Il vicario di Wakefield/Capitolo terzo

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Capitolo terzo

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Oliver Goldsmith - Il vicario di Wakefield (1766)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Berchet (1856)
Capitolo terzo
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CAPITOLO TERZO.


Le sfortunate vicende della vita, alla fin fine si scuopre che sono procurate da noi medesimi.


L’unica speranza nostra in ciò si fondava che la notizia di nostre sventure potesse essere o maligna o intempestiva: ma ben presto una lettera del mio fattore in città mi confermò appieno ogni cosa. La perdita dei miei beni di fortuna per me solo l’avrei stimata una baia; e l’unica pena ch’io ne provassi era per la mia famiglia ch’io vedeva dannata all’umiltà, senza essere stata educata in modo da poter sopportare l’altrui disprezzo. Per ben quindici giorni non mi bastò l’animo di tentare alcuna via per mitigare il dolore di lei, perchè la consolazione affrettata altro non fa che inacerbire la piaga, mantenendo viva la memoria della sciagura. Intanto io volgeva i pensieri a qualche mezzo onde procurarci il vitto; e mi venne alla fine esibita una piccola parrocchia in qualche distanza colla rendita di cinquanta lire l’anno, ove senza essere molestato avrei potuto star fermo ne’ miei principii. Accettai di buon grado l’offerta, portando opinione di potermi lucrare qualche altra cosa, oltre il salario, coll’attendere ad un piccol podere.

Venuto in questa determinazione mi diedi a ragunare gli avanzi de’ miei averi, e pagato ogni debito, di quattordicimila lire non me ne vidi rimanere che quattrocento. Imperò posi ogni opera nell’attutare l’orgoglio della mia [p. 23 modifica]famiglia accomodandolo allo stato di lei, sapendo io benissimo che nella povertà l’alterigia è gran disgrazia. “Voi non potete ignorare, figliuoli miei,” dissi loro, “che per nulla nostra prudenza ci era possibile di prevenire la mala ventura piombataci addosso; ma la prudenza può bensì essere più operosa coll’impedire gli effetti di quel danno. Noi siamo ora poverelli, o miei cari, e ci è forza conformarci saviamente all’umiltà di nostra condizione. Via dunque di buona voglia ogni pompa, ogni splendore con cui mille persone sono infelici, e cerchiamo in più bassa fortuna quella pace colla quale ognuno può essere beato. Quanti meschinelli v’hanno che senza i nostri soccorsi vivono la loro vita tranquilla e piacevole! E noi non siamo così imperfetti delle persone da non poter vivere senza che altri ci assista. Amati figliuoli, rinunciamo da questo momento ad ogni ostentazione di nobiltà: chè se abbiamo senno, ancora abbastanza ci resta di che esser felici; e tollerando noi contenti la perdita degli averi, da quella poco danno ne verrà.”

Essendo il mio figliuol maggiore educato alle lettere, feci pensiero di mandarlo alla città onde dall’ingegno traesse sussidio a sè ed a’ suoi. Di tutte le penose circostanze che accompagnano la miseria, forse quella che più arreca dolore è la separazione degli amici e delle famiglie; e il dì ci colse ben tosto in cui per la prima volta dovemmo l’un l’altro disgiungerci. Preso ch’ebbe il mio figliuolo commiato da sua madre e dagli altri che mescevano alle lagrime i baci, venne a chiedermi la benedizione, ed io gliela diedi di tutto cuore, e se ne togli cinque ghinee, ell’era tutto il patrimonio ch’io gli potessi accordare. “Tu te ne vai a piedi,” gli dissi, “o mio buon ragazzo, a Londra, in quella stessa guisa in cui v’andava prima di te il tuo grande antenato Hooker. Ricevi da me l’egual cavalcatura che a lui fu data dal buon vescovo Jewel, questo bastone e questo libro: e l’uno e l’altro ti sarà di conforto nel tuo cammino. Vedi tu queste due righe [p. 24 modifica]qua dentro? elleno valgono un milione: — Fui giovane ed ora son vecchio, eppure io non vidi mai l’uomo dabbene essere dimenticato, nè il suo seme accattare tapino il pane. — Vanne, o mio fanciullo; e qualunque sia la tua sorte, fa’ ch’io ti rivegga una volta all’anno: mantienti buono il cuore, e vivi felice.” Quel mio figliuolo aveva l’anima tanto candida ed era sì pieno d’onore, ch’io non sentiva scrupolo del gittarlo così nudo nell’anfiteatro della vita, persuaso ch’egli ed in seconda ed in contraria fortuna vi avrebbe sempre fatta ottima comparsa.

La di lui partenza accelerò la nostra che fu appresso pochi giorni; e nell’abbandonare un paese dove noi avevamo godute di tante ore tranquille e beate, ci fu forza spargere assai lagrime, a cui rattenere nulla fortezza d’animo valeva. Aggiungi la novità d’un viaggio di settanta miglia per gente che non s’era mai dilungata da casa più di dieci, ed a cui accrescevano cordoglio le grida de’ poverelli che per lungo tratto ci venivano piangenti accompagnando. Il primo dì di cammino giungemmo felicemente alla distanza di trenta miglia dal nostro futuro ritiro, e all’imbrunire ci fermammo in un’osteria a mal tempo di un villaggio posto sulla strada. Poichè ci fu additata una camera, io pregai, secondo il mio solito, l’oste a volerci tener compagnia, ed egli vi si accomodò volentieri, essendo che tutto il vino ch’egli si sarebbe ingozzato, avrebbe fatto più grosso il conto il dimane; tuttavolta a me piacque assai perchè il buon uomo conosceva a un puntino tutta la gente del vicinato, ed in particolare lo scudiero Thornhill, che doveva essere il mio padrone e che viveva poche miglia lontano. Egli me lo descrisse per uomo a cui nulla cosa stava a cuore di conoscere nel mondo fuorchè i di lui piaceri, avendo soprattutto fama di gran femminiero, in modo che non vi aveva virtù da tanto che resistesse alle arti sue ed alla di lui ostinata assiduità, e che per dieci miglia all’intorno non vi era castaldo di cui egli non avesse sedotte e tradite le [p. 25 modifica]figliuole. Con tutto che me affliggesse alquanto questo avviso, tutt’altro accoglimento trovò nelle mie fanciulle, i di cui volti parvero scintillare di certa qual gioia per vicino trionfo: nè se ne compiacque meno mia moglie, la quale assai confidava nei loro vezzi e nelle loro virtù. Intanto che noi ci intrattenevamo di così fatti pensieri, entrò in camera l’ostessa ad informare il marito che quel gentiluomo forestiero alloggiato in loro casa da due dì, non aveva danari da pagare lo scotto. “Senza danari!” esclamò l’oste. “E come può essere ciò, s’io lo vidi ier l’altro sborsare tre ghinee al bargello per riscatto d’un vecchio soldato mal concio, che per avere rubato un cane doveva andare scopato per la città?” Ma continuando la donna ad asserire che danari quei non aveva, l’oste giurò voler egli ad ogni modo avere il fatto suo; e s’avviava già per uscir di camera, quand’io rattenendolo lo pregai d’introdurmi a quel forestiero tanto caritatevole. Egli mi secondò, ed io vidi un gentiluomo di circa trent’anni, vestito di un abito che un tempo pareva trinato, bello della persona, quantunque dal volto tristo apparisse sopra pensieri, e di maniere riserbate e tronche, sicchè sembrava alle cerimonie poco addomesticato, o ch’ei le sprezzasse. Lasciato solo con esso lui, non potei tenermi di manifestargli quanta pena mi desse quel suo imbarazzo, e gli offerii la mia borsa onde pagasse il debito. “L’accetto di buon grado,” mi diss’egli, “e mi rallegro assai che l’inavvertenza da me commessa nello spendere non ha guari tutto il danaro ch’io mi aveva indosso, m’abbia almeno dato a vedere che non è morta del tutto tra di noi la benevolenza. Ma prima di ogni cosa gli è d’uopo ch’io sappia il nome del mio benefattore e dove egli stia di casa, per potergliene fare quanto più presto potrò la restituzione.” — Io lo compiacqui appieno, informandolo non solamente del mio nome e delle mie sventure, ma ben anche del luogo ov’io andava ad accasarmi: all’udir del quale egli esclamò esser egli fortunato oltre ogni [p. 26 modifica]speranza, perchè, diretto per l’ugual via, era stato per que’ due dì impedito nel suo cammino dalla marea, e così sperava di poter meco la mattina appresso guadarvi sicuramente. Gli feci comprendere quanta gioia io avrei avuto del viaggiare in compagnia di lui; e mia moglie e le figliuole, unendo alle mie le loro istanze, lo costrinsero a cenar con noi. Per quanto fosse piacevole ed instruttiva la conversazione di quel forastiero, e per quanto avrei bramato di protrarla, l’ora tarda ci obbligò a ritirarci e prevenire col riposo le fatiche del dì vegnente. Sorto il mattino, partimmo tutti insieme, a cavallo noi, ed a piedi il signor Burchell nostro nuovo compagno, che seguitandoci lungo il piccolo sentiero che costeggiava la strada, sorrideva della mala lena de’ nostri rozzoni e si sentiva gamba da sopravanzarci. Come la marea non era calata del tutto, fummo necessitati a noleggiare una guida che ci trottasse innanzi; ed io col signor Burchell mi locai alla retroguardia. I disagi della via ci venivano alleviati da alcune dispute filosofiche che il signor Burchell pareva intendere perfettamente; e quello di ch’io più strabiliava, si era di veder da lui difese a spada tratta le sue opinioni, e con tanta alacrità, da sembrare egli non quegli che avesse ricevuto ad imprestito la mia borsa, ma il benefattore egli stesso. Di quando in quando egli altresì mi indicava a chi appartenessero le diverse ville che ci cadevano, cammin facendo, sott’occhio; ed accennando col dito una sontuosa casa in lontananza, mi avvertì quella spettare al signor Thornhill, giovane e nobile uomo che godeva di larghe fortune, quantunque soggetto ad un suo zio, il signore Guglielmo Thornhill, il quale, pago di poco per sè, viveva per lo più in città, lasciando il restante in pieno arbitrio al nipote. Io feci le maraviglie in udire come il mio giovane padrone fosse nipote di uomo tanto da tutti per le sue virtù, la sua generosità e le sue rare doti ammirato. “L’ho sentito io,” dissi, “decantare per il maggior galantuomo del regno; [p. 27 modifica]e quantunque egli abbia voce d’essere alquanto bisbetico, ognuno giura che il signor Guglielmo è uomo benevolo per mille prove. — “E benevolo forse troppo;” soggiunse Burchell, “almeno in sua gioventù; perchè pieno allora di forti passioni che tutte partecipavano della virtù, quelle lo trascinarono al romanzesco. Di buon’ora egli affettò il soldato e il letterato, e si distinse nell’esercito e tra li scienziati alcun poco. Ma l’adulazione persegue sempre l’uomo ambizioso, perchè quegli solo gode del sentirsi adulato: quindi egli fu circondato da una turba di sguaiati che coprendo bellamente le loro magagne non gli si davano a conoscere che a mezzo, e gli fecero scambiare l’amorevolezza che egli aveva per gl’interessi privati, in una simpatia universale; ed egli si condusse ad amare ogni persona, non avvedendosi, per colpa del caso, che v’erano dei ribaldi. I medici trattano d’una malattia nella quale tutto il corpo è posto in uno stato di così squisita sensibilità che ad ogni leggier tocco il malato sente spasimo; di tal malore, alcuni furono nel corpo afflitti, e il signor Guglielmo lo fu nello spirito. La menoma sventura, o vera o finta che la fosse, lo straziava al vivo, e l’anima sua era continuamente travagliata da troppa sensibilità per le altrui miserie. Inclinato così a sovvenire ne’ bisogni, trovava ad ogni tratto gente disposta a sollecitarne le beneficenze, e profondendo egli i suoi averi gli si scemavano le ricchezze, ma non il buon cuore che sempre migliorava a misura che l’altre venivano meno; e quanto egli più impoveriva, tanto più si faceva maggiore la di lui balordería; talchè in udirlo parlare l’avresti detto uomo savio, ma pazzo in vederlo operare. Assediato eternamente dagli importuni, e non essendo più in istato d’aderire ad ogni domanda, in luogo di danari largheggiava di promesse, ch’altro non poteva donare, nè si sentiva fermezza d’animo bastante d’affliggere chicchessia con una repulsa. A questo modo egli si era ingolfato in una masnada di piagnoni, a’ quali [p. 28 modifica]vedeva di dover mandar fallite le brame, e che pur si struggeva della voglia di consolare. Costoro gli furono intorno per alcun tempo, e lo abbandonarono poi pagandolo di meritati rimproveri e di disprezzo. Pel non curarsi che gli altri facevano di lui, Guglielmo venne in odio a se stesso: la di lui mente aveva sempre trovato un grande appoggio nell’altrui adulazione; tolto via quel sostegno, egli non seppe derivare alcuna voluttà dall’applauso del proprio cuore, perchè di quello non aveva mai fatto gran conto. Si cangiò la scena; e que’ suoi tanti adulatori divennero freddi consiglieri: da’ consigli rigettati si passò ai rimbrotti: ed allora egli cominciò ad accorgersi che gli amici ragunatigli intorno dai suoi beneficii non erano per niun verso i più da stimarsi; che il nostro cuore deve essere liberale in modo da cattivarsi non l’altrui lingua, ma l’altrui cuore. E da sì tanti errori finalmente rinvenne in modo, da far proponimento di rispettare sè medesimo, e di porre ogni opera in assettare i disordini domestici e far masserizia. A tale uopo, seguendo i soliti suoi ghiribizzi, viaggiò a piedi tutta l’Europa, e prima di compiere l’età di trent’anni si vide più ricco che mai. Fatto ora senno, pose modo e ragionevolezza alle sue beneficenze; ma gli sono ancora rimasti de’ capricci per lo capo: e le virtù più studiate più gli vanno a sangue.”

Con tanta attenzione io aveva bevuto il racconto del signor Burchell, che me n’andava la mia via senza muover palpebra, quando ad un tratto mi scosse un grido che veniva dalla mia famiglia; e rivoltomi tosto, vidi la figliuola maggiore nel mezzo di un rapido fiume, caduta di cavallo ed in lotta colla corrente. Due volte s’era affondata, nè io potei sbrigarmi in tempo d’aiutarla, tanta essendo la violenza delle mie sensazioni da non mi permettere di tentarne il riscatto; ed ella sarebbe certo annegata, se il mio compagno, avvistosi del pericolo, non si fosse spiccato di botto a soccorrerla, riportandola salva a stento sulla [p. 29 modifica]riva opposta. Il restante della famiglia guadagnando più in su la corrente, l’aveva valicata senza rischio, e si unì a noi, benedicendo a quel buon uomo di Burchell. Gli è più facile immaginare che descrivere la gratitudine della fanciulla, che ringraziava il di lei liberatore più cogli sguardi che colle parole, e si lasciava cadere tuttavia sul di lui braccio quasi ella bramasse ancora d’esserne assistita. Mia moglie intanto non rifiniva d’encomiarlo, manifestandogli la speranza di contraccambiare quella cortesia più convenientemente in di lei casa. Gustati poscia alcuni rinfreschi ad un’osteria vicina, dopo il pranzo, dovendosi egli avviare ad altro paese, si accomiatò; e noi proseguimmo il nostro viaggio. La moglie mia, cammin facendo, mi andava canticchiando gli elogi del signor Burchell, protestandomi che ove egli fosse di tale nascita e di tali fortune da esser degno d’imparentarsi con una famiglia così ragguardevole come la nostra, ella non sapeva su chi meglio fissar gli occhi; ed io sorrideva in udirla così grandeggiare. Una persona lontana due passi dalla mendicità, e che prende ad imprestito le frasi de’ più insultanti signorotti, moverebbe a dispetto un uomo di cattivo cuore; ma a me non dispiacquero mai gran fatto quelle illusioni innocenti che contribuiscono a farci più felice la vita.