La poesia cavalleresca e scritti vari/La poesia cavalleresca/V. L'Orlando Furioso/4. Alcina

Da Wikisource.
V. L'Orlando Furioso - 4. Alcina

../3. La Discordia ../5. Astolfo IncludiIntestazione 2 marzo 2022 75% Da definire

V. L'Orlando Furioso - 3. La Discordia V. L'Orlando Furioso - 5. Astolfo

[p. 119 modifica]

4. — Alcina.


L’azione epica è svanita; la battaglia è degenerata in duello. Si combatte ancora sotto Parigi, ma da comparse; mancano i grandi guerrieri che c’interessino. L’interesse rinascerà quando Agramante, Gradasso e Sobrino duelleranno con Orlando, Oliviero e Brandimarte. C’interesseremo a’ guerrieri, non alle idee generali che riattaccansi ad un poema epico. Sulle rovine dell’elemento epico s’innalza il cavalleresco, che rimane solo in campo come parte attraente e seria del poema. L’elemento cavalleresco consiste proprio in quella discordia, in quell’anarchia, in quelle forze individuali indisciplinate, smisurate e cozzanti che interessano, tolta di mezzo la società, e che rispetto alla società sono ridicole e state ridicoleggiate dall’autore.

Il soprannaturale cavalleresco succede all’epico: queste forze più che umane vengono spiegate miracolosamente: con l’invulnerabilità, con le armi di Ettore o di Nembrotte, ecc. Fra queste forze soprannaturali ci è anche l’animo, che Ariosto ha voluto personificare nelle fate, che sotto questo aspetto sono serie. Le [p. 120 modifica]fate per la fantasia orientale sono belle ragazze con forze soprannaturali che concedono a’ loro amanti. Passando in Occidente, la loro fisionomia s’è fatta più fosca. Il Boiardo non le ha capite: sono le sue figure più sbiadate. Ariosto se ne è impadronito, ha aggiunto loro un concetto ed una forma. Rappresentano le forze interne dell’animo.

Ariosto ha immaginato un guerriero in cui lottano l’angiolo e la bestia, la prosa e la poesia, prendendolo come al solito dal Boiardo. Boiardo aveva immaginato un guerriero stipite degli Estensi, imitando Virgilio che aveva fatto di Enea lo stipite de’ Cesari. Fece Ruggiero discendente di Ettore, sicché gli Estensi trovavansi parenti di Cesare e Ferrara sollevata all’importanza di Roma. Ruggiero è inventato sullo stampo di Achille: doveva scegliere fra una vita lunga ed una vita gloriosa. Atlante suo protettore lo chiude in un castello incantato fra danze, musiche e donzelle. Brunello fa rappresentare li presso una giostra, a cui Ruggiero accorre. Il voler rifare l’Achille omerico è l’incubo de’ poeti italiani, che non ci sono riusciti: i Ruggieri d’Ariosto e di Boiardo, il Rinaldo ed il Ricciardo del Tasso sono tante nuove edizioni d’Achille.

Ariosto s’è impadronito di questo concetto e l’ha reso poetico. In Ruggiero vi sono due uomini: il materiale ed il poetico. Atlante ed Alcina rappresentano le potenze sensibili e concupiscibili dell’uomo; Bradamante e Melissa la parte spirituale. Anche in Omero le divinità rappresentano le passioni umane, ma sono introdotte come persone reali.

Ariosto sa quel che fa. Bradamante è una Penelope. Alcina è bassa e materiale. Ruggiero esita fra le due.

Da una parte stanno Bradamante e Melissa, che rappresentano l’istinto della gloria, l’amor puro; dall’altra, Atlante, la parte prosaica, l’amore ignobile della vita, Alcina, la concupiscenza.

Alcina non è una creazione d’una bellezza assoluta. Ha un gran vizio; è una figura allegorica, e non possiederà mai tutto il rigoglio della vita individuale. Se volete sapere che le manchi, ricordatevi di Armida, tanto popolare perché dietro la maga [p. 121 modifica]ci è la donna, dietro l’allegoria la persona; non è solo una maga incantatrice, ma una donna appassionata, che ama Rinaldo e lo mostra quando n’è abbandonata, quando rinviene e si trova sola e in poche parole rivela tutti i suoi sentimenti: prima piange, poi s’arrabbia, poi vuol vendetta, poi dispera. Fa vibrare ben altre corde. Ma questo è un campo ancora nuovo per l’Ariosto; è un ulteriore sviluppo dato dal Tasso alla poesia italiana.

Ariosto rimane in un puro campo d’immaginazione. Alcina non ha bellezza propria come Armida, apparisce magicamente bella, ma è brutta. Non ha di quei sentimenti che costituiscono la passione; è una vecchia libidinosa; perduto Ruggiero, s’irrita per dispetto. Non può destare un’emozione poetica, ma una emozione di pura immaginazione che non tocca il cuore. Nessun poeta ha capito meglio ciò che voleva fare e l’ha meglio eseguito. Non restano che le forme esterne; descrizioni. Quattro sono le principali; un mirto parlante; un giardino; la bellezza di Alcina; Ruggiero che aspetta Alcina in letto. Astolfo fa il suo ingresso trionfale sulla scena trasformato in mirto. Alcina, dopo averlo avuto per amante, sazia, l’aveva trasformato. Questa trasformazione ha lo stesso significato delle trasformazioni di Circe. Ariosto, nel rappresentare un uomo trasformato in albero, ha avuto innanzi niente meno che Dante. Fra le due rappresentazioni vi è la differenza che passa fra una cosa seria ed una buffoneria.

     Come d’un stizzo verde ch’arso sia
Da l’un de’ capi, che da l’altro geme
E cigola per vento che va via;
     Sí de la scheggia rotta usciva insieme
Parole e sangue...

E uno de’ luoghi che fa più raccapriccio; lo stizzo verde che arde e cigola, le parole e il sangue non solo spaventano, sgomentano: il sentimento del meraviglioso è sopraffatto dal sentimento dello spavento. [p. 122 modifica]

Ariosto ha scartato il tragico, descrive un bel fenomeno: è rimasto Ariosto:

     Come ceppo talor, che le medolle
Rare e vote abbia, e posto al foco sia.
Poi che per gran calor quell’aria molle
Resta consunta ch’in mezzo l’empia,
Dentro risuona e con strepito bolle
Tanto che quel furor trovi la via;
Cosí murmura e stride e si corruccia
Quel mirto offeso, e alfine apre la buccia.

Il conciso di Dante va al cuore; questa larga esposizione non vi lascia sentire il tragico. Quando Pier della Vigna apre la bocca, parla da uomo offeso; vi fa pietà: «perché mi scerpe?»; sentite le membra dell’uomo strappate sotto i rami dell’albero. Astolfo parla da leggiadro paladino:

     Onde con mesta e flebil voce uscio
Espedita e chiarissima favella,
E disse: — Se tu sei cortese e pio,
Come dimostri alla presenza bella... —

Vedete l’uomo leggiero e vanitoso. Narra con freddezza. Basta questo breve paragone. Astolfo ammonisce Ruggiero; ma Ruggiero non ne tien conto.

Tre sono i giardini poetici italiani: quello del Poliziano, quello d’Armida, quello d’Alcina, ch’è una miniatura. È un giardino molle ed effeminato:

     Qui, dove con serena e lieta fronte
Par ch’ognor rida il grazioso Aprile,
Gioveni e donne son: qual presso a fonte
Canta con dolce e dilettoso stile:
Qual d’un arbore all’ombra, e qual d’un monte,
O giuoca, o danza, o fa cosa non vile;
E qual, lungi dagli altri, a un suo fedele,
Discuopre l’amorose sue querele.
[p. 123 modifica]

In Alcina l’autore ha voluto rappresentare la semplice bellezza materiale delle linee, senza grazia o leggiadria: fenomeno nuovo in Italia. Laura, Beatrice corporalmente sono appena indicate; questa è la prima traccia del realismo in poesia. Quest’analisi è una specie di anatomia della bellezza materiale: la descrive dalla chioma fino a’ piedi. Il Lessing ha censurato questa descrizione come troppo materiale; ma la materialità è qui il segreto della poesia.

Ruggiero aspetta Alcina preso da un solletico puramente materiale, non ama. È benissimo descritta la sua impazienza.

Alcina è vinta da Melissa, che libera tutti i «conversi in fonti, in fere, in legni e in sassi», e fra questi anche Astolfo. È un fenomeno curioso ed osservabile che la virtù sia quasi sempre prosaica. Melissa non ha né forma né immagine; Alcina è presente ad ogni memoria di lettore dell’Ariosto. Perché ci fa impressione come uomini estetici quello che sprezziamo come morali? Perché la virtù è rappresentata come dovere, perché se ne fa la negazione delle passioni; perché se ne rappresenta di essa non il positivo ma il negativo. Questo è il difetto del Paradiso e del Purgatorio dantesco, per questo il suo Inferno ha maggior interesse; l’uomo, va spassionandosi a poco a poco, sinché sciolto dal corpo rimanga un puro spirito, cioè un’astrazione.

Alcina ha una vita interna; quindi v’interessa. Melissa è senza passioni, fa quel che fa perché deve farlo; senz’amore, sdegno, odio; senza sentir le passioni della virtù. Il virtuoso ha le passioni della sua virtù; vedendo uno svergognato che presume di guardarlo, gli ribolle il sangue: è Dante con Filippo Argenti: è la virtú divenuta poetica. Melissa è un instrumento prosaico, impiegato dal poeta per esprimervi una idea; pure, debb’esservi cara come benefattrice d’Astolfo, che fa ridiventar uomo.