Il buon cuore - Anno XII, n. 33 - 16 agosto 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 33 - 16 agosto 1913 Religione

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La visione italica
negli scrittori francesi


Nella grande aula romana ormai consacrata alla cultura più o meno artificiale di quel fecondo bacillo insinuatosi nella vita moderna, che è la conferenza, il parigino oratore parlava amabilmente. Non ricordo più il suo nome, e davvero me ne duole chè meritava di non esser dimenticato: rammento solo che era giovane, che vestivi la più impeccabile delle redingotes, che aveva la rosellina all’occhiello, e, che la sua parola elegante, fluente, nitida ed adorna, confessava con molta grazia all’uditorio, assai fem, minile, e quasi tutto italiano, una piccola deficienza dei francesi. Piccolissima certo al punto di vista dei nostri buoni fratelli latini; meno piccola per noi. Ma comunque questa manchevolezza veniva riconosciuta, per bocca del parlatore leggiadramente colto, dagli stessi colpevoli; e chi conosca il carattere francese, deve convenire che non è poco.

I miei conterranei, diceva presso a poco il conferenziere, de l’Academie des Immortels, fino ad oggi non hanno conosciuto l’Italia, e non han cercato di conoscerla. Le loro impressioni italiane furono, fina a questi ultimi tempi, o superficiali o convenzionali; esse non ebbero mai notevole influenza sull’opera dei grandi che pur visitarono le contrade italiche, della cui bellezza dovettero gioire indubbiamente.

E l’asserzione sincera veniva abbondantemente documentata con citazioni di autori che pretesero anzi animare di qualche pennellata italiana taluni dei loro quadri.

De Musset che scrive di Venezia prima di visitarla, e che, dopo aver consumato nell’adriaca città giorni così intensi di triste passione, non trova modo di trasfondere alcun elemento nuovo e vitale nel suo canto dolente; nulla di caratteristico di preciso, di realmente italiano. Lamartine, ché fa una rappresentazione tutta teatrale o adirittura coreografica delle bellezze e dei costumi nostri; Victor Hugo che; dovendo mettere a sfondo di un suo dramma un paesaggio italiano, si serve delle parole più vaghe e imprecise che si possan immaginare (e citiamo appena i nomi dei maggiori) dimostrano o una completa incapacità a penetrare lo spirito, la multipla vita, il vario carattere dell’itala gente, o — ciò che è più probabile — una perfetta incuranza a giungere a tutto questo.

Solamente qualche scrittrice, forse per l’innata e quasi inconsapevole sensibilità del carattere muliebre, ha dimostrato talora una intuizione e una comprensione più esatta e più sincera; ma anche per la Sand, e per la Stael (che è senza dubbio migliore di molti suoi illustri compatrioti) la visione romantica si sovrappone e si confonde subito con quella reale, sì che è difficile distinguere dove cessi l’immediatezza della impressione, e cominci il lavoro della fantasia.

Ci voleva un poeta, cui forse il lungo studio del cattolicismo aveva preparato al pellegrinaggio in Italia, per darci parole di profonda commozione. Anche in Chateaubriand, naturalmente, la poesia della romanità, con tutta la sua trama di leggende, modifica; suscita, determina, coordina le sensazioni, in modo che l’immaginativa ha sempre una parte più o meno preponderante; ma vi è pure qualche sprazzo limpido di verità rappresentativa, e di ammirazione spontanea.

«Nulla può paragonarsi — scrive una volta ad esempio l’autore del Genio del cristianesimo — alla bellezza di linea dell’orizzonte romano; al dolce declivio del piano, ai contorni soavi e fuggenti delle montagne che lo delimitano. Sovente le vallate nella campagna assumono l’aspetto di un’arena, di un circo, d’un ippodromo... Un particolare vapore diffuso in lontananza arrotonda gli oggetti e dissimula ciò [p. 258 modifica]che avrebbero di duro e di aspro nei contorni. Le ombre non sono mai nè troppo grevi, nè troppo nere. Tutte le superficie per una gradazione insensibile di colori par si fondano nei limiti estremi sì che è impossibile determinare ove una sfumatura cominci, e l’altra finisca. Non vi è senza dubbio chi non abbia ammirati i paesaggi di Claude Lorrain tutti pervasi di una luce che appare ultra-terrestre... Ebbene tale è la luce di Roma!»... • •

Jules Bertaut, l’acuto ed arguto critico della letteratura femminile contemporanea, ha voluto compiere oggi un’opera gentile oltre che interessante. Egli ha trascorso, or è qualche tempo, alcune settimane a Roma, e chi ebbe il piacere di conoscerlo, e di conversare con lui, dovette facilmente accorgersi del vivo interesse che la società romana accendeva nel suo vivace e sensibile spirito parigino. Jules Bertaut esprimeva la sua ammirazione, o meglio la sua commozione estetica, con parola facile e abbondante e fin d’allora gli sorrideva il disegno di scrivere dell’Italia e delle città italiane. Ora il suo desiderio ha preso forma e vita nelle pagine di un libro che si legge volentieri da capo a fondo: L’Italie vue par les francais, una specie di antologia, le cui pagine tratte da autori di tutti i tempi sono piacevolmente concatenate dalla prosa elegante del raccoglitore, che intese certo dimostrare come sino dai tempi più remoti i suoi connazionali ammirassero il nostro paese. E noi gli siamo sinceramente grati del paziente e amoroso lavoro, e ci è grato anche rammentare come l’arte in genere, e la letteratura in ispecie, compia sempre opera affratellatrice. Noi in questi ultimi tempi non potevamo compiacerci troppo della diplomazia e del giornalismo francese; ecco un libro evocatore, un libro tessuto d’imagini d’arte che ci viene a dire come di vecchia data sia l’amicizia dei nostri vicini, perenne e sempre nuova la loro gioia delle bellezze nostre. Tale per lo meno è l’intenzione dell’autore, tale il pensiero dominante che risulta dal suo commento ai giudizi e alla descrizione di quegli autori francesi che si sono occupati dell’Italia. Per ritrovare nella letteratura e nella storia francese qualche riferimento alla patria nostra, bisogna risalire ai tempi di Carlo VIII. L’invasione francese in Italia fu una specie di rivelazione per l’esercito sceso alla facile conquista. E certe parole di entusiasmo per le contrade nostre fanno ripensare a quella sorpresa che una tradizione letteraria ha attribuito ad Alboino e ai suoi longobardi i quali, a dir vero, venivano da regioni meno pittoresche e più squallide. Comunque, dopo Carlo VIII, l’Italia ebbe di frequente ospiti francesi. -E il viaggiatore era allora qualche cosa di aspro e di piace vole insieme; e i piccoli alberghi, ove i lenti viaggiatori prendevano il loro riposo o cambiavano i cavalli, presefitavano la più strana sorpresa, ed esercitavano una specie di tiranni su gli ospiti i quali doveva no ad ogni modo contentarsi del trattamento che veniva loro imposto. Siccome i francesi hanno avuto, forse prima di noi, il gusto dell’eleganza e la preoccupazione del benessere, o forse perchè fin dai tempi più remoti hanno cominciato assai presto a lamentarsi dei disagi cui li sottoponeva l’ospitalità italiana. Ecco Rabelais, il quale scende in Italia nel 1533 — e che sarà il primo a dare una forma d’arte alle sue impressioni — descriverci l’«Albergo dell’Orso» il più vecchio albergo romano che esiste tuttora di fronte a Castel Sant’Angelo, a sulla riva delle torbide acque del Tevere» come accenna l’autore di Pantagruel. Ed aggiunge: a Non è davvero confortevole come albergo l’Albergo del’Orso: dalle finestre dei vetri rotti, dalle porte che non chiudono, dalle immense sale appena rischiarate da qualche pallido lucignolo, e dovunque una sporcizia rivoltante, e insetti di ogni specie!». E infatti dopo lo scrittore francese confronta il ricetto romano con gli héitels lionesi dove si possono gustare pranzi succolenti. E dall’epoca di Rabelais fin quasi ai nostri giorni la nota che più frequentemente ricorre nelle narrazioni dei viaggiatori francesi è di lamento o di critica sulle forme esteriori della vita italiana, da quelle degli alberghi a quelle della migliore società. Quando non son dilettanti di archeologia o di storia dell’a’rte, sono narratori facili e superficiali degli usi e costumi nostri, visti cosa come si può fare da viandanti quasi distratti, o da frequentatori di salotti, cui piace naturalmente dimostrare che valg,ono di più quelli del proprio paese. Nondimeno anche questo studio superficiale acquista, secondo l’arte del visitatore, arguzia, vivacità e leggiadria; sfiora spesso qualche verità fino a toccare talora, quasi senza avvertirlo, qualche nota profonda. Ma Jules Bertaut, che pure null’altro aspirava che a dimostrarci l’interessamento dei francesi per l’Italia, attraverso i secoli, che con fedeltà scrupolosa ha richiamato il pensiero dei più remoti scrittori, che ci ha messo sott’occhio, pur di mezzo alla messe abbondante Cle’ più facili giudizi, 21i sprazzi vividi di ispirazione e di intuizione che ebbero taluni autori soggiornando fra noi, dal Bellay al Barbier, al Michelet, di cui è nota la comprensiva espressione: ma nourrice Italie! dice ad un certo punto alla fine del suo libro: a Bisogna fare una distinzione fra gli scrittori che visitarono l’Italia prima di Maurice Barrès, e quelli che vennero dopo» Pensando che Maurice Barrès è ancora nella piene2za delle sue forze e nella maturità del suo ingegno, bisogna convenir subito che, se moltissimi furono i viaggiatori francesi a parlare del nostro paese,’ pochi sono quelli che possono aver seguito il salutare esempio del Barrès; e questo null’altro vuol dire se non che di data assai recente è il migliore interessamento, e la più illuminata compressione delle ricchezze italiche, da parte dei nostri confratelli francesi. Maurice Barrès è senza dubbio personalissimo nelle sue impressioni, e perciò profondamente originale [p. 259 modifica]nel descriverle. Ma appunto questo noi chiediamo a chi intenda ammirare e contemplare le profuse bellezze naturali e artistiche d’Italia: che attraverso la contemplazione profonda e appassionata ritrovi!e più ascose fonti delle spirituali emozioni. i Maurice Barrès — osserva giustamente Jules Bertaut — percorre l’Italia, la Spagna e la Grecia, guarda la sua immagine attraverso la densa superficie dei canali veneti, o nel chiaro specchio dei laghi italiani, e non per la gioia di osservare costumi nuovi od oggetti d’arte, o per il gusto di divertirsi a tentare in sè una specie di rinovamento, egli affonda lo sguardo in tanti e sempre nuovi orizzonti. Ma gli è ch’ei cerca se stesso con aspra tenacia dinanzi a certi paesaggi, e la, sua sensibilità si commuove. Niuno meglio di questo appassionato errante seppe trovare le relazioni intime fra l’anima umana e gli spettacoli della natura n. Contemplando così solamente si giunge ad amare un paese, e troppi di quegli scrittori che han detto di noi e sono stati fra noi non hanno saputo amare. Barrès ha insegnato così — ed era tempo — un più sincero affetto per il nostro paese, e qualche fine anima ha compreso la mirabile lezione. André Maurel si è indugiato, diremo quasi, con senso di tenerezza nelle piccole città italiane. E le sue pagine che sono lette appassionatamente in Francia, sono attese, accolte con simpatia sincera anche fra noi; i libri del Maurel sono dunque, come quelli del Barrès, tramiti di fratellanza e di affetti fra le due nazioni. Teresita Guazzoni.

Pierpont Morgan

l’uomo benefico e il collezionista

A soli pochi mesi dalla morte, la figura di Pierpont Morgan cresce nella ammirazione universale e appare più complessa e più degna di rilievo per il fermo carattere, la rara energia, la generosa pietà verso gli umili e i vinti della vita. Poichè egli non ìu soltanto un raccoglitore di denaro, ma un audace creatore di industrie, un benefattore dei poveri, un mecenate delle arti. Continuo a spigolare gli aneddoti più salienti che della sua vita narra l’inglese Hovey. Morgan era proverbiale per i suoi silenzi. Innumerevoli affari vennero da lui conclusi con una semplice parola: i Accetto». Rarissime volte egli uscì dal `suo straordinario abituale riserbo. Un giorno suo figlio aveva invitato un compagno di università a venirlo a trovare in villa, dandogli anche le istruzioni necessarie per salire sullo yacht paterno. Il giovanotto si recò al porto, salì sullo yacht, si presentò ad un signore, che seduto su di una poltrona leggeva attentamente un giornale, poi si mise a leggere egli pure.

I due non scambiarono durante il viaggio, abbastanza lungo, neppure una parola. Alla fine Morgan, poichè era lui il passeggiero, giunto alla villa, dichiarò a suo figlio che il suo amico era uno dei più simpatici giovanotti ch’egli avesse mai conosciuti. Morgan aveva anche delle curiose debolezze, non ultima quella di temere continuamente di morire assassinato. Invitato una sera in casa di una signora di Londra, mentre si intratteneva con l’ospite, si udì in una camera attigua il rumore di un mobile rovesciato. La signora, che aveva visto il pallore improvviso di Morgan, per rassicurarlo, suonò il campanello; ma i domestici, occupati a riparare il guasto, non si presentarono subito. La signora si mosse allora ella stessa; ma qtan.do ritornò nella sala, trovò il miliardario a cavalcioni della finestra, pronto a fuggirsene al minimo segno di pericólo. E’ nota la sua passione per le corse in mare e i cani di razza. Quasi si potrebbe affermare che lo yacht e i suoi cani fossero gli unici svaghi dei brevissimi momenti d’ozio. Nella ruvidità apparente egli nascondeva un cuore oltremodo sensibile. Tutti sanno dei lasciti vistosi che all’atto della sua morte toccarono ai suoi impiegali e delle opere di benencenza da lui fondate o sostenute in vita, come ospedali e scuole. li suo dentista, soggetto alle violenti sfuriate del miliardario, per poterlo curare senza troppe opposizioni e troppe burrasche, immaginò un giorno un espediente curioso. Quando Morgan si fu seduto nella poltroncina operatoria, il dentista, mentre coi ferri lavorava nella bocca del prezioso cliente, incominciò a narrargli la storia pietosissima di una povera vedo‘,a, la quale aveva 13 hgliuoli, di cui otto in tenerissima eta. Orbene, il minardario,.non solo ascoltò la storia e sopportò le cure del medico senza un lamento, ma il giorno dopo gli inviava uno chèque di 59 mila lire aa consegnare alla sventurata. • Gli aneddoti della sua rude liberalità fioriscono tanto da farne un uomo di leggenda. Tutti ricordano i 225 mila franchi regalati alla chiesa di San Paolo di Londra per l’impianto della illuminazione elettrica: la sua parte preponderante nell’opera sociale, morale e intellettuale creata a New York sotto la protezione di San Giorgio: i suoi sforzi — vani purtroppo — per ritrovare la Gioconda di Leonardo da Vinci, scomparsa dal Louvre: la restituzione alla città di Ascoli del famoso piviale e alla città di’ Parigi del prezioso reliquario di San Martino. Perchè, se per gli americani egli fu il re della finanza, per gli europei egli fu sopratutto il re dei collezionisti. Le sue collezioni sono infatti VaTutaté à corca 30o milioni, Pur di strappare al Vecchio mondo qualcuno dei suoi tesori artistici, il banchiere americano aveva creato una organizzazione sua propia di agenti e di raccoglitori. Prendeva parte alle vendite, il. più delle volte con molta fortuna, ma con altrettanto,dispendio. La sua passione per l’arte, come il _lettore ricorderà, risale. all’acquisto del ritratto che di sua mogli aveva di [p. 260 modifica]pinto l’americano Baker. Le spese di questa collezione si fanno salire a 15 milioni all’anno. Essa contiene numerosissimi quadri di autore, dai più antichi ai moderni, talchè ben a ragione si disse che essa rappresentava meravigliosamente una vera «Storia universale della pittura». Egli possedeva anche una mirabile serie di miniature eiei secoli XVII e XVIII; e di questa serie egli aveva offerto copie fedelissime e riunite in un prezioso volume alla Regina Alessandra d’Inghilterra. Purtroppo egli rimase spesse volte vittima di mistificatori e di speculatori ignobili: ma non è a dire, per questo, che egli acquistasse per ambizione di comparire e per snobismo. In realtà egli, dinanzi ad una opera d’arte, provava una reale emozione, che lo spingeva a desiderare il possesso della bella tela, della splendida statua, del prezioso gioiello. E fu obbedendo sempre a questo squisito senso artistico che egli sacrificava con indifferenza tanto del.suo denaro. Nel 1905 egli fece costruire un edificio tutto in marmo bianco e nello stile del nostro Rinascimento, onde raccogliervi le sue ricche collezioni di libri rari. Il catalogo di questa biblioteca farebbe fremere di desiderio i rettori delle raccolte di libri e di manoscritti di tutte le grandi capitali europee. E assieme ai libri gli autografi. Tanta era la sua passione che una lettera di Lutero — donata poi al Kaiser — venne da lui acquistata per una somma di 228 mila lire! Tappezzerie.e gioielli antichi, arazzi e tessuti, migrarono da ogni paese d’Europa verso l’America: malgrado i tentativi di molti governi per impedire la esortazione che privava di tanti tesori artistici il loro paese. Gran parte delle sue collezioni vennero da lui trattenute in Europa, a Londra, non volendo pagare il dazio di importazione in America, che, dato il loro valore e la loro quantità sarebbe ammontato a circa 3o milioni di lire. L’anno prossimo la biblioteca di Morgan verrà aperta al pubblico, in seguito alla memore e devota premura del figlio, e il popolo americano sarà chiamato ad ammirare gli immensi tesori artistici di questo uomo che, assai giustamente, il presidente della Università di Harward salutava nel 1910 con queste parole: «Cittadino devoto, protettore delle lettere e delle arti, principe fra i negozi, che, per la sua abilità, la sua saggezza e il suo coraggio, per due volte, durante un pericoloso momento, evitò un danno nazionale e una catastrofe finanziaria». Argo.

La Moralità nelle mode femminili e la Baronessa di Montenach

Un numero sempre crescente di persone che tende a fare nella stessa guisa un numero sempre crescente di cose ed a mutare continuamente in quella uniformità la maniera di farle, ecco in che consiste ciò che si chiama a moda». Ha quindi un che della costumanza, ma qualche cosa altresì di più e di diverso, in quanto quest’ultima non contiene in sè l’idea di tendenza ad espandersi, nè quella di essere sempre volubile. Ora non parrebbe dover bastare questa ampiezza e singolarità di un fenomeno a farlo studiare profondamente? Eppure specialmente in Italia gli studi gravi sopra la moda sono scarsissimi. Gli italiani hanno sempre studiato molto i ’fatti della natura e poco quelli dell’uomo. ’Di quest’ultimo li ha occupati ciò che dovesse fare, assai più di ciò che in realtà faceva. Quindi la nostra è stata la terra dei grandi moralisti e dei grandi giureconsulti; ma nen quella dei grandi sociologi, ossia dei grandi esploratori del fatto collettivo umano. Spesso il trarre soverchie conclusioni dalla esistenza de libero arbitrio sembrava indurre gl’italiani dubitare che un fatto umano collettivo, avente certe determinate leggi potesse perfino esistere. La libettà di ciascuno non creava forse una varietà irriducibile di atteggiamenti e di azioni? In secondo luogo, gli italiani, cioè il popolo più pratico nell’agire è stato sempre il più teorico in quel lavoro di riflessione che è necessario per scrivere. Quindi l’osservazione diretta sopra il modo di condursi degli uomini è stata posposta allo studio dei principi che ne dovrebbero regolare la condotta. Tanto il leggere e il meditare è stato dai nostri autori preferito al guardare. Queste due cause hanno fatto sì che i francesi, tra gli altri, i quali hanno tanto minor senso pratico nell’azione, ma tanto maggiore nello studiare; che quindi hanno del fatto, e non solo dei principi una più efficace curiosità; che sopratutto ritengono s’impari con gli occhi propri meglio che coi libri altrui, hanno

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in ogni tempo fissato la loro attenzione sopra il fenomeno della moda come degnissimo di essere in alcu Volete sapere in qual modo dovete dare? Mettetevi al posto di chi riceve. M.rne DE PUISIEUX.

Il povero che chiede l’elemosina al ricco avaro, si dirige ad uno che è più povero di lui.

(Prov. inglese).

ni punti lodato, in altri biasimato, ma sempre preso sul serio. Basta confrontare San Francesco di Sales,

con gli scrittori di materie congeneri vissuti press’a poco al suo tempo in Italia per accorgersi di questa differenza in materia tra i due paesi. [p. 261 modifica]L’Italia finalmente, tratta dal classicismo della Rinascenza la passione dei temi solenni e togati, e quindi la paura di perdersi in soggetti giornalieri e frivoli, l’Italia, dico, appena cessato quel periodo di culto delle Corti e delle belle usanze, che sia pure con deplorevole paganeggiamento fece scrivere parecchi libri sia pur descrittivi e non profondi di savoir vivre e di mode, sdegnò di scendere a queste piccolezze: come se fosse mai piccolo per un osservatore ciò che implica disposizioni, difetti, qualità, pericoli del genere umano. A distrarci dagli studi sulla moda valse anche una riflessione comune e superficiale, che gli scrittori italiani, anche senza palesarla fecero e fanno sovente. Su quale sentimento umano. conca di solito la moda per assoggettarci a sè? O sulla nostra smania di far bella figura con l’obbedirla, o sulla nostra paura di esser segnati a dito se non la seguiamo. Vanità audace la prima; vanità tremante la seconda: ma vanità sempre. Che altro sembrava rimanere all’uomo serio per non biasimare in blocco queste debolezze, e quanto a sè stesso contentarsi di esserne scevro, e quindi credersi superiore ad ogni dominio di mode? Frattanto quello stesso uomo serio, mettendosi a tavolino per porre in carta il suo compassionevole dispregio non pensava che la sua calligrafia, nonostante le varietà individuali, si sarebbe subito riconosciuta come appartenente al suo secolo e ai suoi anni, poichè ogni tempo ha la moda calligrafica, ed egli la seguiva fedelmente: non pensava che l’acconciatura dei suoi capelli e della sua barba avrebbe testimoniato in favore di una seconda moda, per la quale sarebbe stato impossibile prenderlo per uomo d’altri tempi: nón pensava che i suoi stessi vestiti, se non rappresentavano esattamente il figurino di quell’anno preciso, rappresentavano a un dipresso la moda dei contemporanei suoi: non pensava, in una parola,’ che la moda è un’atmosfera in cui tutti siamo immersi, senza bisogno di sentimenti particolari e consapevoli che ci asserviscano ad essa; e chi pretende di poter dire a la sua miseria non mi tange» ha 4a stessa ingenuità di chi stando seduto e immobile credesse di non percorrere con la terra l’orbita solare. Senza aggiungere che una simile negligenza o altezzosità fa trascurare intanto il vantaggio di scoprire gli effetti potentissimi, talora buoni, tal’altra cattivi che una forza simile produce nella umanità. Ecco perchè in Italia gli stessi lodevolissimi sforzi odierni contro le mode riprovevoli, hanno pochissima eco. Il combattimento è troppo isolato, troppo sospetto di essere assoluto, senza gradazioni e senza ampia conoscenza della materia.

Ed ecco perchè ci siamo grandemente rallegrati a veder pubblicato il discorso intorno al Problema della moda che. l’anno passato nel Congresso internazionale delle leghe cattoliche femminili a Vienna fu pronunziato dalla illustre bartmessa di Montenach, dando conto di una inchiesta fatta su ciò presso tutte queste leghe. Dell’ampio problema un punto particolare e pratico essa assoggettò al voto del congresso, ossia ciò che la moda, guardata specialmente nelle vesti femminili ha in sè oggi di contrario alla decadenza per la sua forma, e alla economia domestica, specialmente nelle famiglie della piccola borghesia, e operaie, per le sue esigenze di lusso. Le conclusioni a cui venne e che furono accettate, facendovisi tesoro dei severissimi ammonimenti emanati specialmente in Italia dalle autorità ecclesiastiche, le quali appunto fanno quel che possono restringendosi ad un ufficio repressivo, raccomandavano alle donne cattoliche e loro associazioni di opporsi apertamente all’uso d’abiti sconvenienti, coltivando nella donna la cura dell’interno della casa e non quella del lusso esteriore, e promovendo la formazione del gusto secondo sani principi estetici e pedagogici. A tal uopo doversi diffondere la notizia degli scopi paganeggianti, cupidi e settari a cui mirano oggi i promotori delle mode nuove che sono più come.un tempo gli eleganti, ma industriali sopratutto di stoffe ed artisti che preparano abilmente dei veri colpi di borsa. A tal uopo converrà creare a Parigi con l’appoggio di una delle più grandi ’case un servizio d’informazioni per tutta Europa che aiuti a regolare la moda in maniera corretta e altamente distinta. Cercare l’aiuto anche nelle associazioni cattoliche di uomini. Aver l’occhio ai giornali di mode combattendo quelli pericblosi, che sono così frequenti, e promovendone, ove sia possibile, di quelli raccomandabili per ogni verso. Fare che gli elementi femminili delle leghe cattoliche coadiuvino la stampa nostra nella sorveglianza sopra le pubblicazioni di ogni specie, compresi gli annunzi, i cataloghi, le cronache, e che gli elementi stessi si of frano a collaborare nei così detti corrieri mondani e nelle pagine riguardanti usi, trattenimenti, vestiti femminili. Favorire in ogni modo nelle campagne la conservazione o la rinascita delle antiche foggie di vestire regionali. Questo schema di una azione universale da svolgersi fu accompagnatO da un esame di ciò che al tempo del Congresso si era già fatto qua e là nel senso desiderato. I maggiori tentativi di influire sulla forma del vestito in modo che risponda alla decenza, al [p. 262 modifica]l’arte, all’igiene, alla economia sono stati fatti in Germania, ma se là il problema intero fu veduto con maggior ampiezza e cura che in Italia, lo si trattò in pratica con pretensioni troppo radicali e con troppo scarso riguardo ad una pur onesta eleganza, e quindi si è ottenuto poco effetto. La Spagna invece, mediante la a Ligua de Senoras para la Accion catolica», è quella che, per l’alto rango delle signore messesi contro gli eccessi e gli abusi della moda, per la energia e il tatto spiegati in questa campagna, sta alla testa del movimento. Ma la baronessa di Montenach, gran dama, espertissima ad un tempo dell’alta società, nella quale vive, e dell’umile mondo muliebre, a cui dedica tante cure come presidente dell’Associazione cattolica internazionale per la protezione della giovane, dimostrò, non solo nel modo di formulai-e quel punto unico della questione, ma nel modo di accennare alla moda in genere, la conoscenza piena del terreno sopra ctu si ha da camminare, congiunta al massimo rigore cristiano contro l’indecenza e lo sperpero. Distinguendo nella moda in se stessa ciò che si può e si deve inesorabilmente correggere, da ciò che è inevitabile e talvolta provvido, si guardò bene dal coinvolgere l’intero mutarsi delle foggie convenzionali umane in quel sorriso di goffa superiorità, con cui il Conte Lio del Consiglio segreto trattava il brio e l’avvenenza.della gioventù: a Sciocchezze, trivolezze!», ma vi portò tutta la imparziale ’attenzione che meritano i fatti vasti, complessi e influenti. Dopo aver tratteggiato le vicende storiche della moda e le forze, varie secondo i tempi, che valgono ad estenderne il dominio e a mutarne periodicamente le forme, comprese che • per combattere efficacemente le mode cattive, bisogna formar bene il piano di guerra e non dirigere i colpi se non ai punti vulnerabili. E’ un errore assalire la moda in sè, e non alcune singole mode B. E si ha una lunga esperienza di combattimenti infruttuosi: basta ricordare l’inutilità degli antichi editti generici e specialmente delle leggi sanitarie.. Parimenti infruttuosa è la lotta, che si conduce con disinteressamento assoluto da ciò che è buon gusto: a Senza dubbio vi sono donne, specialmente tra le vere cristiane, che sanno mettersi al disopra di ogni debolezza di vanità e di obbedienza agli usi,

per principio la propria toilette, e si chiudono in una assoluta astensione dalle spese che essacomporterebbe, non solo si mettono da sè fuori della lotta, ma direi quasi che contribuiscono a lasciare il campo aperto alle provenienze e alle incongruenze, permettendo a queste di imporsi più facilmente alla Moltitudine». In una parola, la baronessa parlò da persona che, mirando con ogni vero cristiano a distruggere quanto nelle foggie odierne è detestabile e guasta la morale la economia, ha un senso della pratica largo e profondo: procede distinguendo e non confondendo: sa quello che si deve esigere e quello che non si può pretendere; tiene dinanzi al suo sguardo il mondo com’è e non. una Tebaide. E noi riteniamo che questa temperanza avveduta sia il mezzo migliore per ottenere veramente una restaurazione del senso onesto parsimonioso della moda, per far sì che i giusti e vigorosi allarmi delle autorità ecclesiastiche trovino una pronta e generale rispondenza nei fatti. Filippo Crispolti.