Il buon cuore - Anno XII, n. 20 - 17 maggio 1913/Religione

Da Wikisource.
Religione

../Educazione ed Istruzione ../Beneficenza IncludiIntestazione 9 marzo 2022 50% Da definire

Educazione ed Istruzione Beneficenza

[p. 154 modifica]Religione


Vangelo della domenica prima dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

Disse Gesù a’ suoi discepoli: Quando sarà venuto il Paracleto, che io vi manderò dal Padre, Spirito di verità che procede dal Padre, egli renderà la testimonianza per me; voi ancora renderete testimo-. nianza perchè siete meco sin dal principio. Queste cose ho detto a voi, affinchè non siate scandalizzati. Vi scaccieranno dalle sinagoghe; anzi verrà il tempo che chi vi ucciderà si crederà di prestare ossequio a Dio. E vi tratteranno così, perchè non hanno conosciuto nè il Padre, nè me. Ma io vi ho dette queste cose, affinchè venuto quel tempo vi ricordiate che io ve le ho dette. S. GIOVANNI, cap. 15-16. [p. 155 modifica]Pensieri.

Gesù continua. nel suo discorso — di cui il Vangelo d’oggi ci riferisce una parte — parlando dello Spirito Paraclito, che Egli definisce Spirito di Verità e Carità. Di ciò già abbiamo detto nel commento della domenica scorsa. Qui più precisamente Gesù dice non più dell’operazione di questo Spirito, ma come e quale sarà l’efficacia o l’effetto di lui sul mondo fedele a Cristo, e sul mondo a Cristo contradicente. Gesù aveva protestato che non avrebbe lasciato gli Apostoli suoi orfani. A ciò ha promesso lo Spirito che Egli manderà dal Padre, -Spirito che li verrà a completare e perfezionare nella mente colla scienza della verità religiosa, li verrà a perfezionare nel cuore dando ed infondendo in loro quella forza ultrapotente e fino allora sconosciuta, o dagli uomini misconosciuta, che sarà la carità cristiana e l’amore. Ma ciò non bastava. A tutti fa impressione terribile e penosi un indomani oscuro e minaccioso. Oscuro perchè non conoscono le proprie forze e l’efficacia delle armi di cui dispongono a propria difesa: minaccioso perchè Gesù in più d’un luogo e d’una occasionè li aveva avvisati che essi erano destinati ad ingaggiare una lotta, terribile lotta col mondo a cui Cristo aveva giurato una guerra implacabile. Per questo Gesù li avverte e dice loro come si svolgerà la lotta, e quale sarà la tattica dei due eserciti che si urteranno, quale infine ed a chi resterà la vittoria.

  • * *

Gesù dice che quegli che lui manderà, Spirito di Verità, darà di lui solenne testimonianza: in altre parole -- illustrerà Gesù, lo manifesterà, lo farà conoscere nella sua virtù agli uomini, i quali — afferma Gesù — daranno pur loro testimonio di lui perchè con lui sono fin dal principio. - Ma come daranno testimonio gli uomini che sono di Gesù? cioè quelli che sono educati alla sua scuola, alla sua verità, al suo affetto, i cristiani in una parola? Oh! accettando le verità tutte chè lo Spirito Santo farà conoscere, sottomettendo la mente ai dogmì della fede, avvicinando il mistero, lasciando libero passo, libera azione allo svolgersi di quel raggio di luce che si parte dal Padre e scende ad illuminare gli uomini. Accettando — appunto perchè lo Spirito è verità — accettando le sue parole, i suoi precetti, i suoi

comandi. Come 1a mente è obbligata e s’inchina al vero, così il cuore piega e s’inchina dove sarà il bene, sarà la virtù, sarà il voler di Dio. Ed il trionfo del vero, il trionfo del bene, della virtù, sarà il monumento granitico, indistruttibile, eterno su cui lo Spirito Santo, ed il mondo cristiano -- che fu dal principio con Gesù — scriveranno il solenne testimonio della divinità ed umanità del Salvator Gesù Cristo!

  • * *

Improvvisamente Gesù parla dei suoi nemici. Avvisa gli Apostoli di non prendere scandalo delle sue parole come i mondani, i nemici suoi. Li rende, avvisati che il mondo farà senza della loro autorità sia privata che pubblica. Anzi quando in nome della scienza -- pregiudizio scientifico — li perseguiterà, crederà di dare ossequio a Dio, alla propria superbia, al proprio egoismo. Li perseguiterà ancora e più nel nome della propria libertà — pregiudizio morale -- anche qui pretestando il mondo libertà mentre esso ignora cosa sia la libertà non conoscendo Dio, l’unico essere libero veramente. A quale scuola ci siamo ascritti, o lettori? Non regna nelle nostre menti fallaci quel pregiudizio f atale e pericoloso perchè più seducente della coltura... falsa? Cerchiamo la scienza vera? con intenzioni pure? cercando il vero per... Dio? E nel campo morale? Nel campo delle azioni come usiamo delle nostre passioni? Quale l’oggetto? quale l’indirizzo? Come le facciamo? Gesù ci prega di non scandalizzarci se i più, se il mondo opera diversamente. Non l’ha detto prima? R. B.

UN SANTO NEGRO (Sua festa 3 Aprile)

Ecco un sunto della vita d’un Santo, il cui nome — S. Benedetto di S. Fila-delfo, detto «il Moro», conosciuto da.pochi — è pieno d’interesse e di edificazione per coloro che sentono compassione per l’Africa ed i suoi abitanti così poco favoriti dalla natura e dalla grazia. Questo sunto della biografia del nostro Santo Negro serva di esempio a tutti quelli, che finora non avevano abbastanza compreso l’uguaglianza, che regna fra noi ed il popolo africano. [p. 156 modifica]E’ una gloria per gli Italiani che questo Santo Negro nacque, visse e morì in Italia, giacchè i suoi genitori, già cristiani, furonó condotti come schiavi dall’Etiopia in Sicilia. Il padrone diede loro la libertà, ed essi si stabilirono nella Costa Boreale del distretto di Messina, chiamata dapprima «Castello di S. Filadelfò», nome di uno dei martiri di quel paese. Fin dalla sua infanzia, quand’era pastorello, fu chiamato comunemente a il Santo Moro», per le sue cristiane virtù, in ispecie per la sua innocenza. In età di circa 20 anni, entrò nella Congregazione degli Eremiti, fondata da un certo Girolamo Lanza. Morto il Lanza, la Congregazione fu affidata a Benedetto, benchè ignorante e laico. Quando questa fu disciolta dal Sommo Pontefice Pio IV, i suoi membri furono dispensati dal loro quarto voto, dal. nutrirsi cioè continuamente con cibi quaresimali, e fu lasciata loro la libertà di entrare in qualunque Ordine approvato dalla Chiesa. Benedetto entrò in quello dei Francescani. Quivi, dopo aver esercitato con molta umiltà per tanti anni l’ufficio di cuoco, dal Capitolo provinciale dell’Ordine fu nominato Guardiano, e non solo fu a capo dei novizi, ma bensì di pii e dotti sacerdoti. Per quanto Benedetto, umile com’era, cercasse di ricusare il posto di Guardiano, non potè fare a meno, per la santa ubbidienza, di assumere Vufficio assegnatogli. Ili Capitolo gli diede questa nomina, non a causa dei miracoli, per i quali rifulgeva il nostro Santo, ma per il dono di sapienza, di cui era dotato e che pareva evidentemente infuso in lui dall’alto, e non acquistato con lo studio, giacchè egli non sapeva nè leggere, nè scrivere. Il nostro Benedetto, venerato oggi sugli altari, diede a tutti uno splendido esempio delle cristiane virtù, specialmente dell’umiltà e laboriosità. Benchè Guardiano, fu visto il primo prestare i servigi più bassi, come per" esempio: spazzare il Convento, lavare le stoviglie, zappare l’orto, ecc., senza però che tali lavòri lo ’rendessero meno esatto nell’adempimento dei suoi obblighi di capo,’ nè meno apprezzato agli occhi dei dipendenti, i quali provarono un vero dolore, quando dopo ’tre anni, egli doveva cessare dall’essere loro Guardiano. Ma a pieni voti restò come Vicario. Tutti lo desideravano a capo, affinchè con la sua autorità e coll’esempio, continuasse ad essere loro di buona - guida. E come poteva essere altrimenti, avverandosi in lui letteralmente ciò che aveva ’già detto lo Spirito Santo per bocca dell’Apostolo’ (i corr.):

«Io confonderò la sapienza dei savii del mondo, e farò arrossire la prudenza dei prudenti del secolo». S. Benedetto, senza esser letterato, teneva dei discori pieni di santa eloquenza e spiegava ai novizi, non solo le regole dell’Ordine, ma le massime sublimi delle cristiane virtù; era persino interprete ai Teologi dei testi della Sacra Scrittura. E questo miracolo, per così dire permanente, era accompagnato da tanti altri, come la cognizione dei cuori, la guarigione degli infermi e talora anche la risurrezione dei morti, senza parlar di quelli che si narrano nei processi della sua canonizzazione. Ivi sia menzionato specialmente quello mostrato dal vessillo portato a Roma nel giorno della sua solenne canonizzazione. Viaggiava un giorno il nostro Santo,con un giovane non avendo speranza di potersi procacciare del vitto, perché lontani da luoghi abitati, palesò a Benedetto il bisogno di nutrirsi. Mentre il Santo gli faceva coraggio, apparve un giovane di bellissimo aspetto, che diede loro un pane molto grande, ancor caldo. Dopo una vita così esemplre, Benedetto morì santamente in età di circa 65 anni. Alti personaggi desiderarono di assistere alla sua morte, persuasi che fosse quella di un Santo. I benefattori e gli amici delle Missioni vedono dunque che la loro carità pei poveri negri è fruttuosa e che Iddio non isdegna di scegliere le anime anche fra gli infelici discendenti di Cani, che sonò chiamati con noi a magnificare il suo trono nell’eternità. Le persone che si interessano per i poveri negri e desiderano letture dei medesimi e dell’Africa, possono abbonarsi ad uno dei periodici mensili illustrati l«Eco dell’Africa».(abbon. annuo L. I.5o) o «Il Fanciullo Negro» (abbon. annuo L. i), editi dal Sodalizio di S. Pietro Claver per le. Missioni Afrìcane - Roma, Via dell’Olmata, i6. (Dalla Gazzetta Africana).

TIPI E FIGURE DI NAPOLI

Lo " scugnizzo „ Il colore locale, quando si riferisce ad una città, è cosa molto vaga e indefinibile. Esso, però, per astratta • che’ sia la sua significazione, ha spesso forme ed aspetti concreti, ma tanto molteplici sono queste forme e tanto vari e diversi questi aspetti che là somma di essi, integrandosi nella espressione di [p. 157 modifica]a colore locale», rientra, di colpo nel campo indefinibile dello astratto. E allora diventa impossibile precisare quale cosa più di un’altra contribuisca al colore locale di una, città e quasi pare che tutte le espressioni multiformi e-caratteristiche di un popolo della vita di esso concorrano in eguale misura e talvolta cori impercettibili contribuzioni alla grande sinfonia del colore locale. Viceversa, *come quarído, in una numerosa orchestra, sopprimendo un sola strumento che poteva parerci inutile, abbiamo in sensazione di aver tolto di mezzo precisamnete quella voce che più era necessaria allo assieme, così basta che una sola pennellata scompaia dal gran quadro del colore locale, perchè questo risulti scialbo freddo come se vi mancasse l’elemento indispensabile alla sua efficienza pittorica. Per buona fortuna il.colore locale di una città è soggetto a continui mutamenti e gli elementi che scompaiono oggi sono domani sostituiti da elementi nuovi, ché se così non fosse certi vuoti resterebbero incolmabili e ne deriverpbbe un’o squilibrio costante assai più penoso dello squilibrio passeggiero che si determina e si osserva in ogni città che sia in pieno fervore di evoluzione. Il colore locale di Napoli, ad esempio, era costituito ieri da una somma di elementi ben dissimili da quelli che. costituiscono il suo colore locale odierno. I fondachi, gli ostricari di Santa Lucia vecchia, il guappo» che aveva una sua particolare foggia di vestire, il lazzarone coi piedi nudi e i calzoni rimboccati fin sulle ginocchia, sono elementi scomparsi altri li han sostituiti che domani spariranno. Così la sinfonia del.colore locale si rinnova incessantemente ed il rinnovamento obbedisce volta a volta, secondo gli eventi, alle esigenze della civiltà, della moralità, del benessere, della igiene, o alla legge inesorabile della morte, o al capriccio personale di un governante. Tutto ciò è così logico, anche quando sembri illogico, ed è così fatale che nessuno se ne stupisce più. Oggi si lavora a Napoli alla soppressione dello a scugnizzo» ad un elemento, cioè, la cui importanza può essere discutibile, la cui bellezza lo può essere anche di più, ma che certamente rappresentava una delle più vivaci e caratteristiche pennellate del colore locale napoletano. Le autorità napoletane, giustamente preoccupate del moltiplicarsi di questa ragazzaglia che costituiva una vera e propria setta dalla quale a lungo andare, nulla c’era da aspettarsi di buono, hanno ottenuto dal governo una nave scuola nel porto, una nave che

è come una isola galleggiante in mezzo al mare, e sulla quale gli «scugnizzi» che non hanno famiglia non hanno tetto oltre quello rappresentato da un banco di acquafrescaio, vengono tenuti in una relativa prigionia e vestiti e curati e nutriti e istradati ad un’arte o ad un mestiere. Se le autorità persevereranno e se gli (c scugnizzi» non si rinnoveranno, vincendo, così, essi, la battaglia che oggi vien loro data; fra un anno Napoli non avrà più uno «scugnizzo». Sarà un bene? Cer-• tamente che sì, ma sarà anche un vuoto del -quale gli amanti del color locale napoletano dureranno a darsi pace.

  • * *

Io immagino senza molte difficoltà, lo,stupore che vincerà colui il quale, senza conoscere a fondo lo. scugnizzo» napoletano, si troverà per caso a leggere queste righe che mai dissimulano un sottile e inesplicabile rimpianto. a E’ poi un fatto così importante — egli si domanderà — e così degno di considerazione che le autorità napoletano si adoperino a togliere dalla circolazione turbe di monelli sudici, maleducati, senza • governo, senza morale, senza famiglia, forse ladri»? Sì, è un fatto importante e degno di essere ricordato. Ed è appunto per voi, signore che vi stupite, che io dedico oggi una colonna e più di giornale allo «scugnizzo» napoletano. Perchè lo «scugnizzo» non solo non è conosciuto, ma assai spesso è misconosciuto. Lo «scugnizzo» non è il monello di ogni altra città, non è il piccolo mendicante, non è il piccolo ladro: è invece — non ve ne meravigliate, per favore — una manifestazione artistica, pittoresca, etnica, singolarissima del popolo napoletano. Quella. dello «scugnizzo» è una minuscola compagine regolarmente costituita, che ha le sue leggi assurde e perfino una strana morale. Assai spesso divenire a scugnizzo» non è la conseguenza di una fatale, inevitabile degradazione sociale, dovuta alla miseria, allo abbandono, alla mancanza di una f amiglia e di una disciplina, ma è una via che si presceglie fra tante, è quasi una vocazione, assurda, inconcepibile, mostruosa tutto quel che vi piace, ma vocazione. A Napoli non si dice a divenire scugnizzo» ma a fare lo scugnizzo»; il novanta per cento dei monelli napoletani non diventa a scugnizzo» per necessità o per fatalità, mi si pone a fare lo a scugnizzo» come si porrebbe a fare qualsiasi altro mestiere più o meno libero e più o meno lucrativo. For [p. 158 modifica]se così facendo il monello obbedisce involontariamente ad una ineluttabilità etnica; forse è strumento inconsapevole di una tradizione fatale che ebbe la sua origine nel -famoso a lazzarone» e che oggi in tal maniera si evolve...; forse è monito amarissimo al legislatore che non provvide alla tutela della infanzia abbandonata, infanzia che a Napoli, per ragioni di stirpe e di terra, ha esigenze - di libertà ed ebbrezze di nomadismo... Chi sa! Certo questa ricerca delle cause ci porterebbe molto lontano e non sapremmo dire incontro a quali risultati. Abbandoniamola ed esaminiamo lo a scugnizzo» quale è e quale è per non essere più. • •

Anzitutto, perchè si chiama «scugnizzo»? Che vuol dire questo. nome entrato ormai nel linguaggio comune, se. conosciuto anche nei più lontani paesi? Chi lo ha trovato? A quest’ultima domanda nessuno saprebbe rispondere: esso fu trovato probabilmente da uno a scugnizzo» in un momento di genialità partenopea e in verità per il buon successo avuto dal neologismo l’autore di esse. non meriterebbe di rimanere ignoto. Alla prima domanda molti han creduto. di poter dare.una risposta e la più diffusa è quella che spiega in tal modo il nuovo nominativo. Scugnizzo deriverebbe da a scugnato», cioè da fanciullo che manca dei denti incisivi, trovandosi appunto nella età della seconda dentizione. Secondo Ferdinando Russo, che ultimamente ne scriveva a Matilde Serao, a scugnizzo» deriverebbe dalla abilità che hanno questi monelli, giuocando alla trottola, di a scugnare» con la punta d’acciio della propria trottola la trottola dell’avversario. Ma è poi questa veramente l’origine del neologismo? La competenza di Ferdinando Russo è tale che bisogna prestar fede, alla sua spiegazione. In ogni modo è certo che il nome di «scugnizzo» non è ormai giustificato da alcun segno caratteristico di chi lo porta, sia perchè non tutti son6 a scugnati», sia perchè il giuoco:dello a strummolo» è tramontato insieme con tutta una serie di vecchi giuochi per dar posto a nuovi cimenti e anche in olocausto alle esigenze della vita le quali, anche per lo scugnizzo, sono ’molteplici e gravi. Io ho detto dianzi che lo «scugnizzo» è una manifestazione artistica e pittoresca, della vita del popolo napoletano. Non ho esagerato, perchè lo a scugnizzo» stesso sa il suo valore artistico e pittorico nella luminosa cornice del paesaggio di Napoli. Non appena il, monello decide, per quelle cause

che non abbiamo potuto precisare, di • a mettersi a fare lo «scugnizzo» adotta, prima d’ogni altro, il vestito dell’ordine nel quale entra. Esso è a piacere, secondo i gusti e la fantasia di chi se lo compone, ma non deve rassomigliarsi al vestito degli altri ragazzi. Un cappello da soldato, una giacca lacera e così lunga da impigliarsi fra i piedi di chi la indossa, una •camicia rappezzata senza altri complementi di vestiario, un cappellaccio calcato fino alla nuca, un paio di brache tolte al personaggio più panciuto che vi sia, un solo panciotto sulla pelle nuda e bronzata dal sole, sono, generalmente, gli elementi indispensabili del a trucco». Poichè lo a scugnizzo» sa bene che il suo vestito e la sua sudiceria sono un trucco a pour épater... les etrangers». Tutti questi effetti di vestiario sono, generalmente in possesso di uno «scugnizzo» più anziano, che conosce meglio l’arte sua, e che per pochi centesimi li compra da un rigattiere, rivendendoli a buon mer— cato alle reclute della a scugnizzeria». Questo a scugnizzo» più anziano esercita ordinariamente una certa autorità sui più piccoli: li comanda, li percuote, ma li aiuta anche amorevolmente e li guida nel difficile esercizio del proprio mestiere. Lo a scugnizzo», il vero a scugnizzo» che si rispetta, non ruba. Quella cartolina che va in giro per l’Italia e per l’estero e sulla quale è raffigurato uno «scugnizzo» nell’atto di rubare il fazzoletto ad un signore che si. fa lustrare le scarpe, è un documento falso e calunnioso. Lo «scugnizzo» lavora per vivere. Fa tredici cai priole innanzi ai• piedi del forestiere per averne un soldo in compenso, accende i lumi alle vetture padronali nell’ora della passeggiata senza fermare i cavalli con la’ speranza di un soldino del signore o col pericolo di buscarsi una frustata del cocchiere e di rimetterci quei cerini di cui ha comprato una scatoletta; striscia sui marciapiedi e sguiscia nelle trattorie per raccogliervi i mozziconi di sigari e. sigarette che rivende, in grande quantità, ad un uomo che fa commercio di questo genere di rifiuti, sulle scale dei portici al Museo nazionale, porta la valigia al viaggiatore, corre a chiamar la vettura per il signore in pelliccia che esce dal teatro o pel forestiero che vien fuori dall’albergo,.e, giunta la sera, sugli sbarcatoi del Porto in frotte, improvvisano graziosi e intonati coretti di «Funiculì, funiculà», a Addio mia bella•Napoli», a Santa Lucia» sono vecchie canzoni che cantavano i nonni degli scugnizzi, ma questi le apprendono. e le cantano, perchè sanno che è il genere che va per.gli stranieri. [p. 159 modifica]Vi è una venditrice di giornali in una delle principali piazze della città, la quale è la banchiera dei piccoli derelitti. Nelle sue mani essi ripongono quanto han guadagnato nella giornata, esponendosi mille pericoli, e, volta a volta, che decorre una spesa, li ritirano. A notte alta i più anziani vanno nelle trattorie e vi acquistano i rimasugli della giornata. Allora intorno ad essi si affollano i piccoli, in un oscuro recesso della città, e si sentono cento voci gridare: due soldi di carne a me! quattro centesimi di maccheroni! due centesimi di pane! due soldi di pane e pesce! E nel silenzio della notte si consuma la cena pantagruelica. Poi ogni pietra è un giaciglio, ogni banco è un tetto ed è fortunato colui che riesce ad accoccolarsi sulla saracinesca di una sotterranea trattoria d’albergo, ove si gode il caldo e il buon odore dellevivande cotte al burro.

E questo è lo «scugnizzo». Non un individuo, ma una specie; non una persona, ma una pennellata di colore nel gran quadro napoletano in cui, a dispetto.dei tempi, le origini e le tradizioni prorompono da ogni parte, cozzano, si integrano, diventano uomini e ciascuno di questi uomini è spesso una istituzione. Lo «scugnizzo» preso individualmente, è una entità autonoma. L’insieme di essi costituisce una piccola repubblica ancora più autonoma: una specie di stato nello stato. Per esso non vi sono leggi, tranne quella dell’istinto personale di coloro che la compongono e nella somma di sensazioni e di aspirazioni che costituiscono l’istinto una nota predomina con una insistenza ed una tenacia che non hanno eguali: l’amore alla libertà, innanzi al quale passa in seconda linea perfino il sentimento della propria conservazione. Lo «scugnizzo» sa che così vivendo egli non appartiene tanto a sè stesso quanto alla sua terra, e di quel che sarà in appresso. non si preoccupa. Gli altri, oh, gli altri neppur essi si sono preoccupati gran fatto degli «scugnizzi» paghi che questi contribuissero alla sonante sinfonia napoletana con un ritmo saltellante di indifferentismo orientale. Ora i tempi paiono mutati e ciascuno si è rivolto una terribile domandà: che sarà di questi «scugnizzi» giocondi e piagnucolosi fra dieci, fra venti anni? E al 159

lora si è dato di piglio ad’un spugna e si stropiccia affannosamente sul quadro di Napoli per cavarne la macchia dello i scugnizzo». Ma io non ho molta fiducia nella arrendevolezza del colore già troppo secco e tanto meno nelle energie di chi stropiccia. E appena deposta la penna, da buon napoletano, mi concederò la gioia di veder caprioleggiare tredici volte fra i miei piedi uno «scugnizzo» scampato al pericolo della sua salvezza. Costa un soldo. Pasquale Parisi.

El mè Giornàl (SONETT CONT Et. COIN)

Quand leggi el mè Giorntil (on Giornalon)} Pien de notizi come è pien on vivee, Me par d’avegh denanz on minestron, Faa d’on cceugh consumaa in del so mestee. I codegh, hin i articol sul fronton: Ris e fasceu; sarYen quel vespee De notizi miss dopo in d’on monton. El brceud e i verz tutt quell ch’è miss dedree. Qaand ben mi l’hoo leggiuu e ch’hoo finii, Me senti el cceur saraa d’ori oppression, De mceud ch’el bon umor el me sparii; L’è ch’el GionAl l’è diventaa on centon De mort, delitt, suicidi e de ferii Disaster, scontri, incendi e d’aggression Del rest, sto gran GiornM el gha reson;Lu’l riporta tal quM quell che succed. Ghe n’impò la s’el mond l’è insci birbon? FEDERICO Bussi