L'Economico/Capitolo XIII

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Capitolo XIII

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Senofonte - L'Economico (IV secolo a.C.)
Traduzione di Girolamo Fiorenzi (1825)
Capitolo XIII
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CAPITOLO XIII.


Adunque, diss’io, dopo che avrai molto ben persuaso ad alcuno di dovere attendere con diligente [p. 73 modifica]cura a quello, che tu vorrai, forse che questi sarà già atto a sopraintendere, o dovrà egli imparare alcun’altra cosa per divenire un buon castaldo? Si veramente che gli rimane ancora, disse Iscomaco, di conoscere, e quello che dovrà fare, e quando, e in qual modo: perchè senza di questo un castaldo a che ti sarebbe più utile di quel medico, il quale diligentissima cura avesse di alcun infermo, visitandolo la mattina per tempo, e la sera al tardi, quello però che fosse da farsi per ritornarlo sano, ignorasse? Ma quando poi, soggiunsi, abbia egli imparato anche questo, che ora tu dici, dovrà imparare alcun’altra cosa, o ti sembra che già sia esso un perfetto castaldo? Parmi, disse, che debba anche apprendere a saper soprastare a quelli che lavorano. E che, dissi, ammaestri tu i castaldi anche a saper sovrastare? Io mi vi provo: rispose Iscomaco. E come fai tu, dissi, ad insegnare il saper soprastare agli altri uomini? In maniera così al tutto grossolana, che tu udendola, diss’egli, o Socrate, forse te ne faresti beffe. Cotesta, dissi, non è ella opera da farsene beffe, o Iscomaco; poichè chi può ammaestrare gli uomini a soprastare, ben si vede chiaro che può anche insegnar loro il far da padroni, e chi sa renderli atti a fare da padroni, può ancora renderli tali, da fare quello che si spetta ai re: onde chiunque ciò sappia insegnare, non già di beffe, ma degnissimo anzi mi [p. 74 modifica]sembra di somma lode. Ora non è egli adunque il vero, disse, o Socrate, che tutti gli altri animali imparano ad ubbidire da queste due cose, o dall‘essere puniti quando facciano prova di non volere ubbidire, o dall’essere premiati quando si dimostrino ubbedienti. Così i puledri si rendono docili al domatore, se egli accarezzili ogni volta che obbediscono, ma se gli si mostrano ritrosi non cessi mai di dargli briga, e travaglio finchè non si rendano pronti a soguire i suoi voleri: ed anche i più piccoli cani, cotanto agli uomini inferiori, e perchè hanno minore intendimento, e perchè mancano della favella, apprendono essi pure con simiglianti modi a girarsi attorno, a saltare, e a fare mille altre cose; perocchè se obbediscono, si dà loro quello che gli abbisogna, e se non obbediscono ne sono castigati. A render poi obbedienti gli uomini, meglio ti vale il discorso; facendogli conoscere, che gli sia utile l’ubbidirti, ma con i servi anche quella maniera di ammaestramento, che proprio sembra delle bestie, le più volte ti riesce assai bene, perchè sendogli liberale di quelle cose, che soddisfacciano al loro ventre, con questo molto potrai da essi ottenere: quelli però fra di loro che per natura sono bramosi di onore, anche dalla lode sono fortemente incitati a fartisi in tutto ubbidienti, perocchè ve n‘ha alcuni, che sentono e fame, e sete della lode,come gli altri di ciò [p. 75 modifica]che si mangi, o si beva. Questi medesimi modi adunque, che vado io adoperando avvisandomi, che giovino a farmi agevolmente obbedire, insegno a quelli i quali destino a sopraintendere ai lavoratori de’miei campi, e m’ingegno di dar loro aiuto anche con questo, non facendo tutti ad un modo i vestimenti, e i calzari, di cui ho a provvedere quei lavoratori, ma alcuni più cattivi, ed altri migliori, affinchè dei migliori se ne possa fare onore ai più degni, e dare i più cattivi ai peggiori. Perchè e’ mi pare, disse, o Socrate, che grande sconforto s’ingeneri nei buoni, quando e’ conoscono, che le loro virtuose opere non gli valgono a conseguire nulla più di quelli, che hanno fuggito ogni fatica, ed ogni pericolo: però io stimo, che non si abbiano mai ad agguagliare in cosa veruna i più buoni, con i più tristi; e ognora lodo quei castaldi, che veggo distribuire le cose di maggior pregio a quelli, che sono più da stimarsi, se poi mi avvedo, che alcuni di essi voglia premiarli di sole lusinghe, o di altra ricompensa di niuna utilità ciò non gliel comporto già io, ma ne lo gastigo, e mi studio di fargli bene imparare, o Socrate, che non fa egli cosa di suo vantaggio.