La Gemma del Fiume Rosso/1. La pagoda dello Spirito Marino

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1. La pagoda dello Spirito Marino

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2. Le Bandiere Nere e Gialle

La pagoda dello Spirito Marino


Un tuono spaventevole, che pareva dovesse far crollare ogni cosa, seguìto da un lampo abbagliante, aveva fatto rintronare le vôlte malsicure della vecchia pagoda di Tang-Ki.

La campana, sospesa sulla cima della piramide, che né il tempo, né gli uragani avevano ancora demolita, quantunque contasse ormai sei secoli di esistenza, aveva mandato uno squillo bronzeo che pareva il lamento d’un morente.

Poi erano seguìti mille rumori strani, come se una folla di anime dannate si divertisse a rincorrersi nelle deserte gallerie dell’antico monastero dei bonzi. Tremavano le pareti, oscillavano le gigantesche lanterne ancora pendenti dalle volte, sbatacchiavano le pesanti porte di legno di tek, aprendosi e richiudendosi con fragore.

Gemevano le armature della piramide fra un urlìo incessante, mentre folate impetuose di vento entravano dalla porta spalancata della pagoda, cacciandosi innanzi ammassi di foglie strappate dai boschi vicini, le quali scorrevano pel lucido pavimento, con un fruscìo che metteva i brividi.

Sai-Sing si era rannicchiata ai piedi di Nai-Ran, lo Spirito Marino dei tonchinesi, la cui statua, ancora bianca, si ergeva in mezzo alla pagoda giganteggiando nell’oscurità. Un vivo terrore si era dipinto sui graziosi lineamenti della fanciulla ed il suo visino dalla tinta quasi alabastrina si era fatto livido.

– Ho paura – aveva mormorato, avvolgendosi strettamente nel suo ampio mantello di seta bianca. – Odi tu, Man-Sciù?...

Una forma umana, che stava raggomitolata a terra accanto alla statua dello Spirito Marino, si era alzata, facendo udire un beffardo scoppio di risa.

– La Gemma del Fiume Rosso avrebbe paura? – aveva chiesto con voce stridula. – Perché allora farli venire? Avrebbe già dimenticato il giuramento fatto di vendicare il rapimento del valoroso Lin-Kai?

Un lampo acciecante, seguìto subito da un rombo che fece tremare la vecchia pagoda fino alle fondamenta, aveva illuminato di una tinta livida, cadaverica, l’immensa navata del monastero.

Man-Sciù era apparsa in piena luce, ritta dinanzi all’idolo marino, terribile come l’uragano che in quel momento imperversava al di fuori.

Se la Gemma del Fiume Rosso era nota fra le tribù tonchinesi per la sua meravigliosa bellezza, altrettanto lo era Man-Sciù per la sua orridezza, che le aveva valso il nome della strega dei boschi. Più che una donna era un mostro che incuteva paura a tutti. Piccola, gracile, colle gambe contorte, che le tre camicie di cotone a vari colori ed a diverse lunghezze male coprivano; con la testa enorme, contornata da una capigliatura arruffata che forse mai aveva conosciuto l’uso del pettine; con la bocca larga e priva di denti e gli occhi foschi che scintillavano come due carboni. Non faceva certo una bella figura, e si comprendeva il terrore che inspirava nei villaggi vicini.

Vedendo quel lampo, la vecchia strega aveva teso la sua scarna destra verso la porta spalancata, dicendo con voce sibilante:

– Verranno, Gemma del Fiume Rosso, e tu avrai la tua vendetta come io avrò la mia. Di che cosa hai tu paura? Dell’uragano forse? Sono tre giorni che il grand’arco nero si è mostrato a tramontana e tu sai che nel nostro paese è indizio infallibile di un tifone.

– Non odi queste urla, vecchia Man-Sciù?

– E che cosa ti dicono? È il vento che mugge nei sotterranei della pagoda e che s’ingolfa nelle gallerie.

– E quel tocco di campana?

– Un fulmine che l’ha colpita.

– Mi pareva l’ultimo gemito di un moribondo.

– Quando agonizzava sotto il filtro rosso somministratogli dai due capi delle Bandiere Gialle e Nere, è vero Sai-Sing?

– Taci, Man-Sciù: tu mi fai paura – mormorò la giovane rannicchiandosi presso la statua dello Spirito Marino.

– Aver paura tu, la più valorosa fanciulla del Tonchino! – esclamò la vecchia. – Tu, che quando i cinesi calavano dalle montagne, numerosi come le cavallette che devastano i nostri campi, bruciando le nostre borgate e conducendo in schiavitù gli abitanti, impugnasti la valorosa scimitarra di tuo padre, al pari d’un guerriero, conducendo i nostri di vittoria in vittoria? Tu, che, quando quelle maledette Bandiere Nere, che Gautama disperda per sempre e che l’inferno inghiotta, ci assalirono, montasti la giunca di Lin-Kai e le cacciasti dal delta del Fiume Rosso annegandole a centinaia e centinaia nel mare? Che cosa sei venuta a fare qui allora? Hai dimenticato l’amore del prode Lin-Kai? Ti sei scordata che egli, reso pazzo dal filtro atroce delle Bandiere Nere, non ricupererà forse mai la sua ragione e che egli si trova fra le mani di Sun-Pao e di Kin-Lung?

Sai-Sing, a quelle parole, si era alzata collo scatto di una giovine tigre, coi lineamenti terribilmente contraffatti da un’ira spaventevole.

I suoi begli occhi tagliati a mandorla si erano improvvisamente accesi d’una cupa fiamma e su quel visino, fresco come una rosa, era passato un fremito.

– Sun-Pao e Kin-Lung! – aveva esclamato, con accento d’odio – I maledetti!...

Si era portata una mano sul cuore come se volesse comprimere un segreto dolore, poi si era lasciata ricadere bruscamente sui gradini della statua, quasi le forze l’avessero improvvisamente abbandonata, mormorando con voce lamentevole:

– No, non ho dimenticato Lin-Kai.

La vecchia era rimasta alcuni minuti silenziosa, ascoltando le urla del vento e lo scrosciare delle folgori, poi aveva ripreso con voce lenta come parlando fra sé:

– Sì, verranno, perché entrambi hanno giurato di far sua la Gemma del Fiume Rosso e se la disputeranno con un accanimento che costerà alle Bandiere Nere e Gialle torrenti di sangue. Sun-Pao è valoroso, Kin-Lung è forte come un toro e si odieranno come le tigri odiano i caimani, mentre se lo sapessero, dovrebbero amarsi.
La vecchia Man-Sciù non tradirà il segreto del tha-ybu che all’ultim’ora, quando sarà vendicata.

Quelle parole, quantunque pronunciate quasi sottovoce e tra i fragori dell’uragano, non erano sfuggite agli orecchi della Gemma del Fiume Rosso.

– Di quale segreto parli, Man-Sciù? – chiese.

La vecchia sorrise o meglio sogghignò, poi disse con voce sorda:

– Non è ancora giunto il momento di parlare, Gemma del Fiume Rosso. Soltanto la vecchia Man-Sciù conserverà il segreto ben celato in fondo al suo cuore perché appartiene al tha-ybu.

– Dimmi almeno perché anche tu odi i due capi delle Bandiere Nere e Gialle. Io l’ho un motivo, ma tu? Essi mi hanno rapito Lin-Kai, gli hanno fatto bere il veleno rosso che fa impazzire e poi l’hanno condotto lontano, e tu?...

La vecchia si era alzata di fronte alla giovane. Il suo viso era diventato più rugoso ed i suoi occhietti, neri quali carboni, scintillavano come se dentro vi brillasse una fiamma.

– L’odio mio è pari al tuo – disse coi denti stretti. – Se così non fosse, avrebbe Man-Sciù unito la sua sorte alla tua? Avrebbe mandato un figlio fra le orde delle Bandiere Nere e Gialle per spiare i progetti dei due capi? Li avrebbe avventati l’un contro l’altro?

– Spiegalo questo tuo odio!

Man-Sciù invece di rispondere si era diretta verso l’ampia porta della pagoda spalancata e per la quale entravano, cacciati da un vento irresistibile, sprazzi d’acqua e ammassi di foglie e di rami strappati ai boschi vicini dalla furia dell’uragano.

La bufera in quel momento pareva che raddoppiasse la sua rabbia.

Al di fuori i lampi si succedevano senza interruzione, illuminando sinistramente la notte, ed i tuoni scrosciavano con un crescendo spaventevole, come se mille pezzi d’artiglieria fossero sparati ad un tempo fra le nere nuvole che coprivano il cielo.

Le foreste, che circondavano la pagoda, erano in subbuglio. Le immense foglie dei banani cadevano lacerate come se una falce enorme piombasse di tratto in tratto su quelle superbe piante; gli alberi drago oscillavano sui loro tronchi esili ed elastici toccando il suolo; gli areca cadevano trascinando con loro numerosi ammassi di liane e festoni di pepe selvatico. Solamente i tek, dal fusto enorme, dal legno incombustibile e duro come il ferro, sfidavano l’uragano senza che si potesse scorgere su quei colossi la menoma vibrazione.

Per l’aria, travolti dal turbine, roteavano rami, grappoli di banani e di arecche, ananassi, jaca e perfino talune di quelle frutta enormi, chiamate myte, che raggiungono sovente un peso di cento libbre e che a buon diritto furono chiamate le più grosse del mondo.

La vecchia crollò il capo, mormorando con tono inquieto:

– Potrà venire? Eppure mi ha mandato a dire che lo aspetti e che precederà di qualche ora i due capi delle Bandiere Nere e Gialle. Sai-Sing ha bruciato il loro cuore e verranno a disputarsela. Ah! Ah! Ah! Riderà ben la vecchia Man-Sciù.

Tornò presso la statua del dio marino, rasentando le pareti della pagoda per meglio resistere ai soffi poderosi del vento e si accoccolò vicino alla Gemma del Fiume Rosso.

– Viene? – le chiese la giovane tonchinese, con ansietà.

– Non ancora – rispose Man-Sciù. – È pericoloso attraversare le foreste quando imperversa la bufera e si rischia di rimanere sotto il tronco di un albero. Si sarà fermato in qualche capanna e attenderà che la furia cessi un po’. Giungerà sempre in tempo, sii sicura, Gemma del Fiume Rosso! Il mare sarà assai procelloso e le giunche dei due capi probabilmente non avranno potuto ancora approdare alla foce del Sieng.

Si serrò indosso il mantello di grossa tela oscura che la copriva interamente, poi, guardando fisso dinanzi a sé, cogli occhi dilatati, riprese con voce stridula:

– Tu hai ignorato fino a questa notte perché Man-Sciù odi a morte i due capi delle Bandiere Nere e Gialle e perché io ti abbia chiesto di unire la mia sorte alla tua e di aiutarti a riconquistare il povero Lin-Kai. Sai innanzi tutto perché ti hanno rapito quell’uomo che tu amavi e che ti aveva giurato di renderti felice?

– Perché Sun-Pao e Kin-Lung erano gelosi della sua popolarità e del suo valore e per vendicarsi di essere stati sconfitti e ricacciati in mare dalla sua invincibile scimitarra.

– Ti sei ingannata – disse Man-Sciù.

– Che cosa vuoi tu dire?

– Che un altro motivo ha spinto quei due uomini a portarti via il fidanzato.

– Quale, Man-Sciù? – chiese la Gemma del Fiume Rosso con voce fremente.

– Quando tu, a fianco di Lin-Kai, combattevi con disperato valore contro quei predoni che devastavano le terre del nostro paese, gli occhi di Sun-Pao e di Kin-Lung si erano fissati sul tuo viso. La fama della tua bellezza e del tuo valore aveva varcato il mare ed era giunta fino alle isole abitate dalle Bandiere Nere e Gialle ed un intenso desiderio di vederti e di conquistarti si era impadronito del cuore dei due formidabili capi.

– Come sai questo, Man-Sciù? – chiese la giovane tonchinese con stupore.

– So questo e molte altre cose ancora – rispose la vecchia. – Era per impadronirsi di te che quei predoni avevano osato sbarcare sulle nostre terre, mettendo tutto a ferro ed a fuoco e non già per solo desiderio di far bottino. Quando ti hanno veduto, alla testa dei montanari di tuo padre e delle bande di Lin-Kai, combattere come una dea della guerra e sgominare le loro orde, la loro passione, invece di tramutarsi in odio, aumentò maggiormente e oggi Sun-Pao e Kin-Lung, per averti, non esiterebbero a rinnovare il tentativo.

– Ma questa volta vengono da amici ed i loro lanzu mi hanno giurato su Gautama che io nulla avrò da temere.

– E fingerai di accettare le loro offerte se vorrai salvare Lin-Kai.

– E dovrò scegliere fra loro due?

– O l’uno o l’altro.

– Ignorano dunque che io li odio e che io so che sono stati essi a dare il filtro rosso a Lin-Kai, all’uomo che ho così immensamente amato e che piangerò fino alla morte?

– Credono che tu lo ignori.

– Vili! – esclamò Sai-Sing con voce terribile.

– Lin-Kai era un rivale pericoloso, sapevano che ormai aveva conquistato interamente il cuore della Gemma del Fiume Rosso e te lo hanno rapito e gli hanno fatto bere il filtro, che dopo spaventevoli dolori inebetisce e abbrutisce completamente.

– Infami! – esclamò la Gemma mentre i suoi occhi si empivano di lagrime. – Ed essi osano venire! Addio Man-Sciù!... Vado a radunare i miei montanari.

– Che cosa vuol fare la Gemma del Fiume Rosso? Hai data la tua parola di riceverli in questa pagoda.

– Vado a preparare a quei miserabili un agguato per trucidarli.

– Fanciulla! – esclamò la vecchia. – Dimentichi tu che Lin-Kai si trova nelle loro mani? Se tu uccidi i due capi, domani l’uomo che hai amato e che piangi sempre, sarà pure morto.

Sai-Sing, che si era già alzata, cadde di nuovo sui gradini della statua dello Spirito Marino, mandando un sordo gemito.

– Cosa fare, Man-Sciù? – chiese.

– Aspettare Ong, innanzi a tutto.

– E poi?

– Lasciar venire i due capi.

– E chi dovrò scegliere?

– Nessuno per ora. Affiderai la tua decisione al loro tha-ybu e li costringerai a condurti alle loro isole. Quando noi saremo colà, ti dirò che cosa dovrai fare.

– Io alle isole!

– È là che hanno condotto Lin-Kai – disse la vecchia. – Se vuoi salvarlo devi andarvi.

Poi, accostandosi e mettendo le sue labbra ben vicine all’orecchio di Sai-Sing, le sussurrò alcune parole.

La fanciulla fece col capo un segno affermativo.

– Sì – disse poi. – Riavrò Lin-Kai e le teste dei due capi delle Bandiere Nere e Gialle. Lo giuro su Gautama e su questo Spirito Marino che mi guarda.

In quel momento in lontananza si udì un colpo di fucile che non si poteva confondere coi rombi dei tuoni.

Man-Sciù era balzata in piedi.

– È Ong che giunge – disse. – Mio figlio ha mantenuto la promessa.

Si diresse verso la porta, riparandosi dietro una statua mostruosa raffigurante una delle dodici incarnazioni di Gautama, metà pesce e metà testuggine, e guardò verso la foresta.

I lampi, che si succedevano sempre, quasi senza un istante di tregua, permettevano di vedere come se mille torce fiammeggiassero attorno alla spianata, sulla quale si rizzava la vecchia pagoda.

Un uomo, montato su un piccolo cavallo che grondava ad un tempo schiuma ed acqua, era uscito dalla boscaglia e si dirigeva velocemente verso il tempio.

Quando fu presso la gradinata balzò a terra senza far uso delle staffe di legno e salì lestamente, lasciandosi dietro una larga striscia d’acqua.

Ong rassomigliava alla madre, senza essere così brutto. Era un ometto alto appena cinque piedi, con una testa grossa, la pelle color dello zafferano, occhietti nerissimi tagliati obliquamente, gli zigomi assai sporgenti ed il naso schiacciato senza essere grosso come quello delle popolazioni negre.

Il corpo del resto era bene proporzionato, anzi aveva spalle quadre e braccia muscolose che indicavano una forza poco comune.

Appena entrato nella pagoda, gettò via il mantello di tela grondante d’acqua, mostrando la sua giubba a larghe maniche, di stoffa grossa e di colore giallastro, stretta ai fianchi da un cinturone di pelle di scimmia, sostenente uno di quei larghi coltellacci, a punta rotonda, che usano portare i tonchinesi e che mai lasciano, nemmeno quando si coricano.

– Eccomi, madre – disse. – Venti volte ho corso il pericolo di rimanere schiacciato sotto gli alberi che il vento abbatteva sul mio passaggio e di essere fulminato; tuttavia come vedi sono venuto, confidando nella protezione di Gautama e dello Spirito Marino.

– Tu sei un bravo ragazzo – rispose la vecchia con voce dolce e guardandolo con orgoglio. – Sei degno figlio di tuo padre, del forte Cantubi.

Udendo nominare il padre, la larga faccia di Ong si era improvvisamente alterata da un dolore intenso.

– Perché parlarmi di quell’uomo che non ho mai conosciuto e che nondimeno tu piangi sempre, madre? – chiese con accento di rimprovero. – Vuoi riaprire sempre la tua ferita?

– Hai ragione – disse la vecchia.

Lo prese per una mano e lo condusse verso la statua dello Spirito Marino. Vedendo la Gemma del Fiume Rosso, Ong era diventato pallidissimo, poi le era caduto dinanzi, in ginocchio, dicendo con voce alterata:

– Ecco il tuo schiavo, Sai-Sing. Io ho mantenuto la mia promessa. Sei contenta?

– Perché venire con questo tempo orribile, Ong? – chiese la fanciulla con voce armoniosa. – Potevi rimanere ucciso in mezzo alla foresta.

– Per la Gemma del Fiume Rosso io avrei attraversato le montagne, i deserti ed i mari – disse il tonchinese con un sospiro. – Chi non farebbe altrettanto per veder sorridere la più bella fanciulla del nostro paese?

– L’hai veduto? – chiese Sai-Sing, afferrandolo strettamente per le mani.

– Sì.

– Vive ancora?

– Non osano ucciderlo. Quantunque credano che tu ignori ancora chi siano i veri autori del rapimento, temono il tuo odio.

– Parlami! Parlami di lui! – gridò la fanciulla.

Ong guardò sua madre come per chiederle se doveva parlare.

– Narra tutto – disse la vecchia. – La Gemma del Fiume Rosso è forte come un guerriero delle nostre montagne.

– Il filtro rosso delle Bandiere Nere lo ha reso pazzo – disse Ong con voce esitante.

– Chi glielo ha fatto inghiottire? – chiese Sai-Sing con angoscia.

– Sun-Pao.

– E Kin-Lung?

– Teneva fermo il tuo fidanzato.

– E poi?

– Lin-Kai aveva dapprima cominciato a sorridere appena vuotata la fiala. Io mi trovavo fra quei banditi che avevano formato circolo intorno al disgraziato. Quei sorrisi a poco a poco si erano cambiati in gemiti. Poi io vidi il suo viso esprimere delle sofferenze spaventevoli.
Urlava come una belva, pel dolore che diventava di momento in momento più intollerabile, empiendo la boscaglia di clamori orribili e si rotolava al suolo, mordendo le erbe e bagnandole di schiuma sanguigna. Non avevo mai veduto, prima di allora, un uomo soffrire così. Quelle convulsioni durarono dieci minuti, poi gli spasimi diminuirono, i sobbalzi e i contorcimenti diventarono meno frequenti, poi cessarono completamente ed il disgraziato giovane rimase steso, rigido, come un cadavere. Credetti che l’avessero ucciso, invece l’indomani lo vidi seduto sulla cima d’una scogliera, colla testa appoggiata alle mani, lo sguardo inebetito. Era pazzo, completamente pazzo e sono certo che non si rammentava nemmeno di te... e tu sai quanto ti ha amato quel valoroso.

Sai-Sing aveva ascoltato quella commovente narrazione colle mani strette al cuore, muta, ansante, pallida come una morta. Quando Ong ebbe finito, uno scroscio di pianto aveva coperto l’ultima sua parola.

– Miserabili! Miserabili! – aveva gridato la giovane con un singhiozzo straziante.

La vecchia si era alzata e mettendole una mano sulla spalla, le disse con voce strillante:

– Lo vendicheremo, Gemma del Fiume Rosso, ed io ti darò il filtro verde che guarirà la pazzia di Lin-Kai.

Si volse verso Ong, che guardava la fanciulla cogli occhi umidi, e gli chiese: – Vengono?

– Sì, hanno salpato dalle isole ieri sera e sono giunti da un’ora alla foce del fiume.

– Come hai fatto a precederli?

– Ho lasciato le isole prima di loro su un canotto e sono sbarcato innanzi che la bufera scoppiasse. Tien, avendogli detto che mi premeva tornare al mio villaggio, mi ha dato un cavallo, ed ho galoppato senza posa.

– E vengono ad offrire la loro mano alla Gemma.

– Tu sai che l’amano. E poi non sono venuti i loro lanzu?

– Sì, ieri sera abbiamo dato l’appuntamento qui. Si odiano i due capi?

– A morte.

– E se la disputeranno a colpi di scimitarra?

– Entrambi hanno condotto con loro i più valorosi guerrieri delle rispettive tribù e vi sarà combattimento se Sai-Sing si deciderà o per uno o per l’altro.

– Si sterminino fra di loro quei banditi! – gridò la vecchia. – Ma più tardi, alle isole e non qui. Hanno avuto nessun sospetto su di te?

– No, madre. Io sono una Bandiera Nera per loro.

– Ed essi osano venir qui, dopo d’aver dato il filtro a Lin-Kai!

– Sii prudente, madre! Essi sono capaci di tutto e tremo per la Gemma del Fiume Rosso.

– Sai-Sing sa che cosa deve fare. Sta’ qui, mentre vado incontro ai capi. Li guiderò io alla pagoda.

S’appressò a Sai-Sing che singhiozzava e le disse:

– Bada di non lasciarti sfuggire un solo gesto che ti possa tradire. Se essi avessero il solo dubbio che tu sappia chi sono stati i rapitori di Lin-Kai, perderesti l’occasione unica di poter salvare l’uomo che ami. Sta’ in guardia. D’altronde io non ti lascerò ed essi temono i malefizi della vecchia Man-Sciù.

Ciò detto uscì, mentre Ong si sedeva accanto alla fanciulla.