La vendetta d'uno schiavo/Capitolo VII

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Capitolo VII

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Capitolo VII

La fuga

Si erano appena rifugiati nel sotterraneo che i giavanesi, come una marea crescente, andarono a urtare contro la porta ove si fermarono a guisa dell’onda che si rompe contro la roccia. Gli olandesi, riuniti alla rinfusa sulla scala del sotterraneo, colle mani strette attorno ai fucili ascoltavano con ansietà gli urli degli assalitori. Però in breve quelle grida cessarono, ed al fracasso assordante di prima, subentrò un profondo silenzio. Parea che tutto fosse terminato.

Giovanni approfittò di questo istante di tregua, per dire ai soldati:

– Affrettiamoci a perlustrare il sotterraneo.

Gli olandesi lo seguirono, lasciando Lu-Ciang e Kabaut a guardia della scala.

Quel sotterraneo era una vasta sala scavata nella roccia che si prolungava molto al di là della cinta della moschea, essendo assai lunga.

All’estremità opposta vi erano sei tombe giavanesi, formate da piramidi di grosse pietre ed una enorme statua rappresentante qualche divinità adorata dagli antichi abitanti dell’isola.

Lungo le pareti, grosse goccie d’acqua scorrevano ed anche dalla volta cadevano in grande numero.

– Ecco una vera fortuna, – disse Giovanni.

– E perché? – domandò un soldato. – A me invece pare che senza questa umidità si dormirebbe meglio.

– Non sapete che comincia a mancarci l’acqua? Le nostre fiaschette sono già quasi vuote. Orsù, demoliamo queste tombe e barrichiamo la porta.

Tosto quelle grosse pietre furono smosse e portate sulla scala.

Dopo un’ora di penoso lavoro, senza che i giavanesi facessero nessun tentativo per assalire il sotterraneo, la porta veniva barricata così bene da resistere a tutti gli sforzi dei giavanesi.

– Vediamo ora cosa fanno i nostri nemici – disse Giovanni.

S’accostò ad una delle piccole feritoie, che erano state lasciate scoperte e guardò nella moschea.

– Sembra che quei furfanti non abbiano voglia di attaccare, almeno per ora – disse. – Sono seduti e ciarlano tranquillamente. Però alcuni sono a tiro e faremo vedere loro che non siamo morti.

Quattro olandesi, ad un suo comando, puntarono i loro fucili attraverso i fori e fecero fuoco. Nella moschea si udirono delle grida di rabbia e di dolore. Poi furono veduti gl’indigeni a fuggire e ritirarsi lungo le pareti.

Durante quella prima giornata, nulla di nuovo accadde.

Pareva che i giavanesi non volessero esporsi ad un altro combattimento, inutile d’altronde, sapendo ormai che gli olandesi non potevano più fuggire. Senza dubbio volevano costringerli ad arrendersi per la fame.

Due altri giorni trascorsero così, con grande inquietudine degli assediati, i quali ormai cominciavano a perdere la speranza di poter uscire o di stancare gli avversari.

Il quarto giorno Giovanni chiamò intorno a sé tutti gli olandesi, dicendo loro:

– Se non cerchiamo il modo d’uscire di qui, noi saremo costretti ad arrenderci od a farci uccidere.

– Cosa volete tentare? – chiesero gli olandesi.

– Ascoltatemi, – disse Giovanni.

Tutti i soldati gli si avvicinarono.

– Spero d’aver trovato il modo di uscirne di qui – disse.

– E come? – domandarono tutti in coro.

– Poco fa stavo visitando una tomba, quando sentii il terreno sprofondare ed inghiottirmi. Ero caduto in una galleria la quale saliva verso la superficie del suolo. Cercai di seguirla, ma dopo pochi metri la trovai ingombra di macerie. Osservandola però meglio, mi sono convinto che con poca fatica si potrebbe riaprirla ed uscire all’aperto.

– Andiamo a vederla! – esclamarono gli olandesi, balzando in piedi.

Giovanni li condusse dalla parte opposta della scala, cioè verso le tombe giavanesi e mostrò loro uno scavo assai oscuro che si prolungava, correndo parallelamente alla volta.

Alcuni soldati vi si introdussero e s’avvidero che, dopo cinquanta metri, quella galleria saliva dolcemente verso la superficie del suolo.

Ad un certo punto però la volta era franata e le macerie avevano riempito l’ultimo tratto di quel passaggio.

– Con un po’ di pazienza riusciremo ad aprirci il passo, – dissero, appena tornati.

– Al lavoro! – gridarono tutti.

Subito quattro soldati si cacciarono nella galleria e cominciarono a sgombrarla, passando le pietre che l’ostruivano ai loro compagni, i quali le trasportavano nel sotterraneo.

Per otto lunghe ore i soldati lavorarono febbrilmente, continuando lo sgombro.

Prima di sbarazzare l’ultimo tratto, attesero la notte, temendo che i giavanesi potessero trovarsi a poca distanza.

Verso la mezzanotte le ultime pietre venivano levate adagio adagio e da un primo buco una fresca corrente d’aria penetrava nel sotterraneo.

– Ci siamo? – domandò Giovanni.

– Sì, – risposero i quattro lavoranti.

– Si ode nulla?

Un soldato appoggiò un orecchio al buco, poi mormorò:

– Tutto è silenzio al di fuori.

– Ebbene, sfondate! – disse Giovanni.

I quattro olandesi tesero le loro braccia e fecero uno sforzo. Si udì uno screpolìo sordo, poi gli ultimi macigni caddero, lasciando un varco di un metro quadrato. Una nuova corrente d’aria imbalsamata dei profumi della foresta, penetrò nella galleria.

– Avanti, – disse Giovanni, sottovoce.

I quindici soldati presero le loro armi e uscirono in silenzio.

In breve si trovarono tutti fuori, pestando il verdeggiante suolo.

– Siamo fuori della cinta, vicini al bosco, – disse Giovanni, guardandosi attorno. – Seguitemi.

Tutti lo seguirono, camminando sulla punta dei piedi.

Stavano per slanciarsi nel bosco, quando udirono a breve distanza dei nitriti.

– Che siano i nostri cavalli? – si chiesero i soldati.

– Andiamo a vedere, amici, – disse Giovanni.

Piegarono a destra e giunsero in una piccola spianata, in mezzo alla quale scorsero una ventina di cavalli legati ad alcuni piuoli. A poca distanza, un uomo, sdraiato a terra, dormiva. I cavalli, scorgendo i loro padroni, mandarono nuovi nitriti.

Il giavanese udendoli si destò e fece per levarsi in piedi, ma Giovanni gli fu sopra e puntandogli il suo kriss sul petto, gli disse:

– Se parli, sei morto!

Il giavanese stralunò gli occhi e tacque.

– Legatelo a un albero, – disse Giovanni, volgendosi verso i soldati.

In pochi minuti l’indigeno fu imbavagliato e legato ad un mangostano. I cavalleggieri saltarono sui loro destrieri e si slanciarono nel bosco, guidati da Kabaut e da Giovanni.