La vendetta d'uno schiavo/Capitolo III

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Capitolo III

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Capitolo III

Il primo scontro

Il sole era appena levato che già i tre viaggiatori erano in marcia. Essi continuavano a salire l’altipiano, passando per sentieri mai calcati, e rupi inaccessibili. Nessuna traccia vi si vedeva del passaggio delle truppe malesi, ma Giovanni sapeva ove poteva trovarle.

Verso il mezzodì il paese cominciò a cambiare. All’aspro e nudo terreno erano successe piantagioni di canne e boschetti di alberi fruttiferi. Alcune volte dei torrenti ignorati anche dalle due guide, tagliavano loro il passo, mentre sulle loro rive s’innalzavano alberi giganteschi, che mitigavano il calore del sole colle loro grandi foglie. Verso le due i viaggiatori fecero una fermata sulla riva d’un fiumicello chiamato il Tapau, tutto fiancheggiato da canneti e da alberi i quali vi formavano un delizioso soggiorno. I due servi accesero il fuoco e pranzarono in fretta. Dopo il pranzo le due guide avrebbero voluto cacciare, ma Giovanni diede l’ordine della partenza, dicendo che bisognava affrettarsi per raggiungere l’indomani l’accampamento olandese. Una rapida corsa li trasse sei leghe più innanzi. Alla sera si addormentarono nel cavo di un enorme albero, un gigantesco tamarindo che aveva dodici piedi di diametro. La notte fu passata fra i ruggiti delle tigri, e le grida noiose dei gatti selvaggi. Il cinese irritato per quei seccanti rumori scaricò parecchie volte il suo fucile, ma non fece altro che destare tutti gli animali dei dintorni.

Più volte i viaggiatori temettero che le fiere attaccassero il rifugio, ma le due guide, coi loro fucili, fecero cadere parecchi dei più audaci animali, sicché gli altri spaventati dovettero battere la ritirata.

Il terzo giorno, essi ripresero le mosse, seguendo un sentiero appena tracciato, ingombro di alberi atterrati, di rami e di enormi macigni. Verso il mezzogiorno, essi ritrovarono le tracce della spedizione olandese; giunti però ad un certo tratto, videro che la spedizione si era divisa. L’una aveva seguito il sentiero, l’altra aveva ripiegato verso occidente.

– Diavolo, – mormorò Giovanni fermando il suo cavallo, – non si sa quale via prendere.

– Prendiamo la dritta, – disse il cinese.

– Sì, sì, prendiamo la dritta, – mormorò il malese.

– Ebbene sia, – disse Giovanni lanciando il suo cavallo sul sentiero che si dirigeva verso l’est.

Il cinese e il malese lanciarono alla loro volta i cavalli dietro a Giovanni, il quale galoppava rapidamente.

– Aspettate! Aspettate! – gridò ad un tratto Kabaut, fermando il cavallo con violenza.

– Cos’hai? – domandarono Giovanni e Lu-Ciang ad un tempo, arrestando i loro corsieri.

– Ho udito una tromba! – disse Kabaut.

– Che siamo già vicini al campo olandese? – si chiese Giovanni.

– Sì! Sì! Ascoltate, – disse Lu-Ciang.

Lo squillo lontano di una tromba pervenne ai loro orecchi, seguito da una detonazione.

– Si battono – urlarono le due guide armando i fucili.

– No, se si battessero si udrebbero parecchie scariche, – disse Giovanni mettendo Gawev al galoppo.

Man mano che si avvicinavano essi udivano vari rumori provenienti dal campo olandese. Si udivano dei rulli dei tamburi, come pure alcuni squilli di tromba, misti a un ronzìo sordo e prolungato.

Venti minuti dopo, un soldato olandese si levò dalle folte erbe, e puntando un fucile gridò:

– Chi vive?

– Olanda, – rispose Giovanni avanzandosi.

Il soldato, vedendo quell’uomo tutto vestito di nero, lo guardò con curiosità, e tenendo sempre il fucile fra le mani, pronto a far fuoco, domandò:

– Cosa volete?

– Conducetemi dal generale Wan Carpellen, – rispose Giovanni, fermando Gawev.

Il soldato lo guardò con diffidenza, poi mandò un fischio prolungato. Tosto dalle vicine erbe si alzarono tre soldati, i quali mossero incontro a Giovanni.

– Accompagnatelo dal generale, – disse l’olandese ai tre nuovi arrivati.

Questi si posero ai fianchi della piccola comitiva, ed entrarono ben tosto nell’accampamento. Tutto ciò che si può immaginarsi di guerresco, vi era sparso colà. Numerose tende, messe in fila, formavano un immenso quadrato, al cui centro s’alzava una tenda più vasta e colla bandiera dell’Olanda sulla cima. Qua e là, fra le tende, tamburi, fucili, spade, sciabole, trombe, e barili di munizioni vi erano alla rinfusa.

Moltissimi soldati ingombravano il campo, alcuni ancora stesi sotto le tende, altri occupati a pulire le loro armi ed altri ancora a preparare la cena. Canzoni militari, ricordanti i fasti brillanti della nazione olandese, risuonavano qua e là, frammischiate ai rulli dei tamburi e allo squillo delle trombe.

Intanto numerosi soldati erano accorsi a guardare curiosamente quello straniero, e vedendolo così vestito di nero, seguito da un uomo giallo e da uno olivastro, mormoravano fra loro, facendo le più strane supposizioni. In breve Giovanni giunse alla tenda del generale Wan Carpellen e fu invitato a entrare.

Appena ebbe varcata la soglia, il generale, uno dei più energici e più bravi comandanti che vantasse allora l’Olanda, gli si fe’ incontro, dicendo:

– Siete voi che avete domandato di me?

– Sì generale, – rispose Giovanni.

– Cosa desiderate? – domandò Wan Carpellen.

– Di esser arruolato nella vostra armata, – disse Giovanni con voce sorda. – Ecco una lettera del governatore per voi.

Il generale prese la lettera, la lesse attentamente e, dopo alcuni istanti, disse:

– Accetto, ma perché avete quel vestito così strano e quelle armi brunite?

– Perché devono ricordarmi una vendetta.

– Ma con che nome vi debbo chiamare?

– Il Cacciatore Nero, – mormorò con voce cupa Giovanni.

– Siete stato soldato?

– Sì, un tempo.

– Volete appartenere ai cavalleggieri?

– Sì, io e i miei due servi, – disse Giovanni.

– Temete il fuoco?

Un amaro sorriso increspò le labbra di Giovanni: – Se io temessi il fuoco, non sarei venuto qui ad arruolarmi, – disse poi.

– Avete ragione, – disse il generale. – Devo però avvertirvi che la campagna sarà lunga e faticosa.

– Sono pronto a tutto, pur di poter compiere la mia vendetta.

– Ignoro il motivo che vi ha spinto a venirvi ad arruolare sotto la bandiera olandese, ma deve essere certamente grave.

– Gravissimo, generale. Ho giurato di uccidere un capo insorto che mi ha rapito il figlio e distrutte le mie piantagioni.

– E sperate di riuscire?

– Molto, generale.

– Se sarà possibile, io cercherò di aiutarvi, signore. Forse fra qualche giorno incontreremo i ribelli.

– Desidero ardentemente questo incontro.

– Se volete, fra pochi minuti potete mettervi in campagna. Una colonna di esploratori sta per partire ed è probabile che incontri il nemico molto presto.

– Ove la mandate, generale?

– Verso Samarang. Voglio accertarmi se la via è libera.

– Ebbene, generale, sono pronto a partire.

Wan Carpellen batté le mani. Un sergente entrò, mettendosi sull’attenti.

– È pronta la colonna degli esploratori?

– Sì, generale.

– Dite al tenente Lervell che gli raccomando questo signore. È un bravo che si batterà bene.

– Seguitemi, signore, – disse il sergente.

Giovanni ringraziò il generale e seguì il sergente.

Giunti fuori, salirono a cavallo imitati dal malese e dal cinese e, attraversato il campo, giunsero agli avamposti.

Colà una colonna di quaranta cavalleggieri, comandata da un tenente, li aspettava. Giovanni salutò, mentre il sergente ripeteva al tenente le raccomandazioni del generale.

– Vi considero come mio amico, signore, – disse il comandante, stringendogli la mano. – Come devo chiamarvi?

– Il Cacciatore Nero.

– Un nome di battaglia senza dubbio, – disse il tenente sorridendo. – In sella, signore.

Poco dopo la piccola colonna abbandonava l’accampamento cacciandosi in mezzo ai boschi.