La Signora di Monza/Prefazione

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Prefazione

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La Signora di Monza Prologo

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Al Deserto tra’ monti di Arcisate, 1 giugno 1854.


Al celebre Autore dei Promessi Sposi la Signora di Monza si rese nota nelle Storie Milanesi del Ripamonti; ignorava, quando scrisse il suo immortale romanzo, che il processo da quei tremendi casi provocato, dal primo costituto all’ultima sentenza, ne’ suoi manoscritti originali ed autografi, giacea contenuto in dieci grossi fascicoli polverosi dimenticati in un tarlato scaffale d’un archivio lombardo: è da credere che continuerebbe a dormirvi indisturbati suoi sonni se una volontà generosa e fidente non si fosse degnata farmene communicazione, acciò vi tesoreggiassi autentiche informazioni per compilare una qualche pagina della mia Storia del Pensiero lorch’ella fosse per trovarsi giunta al Secolo decimosettimo.

Quegli scartafacci, fatti apposta per me legare in volume, entro del quale contai oltre seicento facce manoscritte, mi furon consegnati, a condizione, che in capo a dieci giorni [p. 10 modifica] li avessi a restituire: e me gli ebbi appena tra mano, che, simile a sposo novello, cupido di spendere in libertà colla sua compagna la luna di miele, corsi ad appiattarmi in questo eremo: gli è qui, che, solo abitante d’un piccol quadrato di celle denominato la Casa de’ Morti (perché vi giaccion tumulati nel sotterraneo i Carmelitani trapassati nel chiostro che covre il colle rimpetto), volgon omai otto dì ch’io vivo nella esclusiva compagnia della formidabil Monaca di Monza, de’ suoi complici, de’ suoi accusatori, de’ suoi giudici. Leggerne di fuga il processo, per formarmene un’idea complessiva, novamente leggerlo per apprezzarne i particolari, svolgerlo ad ultimo pagina per pagina colla penna alla mano copiando, e compendiando, questa fu la mia fatica dell’ora corsa settimana: mi riposava tratto tratto correndo i circostanti boschi, i quai presentansi graziosamente svariati da vallette, da scogli, da gruppi di pini, da castagni colossali e da vaste macchie di faggi, rese accessibili dai sentieretti de’ carbonai lungo i rigagnoli che scendono frequenti dalle alture a raccogliersi in fondo ad ombroso burrone; ivi l’ incessante romore dell’acque correnti si marita al canto d’infiniti uccelletti; tutto assieme che forniva cornice ed accompagnamento squisitamente acconci al mio meditare; sicché, rientrando nella cella, non solo mi trovava ristorato dall’aspro mio tirocinio d’interprete, di copista, ma ritemprato a meglio sentire ed esprimere i paurosi drammi che mi si svolgevan davanti.

È pur curioso questo fascio di carte! Frammezzo gl’interrogatorii per man di notaj che n’occupan tre quarti (il [p. 11 modifica] resto comprende gli allegati e le sentenze) scritti sotto dettatura degli inquisiti, de’ testimonii, del giudice, contrassegnati dalle sigle del tabellionato, rinvenni documenti autografi di pugno della Signora e del suo seduttore: mi fe’ grande impressione considerar que’ caratteri tracciati due secoli fa da mani sì ree, presentarmisi ad esprimere, come se tuttodì fervessero, detestabili passioni, su cui posa da sì gran tempo il suggello della morte e dell’inferno! Quasi direi che questo processo m’invase il pensiero, e vi lasciò di se tale una impronta, che se n’è trasmessa in queste carte una immagine, della quale, alla lor volta, i lettori ricostruiranno l’originale nel proprio pensiero: ho praticato, infatti, di questi manoscritti lo spoglio più scrupoloso, copiando ciò che vi riscontrai di meglio caratteristico, e riepilogando il resto; dimodochè mi trovo divenuto possessore della relazione autentica della famosa, epperò sin qui buja, tragedia, cui la gagliarda penna del nostro illustre Concittadino non fe’ che sfiorare.

Penso che appo gl’innumerevoli lettori dei Promessi Sposi, tra le incancellabili reminiscenze che ne serbano, primeggia, accosto all’Innominato, il bello e scuro viso della Signora di Monza, e i misteriosi suoi casi; ne rimase una crucciosa insoddisfatta curiosità, come di chi teme eppur vorrebbe sapere. Uno Scrittore più ricco di dottrina che di fantasia, ardì assumersi di contentare questa curiosità, e, in un romanzo di sua fattura, intitolato appunto la Signora di Monza, arrogossi empiere le lacune lasciate da Manzoni. Ecco come il professore Rosini di Pisa esordisce al suo racconto: [p. 12 modifica]

Un fatto storico avvenuto in Monza, brevemente descritto dal Ripamonti, ha fornito all’autore dei Promessi Sposi l’episodio più applaudito di quel suo applauditissimo libro. Stretto però tra’ limiti del suo argomento, egli non ha potuto riferire che le seguenti particolarità (seguono esposte a sommi capi le avventure della Signora quai le ha memorate Manzoni). Non pochi tra’ moltissimi lettori di quel libro, non che un qualche critico solenne, hanno mostrato desiderio di sapere più oltre della condizione di Egidio, del modo con cui vennesi in chiaro dell’amore di Gertrude per esso, com’ella si partì dal Monastero di Monza, dove si riparò, per quai casi la Provvidenza la richiamò a piangere i suoi trariamanti, e qual infine fu il gastigo riservato ad Egidio ed al padre di lei, colpevoli ambidue verso la religione ugualmente che verso la morale. Quello è quanto di narrar si propone lo scrittore della Storia seguente, al qual, per caso, venne alle mani un volume del secolo decimosettimo che diffusamente la racconta.

Pigliate le mosse da questo supposto, il Romanziero Toscano mette fuori un Egidio ed una Gertrude di sua fattura, che trae profughi per l'Italia rimescolati in ogni lizza artistica, in ogni gara letteraria, in ogni politica e sociale bruttura di quella età di tronfi poeti e di morìe d’artisti barocchi e di streghe, di lanzichinecchi e d’avvelenatori: ignorava il valent’uomo che non di Gertrude e di Egidio, sibbene di Giampaolo Osio e di Virginia de Leyva casi ben più strazianti, ed in assai più vista di romanzeschi, benché tremendamente veri, celavansi entro [p. 13 modifica] scartafacci dimenticati: ottima ventura fu questa sua ignoranza per me, dacchè dessa mi procacciò la non volgare soddisfazione d’essere il primo a cui sia consentito estrarre da quelle carte autentiche ciò appunto che dalla universale curiosità, era impazientemente domandato.

Ma questi alimenti, di cui è ghiotta la curiosità contemporanea, son essi sani? non viviamo noi in età nella quale denigrare, maledire, sopprimere chiostri è divenuto vezzo letterario, è reputato senno governativo?... Gli è quesito che mi lascerebbe perplesso, se non facessi tra me e me il seguente ragionamento.

Io somiglio all’inventore di taluno di que’ supremi estratti farmaceutici (fa conto la morfina), che, per effetto della subìta compenetrazione della essenza, ove convenientemente lo si amministri, spiega una stupenda efficacia a guarir certi morbi; ma in mano rea, porto in altre dosi, funge officio di veleno. Il ritrovatore del poderoso farmaco avrebb’egli dovuto ripudiarlo per tema dell’abuso che altri potesse farne, o non gli saranno corsi al pensiero i beneficii, che, per opera di sanatori sapienti, quella sua invenzione era destinata a versare sui quotidiani patimenti de’ suoi simili? Ella è la umana nequizia che manipola i veleni; per le anime rette non esistono veleni; avvegnachè ciò che il volgo appella così perchè da morte propinato da scellerati, in mano a probi dà vita; vita a cento, a mille, mentre dà morte per frode d’iniqui ad uno o due... Or bene (valgami il paragone) io non ho ripugnato a recar luce sovra casi che ponno qualificarsi il [p. 14 modifica] punto nero del monachismo nel secolo decimosettimo: attingendo ad autentiche fonti ardii svolgere un fascio di nequizie rimase fin oggi tenebrose; citai nel suo testo originale una scellerata tragedia; l’accompagnai sì, d’un qualche commento, qual me lo suggeriva il buon senso, ma non mi corse pur al pensiero la pretensione d’imporre a chicchessia i miei modi di giudicare o di sentire: esposi, per dir breve, avvenimenti, come altri, ripeto, amministrerebbe morfina, non per avvelenare, ma per sanare; conciossiachè io mi son uno de’ più caldi ammiratori delle istituzioni monastiche, uno de’ più sinceri zelatori dell’onore del Cattolicismo: nè quelle istituzioni corrono pericolo, a mio avviso, di subire intacco o crollo in conseguenza d’un fatto isolato, mercè cui spicca, anzi, come sia oltre ogni misura pessima la corruzione dell’ottimo; e quest’ottimo fu tale, che, in mezzo al naufragio d’ogni virtù, non dico monastica, ma umana, valse a riscattare i perduti. Peccare humanum est, e niuna venerevole assisa seppe andare immune da una qualche peculiare contaminazione; perché s’avrebbe a pretendere che ne fossero iti scevri i veli monastici? ma io mostrerò che tornarono mondi dai sofferti imbratti, mondi, dico, di quella seconda mondezza che la penitenza imprime alle anime, e i cieli accolgono con più festa dello stesso non mai polluto candore. Che se con essersi messi sotto a’ piè i voti giurati, quelle, in pria sciagurate, caddero in ispaventevol abisso di guai, come avvenne che n’uscissero salve, se non fu la efficacia di quelle istituzioni medesime che le gastigarono sì da non [p. 15 modifica] disperarle, le percossero ma per redimerle, e, ad ultimo, le restituirono a Dio purificate? Rimoviam quelle istituzioni: le colpe, per questo, non cesseranno; aumenteranno anzi in ragione del freno allentato: ma dove troveremo l’efficace ravviamento alla guarigione, il racquisto della pace dopo la conturbazione, lo splendor puro del sole dopo il sinistro tenebrore della procella? Voi avreste mozzata una qualche testa di più; voi avreste lanciata una qualche anima di più all’inferno; e niun vi accuserebbe, e giudichereste aver soddisfatto ai dettati della giustizia umana... Oh la misericordia divina tien altre vie! Vuol salve quelle teste, acciò tra’ memori concentramenti maturino pensieri d’eterna salute; crea intorno quelle anime una rete di salvatrici angosce, di fecondi disinganni, a cui si arrendon conquise, e trammezzo le quali si elevano alle vere lor sedi benedicendo la mano che le percosse... Nè monachismo, nè Cattolicismo temono la luce di qualunquesiasi processo intentato a qualsivoglia maniera di misfatti: se paventassero una tal luce, gli è che sarebbono conscii d’ aversi a padre non l’Autore d’ogni bene, ma lo spirito delle tenebre.

Lasciate pure, lettori pietosi, che nelle sentenze portate contro quelle femmine omicide stia scritto, secondo il formolario della procedura criminale di que’ dì, ch’elle, a somiglianza delle antiche vestali che tradivano il voto, saranno murate in tal carcere da cui vive non dovranno uscire: quel muro, come cera esposta al fuoco, ben lo vedrete presto dissolversi e cadere all’alito della carità: starà alzato quanto solamente occorrerà a confermare incrolla[p. 16 modifica]bili pentimenti, e sante determinazioni... Lorch’io vi addurrò alla cella, ove, per una notte burrascosa, vedrete una monaca venir trucidata tra cinque sue compagne; in riva a fiume entro i cui gorghi, sul margine di cisterna nelle cui caverne due giovani donne furono precipitate, voi fremerete d’orrore, di sdegno: ma quando mirerete dalle latebre del pozzo, dai vortici del torrente risortir vive le precipitate, che avranno agio, così di palesare e far punito il reo, come di riconciliarsi colla propria coscienza e con Dio, esse che furono tra le complici all’omicidio commesso nella cella; oh son certo che stupirete delle vie che la Provvidenza tiene, e talora degnasi palesarci! Son certo che benedirete la Superna Bontà, la quale, quando sembra che più duramente percuota, allor è che meglio radicalmente guarisce!...

Or mi dite di grazia; questa maniera di riflessi spontaneamente scaturienti dal racconto dei fatti che il processo della Signora di Monza mette per la prima volta in chiaro mercè la presente pubblicazione, è dessa tale che gli amici del monachismo, i devoti al Cattolicismo abbian ad impaurirne? o non affermeremo piuttosto ch’essi sieno per riscontrarvi altre conferme di ciò che credono, altre illustrazioni di ciò che amano?


D’altronde, perché continuare a lasciar ignorata una serie di documenti qual’è questa, di tanta importanza a recar lume sul secolo decimosettimo, le sue leggi, i suoi costumi, la sua lingua, i suoi pregiudizii, i suoi delitti, le sue virtù? non potrebb’ella, presto o tardi, cader in mano d’un [p. 17 modifica]qualche insidioso nemico del Cattolicismo, un di coloro pe’ quali è gran fortuna appropriarsi materiali storici inediti da travisare, da tossicare, per diffonder indi, con bugiarde interpolazioni, e mutazioni, tal racconto, che, convalidato dalle genuine notizie, e vago del colorito locale, abbia a sedurre i creduli, e guastar la opinione? non s’è diportato a questo modo, per dire d’un notissimo contemporaneo, Llorente nella sua Storia della inquisizione Spagnuola?

S’ella è ottima ventura per coraggioso cattolico ributtar in viso a’ nemici della sua religione certe vulgate accuse, e rilevarne il guanto sul terreno stesso con ogni cura da loro scelto e preparato; egli è caso non manco propizio per un letterato leale imbattersi in suggetto per anticipazion designatogli dalla pubblica curiosità, il qual serba pressochè intatta la verginità d’una commovente storia venuta da poco in luce, ma luce ottenebrata e fioca.

Anco la forma con cui vestire queste sposizioni mi si affacciò facilissima: tanto facile, che, nell’ermo vallone ove mi condussi, volgon ora otto giorni, in questa cella tuttavia olezzante il profumo di quel monachismo che onoro ed amo, tra questi monti boscati ov’è sì grato il passeggiar meditando, e che per me si popolarono delle buje fantasime del passato, ecco che il fascio delle già vergate carte non altro attende, ad integrarsi, che le poche preliminari avvertenze a cui do mano in questo punto. Cominciare trascrivendo alcuna delle stupende pagine de’ Promessi Sposi, quelle che più particolarmente spettano al mio suggetto (prologo del dramma); proseguire richiamando a [p. 18 modifica] sommi capi il processo della Signora e de’ suoi complici, con citazion letterale di quanto vi sta più caratteristico (svolgimento del dramma); conchiudere volgarizzando il bellissimo racconto del Ripamonti, in cui, a preziosa giunta, troviam memorato tutto ciò che avvenne allo esteriore durante, e dopo il processo (epilogo del dramma), questo è ciò che mi suggerì di fare, nè poteva suggerirmi altro.

Piaccia ai lettori di accogliere benigni questa mia fatica, menatemi buone le apologie a cui ricorsi come cattolico, e come letterato.