La Gemma del Fiume Rosso/2. Le Bandiere Nere e Gialle

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2. Le Bandiere Nere e Gialle

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Le Bandiere Nere e Gialle


Nel momento in cui Ong giungeva al tempio, due immense barche salivano il fiume Che-sun, che è uno dei principali che solchino le ricche pianure del Tonchino orientale.

Erano due sampan, scavati nell’enorme tronco dei tek, lunghi venti metri, coi bordi larghissimi, la poppa e la prora rialzate e scolpite, rappresentanti mostruose teste di coccodrilli e di elefanti, e guidati da ventiquattro remi maneggiati robustamente da altrettanti uomini seminudi, di forme sviluppatissime e che nelle cinture portavano coltellacci e pistoloni.

Salivano l’uno presso all’altro, mantenendosi alla medesima altezza, gareggiando fra di loro. A poppa sia dell’uno che dell’altro stavano seduti, entro una specie di nicchia dorata che sosteneva un’alta antenna, sulla cui cima sventolavano due bandiere di seta nera, i due capi.

L’uno, Sun-Pao, era un bel giovane di venticinque anni, d’aspetto fiero, colla testa accuratamente rasata fino alla nuca e resa lucente da uno strato di olio di cocco. Era di statura alta, di forme snelle ed eleganti, con braccia però muscolose da uomo abituato al maneggio del remo e delle armi.

Indossava una casacca di seta rossa a fiori gialli con ricami d’oro e maniche assai ampie e portava calzoni molto larghi di seta nera, che gli scendevano fino alle ginocchia. Le gambe assai muscolose erano invece nude al pari dei piedi.

L’altro, Kin-Lung, era invece più vecchio di qualche lustro, basso, tozzo, con un collo da toro, braccia enormi, torso da bisonte, col viso coperto da una barba ispida e nera, ed i tratti del viso angolosi.

Era un vero tipo di bandito che non doveva ispirare simpatia di certo ad una fanciulla bella come la Gemma del Fiume Rosso.

Invece della casacca indossava una vecchia cotta di ferro, arrugginita, stretta da un’alta fascia di nanchino color di rosa con perle e frange d’oro e calzoni cortissimi di seta verde.

Aveva fra le gambe un grosso e pesante fucile a miccia e nella fascia portava due scimitarre, sorta di sciabole a lama curva e larga, taglienti come rasoi, di fabbrica indiana, e che, se bene maneggiate, tagliano d’un solo colpo la testa all’avversario.

I due capi regolavano i colpi di remo dei loro uomini, battendo con una piccola mazza su una lastra di bronzo appesa all’antenna e non si interrompevano se non per trangugiare di quando in quando una tazza di sciaway, specie di thè, molto più squisito di quello cinese, composto di fiori d’un albero speciale del paese, prima seccati e poi bolliti, o qualche sorsata di arak per riscaldarsi un po’. La pioggia diluviale che doveva averli sorpresi sul mare, prima ancora di giungere alla foce del fiume, era cessata. Soffiava invece sempre un vento assai impetuoso, il quale ululava sinistramente sotto i boschi fiancheggianti quel corso d’acqua, continuando a contorcere e spezzare i rami degli alberi, ed i lampi si seguivano ancora facendo scintillare le acque come se fossero di bronzo fuso.

I due capi delle Bandiere fingevano di non occuparsi l’uno dell’altro, però di quando in quando si guardavano con certi occhi pregni di odio e le loro mani correvano, e non certo involontariamente, alle impugnature delle affilate scimitarre con gesti così minacciosi che tradivano chiaramente la rabbia che bolliva negli animi.

Anche i loro uomini, i quali, dai tipi, dalle armi e dalle vesti che indossavano, si capiva che appartenevano a tribù diverse, partecipavano alla rivalità dei loro capi. Si guardavano in cagnesco e quando i due sampan si accostavano a causa della strettezza del fiume, non mancavano di scambiarsi frasi provocanti.

– Date dentro ai remi, pigroni!

– Guarda la prora!

– Ci toccate!

– Che Gautama mandi una folgore sulle vostre zucche!

Ad un cenno però dei capi, accompagnato da un gesto minaccioso, ben presto ammutolivano, per riprendere poco dopo le insolenze.

– A voi la Gemma? È un boccone troppo dolce per Kin-Lung!

– È duro anche per Sun-Pao.

– L’orso rimarrà a denti asciutti.

– E Sun-Pao l’aspetterà un bel pezzo!

Le mani abbandonavano i remi per allungarsi verso i pesanti fucili a miccia che si trovavano appoggiati ai banchi, finché la voce dei due capi tuonava:

– Avanti, banditi! Volete provare il filo delle nostre scimitarre? Il momento giungerà!

I due sampan procedevano a stento in causa del ventaccio che, scendendo dai monti del settentrione e seguendo lo squarcio aperto dal fiume, ostacolava la loro corsa, sollevando le acque in ondate che talvolta diventavano formidabili. Tuttavia i remiganti, tutti uomini robustissimi, abituati fino dall’infanzia alla dura manovra del remo, non s’arrestavano un solo istante e colle acute e alte prore spezzavano impetuosamente i marosi, quando non riuscivano, a causa dell’eccessiva pesantezza delle imbarcazioni, a passarvi sopra.

La notte stava per finire e già un debole chiarore cominciava a diffondersi verso oriente, quando giunsero in un vasto bacino contornato da superbi alberi di tek e da calambuchi d’altezza smisurata, i quali formavano una vera muraglia contro i poderosi soffi della bufera. Una calma profonda regnava su quelle acque, rotta solamente da qualche tardivo lampo. Anche i tuoni, che avevano rombato tutta la notte, erano finalmente cessati.

I due sampan, attraversata rapidamente quella specie di laguna, si erano arrestati in un seno profondo che si prolungava fra quei colossali vegetali, arenando le prore in mezzo a folti canneti.

I due capi si erano alzati guardando la riva, mentre i loro uomini asciugavano i loro moschettoni e cambiavano frettolosamente le cariche e le micce come se si preparassero ad un combattimento.

La foresta sembrava disabitata. Altro non si vedeva che degli uccelli, dei calaos muniti di becchi enormi, grossi quanto un buon terzo dell’intero corpo, che volteggiavano intorno ai calambuchi mandando delle strida acute rassomiglianti al cigolìo dell’asse male unta di un carro.

Rassicuratisi che gli abitanti non avevano preparato in quel luogo alcun agguato, Sun-Pao e Kin-Lung, entrambi armati, erano scesi sulla riva facendo segno ai loro equipaggi di non seguirli.

Vedendo a breve distanza il tronco di un giovane areca che la furia dell’uragano aveva abbattuto, vi si diressero e si sedettero l’uno accanto all’altro.

– Kin-Lung – disse Sun-Pao, mettendosi fra le ginocchia il moschetto – finché la Gemma del Fiume Rosso non avrà fatto la sua scelta, consideriamoci come amici e non come rivali. Abbiamo combattuto entrambi, come due buoni camerati, l’uno a fianco dell’altro; entrambi siamo valorosi e le nostre forze sono pari e, prima che i nostri occhi si fissassero sul bel visino di quella fanciulla, nessuna nube aveva mai guastato i nostri buoni rapporti.

– È quello che volevo proporti anch’io – rispose Kin-Lung, che per ogni buon conto si teneva presso il fucile.

– Quando la Gemma del Fiume Rosso avrà deciso fra noi due, se vuoi troncheremo la nostra amicizia e ci disputeremo, colle armi alla mano, il suo possesso.

– Se la scelta cadesse su di te, ti assicuro che io non rimarrei tranquillo spettatore della tua felicità – rispose Kin-Lung, battendo, con un gesto ripieno di minaccia, il pugno chiuso sulla lucente scimitarra che portava infissa fra le pieghe della ricca fascia. – La mia tribù desidera avere per regina la Gemma del Fiume Rosso, che è il più bel fiore del Tonchino e che io amo con tutte le forze dell’anima, e la disputerebbe alla tua.

– E la mia desidera altrettanto e io non amo quella fanciulla meno di te. L’avrò, o mi farò uccidere.

– Hai mandato il tuo messo al suo villaggio, onde avvertirla del tuo arrivo e delle tue intenzioni?

– Sì.

– Ed io ho fatto altrettanto.

– E se ella rifiutasse di accordarci un appuntamento? – chiese Sun-Pao.

– Andremo noi a cercarla – disse Kin-Lung. – Ella dovrà scegliere fra noi due se vuole risparmiare il suo paese da una invasione che distruggerà campi e villaggi. Lin-Kai non è più alla testa dei tonchinesi per guidarli un’altra volta alla vittoria e noi abbiamo forze sufficienti per rompere senza fatica le orde dei montanari, se volessero tentare la resistenza.

– Io ho custodito gelosamente il segreto sulla scomparsa di Lin-Kai, e tu? – chiese Sun-Pao.

– Nessuno dei miei uomini avrebbe osato parlare, ben sapendo che io non sono uomo da prendersi a gabbo. Hanno troppa paura della mia scimitarra e del filtro rosso.

– E se la Gemma respingesse le nostre proposte e la corona di regina delle isole?

– La costringeremmo a fare la sua scelta – disse Kin-Lung, con un feroce sorriso. – E poi chi oserebbe rifiutare la mano di un capo delle Bandiere Nere?

– Se amasse ancora Lin-Kai?

– Lo dimenticherà.

– E se dubitasse della sua morte?

– In tal caso le faremmo pervenire la testa del suo fidanzato, così si persuaderà che è proprio morto – rispose Kin-Lung. – Prepara i tuoi uomini mentre io faccio altrettanto dei miei e fa’ caricare il tuo cannone. I montanari potrebbero tentare di sorprenderci, conoscendo lo scopo della nostra venuta. Suppongo che i nostri messi non tarderanno a giungere e sapremo che cosa pensare delle intenzioni della Gemma del Fiume Rosso. Se resisterà metteremo il paese a ferro e a fuoco e faremo accorrere dalle isole tutte le Bandiere Nere e Gialle, onde prendano parte alla festa.

I due capi si erano alzati ed avevano dato l’ordine ai loro uomini di sbarcare e di preparare gli accampamenti.

I sessanta banditi, assicurate le loro gigantesche scialuppe ai tronchi più prossimi alla riva e collocati in batteria, sulle larghe prore, i loro cannoncini del calibro di quattro libbre, in modo da poter spazzare due lati della insenatura, erano scesi sulla riva formando due campi distinti che subito rinforzarono con tronchi d’albero e con ammassi di spine, barriere sufficienti per arrestare un improvviso assalto da parte di nemici seminudi e scalzi.

Ciò fatto, avevano acceso immensi fuochi per asciugare le armi e le vesti, avendo trascorso l’intera notte sotto una pioggia diluviale, e per preparare la loro modesta colazione, che si componeva ordinariamente, per quelle frugali popolazioni, di riso cotto in acqua senza sale, mescolato ad una salsa composta di pesciolini e di gamberetti ridotti in polpa e lasciati macerare per qualche tempo in acqua marina.

I due capi, invece, che pel momento avevano messo da parte le loro rivalità, si erano uniti sotto una tenda rossa alzata sulla spiaggia, dividendosi fraternamente una grossa testuggine, pescata nel fiume e cucinata sul suo guscio, innaffiandola con abbondanti sorsate di arak, prima scaldato onde acquistasse maggior forza e sapore.

Entrambi però si mostravano irrequieti e si alzavano di frequente, per scrutare la foresta che si estendeva dinanzi a loro, tendendo gli orecchi.

– Tardano a tornare, i nostri messi – diceva insistentemente Sun-Pao, con visibile malumore. – Che i montanari li abbiano assassinati?

– I lanzu sono uomini sacri a tutti – rispondeva Kin-Lung. – Chi oserebbe porre le mani su due sacerdoti di Gautama?

– O che le tigri, che qui abbondano, li abbiano divorati?

– Al mio ho dato una sciabola.

– Ed anche il mio era armato.

– Allora verranno.

– Dovrebbero essere qui, Kin-Lung.

– E l’uragano di questa notte? Si saranno fermati in qualche luogo, aspettando che cessasse. E poi la via è lunga.

– Sono impaziente di sapere se verrà al convegno.

– Non ardirà rifiutarsi – disse Kin-Lung. – Lin-Kai non è più qui a guidare i montanari e senza quel capo, il cui valore trascinava alla battaglia anche i più timidi, la Gemma del Fiume Rosso non troverebbe protettori.

– E poi? – chiese Sun-Pao, guardando di traverso Kin-Lung.

– Poi ce la disputeremo noi.

– Se preferisse me?

– Credi tu che te la lascerei? – chiese Kin-Lung coi denti stretti.

– Bisognerebbe che tu uccidessi me e tutti i miei guerrieri. Finché sarò vivo, mai rinuncerò alla Gemma del Fiume Rosso.

– Giuochiamo la fanciulla.

– Sì, dopo che avrà fatto la sua scelta.

– Sarà la posta in un combattimento di galli.

– Preferisco difendere la posta colle armi.

– Taci!

Sotto i grandi alberi erasi udito un tocco, come se qualcuno avesse percosso una di quelle lastre di bronzo che chiamansi gong.

I due capi si erano alzati contemporaneamente, mentre i loro uomini afferravano con rapidità le armi, pronti a prevenire qualsiasi attacco da parte dei tonchinesi, che non vedevano di buon occhio quei predoni scorrazzare sulle loro terre.

– Sono i nostri messi – disse Sun-Pao. – Ho dato un gong al mio, onde mi avvertisse del suo ritorno.

Un uomo si avanzava lentamente sotto gli areca, i betel ed i calambuchi, percuotendo ad intervalli una piccola lastra di metallo, che portava appesa alla cintura.

Era un omiciattolo grosso, che indossava una lunga zimarra di seta gialla, molto malandata ed inzaccherata fino alla cintura, e che portava in testa un ampio cappello di foglie intrecciate, in forma di fungo e ornato di coroncine di perle azzurre.

Si avanzava con una certa prudenza, percuotendo il gong colla sinistra ed impugnando colla destra una catane sguainata.

Dal costume s’indovinava in lui un lanzu, setta che ha acquistato, fra le ingenue e superstiziose popolazioni del Tonchino, la stima dei grandi ed il rispetto del volgo. Quantunque tali sacerdoti non siano che degli impostori, che hanno la pretesa d’indovinare l’avvenire e leggere il futuro negli astri, guarire tutte le malattie ed esercitare ogni sorta di magie, nessuno, sotto qualsiasi pretesto, oserebbe toccarli, essendo considerati anche dal re come uomini sacri.

Scorgendo i due capi delle Bandiere, il lanzu aveva affrettato il passo. Quando giunse presso di loro, Sun-Pao e Kin-Lung s’accorsero che aveva il viso stravolto e gli occhi dilatati dal terrore.

– Sie – disse Sun-Pao – mi sembri spaventato.

– E ne ho ben il motivo, signore – rispose il sacerdote. – Non vedi che io ritorno solo?

– Dov’è Hay che ti avevo dato per compagno? – chiese Kin-Lung.

– È stato divorato da una tigre, signore, e se mi vedi qui, ancora vivo, è perché Gautama mi ha protetto.

– Un cialtrone di meno – borbottò Kin-Lung.

– L’hai veduta la Gemma del Fiume Rosso? – chiese Sun-Pao.

– Sì, ieri sera.

– Che cosa ti ha detto?

– Che verrà al convegno.

– Le hai detto lo scopo della nostra venuta?

– Sì.

– Accetta di scegliere l’uno o l’altro?

– Non me lo ha detto ancora.

– Dove ci aspetta?

– Nella vecchia pagoda dello Spirito Marino.

– Sola?

– Colla vecchia Man-Sciù!

– Che cosa c’entra quella strega? – chiese Kin-Lung, con voce inquieta. – Mi hanno detto che quella donna ci odia e che ha lo spirito del male nell’anima.

– Se ci annoierà le faremo bere il filtro rosso – disse Sun-Pao – e la manderemo a tener compagnia a Lin-Kai.

– Sospetta di nulla, la Gemma?

– Non mi parve – rispose il lanzu.

– Piange sempre Lin-Kai?

– Se ha accettato di ricevervi, vuol dire che ormai si è rassegnata e che lo ha dimenticato.

– O è la paura che le ispirano le Bandiere Nere e Gialle ora che Lin-Kai non è più sulle montagne a difenderla? – chiese Kin-Lung, con un tristo sorriso.

– Può essere l’una e l’altra cosa insieme – rispose il lanzu. – Quando le ho annunciato il vostro arrivo e le vostre intenzioni, io l’ho veduta diventare bianca come un giglio. Sa di che sono capaci le Bandiere delle isole, quando sono irritate. Che cosa sono in loro confronto i cinesi delle frontiere e le tigri dei boschi?

– Sie – disse Sun-Pao – tu che leggi nell’avvenire e che comandi o almeno indovini il destino, fa’ la tua predizione e, se è favorevole a me, prometto di regalarti una collana d’oro.

– Che cosa vuoi sapere, signore? – chiese il lanzu, guardandolo con inquietudine.

– Se la Gemma sceglierà uno di noi. Bevi prima una tazza di arak per farti passare lo spavento, poi getta la sorte.

Il lanzu tracannò d’un fiato la ciotola di porcellana che gli veniva porta da un soldato, poi levò dalla cintura tre pezzetti di rame sui quali erano scolpiti alcuni segni e dei caratteri ignoti e li gettò a terra, in modo che cadessero l’un presso all’altro e che si potessero toccare tutti allargando la mano. Osservò su quale faccia erano caduti, pronunciando alcune parole a fior di labbra, poi disse con tono da ispirato:

– La Gemma del Fiume Rosso non rifiuterà di diventare la regina delle Bandiere delle isole.

– Di quale tribù? Della mia o di quella di Sun-Pao? – chiese Kin-Lung.

Il lanzu guardò prima l’uno e poi l’altro e, vedendoli colle destre appoggiate sulle guardie delle scimitarre, come se fossero pronti ad avventarsi l’uno sull’altro, e cogli occhi ripieni d’odio, non osò pronunciarsi.

– La sorte sta ancora nelle mani di Gautama – disse, tentando con una scappatoia di eludere la pericolosa domanda. – Ieri sera il cielo era coperto dalle nuvole e non ho potuto interrogare le stelle.

Salvava ad un tempo, con quella risposta sibillina, la propria riputazione di mago ed evitava un massacro fra i due capi ed i loro partigiani, giacché anche i guerrieri erano accorsi ad udire le sue predizioni e tutti colle armi in pugno.

Sun-Pao e Kin-Lung erano rimasti silenziosi, osservandosi in cagnesco.

– Tu non vali il vecchio tha-ybu della caverna delle salangane – disse il primo, rivolgendosi all’indovino, con accento sprezzante.

– Quello almeno ci aveva predetto che la regina delle isole sarebbe stata la Gemma del Fiume Rosso e come vedi non si è ingannato perché la fanciulla, invece di riparare sulle montagne del settentrione, ha acconsentito ad accettare il convegno.

– Il tha-ybu della caverna è più vecchio di me ed ha avuto il tempo di interrogare gli astri – rispose il lanzu, con voce piccata. – Lascia a me, come hai lasciato a lui, tre notti e ti saprò dire chi sceglierà la Gemma del Fiume Rosso.

– Non abbiamo tempo da perdere, né desiderio di rimanere in questa foresta i tre giorni che chiedi, mentre la pagoda dello Spirito Marino è così vicina – disse Kin-Lung. – Tu conosci la via che conduce al tempio?

– Sì, signore.

– Ci condurrai. Ti avverto però che, se avrai mentito o ti sarai messo d’accordo coi montanari per trarci in un agguato, ti metterò nella gabbia di bambù piena di spine e ti farò sospendere sull’albero più alto della mia giunca.

– Io sono il lanzu delle Bandiere Nere e non dei montanari di Sai-Sing – rispose l’indovino.

– Partiamo – disse Sun-Pao. – Noi prenderemo venti uomini ciascuno e ci faremo precedere da esploratori. Gli altri rimarranno a guardia delle nostre scialuppe.

– Sono pronto a seguirti – rispose Kin-Lung.

I due capi, fatti schierare i loro uomini, ne fecero uscire quaranta dalle file, avendo cura di scegliere i più robusti ed i più valenti, non potendo prevedere come sarebbero andate a finire le cose ed essendo entrambi decisi a disputarsi accanitamente, colle armi alla mano, la bella fanciulla del Fiume Rosso.

Formarono due drappelli distinti e si misero in marcia fra le piante gommifere ed i calambuchi, preceduti dal lanzu e da alcuni esploratori, temendo di venire sorpresi dai montanari di Lin-Kai e di Sai-Sing.

L’uragano si era fatto sentire formidabilmente anche in quella foresta, quantunque quegli alberi colossali, che raggiungono delle altezze straordinarie, talvolta perfino gli ottanta metri, avessero opposto una solida resistenza agli elementi scatenati.

Tutte le piante giovani avevano ceduto e giacevano al suolo in un indescrivibile disordine, formando sovente delle barriere di tronchi che i banditi dovevano girare. Nella loro caduta avevano trascinato enormi ammassi di liane ed avevano anche abbattuto tutti i cespugli che formavano, sotto i colossali vegetali, come una seconda foresta.

Un numero infinito di volatili, palombe coronate, chimanze dalle penne d’oro, fagiani argentati, uccelli lira e tucani dal becco enorme, giacevano qua e là, uccisi dalle frutta strappate dalle piante e anche qualche porco selvatico era rimasto schiacciato sotto dei tronchi che non era riuscito ad evitare.

Le Bandiere Nere e Gialle, sebbene fossero precedute da esploratori, si avanzavano attraverso la foresta adagio adagio, scrutando i cespugli e fermandosi al menomo rumore sospetto. Anche Sun-Pao e Kin-Lung non sembravano troppo tranquilli e tenevano snudate le scimitarre. Già su quelle terre, l’anno precedente, avevano subìto una sanguinosa sconfitta da parte dei montanari guidati dal valoroso Lin-Kai e dalla Gemma del Fiume Rosso, era quindi naturale che temessero una imboscata, non ostante le assicurazioni del lanzu.

Marciavano da due ore, sempre in mezzo al bosco, quando videro gli esploratori tornare rapidamente indietro col più vivo terrore scolpito sul viso.

– I montanari? – domandò Kin-Lung, fermando i primi.

– No, signore – aveva risposto il capo degli esploratori.

– Chi ci minaccia? – aveva chiesto Sun-Pao.

– Abbiamo veduto una donna che si avanza verso di noi.

– E voi, vili, fuggite? Non siete più le Bandiere delle isole?

– Può essere una spia dei montanari.

– Prendetela e decapitatela! – disse Kin-Lung. – Così non tornerà più indietro ad avvertire i suoi compatrioti del nostro avanzarsi.

Gli esploratori, vergognosi di essere fuggiti dinanzi ad una donna, si erano slanciati in mezzo alle piante, mandando urla feroci e brandendo minacciosamente i loro terribili coltellacci ed i moschettoni, come se dovessero combattere contro un nemico formidabile.

Un riso stridulo, beffardo, arrestò ben presto il loro slancio. La vecchia Man-Sciù si era alzata dietro un cespuglio, coi capelli in disordine, il mantello inzaccherato, gli occhietti scintillanti. Quella figura orribile, con quella testa grossa, quella bocca contorta che sogghignava, aveva gettato un profondo turbamento nelle Bandiere Nere e Gialle, non meno superstiziose dei loro compatrioti, i tonchinesi di terra. Si erano arrestati titubanti, colle armi alzate, guardando con terrore quel mostro, che prendevano per lo spirito dei boschi.

– Chi cercate voi? – aveva chiesto Man-Sciù colla sua voce stridula. – La Gemma del Fiume Rosso? È vero?

I guerrieri dei due capi erano rimasti muti, senza osare muovere un passo.

Sun-Pao e Kin-Lung, vedendoli fermi, si erano fatti innanzi, stupiti che i loro uomini, ordinariamente così feroci e così risoluti, non avessero già eseguito l’ordine ricevuto. Vedendo la strega, anche essi si erano arrestati, guardandola con inquietudine.

– Da dove vieni vecchia? Che cosa fai qui? – aveva chiesto Kin-Lung.

– Vi aspettavo – rispose Man-Sciù.

– Come sapevi tu che noi eravamo sbarcati?

– Nulla può sfuggire a Man-Sciù – rispose la donna, dardeggiando su entrambi uno sguardo acuto come la punta d’un pugnale. – Voi siete venuti a cercare la Gemma del Fiume Rosso.

– Chi te lo ha detto? – chiese Sun-Pao.

– Lo Spirito Marino.

– È lei che ti manda?

– Sì – rispose l’indovina.

– Io so che tu sei una strega che vale meglio d’un lanzu. Ecco una bella occasione per sapere se la Gemma darà la preferenza a me od a Sun-Pao – disse Kin-Lung.

– La Gemma non darà la preferenza né all’uno né all’altro – rispose Man-Sciù – se prima non interrogherà il tha-ybu della caverna.

– Conosci il nostro tha-ybu?

– Forse – rispose Man-Sciù.

I due capi delle Bandiere Nere e Gialle erano divenuti pallidi e si erano guardati l’un l’altro ansiosamente.

– Tu vuoi dire che prima di pronunciarsi la Gemma vorrà venire con noi alle isole? – chiese Sun-Pao.

– È necessario.

– Dove si trova la Gemma?

– Nella pagoda dello Spirito Marino.

– E ci aspetta? – chiese Kin-Lung.

– Ti attende.

– Sola?

– Sola – rispose Man-Sciù.

Sun-Pao le si era avvicinato.

– Tu che leggi così bene il futuro – le disse – dimmi se ignora che cosa sia accaduto di Lin-Kai.

– Lo crede morto.

– Conducici dalla fanciulla.

– Seguitemi – disse la vecchia colla sua voce stridula.