I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Dell'arco trionfale a Traiano/Descrizione dell'arco di Benevento

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3. Descrizione dell’arco di Benevento

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Dell'arco trionfale a Traiano - Notizie intorno al nostro arco e degli scrittori che ne hanno parlato Dell'arco trionfale a Traiano - Stato presente e restauri del monumento

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3. descrizione dell’arco di benevento


Affidandoci ai disegni, avrei potuto risparmiare al lettore ed a me le noie di una descrizione, la quale suole d’ordinario riuscir poco gradita; però me la caverò brevemente, anche per la ragione che spesso dovrò tornare sulle stesse cose.

Dall’insieme si scorge (Tav. I, II e III) che quest’Arco è ad un sol fornice, appoggiato a due pilastrate. Queste si [p. 21 modifica]compongono di un sottozoccolo di pietre rustiche, al presente interrato, di uno stilobate e di quattro colonne per ognuna. Un arco, sorretto da elette o parastate, si appoggia alle due pilastrate; la sua serraglia, insieme alle colonne, regge la trabeazione; al di sopra di questa si eleva l’attico.

Il monumento, quindi, è quasi intero, solo mancando probabilmente sulla cimasa dell’attico uno zoccolo, su cui forse potevano esistere il cocchio trionfale nel centro e le statue delle vittorie o i trofei agli angoli. Erroneamente tanto Giordano1 che Giovanni di Nicastro2 asseriscono che sia mancante dei frontispizii, mentre, se vi sono degli archi che l’ebbero, o l’hanno, il nostro non ne fu mai decorato. Se lo avesse avuto, sarebbe ancora in essere, poichè avrebbe dovuto impostare sulla parte centrale della trabeazione, corrispondente alle due colonne che fiancheggiano il fornice, mascherando una parte dell’attico; e nè la cimasa della trabeazione avrebbe avuta la sua intera ricorrenza, come l’ha, perchè avrebbe dovuto far parte del frontespizio, nè lo zoccolo dell’attico sarebbe ricorso per tutta la sua lunghezza.

Ho accennato di sopra che il sottozoccolo di pietre rustiche su cui poggia lo stilobate sia interrato. Con esattezza veramente ciò non potrebbesi asserire, considerando che non vi sarebbe stata ragione di costruirlo sì grezzo e di pietra calcarea nostrale, ammesso pure che l’Architetto lo avesse ritenuto necessario, sia per la maggiore sveltezza delle pilastrate sia per garenzia dello stilobate. Ma le incisioni del Nolli3 (Tav. III, IV e V) sui disegni di Vanvitelli4 segnano questo sottozoccolo. Io opino che non vi sia stato giammai, e la mia opinione si fonda innanzi tutto sull’Arco di Tito, il quale non si può ammettere l’abbia avuto, poichè si erge immediatamente sul lastricato della via Sacra, che sta all’antico livello5. [p. 22 modifica]

E poi considero che necessariamente l’Architetto, dovendo piantare le pilastrate su solida base, abbia dovuto far ricorso a quel genere di sostruzione, anzi che all’ordinaria muratura, che, per l’ineguaglianza della via e per altre cause accidentali, si sarebbe potuta corrodere in prossimità della superficie stradale.

Aggiungo che se quei massi di pietra calcarea grezza avessero dovuto far l’ufficio di zoccolo, la loro risega rispetto allo zoccolo dello stilobate non sarebbe stata tanto eccessiva, di centimetri sessantacinque allo esterno verso la campagna e di centimetri trentaquattro su i due lati minori, esternamente; e che la disuguaglianza della risega sui varii lati è il maggiore argomento che quella munizione sia tutt’altro che un sottozoccolo, come lo segna il Nolli.

Non dissimulo però che con l’aggiunta del sottozoccolo la massa acquisterebbe altra sveltezza; e fo voti che nella costruzione della piazza presso l’Arco, e nei relativi riaccordi delle livellette si metta allo scoverto il rustico della base suddetta.

Mentre lo stilobate ricorre diritto e le quattro colonne, su ciascun fronte, sono situate coi loro assi nel medesimo piano verticale, la trabeazione che sopportano è profilata in maniera da suddividere la massa, dando nascimento ad un corpo avanzato sul centro, in corrispondenza del canto esterno delle colonne prossime all’Arco, a due fondati negli intercolunnii tra le precedenti e le colonne d’angolo e ad un nuovo risalto su queste ultime, pari alla sporgenza del corpo di mezzo. Lo stesso notasi dell’attico.

Ben censiderando, si deve convenire che l’Architetto si avvisò giustamente con tale partito, che alleggerisce la massa generale, togliendo la monotonia del predominio delle ricorrenze orizzontali sulle verticali, e queste meglio richiamando all’occhio.

Nè meno giudizioso è lo scompartimento degl’intercolunnii sui fronti principali delle pilastrate, imperocchè il più basso quadro è determinato naturalmente dalla ricorrenza dell’imoscapo delle colonne e della cimasa d’imposta dell’arcata, il più alto è determinato dalla ricorrenza dell’astragalo e dell’architrave; e poichè la rimanente altezza sarebbe stata eccessiva per un terzo scomparto, così è stata suddivisa in due, in uno minore [p. 23 modifica] [p. 25 modifica]immediatamente sulla cimasa d’imposta dell’arcata, a metà del fusto della colonna, nell’altro maggiore, pari al quadro più basso.

Come savio partito fu quello di situare le colonne d’angolo in maniera che lo aggetto fosse minore sul fianco (un quarto del diametro) che sulla faccia principale (metà del diametro), per aumento di solidità; poichè altrimenti tale colonne si sarebbero addentrate appena di un quadrante nel pieno del monumento e l’occhio avrebbe tosto avvistata la fragilezza della cantonata.

Le facce minori dei fianchi son lisce; soltanto a metà dell’altezza tra l’imo e il sommo scapo vi ha una targa o cartella rettangolare, formata di una bugna risaltata e sfettata ai canti, incastonata in una cornice semplice costituita di un pianetto ed una gola rovescia. Essa è alta quanto il piccolo quadro a livello dell’imposta e lunga quanto la distanza delle colonne d’angolo. Su queste facce ricorre pure l’astragalo e la base delle colonne; e solamente nel fregio del cornicione ricorrono i bassorilievi come nelle facce principali.

Essendo nello stesso piano le quattro colonne di ciascun fronte principale, ed essendo profilato il cornicione sul vivo di quelle mediane, fu giuocoforza profilare anche quella parte di questo che poggia sulle colonne esterne. Lo stesso partito trovasi applicato nella base, nel dado e nella cimasa dell’attico. Onde ne risultano due paraste ai cantoni, indi due quadri, uno per banda, e nel mezzo la grande cartella portante la iscrizione dedicatoria. I fianchi dell’attico sono lisci.

Uno zoccolo terminale vi doveva essere necessariamente, a forma semplice di un sopra attico, al fine di gravitare qual contrappeso sulla cimasa, nella verticale del vivo delle parastate e della cartella dell’attico, la cui cornice, altrimenti, non si sarebbe potuta reggere. Al presente un po’ di rozza muratura aggiunta ne fa l’ufficio.

Canina6, integrando il nostro Arco con suo concepimento, lo rappresenta appunto col sopra-figurato attico. [p. 26 modifica]

Come il sottozoccolo interrato, che fa da sostruzione alla massa del monumento, l’interno dell’elevato da qualche spacco aperto apparisce costituito di simili blocchi di pietra calcarea nostrale. Tutto il rivestimento è di marmo Pario, che in molte parti si mostra sfaldato secondo superficie di clivaggio.

Facilmente l’interno dei pilastri è pieno nella maggior parte, se non in tutto; mentre l’attico ha l’interno cavo, ricoperto da volta a botte. Però, se nello spaccato che rilevo dalle incisioni di Nolli (Tav. IV) questa volta ha la generatrice parallela al fronte principale del monumento, io stimo, sebben non abbia potuto praticar saggi nella muratura, che per ragioni di arte muraria debba trovarsi in senso inverso, come ho constatato trovarsi nell’antico arco del Sagramento, esistente in questa città, del quale in appresso mi occuperò; sia perchè si eliminano le spinte verso il fronte, sia perchè l’arco del volto avrebbe i suoi piedritti sulla verticale dei piastroni del fornice. Forse Piermarini e Vanvitelli, che affidarono i disegni al Nolli, non posero mente a tanto.

Note

  1. Op. cit. lib. 3. pag. 53.
  2. Op. cit. pag. 66.
  3. Op. cit.
  4. Avverta il lettore che le otto tavole ricavate dalle incisioni del Nolli hanno le proporzioni scritte in palmi napolitani e in parti di modulo.
  5. Wey, op. cit. pag. 73.
  6. L’Architettura Romana, descritta e dimostrata coi Monumenti — Roma 1832.