La vendetta d'uno schiavo/Capitolo VI

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Capitolo VI

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Capitolo VI

Bloccati nella moschea

La prima cura di Giovanni e dei suoi, appena ebbero rinchiusa la porta, fu quella di barricarla onde potesse resistere più lungamente agli assalitori. Essi vi ammucchiarono di dentro una grande quantità di grosse pietre, formando una gigantesca piramide, capace di sfidare anche il cannone.

Giovanni chiamò allora attorno a sé i cavalleggieri, dicendo:

– Noi siamo bloccati, ma non perdiamoci di coraggio. Finché non ci mancheranno i viveri, noi potremo resistere. Si uccida per ora un cavallo e teniamoci pronti alla lotta.

– Resisterà la porta? – domandò un soldato.

– Se verrà abbattuta ci ritireremo nel sotterraneo. Colà la porta è di legno del tek e sfiderà le scuri.

In quell’istante si udì al di fuori un gran rumore, misto a grida di gioia.

– Oh! Che si preparino ad attaccarci? – si chiesero i cavalleggieri, balzando sui loro fucili.

Non s’ingannavano. Poco dopo dei colpi furiosi echeggiarono; i giavanesi cercavano di abbattere l’ostacolo a colpi di ascia. Giovanni prese il suo kriss e, imitato dagli altri, aprì nelle tavole già sconnesse quattro buchi attraverso i quali fece introdurre le canne di alcuni fucili, poi comandò il fuoco.

Quattro spari rimbombarono e si udirono al di fuori dei gemiti dolorosi e delle imprecazioni. Per alcuni istanti gli assalitori non osarono avvicinarsi alla porta, poi rinnovarono l’attacco con maggior furore. Altri quattro colpi di fucile partirono, seguiti come i primi da grida. Fu questa volta una fuga generale da parte dei giavanesi.

Giovanni soddisfatto di quell’esito insperato, fece l’inventario di tutto ciò che rimaneva di viveri e di munizioni agli assediati.

I viveri consistevano in sei cavalli, e calcolando che ognuno dovesse bastare per quattro giorni, risultava un totale di ventiquattro giorni, tempo sufficiente per scoraggiare gli assalitori. Anche l’acqua abbondava, avendo tutti le fiasche piene. In quanto alle munizioni non vi era tema che venissero a mancare. Ciascun cavalleggiero aveva nel suo ampio corno circa due libbre e più di polvere, e nella sacca duecento palle.

Vi era quindi la speranza di poter resistere a lungo, se non nella moschea, almeno nel sotterraneo, poiché essendo la volta del tempio screpolata, poteva permettere agli assedianti di aprire il fuoco di lassù.

Il sotterraneo invece era una vera fortezza. La porta, fatta di legno di tek, era grossa quattro pollici, con quattro buchi aperti certamente per dar passaggio all’aria nel sotterraneo. Dietro alla porta vi erano poi due grosse spranghe di ferro, onde poterla barricare.

Mentre Giovanni visitava quell’ultimo rifugio, i giavanesi non davano segno di vita; anzi pareva che fossero partiti.

Giovanni si appressò a uno dei buchi aperti della porta e li vide seduti per la cinta, occupati a prepararsi il pranzo.

– Speriamo che ci lascino un po’ tranquilli – disse.

Stava per tornare presso gli olandesi, quando vide apparire ai quattro buchi le bocche di quattro fucili. Seguì una scarica violenta, la quale rumoreggiò all’estremità opposta della moschea.

– Grandina! – esclamarono gli olandesi, ritirandosi verso i muri laterali.

Quasi subito altri quattro fucili apparvero, poi la porta, difesa da quelle bocche micidiali, fu attaccata vigorosamente.

– Le nostre fuciliere! – urlò Giovanni slanciandosi presso la porta.

Afferrato il suo fucile percosse col calcio le canne delle armi avversarie, respingendole, poi fece fuoco.

Gli olandesi lo imitarono e, impadronitisi di quelle fuciliere improvvisate, cominciarono un fuoco terribile.

I giavanesi, respinti, si ritrassero, né più ritentarono l’attacco durante l’intera giornata.

Gli olandesi approfittarono di quella sosta per uccidere un cavallo e per accender i fuochi, con il legname e gli sterpi che abbondavano nell’interno della moschea.

Anche la notte passò senza incidenti, ma era da supporsi che questo silenzio era foriero di qualche nuovo attacco.

Infatti l’indomani la porta fu di nuovo assalita a colpi d’ascia. Gli olandesi fecero fuoco, però dopo la prima scarica, le quattro fuciliere furono prese dai giavanesi, i quali a loro volta risposero con scariche violentissime, mentre la porta si screpolava da tutte le parti.

Giovanni, vedendo che ormai la pagoda non poteva più difendersi, ordinò che i cavalli fossero condotti nel sotterraneo, poi si avventò presso la porta seguito dagli altri e, a colpi di calcio di fucile, pervennero a respingere per un’ultima volta i fucili giavanesi. Ma già la porta, spezzata in più parti, lasciava delle fessure, le quali se non permettevano il passaggio ai fucili, bastavano alle palle. Già gli olandesi cominciavano a ritirarsi, quando una scarica partì dall’alto della moschea.

Una decina di giavanesi, aggrappandosi alle sporgenze, erano saliti lassù e stavano per prendere gli assediati fra due fuochi.

– A me! – gridò Giovanni.

Gli olandesi si slanciarono contro la porta nel momento che stava per venire sfondata. Giovanni divise i suoi uomini in due colonne, l’una per risponder ai giavanesi che stavano sulla cima della moschea, e l’altra per difender la porta.

Allora successe una terribile lotta. Da tutte le parti, dall’alto della moschea, dalle fessure della porta e nell’interno del fabbricato, le fucilate rumoreggiavano con fracasso. Di tratto in tratto, dei sassi, scossi dalle ripetute detonazioni delle armi da fuoco, rotolavano nell’interno della moschea, con gran pericolo degli olandesi.

Ad un tratto la porta cedette e venti o trenta canne di fucile apparvero.

Una scarica formidabile successe e sette olandesi caddero.

– In ritirata! – gridò Giovanni e si slanciò nel sotterraneo seguito dai sedici olandesi rimasti vivi, mentre i giavanesi invadevano la pagoda mandando urla di trionfo.