Il Canzoniere (Bandello)/Alcuni Fragmenti delle Rime/CCI - Come potrò mai dire

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CCI - Come potrò mai dire

../CC - Che fôra Ulisse, Achille e gli altri eroi ../CCII - Ha l'alto ciel un sol infra le stelle IncludiIntestazione 15 marzo 2024 100% Poesie

CCI - Come potrò mai dire
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CCI.

Lontano — in Francia — e omai, per sempre, dalla Mencia, afferma che la sua non è più vita, ma vera morte dell’animo se pur il corpo sopravvive. E sul concetto — e sulle parole di «vita» e di «morte» che gli ritornano frequenti sotto la penna — compone quest’ultima sua Ballata in lode, e in rimpianto, della Mencia mantovana.


Come potrò mai dire
     Ch’io viva, e vita questo viver sia
     S’è senza vita ognor la vita mia?1
Il vivo raggio, che dagli occhi viene
     5Della mia Donna, Amore,

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     L’esca porgeva al lasso viver mio:
     Onde tal forza ne prendeva il core,
     Che fra l’acerbe pene
     Mi dava d’ogni strazio sempre oblio,
     10E sol intento er’io
     Al dolce sfavillar di quella pia
     Vista, che ’n terra un Paradiso cria.
Ben mi potea chiamar contento e vivo
     Allor ch’a lei presente
     15Gustava in que’ bei lumi ogni dolcezza;
     Or che mia sorte me ne tiene assente,
     Nè veggio il lume divo
     Questa mia vita il viver più non prezza.
     Nè vita è pur, che mezza,
     20Anzi già tutta è morta. Ahi sorte ria!
     Di me senz’il favor di quel che fia?
Quand’io lasciai sul Mencio quella vaga
     Luce amorosa, allora
     Lasciai la vita innanzi alla mia vita.
     25Quivi da me lontana ella dimora
     Sol di quel lume vaga
     Ov’ogni grazia il ciel tien sempre unita.
     Ivi quel ben s’addita,
     Che fa ch’un uom senz’alma in vita stia
     30E paia vivo come già solìa.
I’ non son vivo, Amor, nè mai potrei
     Viver lontan da quella,
     Che come vuol il cor, or m’apre, or serra2.
     Così mi diede il ciel, e la mia stella
     35Il dì, che mi rendei
     A lei del Mencio in la famosa terra.
     Quivi mia pace, e guerra
     Tempra mai sempre, e me da me disvìa

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     Per cui se stesso il cor disprezza e oblìa.
     40Onde non so se morto, o vivo sono
     Da poi che ’l mio conforto,
     Come mia stella vuol, abbandonai.
     E se di vita il segno in viso porto,
     Vien così raro dono
     45Da’ begli occhi più chiar, che ’l sol assai;
     Chè fanno ancor que’ rai
     Con la virtù di lor pietà natìa
     Spirar la vita in me, com’era pria.
Ahi! strana vita, che pur morta spiri,
     50Ond’io tal provo strazio,
     Che giunto son di Stige3 sulla riva:
     Quanto di fiumi, mari e monti spazio
     Da que’ soavi giri
     Mi tien diviso, e posso dir ch’i viva?
     55In tutto l’alma schiva
     Meco restar a farmi compagnia,
     Nè trova a darmi aìta più la via.
Così mi veggio, Amor, già giunto a tale
     Ch’io vivo non vivendo
     60E d’uomo sono un’ombra sol, e un segno.
     E pur mi meraviglio morto essendo.
     Che ’l pianto in me sì sale
     Qual era allor ch’entrai dentro il tuo regno.
     Però per fermo i’ tegno
     65Morendo non morir, e tuttavia
     Per fuggir morte il cor morir disia.

Note

  1. Vv. 2-3. Ch’io viva e vita, viver, senza vita, la mia vita, il vivo raggio ecc., continuando l’analisi per tutto il componimento si vede come il poeta ripeta e insista con giochi di parole, fino alla sazietà, sul suo concetto.
  2. V. 33. Il cor, or m’apre, or serra, è il petrarchesco: «E i cor ch’indura e serra», Canz., CXXVIII, v. 12.
  3. V. 51. Stige, la trista palude; cfr. Dante, Inf., VII, v. 106 sgg.