marinai abbandonarono a malincuore i loro giuochi e tornarono ai loro posti. [p. 112 modifica]

Pochi minuti dopo le vele erano nuovamente spiegate, e la Garonna, approfittando d’una fresca brezza di nord-ovest, riprendeva la corsa in direzione del forte.

Per due giorni essa navigò rapidamente, filando ad otto nodi all’ora. Il terzo giorno, cioè il 16 maggio, verso le cinque del mattino, un marinaio di guardia posto in vedetta sulla coffa di mezzana segnalava:

— Un rottame a tre miglia sopravento!

A quel grido tutto l’equipaggio fu in coperta.

L’incontro d’un rottame in mare è sempre un avvenimento che desta la curiosità in tutti. Il capitano dopo aver guardato col cannocchiale, ordinò che dirigessero verso di esso. In breve la Garonna non fu che a un centinaio di metri.

Quel rottame era un pezzo di castello di prora, appartenente ad una nave di grossa portata. Colà, coricati in mezzo a dei pennoni spezzati, si scorgevano due marinai che sembravano morti.

Fu tosto messa una lancia in mare. Il secondo e quattro marinai vi presero posto e si avvicinarono a quell’avanzo. Dopo alcuni minuti furono veduti ritornare precipitosamente.

— Cosa avete? — chiese il capitano Parry al secondo.

— Quel rottame appartiene alla fregata! Ne lessi il suo nome! — rispose il secondo.

— L’avevo sospettato, — rispose il capitano.

— Siamo salvi! — gridarono i marinai.

— Ora possiamo far ritorno alla caccia. Non abbiamo più nulla da temere.