Il guarany/Parte Prima/Capitolo XV

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Parte Prima - XV. I tre traditori

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Prima - XV. I tre traditori
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CAPITOLO XV.


I TRE TRADITORI.

Loredano, che in quella mattina era uscito di casa tanto per tempo, appena si fu internato nel bosco, si mise ad aspettare.

Un quarto d’ora appresso fu raggiunto da Bento Simoes e Ruy Soeiro.

Tutti e tre si avviarono uniti senza dir una parola; Loredano camminava avanti, e i due avventurieri lo accompagnavano scambiandosi di quando in quando qualche occhiata significativa.

Alla fine Ruy Soeiro ruppe il silenzio:

— Non fu certo per farci passeggiare pei boschi al sorgere dell’alba, che ci faceste venir qui, signor Loredano?

— No: rispose questi laconicamente.

— Ma dunque spiegatevi una buona volta, e non sprechiamo il tempo. [p. 137 modifica]

— Aspettate!

— A qual fine? interruppe Bento Simoes. Siete forse dietro a qualche esplorazione... Ove intendete condurci per questa via?

— Lo vedrete.

— Giacchè non c’è mezzo di trarvi una parola di più, andate con Dio, signor Loredano.

— Sì, riprese Ruy Soeiro, andate pure: noi torneremo onde siamo venuti.

— Quando sarete di parere di parlare, ci avviserete.

E i due avventurieri arrestaronsi disposti a retrocedere; Loredano voltassi con un gesto di sprezzo.

— Stolti che siete! diss’egli. Se vi pare, volgetevi ora che siete in mio potere, e non avete altro rimedio che di seguire la mia fortuna! Volgetevi! Ancor io mi volgerò; ma per denunciarvi tutti.

I due avventurieri impallidirono.

— Non mi fate sovvenire, Loredano, disse Ruy Soeiro abbassando uno sguardo rapido sul pugnale, che vi ha un mezzo di chiudere per sempre la bocca a coloro che si ostinano a tenerla chiusa.

— Con ciò volete dire, replicò Loredano sdegnosamente, che mi uccidereste nel caso che vi volessi denunziare?

— Affè di sì! rispose Ruy Soeiro in un tuono che mostrava la sua risoluzione.

— Ed io per la mia parte farei lo stesso! [p. 138 modifica]Prima la nostra vita, che le vostre gherminelle, signor Loredano.

— E che guadagnereste in uccidermi? dimandò egli sorridendo.

— Questa è ancora più bella! Che guadagneremmo? Trovate che sia cosa di poco momento assicurare la propria esistenza e la propria tranquillità?

— Insensati!... disse Loredano gettando sopra di loro un’occhiata di sprezzo e pietà al tempo stesso. Non vedete che quando un uomo porta un secreto come il mio, a meno che questi non sia un gonzo della vostra stampa, ei deve essersi prese tutte le necessarie precauzioni contro questi piccoli accidenti!

— Ben veggo che siete armato, ed è bene che sia così; rispose Ruy Soeiro; di tal modo sarà morte, non omicidio.

— Direste meglio supplizio, Ruy Soeiro! interruppe Bento Simoes.

Loredano continuò;

— Non sono queste le armi che mi gioverebbero contro di voi; ne ho delle altre ben più potenti; sappiate sol questo, che, vivo o morto, la mia voce verrebbe da lungi, fin anco dalla tomba, a denunciarvi e a vendicarmi.

— Avete voglia di scherzare, signor Loredano? L’occasione è poco opportuna.

— A suo tempo vedrete se scherzo. Ho messo in mano di don Antonio de Mariz il mio testamento, che egli dee aprire quando per assenza [p. 139 modifica]mi giudichi morto. In questo testamento narro la lega che esiste fra di noi, e il fine per cui ci affatichiamo.

I due avventurieri si fecero lividi come spettri.

— Comprenderete adesso, disse Loredano sorridendo, che se mi assassinate; se un accidente qualsiasi mi privasse di vita; se mi desse anche nel capo di fuggirmene e far supporre ch’io fossi morto, siete perduti irreparabilmente.

Bento Simoes restò paralizzato, come se una catalepsia lo avesse fulminato. Ruy Soeiro, non ostante la scossa violenta che provò, riuscì con uno sforzo a ricuperare la parola.

— È impossibile!... gridò egli. Ciò che dite è falso. Niun uomo l’avrebbe fatto.

— Mettetemi alla prova! rispose Loredano calmo e impassibile.

— Lo fece.... ne sono certo.... balbettò Bento Simoes con voce sommessa.

— No, interruppe Ruy Soeiro; Satanasso stesso nol farebbe. Orsù, Loredano: confessate che c’ingannaste, che voleste intimorirci?

— Dissi il vero.

— Mentite! gridò l’avventuriere disperato.

Loredano sorrise: traendo la spada, stese la mano sopra la croce dell’impugnatura, e disse lentamente, lasciandole cadere ad una ad una, queste parole:

— Per questa croce, e pel Cristo che sopra di essa patì; pel mio onore in questo mondo e l’anima nell’altro, — lo giuro. [p. 140 modifica]

Bento Simoes cadde in ginocchio annichilito da cotesto giuramento, che non lasciava di avere alcun che di solenne nel mezzo della foresta fosca e silenziosa.

Ruy Soeiro, pallido, cogli occhi sporgenti fuori dell’orbita, le labbra convulse, i capelli rabbuffati, e le dita irte, sembrava la mummia della disperazione.

Stese le braccia verso Loredano, e con voce tremante e soffocata sclamò:

— Dunque voi, Loredano, affidaste a don Antonio de Mariz una carta, ove esiste la trama infernale che ordiste contro la sua famiglia?

— Gliel’affidai!

— E in questa carta scriveste che avete intenzione di assassinar lui e sua moglie, e appiccar fuoco alla casa, se occorre, per mandar ad effetto i vostri disegni?

— Scrissi tutto questo!

— Aveste l’impudenza di confessare che tentate rapire sua figlia, e fare di lei, nobil fanciulla, la concubina di un avventuriere e di un reprobo, qual siete voi?

— Sì!

— E diceste pure, continuò Ruy nel colmo della disperazione, che l’altra sua figlia ci apparterrà, e che noi trarremo la sorte per decidere a qual di noi due avrà a toccare?

— Non dimenticai nulla, e tanto meno questo punto importante, rispose Loredano con un sorriso; tutto ciò sta scritto in una pergamena, [p. 141 modifica]nelle mani di don Antonio de Mariz. Per saperlo, occorre soltanto che il fidalgo rompa i suggelli di cera nera, con che mastro Garzia Ferreira, notaio del Rio de Janeiro, la chiuse nel tempo del mio penultimo viaggio.

Loredano pronunciò queste parole colla massima calma, contemplando i due avventurieri pallidi e umiliati avanti di sè.

Scorse alcun tempo in silenzio.

— Ben lo vedete, disse Loredano, che siete nelle mie mani; ciò vi serva d’esempio. Ogni volta che si pose il piè sovra il precipizio, amici, fa di mestieri camminare sulla sua sommità per non sdrucciolare e rovinare al fondo. Andiamo dunque innanzi. Di una sola cosa vi avverto; d’oggi in avanti obbedienza cieca e passiva!

I due avventurieri non dissero verbo; ma la loro attitudine rispondea meglio di mille proteste.

— Ora lasciate quella ciera triste e costernata. Sono vivo: e don Antonio è un vero fidalgo, incapace di aprire un testamento. Pigliate speranza, confidate in me; che in breve giungeremo alla meta.

La fisonomia di Bento Simoes rianimossi.

— Almeno parlate chiaro una volta: interruppe Ruy Soeiro.

— Non qui: seguitemi; che vi condurrò in luogo ove potremo conversare a nostro piacere.

— Aspettate, riprese Bento Simoes; anzitutto [p. 142 modifica]vi è dovuta una riparazione. Poco fa vi minacciammo; qui sono le nostre armi.

— Sì, dopo quello che seguì è giusto che sospettiate di noi; prendete.

I due avventurieri si trassero i pugnali e le spade.

— Custodite le vostre armi, disse Loredano deridendoli; serviranno per difendermi. Io so quanto vi è preziosa e cara la mia esistenza!

Ambedue gli avventurieri impallidirono, e tennero dietro ai suoi passi: dopo mezz’ora di cammino arrivarono alla macchia di cardi, che già descrivemmo.

A un segno di Loredano, i suoi due compagni salirono sull’albero, e discesero pel cipò nel centro di quell’area circondata di spini, che avea a dir molto tre braccia di lunghezza sopra due di larghezza.

Da un lato, in uno smottamento di terreno, vedeasi una specie di grotta o sotterraneo, resto di quei grandi formicai, che incontransi nei nostri campi, già mezzo rovinato dalla pioggia. In questo luogo, all’ombra di un piccolo arbusto che nasceva tra i cardi, si assisero i tre avventurieri.

— Oh! disse Loredano tostamente; è già da alcun tempo che non vengo in queste parti, ma parmi che debba esservi ancora qui qualche cosa che vi darà nel gusto.

Chinossi, e stendendo il braccio nel sotterraneo, ne trasse una bottiglia, che collocò nel mezzo della brigata. [p. 143 modifica]

— È di Caparica, ma del buono. Di questo non ne viene sì soventi!

— Diavolo! Avete qui una canova!... sclamò Bento Simoes, cui la vista della bottiglia avea restituito tutto il buon umore.

— A dire il vero, soggiunse Ruy, mi aspettava ogni altra cosa, eccetto di veder uscire da cotesto buco una bottiglia di vino.

— La cosa è ben semplice! come son uso di venire in questo luogo a passarvi alcuna volta le ore più calde della giornata, occorreva che ci avessi un compagno per non tediarmi.

— E non potevate sceglierne un migliore! disse Bento Simoes, dando un’alzatina alla bottiglia e facendo scoccar la lingua; che aveva gran voglia di assaggiarlo.

Ciascuno bevve alla sua volta, e la bottiglia ritornò al suo posto.

— Va bene, disse Loredano; adesso trattiamo di ciò che occorre. Vi promisi, quando v’invitai a seguirmi, che vi farei ricchi, molto ricchi.

I due avventurieri chinarono il capo.

— La promessa che vi feci, va a compirsi; il tesoro sta qui vicino a noi; possiamo toccarlo.

— Ove? dimandarono gli avventurieri gettando un’occhiata avida all’ingiro.

— Non mi avete compreso; parlo in figura. Dico che il tesoro ci sta dinanzi, ma per impadronircene, occorre....

— Che cosa? parlate! [p. 144 modifica]

— A suo tempo: ora voglio contarvi una storiella.

— Una storiella! replicò Ruy Soeiro.

— Da vecchierella? domandò Bento Simoes.

— No, una storiella veridica, come una bolla del nostro santo Padre. Udiste parlar mai di un Roberto Dias?

— Roberto Dias... Ah! sì! un tale di San Salvatore? disse Ruy Soeiro.

— Lo stesso, nè più nè meno.

— Lo vidi or fa circa un anno a San Sebastiano, d’onde poi se ne tornò in Spagna.

— E sapete che cosa andava a fare in Spagna questo degno discendente di Caramurù, amico Bento Simoes? dimandò Loredano.

— Udii vociferare che trattavasi di un tesoro favoloso, che facea conto di offrire a Filippo II, il quale in cambio lo avrebbe fatto marchese e gran fidalgo di sua casa1.

— E il resto non pervenne a vostra notizia?

— No; mai più udii a parlare di questo Roberto Dias.

— Dunque ascoltate. Arrivato a Madrid il buon uomo fece la sua offerta molto [p. 145 modifica]prontamente, e fu ricevuto assai bene dal re Filippo II, che, come sapete, ha le unghie molto arrapinate.

— E lo abbindolò come una volpe, qual egli era? interruppe Ruy Soeiro.

— V’ingannate; questa volta la volpe fu vinta dalla bertuccia, la quale volle vedere il coco avanti di pagarlo.

— E allora?

— Allora, disse Loredano sorridendo maliziosamente, il coco era vuoto.

— Sì, amico Ruy, non gli era rimasta che la scorza; e buon per noi che andiamo a goderne la polpa.

— Siete un uomo ben misterioso nel parlare, Loredano!

— Conviene lambiccarsi il cervello, e con tutto ciò non è possibile intendervi.

— Ne ho io colpa, se ignorate la storia del vostro paese?

— Non tutti sono bacellieri come voi, signor Loredano.

— Bene, finiamola una volta; ciò che Roberto Dias pensava offrire in Madrid a Filippo II, amici, sta qui!

E Loredano pronunciando queste parole battè colla mano sopra un sasso, che ci avea da lato.

I due avventurieri guardaronsi senza comprendere, dubitando della ragione del loro compagno.

Ma costui, senza curarsi di quello che pensavano, trasse la spada, e dopo avere scalzata la pietra, cominciò a cavare. [p. 146 modifica]

Nel mentre proseguiva in questo lavoro, i due avventurieri, osservandolo, si passavano alternatamente la bottiglia di vino e faceano congetture e supposizioni.

Loredano già cavava da buona pezza, quando il ferro urtò in un oggetto duro, che lo fece tintinnare.

— Per dio, sclamò: eccolo!

Dopo alcuni istanti estraeva dal buco uno di quei vasi verniciati, che gli Indiani chiamavano camuci; era piccolo e chiuso da tutte parti.

Loredano, prendendolo colle due mani, lo scosse, e sentì l’impercettibile dibattimento che facea dentro un oggetto.

— Eccovi, disse egli lentamente, il tesoro di Roberto Dias; è nostro. Un poco di pazienza, e saremo più ricchi del sultano di Bagdad, e più potenti del doge di Venezia.

Loredano battè sulla pietra col vaso, che si fece in pezzi.

Gli avventurieri, cogli occhi avidi, bramosi, aspettandosi di veder correre onde d’oro, di diamanti e smeraldi, Rimasero stupefatti.

Dal seno del vase uscì fuori soltanto un piccolo ruotolo di pergamena, coperto da un cuoio vermiglio, e legato in croce da un filo grigiastro.

Loredano colla punta del pugnale ruppe il laccio, e aprendo rapidamente la pergamena mostrò agli avventurieri un ruotolo scritto in grandi lettere vermiglie.

Ruy Soeiro mise fuori un grido: Bento [p. 147 modifica]Simoes cominciò a tremar di piacere, di stupore e di meraviglia.

Un momento dopo Loredano stese la mano sopra la carta collocata nel mezzo del gruppo; i suoi occhi presero una espressione solenne.

— Ora, diss’egli colla sua voce sonora, ora che avete la ricchezza e il potere alla tirata della mano, giurate che il vostro braccio non tremerà al presentarsi dell’occasione; che obbedirete al mio gesto, alla mia parola, come alla legge del destino.

— Lo giuriamo!

— Sono stanco di attendere e determinato a giovarmi della prima congiuntura. A me, come capo, disse Loredano con un sorriso diabolico, dovrebbe appartenere don Antonio de Mariz; io ve lo cedo, Ruy Soeiro. Bento Simoes avrà cura dello scudiero. Io reclamo per me Alvaro de Sà, il nobile cavaliere.

— Ayres Gomes va a trovarsi in una bella danza! disse Bento Simoes con aria marziale.

— Gli altri, se ci daranno briga, verranno appresso; se ci seconderanno, saranno i ben venuti. Solo vi avverto che colui che toccherà la soglia della porta della figlia di don Antonio de Mariz, è un uomo morto; questa è la mia parte del bottino! È la parte del leone!

In quel momento si udì un rumore, come d’un’agitazione di foglie.

Gli avventurieri non ci badarono, e l’attribuirono al vento. [p. 148 modifica]

— Ancora pochi giorni, amici, continuò Loredano, e saremo ricchi, nobili, potenti come re. Tu, Bento Simoes, sarai marchese del Paquequer; tu, Ruy Soeiro, duca delle Miniere; io.... Che sarò io? disse Loredano con un sorriso che illuminò la sua intelligente fisonomia; io non sarò che un pirata, ma governerò il mondo.

Una parola uscì dal seno della terra, rauca, sorda, cavernosa, come se una voce sotterranea l’avesse pronunciata.

— Traditori!...

I tre avventurieri levaronsi tutti in una volta, lividi e coi capelli irti; e parevano cadaveri uscenti dalla sepoltura.

Due si fecero il segno della croce; ma il terzo, Loredano, si sospese al ramo dell’albero, e gettò una rapida occhiata all’intorno.

Tutto era tranquillo.

Il sole nel suo apogeo versava dall’alto un oceano di luce: non stormiva una fronda all’alito dell’aura; non un insetto saltellava sull’erba.

Il giorno in tutto il suo splendore signoreggiava la natura.


fine della prima parte.

Note

  1. Roberto Dias offrì a Filippo II il secreto di una gran miniera d’argento, scoperta da lui nei deserti della Giacobbina, provincia della Baia; chiedeva in ricambio il titolo di marchese delle Miniere, che non gli fu concesso. Queste miniere, vere o false, non furono mai scoperte [B. da S. Lisboa].