La vendetta d'uno schiavo/Capitolo IV

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Capitolo IV

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Capitolo IV

Il capo Kedir-Peng

Per sei ore la colonna marciò continuamente, ora in mezzo a fitti boschi ed ora fra i pantani e le paludi del Lusie, un fiume che va a scaricarsi nei dintorni di Samarang, aprendosi faticosamente il passo fra una infinità d’ostacoli e senza aver, fino allora, trovata traccia alcuna dei ribelli. Al tramonto gli esploratori fecero sosta sul margine d’un bosco, improvvisando un accampamento, e all’indomani, all’alba riprendevano le mosse dirigendosi su Demak, grossa borgata lontana poche leghe da Samarang.

Si erano nuovamente impegnati in mezzo ad un fittissimo bosco di palme spinose, che rendevano la marcia estremamente difficile, quando verso le nove del mattino udirono improvvisamente alcuni colpi di fucile. Non sapendo se quegli spari erano stati fatti da giavanesi o da qualche colonna di olandesi procedente da Demak, il tenente ordinò ai cavalleggeri di preparare le armi, poi comandò la carica.

Il drappello stava per slanciarsi innanzi, quando una scarica improvvisa rimbombò fra le piante.

Il tenente, che era dinanzi a tutti, colpito da parecchie palle, stramazzò al suolo fulminato.

– Camerati, vendichiamolo!... – urlò Giovanni.

Si vedevano alcuni giavanesi fuggire attraverso gli alberi.

I cavalleggeri si slanciarono attraverso il bosco disperdendosi e facendo fuoco in tutte le direzioni.

Giovanni, trascinato dal suo velocissimo cavallo, si era già spinto innanzi a tutti, entrando in mezzo ad un folto macchione di giganteschi durion e che pareva senza uscita.

Temendo di smarrirsi stava per tornare, quando vide un cavalleggero slanciarsi addosso ad un capo giavanese che era comparso bruscamente sul margine della macchia.

Quell’insorto era un bellissimo campione della razza giavanese, alto, snello e ben fatto, colla testa adorna di tre penne bianche, distintivo di gran capo e vestito sfarzosamente. Per arma non aveva che una lunga lancia. Vedendo il cavalleggero piombargli addosso, fece un salto indietro, poi alzata la lancia, con rapidità fulminea gliela cacciò nel petto, rovesciandolo cadavere.

Giovanni mandò un grido e afferrata una pistola nella mano dritta, ed il kriss nella sinistra, balzò a terra, slanciandosi sul vincitore. Il giavanese evitò il colpo di pistola, ma mentre stava per alzar la lancia sdrucciolò e cadde, lasciando cadere l’arma di mano. Giovanni gli fu sopra, con una mano lo rovesciò al suolo, mentre coll’altra alzava il kriss. Già stava per immergerlo nel petto del capo giavanese, quando vide qualche cosa di umido comparirgli sugli occhi.

Giovanni si era rizzato, lasciandolo libero.

Il giavanese non si era mosso: guardava Giovanni come per domandargli perché non lo colpiva.

– No, – disse il piantatore rimettendo il suo kriss nella cintura. – Io non sono un olandese per odiarti.

– Perché non mi uccidete? – chiese dolcemente il capo.

– Perché non sei mio nemico, – rispose Giovanni.

– È la prima volta che odo un bianco pronunciare simili parole, – disse il capo.

– Come ti chiami? – chiese Giovanni.

– Kedir-Peng.

– Sei sotto gli ordini di Diepo-Nigoro?

– Sì, e fu lui ad affidarmi la spedizione.

– Conosci un malese chiamato Hamat-Peng?

– È arrivato al campo alcuni giorni or sono.

– Era solo? – chiese Giovanni.

– Era seguito da un fanciullo e da dieci malesi.

– Addio, – disse Giovanni disponendosi a partire.

Il giavanese lo fermò dolcemente, si trasse dalla cintura il suo kriss, un’arma splendida adorna di perle e lo porse a Giovanni, dicendogli:

– Accettatelo per mio ricordo.

Giovanni lo prese, e gli porse il proprio.

– Ricordatevi del Cacciatore Nero, – gli disse.

– E voi ricordatevi del capo Kedir-Peng, luogotenente di Diepo-Nigoro, – rispose il giavanese.

Lo salutò colla mano, poi sparve in mezzo alla macchia.

Quando Giovanni ritrovò la colonna degli esploratori, il combattimento era finito.

I giavanesi, dopo d’aver fatte alcune scariche che avevano abbattuto una diecina di olandesi, erano fuggiti attraverso la foresta, scomparendo in mezzo alle palme spinose.

I cavalleggieri, seppelliti i loro compagni, abbandonarono frettolosamente quel luogo, per tema di subire un secondo attacco, però essendo rimasti privi del loro capo, ad unanimità nominarono a loro comandante Giovanni.

Dopo un breve consiglio, fu deciso di ripiegare verso il sud onde far ritorno al campo olandese. Ormai sapevano che le vie che conducevano a Samarang erano occupate dai nemici, quindi potevano considerare la loro missione come finita.

Non osando rifare la medesima via, temendo che fosse già stata occupata dagl’insorti, piegarono verso il sud per girare intorno alle montagne di Amharawa.

Durante quella prima giornata, nessun altro incontro venne fatto. Alla sera il drappello si arrestava in mezzo ad un bosco di tek.

L’accampamento fu scelto su di una piccola altura, dove si trovavano quattro o cinque di quei giganti vegetali, i quali potevano servire da trincea.

Giovanni mise due sentinelle nei dintorni, poi si sdraiò sotto un ricovero improvvisato con alcune foglie e con alcuni rami.

Dormiva da tre o quattro ore, quando si sentì svegliare da una delle due sentinelle.

– Quali nuove? – chiese, alzandosi.

– Abbiamo udito dei rumori nel bosco, – rispose il soldato sottovoce.

– Ah! Credete che siano i nemici?

– Lo sospettiamo, – rispose la sentinella.

Giovanni si rizzò, prese le sue pistole, il suo fucile e uscì.

Ben presto giunse presso la trincea e si arrestò, vedendo che il soldato gli faceva cenno di ascoltare. Si sedette presso un tronco, mise il fucile fra le ginocchia e attese, mentre le due sentinelle andarono ad appostarsi dall’altra parte. Poco dopo udì dei rami spezzarsi, poi vide un uccello a fuggire mandando acute strida.

– Vengono, – pensò.

Per alcuni istanti il rumore cessò, ma poco dopo si rinnovò più forte di prima. Pareva che parecchie persone camminassero con cautela nella foresta. Il rumore continuava sempre, e si avvicinava a poco a poco.

D’un tratto una testa apparve a cinque passi di distanza dal luogo ove si trovava.

– Eccoli, – gridò Giovanni scaricando le sue pistole.

Quasi subito parecchi colpi di fucile rimbombarono nella foresta, e Giovanni udì le palle scrosciare sugli alberi.

I cavalleggieri, balzati rapidamente in piedi, risposero scaricando i loro fucili nel più fitto del bosco. Poco dopo numerosi giavanesi apparvero ai lati del piccolo accampamento.

Gli olandesi, serrati in gruppo presso i loro cavalli, fecero fuoco colle pistole. I giavanesi, dopo aver lanciato una ventina di freccie e d’aver sparati alcuni colpi di fucile, sparvero nel bosco.

Dopo quegli spari era successo un profondo silenzio.

– Che siano fuggiti? – chiesero alcuni soldati.

– Temo invece che cerchino di sorprenderci, – disse Giovanni.

– Si può mandare qualcuno alla scoperta, – dissero alcuni cavalleggieri.

– Vi andrò io, – esclamò Giovanni, preparandosi a partire.

– No! – gridarono in coro i cavalleggieri. – Voi siete il nostro comandante e dovete rimanere qui.

– Vadano due uomini, – disse Giovanni.

Due cavalleggieri presero i loro fucili e, balzati sopra i tronchi d’albero, sparvero nella foresta. Per alcuni istanti si udirono le foglie a scrosciare, poi più nulla.

Passarono alcuni minuti d’angosciosa aspettativa. I vent’otto cavalleggieri, appoggiati ai cavalli e confusi coll’ombra dei grandi alberi, non si muovevano, però tenevano fra le mani i loro fucili, e la briglia dei cavalli avvolta nel braccio sinistro. Giovanni appoggiato a un albero, con accanto Kabaut e Lu-Ciang aspettava ansiosamente il ritorno dei due olandesi.

Mezz’ora dopo, un rumore si fece udire a pochi passi dall’accampamento.

– Siete voi? – domandò Giovanni, puntando il fucile per tema che fossero nemici.

Un sordo brontolìo fu la risposta. Egli allora si precipitò fra le macchie e vide alcune ombre a fuggire.

– Nemici da per tutto!... – mormorò, ritornando presso un albero.

I cavalleggieri non si mossero e rimasero immobili.

Mentre Giovanni stava per allontanarsi, un grido straziante, terribile, rimbombò nella foresta, seguito dallo scoppio d’un’arma da fuoco. Quasi nel medesimo istante uno dei due olandesi compariva col fucile ancor fumante in mano:

– I giavanesi! – urlò egli balzando sul suo cavallo.

– E il tuo compagno? – chiese Giovanni.

– Morto! – gridò l’olandese.

Quasi nel medesimo istante un grosso corpo di giavanesi comparve. Gli olandesi si avventarono sui cavalli scaricando prima i fucili. Indi, cacciati gli sproni nel ventre dei loro corsieri, con Giovanni alla testa, fuggirono nel bosco, in mezzo a un nembo di palle. Tre o quattro grida di dolore vi risposero, e tre uomini rotolarono giù dai cavalli, mentre i giavanesi si lanciavano sulle tracce del rimanente della truppa.