La Stella Polare ed il suo viaggio avventuroso/Parte prima/5. I fjords della Norvegia

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Capitolo V

I «fjord» della Norvegia

Nei giorni seguenti la Stella Polare navigò costantemente sotto le coste occidentali della Norvegia, passando successivamente dinanzi ai grandiosi e pittoreschi fjords di Stavanger, di Bommel, di Biorne, di Sarterö, nelle cui profondità si nascondono numerose ed importanti città marittime, come quella di Stavanger, di Hardanger e di [p. 40 modifica]Bergen, famosa questa pei suoi mercati di pesce, i più importanti dell’Europa intera.

Le spiagge della Norvegia occidentale, sono le più frastagliate che si possa immaginare. Solamente quelle della Dalmazia possono reggere un po’ nel confronto.

Gli urti incessanti delle grandi ondate del mare del Nord, hanno, La Stella Polare ancorata a Christiania.per modo di dire, polverizzate quelle spiagge, scavandovi poi delle insenature profondissime che s’addentrano nella terra per molte e molte miglia.

Un infinito numero di canali, quasi tutti navigabili e, quello che è più, ricchissimi di pesci, s’intrecciano in tutti i versi, formando una quantità enorme d’isole, d’isolotti, di scogliere, di rocce, pure frastagliatissime. È quasi impossibile trovare un’isola che abbia una forma un po’ esatta: sono tutte punte, capi, penisole e penisolette, baie microscopiche, cale e calette.

Tuttavia non sempre quelle coste sono tagliate a picco. A differenza di quelle della Dalmazia, che cadono a piombo sul mare, [p. 41 modifica]generalmente non hanno molta elevazione. Se non hanno però l’orrido selvaggio, quali scene incantevoli presentano quei fjords!... In taluni punti il mare pare che penetri nel cuore delle montagne e producono un effetto stranissimo i vascelli che navigano quasi fra le boscaglie, come se invece di scendere verso il mare corrano a raggiungere le più alte cime delle Alpi norvegesi. Canile in Arcangelo.

S. A. R. il duca, Cagni ed i loro compagni, non si saziavano mai di ammirare quelle bellezze e per delle ore intere rimanevano in coperta, coi cannocchiali in mano, intenti a scoprire i fjords che apparivano attraverso gli strappi della costa.

Anche le quattro guide alpine, che già cominciavano ad abituarsi al rollìo ed al beccheggio della nave e ad ammirare il mare, di rado abbandonavano la coperta, compiacendosi di quelle vedute. I loro [p. 42 modifica]sguardi però cercavano di preferenza le vette delle montagne che si disegnavano in lontananza, al di là dei fjords.

Su quelle spiagge molte navi s’incrociavano colla Stella Polare e talune, riconoscendola, salutavano ammainando tre volte le bandiere, gentile saluto a cui subito rispondeva il Duca.

Anche una baleniera, riconoscibile per i suoi fornelli situati a poppa e pel numero delle sue scialuppe, fu raggiunta. Era un piccolo legno, a due alberi, dalla prora tagliente, con uno sviluppo straordinario di vele.

– Mi sembra l’Herta, – disse il capitano Evensen, dopo d’averla osservata attentamente. – Parte un po’ tardi, a dire il vero, però farà egualmente buona caccia. Il capitano Ole Förgensen è un lupo di mare che sa sempre cavarsela bene.1

– Una delle nostre navi? – chiese l’ingegnere Stökken.

– È di Sandyfjord, cioè della mia città natale, – rispose il capitano. – La conosco benissimo; è la più piccola delle navi baleniere, non stazzando più di duecentocinquanta tonnellate.

– Con venticinque uomini d’equipaggio, capitano, – disse Andresen, il giovane mastro, che stava chiacchierando con le quattro guide alpine e con Cardenti.

– Ciò vuol dire che ve ne sono altre più grandi, – disse l’ingegnere.

– La maggiore era questa, la Stella Polare, parlando sempre delle navi baleniere a vapore. Ora è il Niord d’Oremberg, poi vengono il Viking, quindi la Cappella, che probabilmente incontreremo più tardi nelle acque della Terra di Francesco Giuseppe.

– Dove andrà l’Herta a cercare i grandi cetacei? – chiese l’ingegnere.

– Sulle coste nord-est della Groenlandia, – rispose Andresen. – L’ho saputo da un mio amico che si è imbarcato come ice-master.

– Sì, là le balene sono ancora numerose, – disse il capitano Evensen. – Io ne ho cacciate parecchie su quelle coste. [p. 43 modifica]

– Si adopera ancora il rampone? – chiese il tenente Querini che s’era appressato.

– È un’arma ormai passata d’uso, – rispose il capitano. – Quindici o vent’anni or sono si usava assalire la balena con una specie di lancia, foggiata a V, coi margini esterni molto taglienti e quelli superiori larghi ed il manico di legno, e veniva scagliata da un bravissimo fiociniere; però la caccia offriva dei gravissimi pericoli. Le scialuppe montate dai cacciatori venivano facilmente rovesciate dalle ondate o dai colpi di coda del cetaceo, dovendosi avvicinare molto a quei giganti del mare, per scagliare con maggior sicurezza il rampone. L’agonia delle balene era allora lunghissima e qualche volta perfino le navi correvano dei seri pericoli. Mi ricordo, anzi, che un veliero fu mandato a picco di colpo da una testata datagli da un cetaceo furibondo. Ora, la caccia non offre più tanti rischi, anche perché le navi baleniere hanno adottato il vapore.

– E che cosa adoperano?

– Dei cannoncini.

– Tirano forse a palla contro le balene?

– Non sempre, e poi si tratta d’una palla vuota contenente una quantità di stricnina capace di fulminare i cetacei più giganteschi. Ordinariamente però si usa l’arpione, molto più pesante di quello che adoperavano i fiocinieri, con la punta fatta a foglia d’ulivo e fornito, sul manico, di due lame che si aprono in senso contrario onde impedire che l’arma, una volta entrata nel corpo della balena, possa poi uscire. Al manico viene attaccata una forte lenza, lunga da quattrocentocinquanta a cinquecento metri, che sovente non basta, ed i balenieri sono costretti ad aggiungerne una seconda, e talvolta anche una terza.

– E muore subito il cetaceo, dopo d’aver ricevuto l’arpione in pieno corpo?

– Mai più. Hanno una vitalità straordinaria, quei giganti del mare, ed una sola ferita non basta ad ucciderli. Appena toccati, fuggono disperatamente, all’impazzata, ora tuffandosi ed ora tornando a galla, ed i balenieri, per finirli, sono costretti a dargli la caccia colle scialuppe, lanciandogli altri arpioni, specialmente sotto la coda per recidergli le ultime vertebre. [p. 44 modifica]

– Devono rendere molto quei cetacei.

– Una volta da una sola balena o da un capodoglio si ricavava perfino sessantamila lire; ora l’olio delle balene è molto deprezzato e si è bravi a guadagnarne la metà, e anche non sempre. Sulle nostre coste settentrionali però, specialmente nel Varanger-Fjord, a Vadso, si utilizzano anche i carcami delle balene. Un tempo, levata la grascia, s’abbandonava il corpo agli uccelli marini ed ai pesci cani; ora invece si rimorchiano i cetacei nel Varanger-Fjord, e là vengono completamente distrutti, ricavando dall’immensa massa di carne un ottimo concime e dagli ossami del nero-fumo pregiato. È stato il signor Foyn, il così detto re dei balenieri, che ha avuto quella buona idea, ed i suoi grandiosi stabilimenti gli hanno fruttato molti milioni.

– E dite che le balene sono talvolta molto pericolose? – chiese il tenente.

– Molti marinai hanno pagata la loro audacia colla loro vita. Questa sera, durante il quarto, se S. A. R. il duca non avrà bisogno dei miei servigi, vi narrerò una terribile avventura toccata ad un capitano mio amico, nei pressi dell’isola di Nuova Zembla.

– L’ascolteremo volentieri, capitano, – risposero l’ingegnere ed il tenente.

– E se mi permetterete, assisterò anch’io al racconto, – disse Andresen. – Le avventure mi piacciono immensamente e condurrò con me anche i due marinai del Duca, se riusciranno a capirvi.

– Sia pure, – rispose il capitano, sorridendo. – Basta!... Ecco la penisola di Stadtland. Ci cacceremo entro il canale e navigheremo fra le isole. Eviteremo queste noiose ondate che il mare del Nord si ostina a rovesciarci addosso. –

La Stella Polare si trovava allora di fronte all’isola di Vaagso, una delle più considerevoli del Nord Fjord e marciava rapidamente verso la lunga penisola di Ualbinsel Stadtland, nel cui fondo si nasconde la borgatella di Aahjem.

Essendo il mare un po’ mosso, anche in causa della ripidità delle coste che producono i così detti flutti di fondo, molto seccanti per le navi, anche se di grossa portata, il pilota aveva consigliato di prendere i canali interni che sono già battuti dai vapori costieri e molto bene delineati, quindi facili a percorrersi. [p. 45 modifica]

La Stella Polare, superata la punta estrema della penisola, si gettò fra i numerosi isolotti che formano il così detto Brend Sund, e che portano, i maggiori, i nomi di Guskö, di Hareid-land e di Sulo.

Numerosi fari indicano la via da tenersi durante la notte; fari, però, che durante la stagione estiva hanno una importanza molto limitata, non tramontando il sole, in quelle alte latitudini, che molto tardi, per alzarsi poi prestissimo.

Infatti, con grande stupore delle guide alpine e soprattutto di Canepa e di Cardenti, alle undici di sera ci si vedeva benissimo sul ponte della nave, e la notte vera non durava che pochissime ore, appena tre o quattro. Alle dieci e mezzo pomeridiane, luna e sole si facevano la corte, mescolando le loro luci, ed il mare scintillava sotto i biondi raggi di Febo.

– Pare impossibile! – esclamava Cardenti. – Si direbbe che in questo paese il sole non ha sonno. Se la continua di questo passo, io finirò col non dormire più! –

Alla sera – sera per modo di dire – la Stella Polare, che bruciava carbone senza risparmio, frettolosa di raggiungere le coste settentrionali della Norvegia, navigava nelle acque di Christiansund, una bella cittaduzza costruita su di un isolotto cacciato fra le due isole maggiori di Averò e di Tuisteran.

– Siamo già a buon punto, – disse il capitano Evensen, volgendosi verso l’ingegnere di macchina che passeggiava a prora, a fianco del tenente Querini.

– Lo credo anch’io, – rispose il signor Stökken. – Non siamo invece ancora a buon punto della vostra storia.

– È vero, – rispose il capitano, sorridendo, – ma S. A. R. ha bisogno di me questa sera. Dobbiamo fare delle osservazioni meteorologiche e magnetiche assieme ai suoi ufficiali.

– Voi, forse, volevate raccontare l’avventura toccata al capitano Namdal? – chiese Andresen il quale li aveva raggiunti.

– Sì.

– La conosco anch’io, capitano, – disse il mastro. – Avevo un mio parente a bordo di quel legno.

– Allora non perderete nulla, signor Stökken. Andresen è un buon narratore. [p. 46 modifica]

– Sì, quando non ho bevuto troppo, – disse il norvegese, ridendo.

– Avanti colla vostra storia, Andresen, – disse il tenente.

– Adagio, signore. Avevo promesso di raccontarla anche ai miei camerati.

– Vengano pure a udirla.

– Faremo circolo sul castello di prora.

– Ed io vi regalerò i sigari per tutti, – disse il tenente.

– E una bottiglia di ginepro, signore.

– Vada per la bottiglia. Orsù, spicciatevi, fra due ore monto il mio quarto di guardia. –



Note

  1. A bordo dell’Herta si era pure imbarcato un ufficiale della marina italiana, il signor Giulio Schok, il quale fece parte della campagna di pesca, tornando poi con l’incrociatore norvegese Heimdal.