La scienza nuova - Volume II/Libro II/Sezione XI/Capitolo II

Da Wikisource.
Sezione XI - Capitolo secondo - Corollario - Della venuta d’Enea in Italia

../Capitolo I ../Capitolo III IncludiIntestazione 14 maggio 2022 25% Da definire

Sezione XI - Capitolo secondo - Corollario - Della venuta d’Enea in Italia
Sezione XI - Capitolo I Sezione XI - Capitolo III

[p. 698 modifica][CAPITOLO SECONDO] COROLLARIO

DELLA VENUTA D’ENEA IN ITALIA

[Enea nel DU k un carattere di eslegi odiati dalla dea del connubio: dicesi figlio di Venere, perchè i primi uomini erano nati da congiungimenti non solenni, o perchè il genere umano si era propagato dall’Asia nelle altre parti della terra ’. Nelle prime note mss. sul testo riguardavasi più precisamente come carattere delle prime colonie trasmarine, composte di plebei, che, vinti nelle contese eroiche e fuggenti l’ira delle caste patrizie, sono ricevuti all’asilo di altre città e accettano la prima agraria, alla quale le prime colonie avevano prima ubbidito (NDU, ad C/^, e. 17) 2. Dopo la scoperta della Geografia poetica e distrutti i lunghi viaggi degli eroi, ridotti entro il breve orbe primitivo di ciascuna terra le imprese delle genti maggiori, spiegati con l’intreccio di denominazioni geografiche e delle tradizioni le trasmissioni della civiltà, il viaggio di Enea nel Lazio è spiegato anch’esso con l’intreccio posteriore delle tradizioni nazionali con quelle straniere. Quindi il V. tien conto di tutte le ragioni, in parte avvertite dagli eruditi, sull’impossibilità che Evandro ed Enea venissero dall’Arcadia e dalla Frigia; ricorre novellamente all’ipotesi, già accennata nel precedente capitolo, di una città greca fondata in tempi antichissimi ne’ lidi del Lazio, poi demolita dai Romani, e i cui abitanti venissero ridotti in Roma come giornalieri prima delle XII Tavole: suppone quindi che questi navigatori sieno stati chiamati «Frigi», come «Arcadi» le colonie mediterranee ricevute all’asilo con Evandro; e che ai tempi di Pirro, vociferandosi la fama della guerra troiana, per un intreccio di borie e d’illusioni, si derivassero da Enea le origini di Roma].

1 Cl^, e. 24: «Aeneas erro est genus humanum exlex; Veneris filius (nam primi homines ex incerto concubitu nati, sive genus humanum per terrarum orbem propagatum ab Asia, [ND U cuius numen Venus, [C/^J ubi cito sub monarchia plebibus communicata connubia); invisus lunoni {quae connubio inter patricios custodit); novae urbis fundandae studio flagrat (sunt primi heroès urbium conditores); et non sibi suisque, sed diis urbem fundare studet (en theocratiae sub imperio dearum,); auspiciorum et oraculorum ubique maximus observator {primi heroès, qui divinatione gentes fundarunt); periates Anchisae patri committit {aacris familiaribus imperia paterna constituta); et dii penates Neptunus et Vesta (aqua et ignis prima omnis humanitatis fundamenta); ad Aeneam, Troia excisa, abeuntem magnus virorum mulierumque numerus confluit, eiusque auspicium, quocumque terrarum. abducere velit, obsequi paratus (clientelae auspiciis conditae); Dido et Aeneas, urbium conditores, in antro coniunguntur {primi gentium fundatores venerem in propatulo vitant); Mercurius lovis imperio edicit Aeneae, ut Italiani capessat {agraria lex, qua luppiter Aeneae Italiam assignat colendam sub imperiò deorum) -d, ecc. ecc.

2 Si veda p. 517, n. 1. [p. 699 modifica]DELLA VENUTA DI ENEA IN ITALIA 699

Per tutto lo fili qui ragionato si può dimostrare la guisa com’Enea venne in Italia e fondò la gente romana in Alba, dalla qual i Romani traggon l’origine: che una sì fatta città greca posta nel lido del Lazio fusse città greca dell’Asia, dove fu Troia i, sconosciuta a’ Romani finché da mezzo terra stendessero le conquiste nel mar vicino; ch’a far incominciarono da Anco Mai’zio, terzo re de’ Romani, il quale vi die principio da Ostia, la città marittima più vicina a Roma, tanto che, questa poscia a dismisura ingrandendo, ne fece finalmente il suo porto E ’n cotal guisa, come avevano ricevuto gli Arcadi latini, ch’erano fuggiaschi di terra 3, cosi poi ricev^ettero i Frigi *, i quali erano fuggiaschi di mare, nella loro protezione, e per diritto eroico di guerra demolirono la città. E cosi Arcadi e Frigi, con due anacronismi (gli Arcadi con quello de’ tempi posposti e i Frigi con quello de’ prevertiti), si salvarono nell’asilo di Romolo ^. Che se tali cose non andaron cosi, l’origine romana da Enea sbalordisce e confonde ogn’intendimento, come nelle Degnità ^ l’avvisammo; talché, per non isbalordirsi e confondersi, i dotti, da Livio incominciando ’^ la tengon a luogo di favola, non avvertendo che, com’abbiam nelle Degnità ^ detto sopra, le favole debbon

1 Cioè: che la città, clic del V. si congettura, fosse stata fondata sulle rive del Lazio da Greci provenienti dall’Asia minore, e cioè dalla Frigia.» Si veda p. 674, n. 3. 8 Si veda p. 693, n. 3.

  • Cioè gli abitanti della città frigia costruita sul lido del Lazio.
  • Si veda p. 670. Il concetto del V. è, forse, il seguente: diduetradizioni:— una, antichissima

e anteriore alla fondazione di Roma, dell’asilo che i «giganti pii» del Lazio dovettero dare ai deboli, fuggenti d’entro terra le violenze dei giganti empi; l’altra, assai più recente e posteriore all’origine di Roma, dell’asilo dato agli abitanti della città sopra congetturata,— si fece, con l’andar del tempo, un fatto unico, contemporaneo alla fondazione dell’Urbe, e si favoleggiò che Arcadi e Frigi fossero stati ricevuti nell’asilo romuleo. In qual modo, il V. spiega poco più appresso: si veda p.

701, n. 2.

«Degn. CHI.

’ Livio, a dir vero, non dichiara esplicitamente di credere favola l’origine di Roma da Enea. Semplicemente nella prefazione avverte: «Quae ante conditam condendarìive Urbein, poèticis magis decora fabulis, quam incorruptis rerum gestarum monimentis traduntur, ea nec affirmare nec refellere in animo est. Datur haec venia antiquitati, ut, miscendo huìnana dicinis, primordia urhium augiistiora faciat».

8 Degn. XVI. [p. 700 modifica]700 LIBRO SECONDO — SEZIONE UNDECIMA — CAPITOLO SBCONDO

aver avuto alcun pubblico motivo di verità (a) ^ Perchè egli è Evandro si potente nel Lazio, che vi riceve ad albergo Ercole da cinquecento anni innanzi la fondazione di Roma 2; ed Enea fonda la casa reale d’Alba, la quale per quattordici re cresce in tanto lustro, che diviene la capitale del Lazio; e gli Arcadi e i Frigi, pertanto tempo vagabondi, si riparano finalmente all’asilo di Romolo! Come da Arcadia, terra mediterranea di Grecia, pastori, che per natura non sanno cosa sia mare, ne valicarono tanto tratto e penetrarono in mezzo del Lazio, quando Anco Marzio, terzo re dopo Romolo, fu egli il primo che menò una colonia nel mar vicino (b)? e vi vanno, insieme co’ Frigi dispersi, dugento anni innanzi che nemmeno il nome di Pittagora, celebratissimo nella Magna Grecia, a giudizio di Livio, arebbe, per mezzo a tante nazioni, di lingue e di costumi diverse, da Cotrone potuto giugner a Roma 3, e quattrocento anni innanzi ch’i Tarantini non sapevano chi si fassero i Romani, già potenti in Italia (cj 4?

(a) nella cui ricerca macera tanto di riposta erudizione Samuello Bocarto, De adventu Aeneae in Italiam, per farla istoria. Perchè, ecc.

(è) E, se tali Frigi non sono i compagni d’Enea, tal difficultà s’avvanza vieppiù, quanto sono trecento anni più antichi degli Ermodori che vengono da Efeso, città pur d’Asia, a far l’esiglio in Roma, per dar le notizie delle leggi ateniesi a’ Romani, onde portino la Legge delle XII Tavole da Atene in Roma 5; e vi vanno da un cent’anni dopo, che nemmeno il nome di Pittagora, ecc.

(e) Oh critica sopra gli scrittori troppo scioperata, che da tali principii incomincia a giudicar il vero delle cose romane! Ma pure, ecc.

1 Questa è per l’appunto l’originalità del V. di fronte ai suoi predecessori (p. e., al Bochart, più appresso citato): di non essersi limitato a negare con argomenti eruditi la tradizione, ma di averla asserita tentando di interpetrarla storicamente. Che poi la sua interpetrazione possa essere (e sia in realtà) assai discutibile e arbitraria, è questione affatto secondaria: l’importante, qui e in casi analoghi, è l’avere enunciato con tanta chiarezza e sicurezza il principio generale, non nelle singole applicazioni di esso.

2 Si veda p. 674, n. 3

3 Si veda p. 694; e cfr. p. 93, n. 1.

  • Si veda p. 11.3, n. 1.
  • Si veda, nell’Appendice, il Ragionamento primo. [p. 701 modifica]DELLA VENUTA DI ENEA IN ITALIA 701

Ma pure, come più volte abbiam detto, per una delle Degnità sopra poste i, queste tradizioni volgari dovettero da principio avere de’ grandi pubblici motivi di verità, perchè l’ha conservate per tanto tempo tutta una nazione. Che dunque? Bisogna dire che alcuna città greca fusse stata nel lido del Lazio, come tante altre ve ne furono e duraron appresso ne’ lidi del Mar Tirreno; la qual città innanzi della Legge delle XII Tavole fusse stata da’ Romani vinta, e per diritto eroico delle vittorie barbare fussesi demolita, e i vinti ricevuti in qualità di soci eroici (a); e che, per caratteri poetici, cosi cotesti Greci 2 dissero «Arcadi» i vagabondi di terra ch’erravano per le selve, «Frigi» quelli per mare, come i Romani i vinti ed arresi loro dissero «ricevuti nell’asilo di Romolo», cioè in qualità di giornalieri, per le clientele ordinate da Romolo, quando nel luco apri l’asilo a coloro i quali vi rifuggivano. Sopra i quali vinti ed arresi (che supponiamo nel tempo tra lo discacciamento degli re e la Legge delle XII Tavole) i plebei romani dovetter esser distinti con la legge agraria di Servio Tullio, ch’aveva permesso loro il dominio bonitario de’ campi; del quale non contentandosi, voleva Coriolano, come

(a) dispersi per le campagne di quel distretto, obbligati a coltivare 1 campi per gli eroi romani; e ch’avessero avuto ben i Romani l’idee di vagabondi, cosi mediterranei come marittimi, d’uomini senza terreni, e non avessero le voci da spiegare cotali cose straniere; ma che cosi l’ebbero da’ Greci, che dovettei’o i vagabondi mediterranei chiamare «Arcadi», e i marittimi chiamare «Frigi» per «uomini usciti da città bruciate», «stranieri venuti da mare e senza terre». E cosi, a capo di tempo, che tali tradizioni, ecc.

1 La già cit. Degn. XVI.

2 «Cotesti Greci»,cioè gli abitanti della città diroccata da Roma, solevano chiamare, con linguaggio poetico proprio del loro paese d’origine, «Arcadi» i giganti deboli venuti d’entro terra agli asili dei forti, e «Frigi» (a causa del loro medesimo esempio) quelli venutivi per via di mare. Siffatta fraseologia naturalmente essi importarono a Roma, quando vi furon condotti in qualità di giornalieri. E, poiché nell’Urbe il carattere poetico indigeno per indicare il concetto generico di «gigante debole venuto all’asilo dei forti» era quello di «rifuggito all’asilo di Romolo», è facile scorgere come sia avvenuta quella confusione di tradizioni, di cui si è discorso a p. 699, n. 5. [p. 702 modifica]702 LIBRO SECONDO SEZIONE UNDECIMA CAPITOLO SECONDO

sopra si è detto, ridurre a’ giornalieri di Romolo ^ E poscia 2, buccinando dappertutto i Greci la guerra troiana e gli errori degli eroi, e per l’Italia quelli d’Enea, come vi avevano osservato innanzi il lor Ercole 3, il lor Evandro *, i loro Cureti ^ (conforme si è sopra detto), in cotal guisa, a capo di tempo, che tali tradizioni per mano di gente barbara s’eran alterate e finalmente corrotte; in cotal guisa, diciamo. Enea divenne fondatore della romana gente nel Lazio 6. Il quale il Bocharto ^ vuole che non mise mai piede in Italia, Strabene dice che non usci mai da Troia, ed Omero, c’ha qui più peso, narra ch’egli ivi mori e vi lasciò il regno a’ suoi posteri s. Cosi, per due borie diverse di nazioni — una

1 Pare che il V. voglia dir questo: Gli abitanti della città greca anzidetta non furono, nella loro venuta a Roma (ossia nel tempo corso tra la caduta dei re e la pubblicazione della legge delle XII Tavv.), incorporati alla plebe, che costituiva già un corpo politico, come quella che, con l’Agraria serviana, aveva ottenuto il dominio bonitario dei campi (si veda p. 516, n. 1); si bene ridotti alla condizione, assai inferiore, fatta alla medesima plebe ai tempi di Romolo, di meri giornalieri. Quando dunque, Coriolano minacciava i plebei, aspiranti al connubio, di ridurli alla condizione di «: giornalieri di Romolo», voleva ricordare loro, non già un fatto assai remoto, ma l’esempio, che avevano sotto gli occhi, della disgraziata condizione giuridica fatta ai nuovi venuti nell’Urbe.

2 Al tempo della guerra tarantina, come il V. dirà poco appresso.

3 Si veda p. 696.

  • Si veda p. 693, n. 2.

e Si veda p. 513, n. 2.

«In cotal guisa, cioè, essi, lavorando sulla tradizione, ormai corrotta, che diceva rifugiati insieme nell’asilo romuleo Arcadi e Frigi, e indicando ciò che era già un carattere poetico (i Frigi) con un altro carattere poetico ancora più particolarizzato (Enea), favoleggiarono della venuta di Enea in Italia, riattaccando a lui la fondazione di Roma.

’ Lettre à monsieur de Segrais, ou dissertation sur la question si Enéeajamais été en Italie, pubblicata già nella traduz. francese dell’Eneide del Segrais; ripubblicata poi in latino ad Amburgo, nel 1672, col titolo: Samdelis Bocharti De quaestione num Aeneas numquam fuerit in Italia, epistola ad v. ci. De Segrais, ex gallico in latinum sermonem versa a Iohanne Scheffero Argentoratensi; e così riprodotta nelle varie edizz. delle Opp. del B. (in quella da noi cit., voi. I, coli1063-1089).

8 Strabene, a dir vero, non fa se non riferire, con qualche cemento, il passo omerico a cui allude il V. Nel quale poi non si dice che Enea sia morto a Troia, ove continuarono a regnare i suoi discendenti, ma soltanto che Nettuno gli predice siffatto avvenire. Ecco, a ogni modo, i passi. Strab., XIII, 1, 53: «"Ojiyjpog... è|icpa£vsi.. [lejjisvyjxóxa xòv Aivstav èv x^ Tpolcf, xa£ 8ca8s8sYnévov x>jv àpxì^v xat 7:apa8e5(!)xóxa izcciaì 7ia£8(i)v xijv SiaSoyrjv aùx^g,:^cpavta|j,évo) xoù xSv IIp’.a|ji’.8tòv Yévoug[/Z., W, 306 sgg.]: «vjSyj yàp Hpiajjiou ysvsYjv vjx^yjps Kpo [p. 703 modifica]DELLA VENUTA DI ENEA IN ITALIA 703

de’ Greci, che per lo mondo fecero tanto romore della guerra di Troia; l’altra de’ Romani, di vantare famosa straniera origine, — i Greci v’intrusero, i Romani vi ricevettero finalmente Enea fondatore della gente romana (a).

La qual favola non potè nascere che da’ tempi della guerra con Pirro, da’ quali i Romani incominciarono a dilettarsi delle cose de’ Greci; perchè tal costume osserviamo celebrarsi dalle nazioni dopo c’hanno molto e lungo tempo praticato con istrauieri.

(a) Ma pur resta uno scrupolo suU’oppenione volgare de’ dotti, che i Troiani non furon Greci, ond’haa creduto la frigia essere stata una lingua da quella de’ Greci diversa. Certamente Omero non ha dato loro l’occasione di tal comun errore, perchè egli chiami i Greci d’Europa «Achivi» e «Frigi» quelli dell’Asia; e senza dubbio Troia per un picciolo stretto di mare era divisa dal continente d’Europa, come l’Ionia, dove fu Troia, senza contrasto tutta fu greca. Ma Aceste fu eroe troiano e fonda la lingua greca in Sicilia, ed è di tanta antichità, che Enea il ritruova avervi fondato un potente regno; talché dovette menarvi una colonia eroica greca di Frigia molto tempo innanzi della guerra troiana.

vioflv I vQv 8è 8t) Alvsiao p^vj Tpweaocv àvccgei | xai 7ia£5(i)v 7iai5sg, xot xev jisTÓTtioGe yévwvxat»...— Tiveg 8è yptìcpouoiv «’A’.vsiao fé’^0(; ndvTEOoiv àvcigei, I xai nalSsg KaiScov», Toùg Pojiaioug Xéyovxsg».