La cartella n. 4/Una piccola vendetta

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Una piccola vendetta

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Storia d'una viola
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UNA PICCOLA VENDETTA.

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NN
el salotto della contessa Ipsilonne era rimasta una sola visitatrice, quando entrò la signora Icchese tutta accesa in volto.

— Così tardi? — disse la contessa — Non ti aspettavo più.

— Sta zitta; non contavo di venire prima di pranzo, perchè ti ho destinata tutta la sera. Ma sai, al solito; ho dovuto salire per forza.

— Ancora? [p. 258 modifica]

— Sempre.

— Ma è una persecuzione! — esclamò la contessa. — Poi, accorgendosi che quel discorso misterioso non era di buon genere dinanzi all’altra visitatrice, ripigliò:

— Con questa signora possiamo parlare apertamente; è una mia intima e vecchia amica, sebbene sia giovane. — E presentò: — La signora Icchese, la signora Zeta.

Le due dame s’inchinarono, e si porsero la mano in atto di simpatia.

La signora Zeta era una donnina attraente, senza essere quel che si suol dire una bella donna. Era magra e piccolina; aveva due grandi occhioni intelligenti, una bocca espressiva, una fisonomia aperta, schietta, buona.

Vestiva con molta eleganza ma senza affettazione; portava il suo lusso colla noncuranza d’una gran dama; non era mai preoccupata di rialzare lo strascico per non sciuparlo, [p. 259 modifica]di assicurarsi colla mano inquieta se non aveva perduto i ciondoli dell'orologio. Sapeva presentarsi in una sala, rimanervi, ed uscirne, come la signora di Genlis d'elegante memoria.

Non faceva consistere il riserbo nel parlare a monosillabi, nel porgere appena la punta delle dita, nel far la preziosa come una provinciale. — Sapeva che nelle case che frequentava non poteva trovarsi con signore equivoche, e trattava tutte con vera cordialità, e non prendeva altra misura per regolare la sua maggiore o minore espansione, che il grado di simpatia da cui si sentiva animata.

La signora Icchese, con una figura affatto differente, alta, bionda, fresca come un fiore, aveva gli stessi modi schietti e signorili, era altrettanto attraente, e più bella. S'erano scontrate parecchie volte in visita nelle stesse case, avevano scambiato qualche parola, e, senza [p. 260 modifica]conoscersi altrimenti che di nome, si erano trovate simpatiche a vicenda.

Così la proposta della contessa Ipsilonne di metter a parte la signora Zeta del mistero di cui s’era parlato, piacque ad entrambe le visitatrici, che accostarono le poltroncine in atto d’intimitá.

— Figurati, — disse la contessa, — che questa povera signora Icchese è perseguitata da un cavaliere piú innamorato che cortese, il quale ha l’indiscrezione di seguirla in istrada come una crestaia.

— Che mascalzone! Cosí sono educati i nostri giovinotti! — Esclamò con disprezzo la signora Zeta.

— Le pare? — entrò a dire la signora Icchese. — Io ne sono cosí mortificata, che appena mi accorgo d’essere seguita, salgo nella prima casa d’amici che trovo, per togliermi da quel ridicolo. [p. 261 modifica]

— La prego di considerare anche la mia casa come una casa d’amici, — disse graziosamente la piccola bruna. — In queste circostanze le signore debbono aiutarsi fra loro. La farò accompagnare da mio marito, che è serio, ed educato anche; non come questi giovani che hanno soltanto gli abiti da gentiluomo, ma la cortesia la vanno studiando nelle botteghe delle modiste, o fra le quinte del palco scenico.

— Grazie di cuore. Permetterà ch’io venga a ringraziarla a casa sua, anche senza che mi ci costringa quel signore.

Si scambiarono gl’indirizzi, si domandarono a vicenda in che giorno ricevevano, ed entrarono poi nel cordiale rapporto delle visite, recandosi volta a volta i complimenti dei rispettivi mariti, ed il loro desiderio vivissimo di conoscere le amiche delle rispettive mogli. — Complimenti e desiderii improvvisati dalla [p. 262 modifica]gentilezza delle dame, e di cui i mariti non avevano il più lontano sospetto.

Un giorno la signora Zeta stava per andare a colazione, quando udì una scampanellata forte, nervosa, sconveniente; — e quasi subito vide entrare la signora Icchese più accesa, più agitata ancora di quando l’aveva scontrata dalla contessa Ipsilonne.

— Oh, cara. A quest’ora? È ancora quell’indiscreto?

— Appunto. Ho dovuto rifugiarmi qui. Mi scusi, sa.

— Che! La ringrazio della fiducia. Ma è incorreggibile quell’uomo!

— Peggio che mai. Si figuri che ha osato accostarsi per parlarmi.

— Un insulto addirittura..... Malcreato! E dire che vi sarà una povera signorina che sposerà un facchino di quella sorta.

— L’avrà magari già sposato. [p. 263 modifica]

— Oh Dio, no! «Prendendo moglie si fa giudizio». Ma anche il sapere che ha trattato così da giovanotto, gli fa torto. Pensi se gli toccasse un giorno o l’altro di imparentarsi con una sua amica, ed essere presentato a lei dinanzi alla moglie. Che figura ci farebbe lui. E che scena!

— La moglie non ne saprebbe nulla.

— Che! certe cose non isfuggono. Ma lei è sempre agitata. Posso offrirle un po’ di vermouth?... No? Un caffè? Un tè? Allora una goccia d’acqua di tutto cedro?

E tirarono in campo la rosoliera e centellarono il calmante zuccherino; ed intanto una interrogava, e l’altra narrava come fosse uscita a quell’ora del mattino, — era mezzodì, — per fare qualche spesuccia; e come, appena fuori, avesse scontrato quel tale, che le si era posto dietro; — e come lei, trovandosi lì presso, si fosse affrettata verso casa Zeta, e [p. 264 modifica]mentre svoltava nella porta lui si fosse accostato togliendosi il cappello come per rivolgerle la parola, e lei via su per le scale...

Ma omai era più di mezz’ora che era salita; l’importuno aveva avuto tempo d’annoiarsi aspettando e d’andarsene; poteva avventurarsi ancora in istrada. Suo marito l’attendeva a colazione.

— In questo caso la lascio andare; ma non sola; mio marito l’accompagnerà.

E la signora Zeta suonò il campanello e domandò alla cameriera:

— È in casa il signore?

— Sissignora, è entrato or ora. È in sala da pranzo. Debbo chiamarlo?

— No, andiamo noi a raggiungerlo.

— Ecco mio marito — disse la signora Zeta entrando nella sala da pranzo, e presentando un giovane piccoletto, biondino, mingherlino ed azzimato. E rivolgendosi a lui proseguì: [p. 265 modifica]

— Ti procuro la fortuna d’accompagnare la signora Icchese fino a casa sua. Bada che è un’impresa cavalleresca. Si tratta di proteggerla contro un mascalzone che ha la villania di seguirla in istrada.

Il marito s’inchinò muto e confuso..... a tanto onore. La signora Icchese si fece rossa d’indignazione.

Quel marito, quel cavaliere cortese, quel paladino che doveva difenderla contro il galante malcreato, era lo stesso galante, lo stesso malcreato.

— E stia di buon animo, che con Giorgio è ben raccomandata. — Disse la signora Zeta salutando l’amica.

Fede di moglie!

Il cavaliere non osava parlare; ma la signora non gli si mostrò sdegnata. Anzi, dopo il primo momento di sorpresa, parve mettersi di buon umore. Appiccò discorso sul tempo e [p. 266 modifica]sul ballo nuovo della Scala. Non gli fece più il viso serio delle altre volte. Che! gli sorrideva mostrando certi dentini...

— Sarebbe possibile che il sapermi marito di mia moglie l’avesse persuasa... Mi sembra strano! — Pensava il signor Zeta — Eppure sì. Sorride con civetteria; mi guarda furtiva... Oh le donne! Le amicizie delle signore!

— Eccomi giunta, — disse la bella dama bionda fermandosi ad un portone.

— Ma, spero, non mi pianterà qui sulla porta. Favorisca, la prego. Potrei trovare il mio persecutore sulla scala.

— La civettuola! Ha paura di non trovarlo, e vuol assicurarselo, — pensava caritatevolmente il marito esemplare. — Ed io che credevo d’aver ad espugnare una fortezza! Ecco l’onestà delle dame.

E, con onestà da cavaliere, salì gongolando come un conquistatore, dall’amica di sua moglie. [p. 267 modifica]

La signora traversò l’anticamera, l’antisala, il salotto, e tirava innanzi. Il cavaliere credette conveniente fermarsi; per la prima visita....

— Favorisca, favorisca; la tratto in confidenza, — disse la signora sorridendo sempre.

Il cavaliere leale si slanciò coll’entusiasmo d’un Don Giovanni; ma rimase come la statua del commendatore.

La bella dama lo introdusse nella camera da pranzo, e là gli presentò una specie di colosso sui cinquant’anni, con una di quelle faccie burbere con cui non si fa celia.

— Mio marito, — disse graziosamente. Poi rivolgendosi al marito, — il signor Zeta, che adora il bezigue e desidera di fare con te la tua lunga, lunga partita tra la colazione ed il pranzo. — È un pezzo che mi perseguita... per riuscire a questo.

Gli uomini masticavano dei grazie, ed ho piacere di fare la sua conoscenza, ed il piacere è [p. 268 modifica]tutto mio, e s’accomodi, ecc. E la signora proseguiva:

— Ecco il tavolino, le carte. E mentre il signor Zeta si diverte un paio d’ore con te, io vado a pigliare la sua signora per far delle visite insieme..

— Per carità! — susurrò il signor Zeta accostandosi a lei come per aiutarla ad avanzare il tavolino. — Non parli a mia moglie...

— Ma che si crede? — rispose con disprezzo la bella donna; — se i signori non sono più gentiluomini, le signore sono sempre gentildonne.............

— Che coraggio! — esclamò la graziosa signora Zeta rivedendo l’amica. — Ha osato uscir sola ancora?

— Ah, ora sono sicura di non trovarmi più tra i piedi quel signore. Ha avuta una lezione ammodo. [p. 269 modifica]

— Ed è Stato mio marito a dargliela? Che bravo Giorgio! Mi racconti.

— No; voglio lasciargli il piacere di raccontargliela lui.

Non si sa che gesta eroiche si sia attribuite il marito per cavarsi d’impaccio. Ma la sua bella donnina fu tutta orgogliosa d’aver uno sposo tanto serio e cavalleresco, e quel fatto rialzò di molto la sua ammirazione e la sua fiducia in lui.

Giorgio l’amava tanto, che la indusse quell’anno ad andare in campagna ai primi di aprile perchè non vedeva l’ora di rinnovare in quella solitudine la sua luna di miele.... e di fuggire il supplizio delle partite a bezigue.