La Lena/Prologo primo

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Prologo primo

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Prologo secondo
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PRIMO PROLOGO.1


     Dianzi ch’io veddi questi gentiluomini
Qui ragunarsi, e tante belle giovani,
Io mi credéa per certo che volessino
Ballar, chè ’l tempo me lo par richiedere;
E per questo mi son vestito in maschera.
Ma poi ch’io sono entrato in una camera
Di questo, ed ho veduto circa a sedici
Persone travestite in diversi abiti,

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E che si dicon l’un l’altro e rispondono
Certi versi, m’avveggio che far vogliono
Una de le sciocchezze che son soliti,
Ch’essi Commedia chiamano, e si credono
Di farle bene. Io che so quel che detto mi
Ha il mio maestro, che fra le poetiche
Invenzïon non è la più difficile,
E che i poeti antichi ne facevano
Poche di nuove, ma le traducevano
Da i Greci; e non ne fe alcuna Terenzio
Che trovasse egli; e nessuna o pochissime
Plauto, di queste ch’oggidì si leggono;
Non posso non maravigliarmi e ridere
Di questi nostri, che quel che non fecero
Gli antichi loro, che molto più seppono
Di noi sì in questa e sì in ogn’altra scienzia,
Essi ardiscan di far. Tuttavía, essendoci
Già ragunati qui, stiamo un po’ taciti
A riguardarli. Non ci può materia,
Ogni modo, mancar oggi da ridere:
Chè, se non rideremo de l’arguzia
Della Commedia, almen de l’arroganzia
Del suo compositor potremo ridere.


Note

  1. Questo Prologo, omesso dai più recenti editori, leggesi nella stampa del Pitteri procurata dal Barotti. Sebbene credasi che l’Ariosto avesse già da pezza composto questa Commedia, sembra certo nondimeno ch’essa venisse recitata per la prima volta nel 1528, sopra un teatro fatto nuovamente fabbricare dal duca Alfonso nel suo proprio palazzo; nella qual fabbrica vennero altresì, come raccontasi, mandati ad esecuzione i concetti architettonici del medesimo poeta. La temperanza ancora dei concetti e delle parole ond’è tessuto questo Prologo, rende assai verisimile che sia quello il quale fu recitato sulla scena dallo stesso principe don Francesco d’Este, uno dei figliuoli del duca. Vedi Baruffaldi, Vita ec., pag. 200-202.