La vendetta d'uno schiavo/Capitolo XIV

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Capitolo XIV

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Capitolo XIV

L’aloun-aloun

Il giorno seguente dopo la fuga di Hamat-Peng, tutto il campo giavanese era in moto. Si udivano grida, schiamazzi, suoni di tamburi e di flauti, chiamate ed era un accorrere di guerrieri di tutte le armi. Di tratto in tratto si udiva il grido di: – All’aloun-aloun! – ripetuto da migliaia di bocche.

Tutti i guerrieri, vestiti a festa, correvano in massa verso l’estremità occidentale dell’accampamento, al suono di alcuni tam-tam, e di alcuni gong.

Era colà che si trovava l’aloun-aloun.

Quell’aloun-aloun era una vastissima gabbia circolare, di cento metri di circonferenza, costruita con solidi bambù, i quali si alzavano per dodici metri onde impedire la fuga alle tigri. Tutto all’intorno vi erano delle logge di bambù, una delle quali, più vasta e ornata di bandiere, era destinata a Nigoro ed ai capi.

In un secondo recinto di bambù, diviso in due parti, vi erano sei bufali neri, e nell’altro tre superbe tigri reali.

Quando i guerrieri giunsero all’aloun-aloun, luogo scelto pel supplizio degli olandesi, Diepo-Nigoro vi era di già, accompagnato da tre capi, fra i quali Kedir-Peng.

Giovanni non era più con loro. Troppo addolorato, aveva rifiutato di assistere a quel sanguinoso spettacolo.

Appena i guerrieri videro i capi già accomodati, presero d’assalto le numerose loggie che circondavano il recinto, battendosi e picchiandosi per giungere primi.

Quando tutti, bene o male si furono accomodati, Nigoro ordinò che si conducessero i cinque olandesi. Quei poveri diavoli furono costretti a salire entro una specie di gabbia, in attesa di cominciare la lotta.

Ad un colpo di tam-tam, uno dei prigionieri, dopo di aver stretta la mano ai compagni, discese nell’aloun-aloun dove un giavanese gli porse un kriss, dalla lama temperata e acuta. Rinchiusa la porta, fu aperta la gabbia dei tori ed un superbo animale ne uscì, slanciandosi nell’arena.

Era un bellissimo toro tutto nero, che teneva alte le corna, le cui estremità erano state prima aguzzate appositamente.

Appena entrato, lanciò uno sguardo sanguigno all’intorno, e visto l’olandese, mandò un muggito, si batté i fianchi colla coda, poi abbassato il capo si slanciò sull’uomo.

Un grido partì da trentamila bocche, credendo l’olandese già investito.

Il prigioniero invece, dopo di aver aspettato il toro a piè fermo, fece un balzo di fianco e sfuggì alle corna aguzze del furibondo animale. Però questi si volse con rapidità fulminea, e si diede a inseguire l’uomo che si era dato alla fuga attorno all’aloun-aloun.

– A morte! – urlarono i trentamila guerrieri, levandosi in piedi.

L’olandese a quel grido si era arrestato. Il toro che gli era già a due passi di distanza, lo caricava con furore. Tentò di affrontarlo vibrandogli un colpo di kriss, ma la fronte ossea del toro riparò la botta. Colpito in pieno petto, il disgraziato prigioniero fu lanciato dieci passi innanzi.

Rialzatosi, cercò ancora di fuggire; era ormai troppo tardi.

Il toro, abbassato il capo, ricevette l’uomo sulle accuminate corna, e trascinandolo furiosamente in una pazza corsa, lo schiacciò contro la palizzata con terribile violenza.

L’olandese mandò un urlo orribile, soffocato dalle grida di gioia di tutti i guerrieri.

Il bufalo, abbandonato la sua vittima, si era slanciato in mezzo al circo, mandando muggiti feroci.

– Ad un altro! – gridarono i guerrieri giavanesi.

Un secondo olandese, livido di spavento, scese la scala. Datogli un kriss, fu lanciato nel circo. Vedendo quel nuovo nemico, il toro gli si avventò addosso colla rapidità del lampo.

L’olandese, atterrito, fece un salto indietro, poi con uno slancio prodigioso andò ad aggrapparsi ai bambù che formavano la gabbia, arrampicandosi rapidamente fino alla cima. Il toro, vista la vittima sfuggire, cozzò allora furiosamente contro la palizzata, minacciando di spezzarla.

– Vile! Vile! – urlarono allora i giavanesi all’olandese, il quale pallido, tremante, si reggeva disperatamente ai bambù.

– Scendi! Scendi! – gli gridarono i suoi compagni, minacciandolo col pugno.

– No – rispose egli con voce fioca.

– A morte! A morte! – urlarono i giavanesi, brandendo le loro armi.

– Scendi! – disse allora Nigoro.

– Grazia! – mormorò il disgraziato.

Un urlo feroce gli rispose. Cento colpi di fucile rimbombarono ad un tempo, ed il prigioniero, crivellato dalle palle, precipitò fra le grida frenetiche dei guerrieri.

– Un altro! – gridarono i giavanesi, i quali alla vista del sangue diventavano feroci.

– Fatene scendere due, – disse Nigoro.

Due olandesi, dopo di aver ricevuti i loro kriss, entrarono nell’aloun-aloun, e passando presso il cadavere del compagno, gli dissero:

– Vile! Vile! – Indi voltatisi entrambi contro il toro, si collocarono a due passi di distanza l’un dall’altro, col corpo piegato innanzi e gli occhi sfavillanti. Il toro appena vedutili, mosse loro incontro col capo basso, e gli occhi coperti da un velo sanguigno.

Giunto presso i due olandesi, descrisse un fulmineo semicerchio; e cacciate le sue acute corna nel ventre dell’uomo più vicino, lo trascinò furiosamente pel circo, cercando di schiacciarlo contro la palizzata. L’altro, urlando di rabbia, si era messo ad inseguirlo.

Raggiuntolo presso la palizzata, lo afferrò per un orecchio e cominciò a colpirlo furiosamente. L’animale cercò di liberarsene dandosi a una corsa sfrenata, ma l’olandese si teneva aggrappato saldamente, continuando a colpirlo.

L’animale, grondante sangue, tentò un ultimo sforzo, girando rapidamente su se stesso, poi cadde fra le grida di rabbia dei giavanesi.

Ad un tratto, quando nessuno se lo aspettava, fu veduto rialzarsi e, avventatosi sull’olandese, lo colpì mortalmente in mezzo al ventre. Urla di gioia partirono dai guerrieri, e di rabbia dall’olandese rimasto ultimo nella loggia.

– Un altro toro! – gridarono i giavanesi.

– Fate grazia a lui, – disse Nigoro, levandosi in piedi.

– No! No! – urlarono trentamila voci. – Gli olandesi uccidono i loro prigionieri; noi facciamo altrettanto.

Nigoro non insisté oltre, e ordinò che anche l’ultimo dei cinque olandesi fosse lanciato nell’aloun-aloun. Questi discese lentamente la scala, e giunto sotto la loggia di Diepo-Nigoro, gli disse: – Grazie, – indi, preso il kriss, si lanciò nel circo.

Un altro toro, più alto di statura del primo ed egualmente nero, fu introdotto nel circo.

Un sorriso sprezzante comparve sulle labbra dell’olandese. Guardò per un’ultima volta i giavanesi, poi, preso il kriss, se lo immerse sino al manico nel petto. Per alcuni istanti rimase in piedi, guardando il toro che gli si avvicinava rapidamente, poi cadde. Era morto.

Allora Nigoro si alzò, fece rinchiuder il toro nel suo recinto, ordinò che si portassero via i cadaveri, e che si facessero i preparativi per la lotta dei bufali colle tigri.

– Viva Diepo-Nigoro! – urlarono i guerrieri.

Poco dopo i cadaveri venivano trascinati fuori, e il bufalo fu lanciato per la seconda volta nell’aloun-aloun. Quasi nel medesimo istante, una tigre enorme, d’una bellezza senza pari, balzò leggiermente nel circo, avvertendo della sua presenza con un sordo ruggito. Contemporaneamente, i due animali si slanciarono furiosamente l’un sull’altro. Il colpo fu terribile. Il bufalo, vista la tigre a piombare, fece un giro a sinistra, poi tornò a destra rapidamente facendo un brusco angolo, ricevette l’animale sulle acuminate corna. La tigre però, cadendo con leggerezza, non si ferì: fatto un salto poderoso, schivò le corna e balzò ancora nell’arena.

Il primo scontro era andato fallito. La tigre, un istante dopo, si slanciava ancora sul toro, ma questi con un’abile mossa, la ricevette per la seconda volta sulla punta delle corna, strappando all’avversaria un ruggito di rabbia e dolore. Il toro allora, con uno sforzo disperato, la trascinò verso la palizzata. La tigre sempre ruggendo, aprì i suoi lunghi artigli e li conficcò a più riprese nel collo dell’animale, squarciandoglielo orribilmente.

Il toro furioso l’avventò contro la palizzata con violenza così terribile che questa tremò tutta. Ambedue si staccarono e rotolarono al suolo, per poi rialzarsi subito.

Tutti e due portavano le impronte sanguinose di quello scontro. Il toro, col collo squarciato, perdendo sangue a rivi e la tigre, con due orribili ferite ai fianchi, perdeva gli intestini.

Però la lotta non era finita. Con un supremo sforzo i due animali, ciechi di furore, si rovesciarono l’uno sull’altro, colle narici dilatate e gli occhi sanguigni. Una rapida lotta s’impegnò fra loro.

Quei due robusti animali, sebbene fiaccati dalle ferite, si assaltavano e dilaniavano a vicenda; ora il toro lanciava la belva contro lo steccato, ed ora questa dilaniava atrocemente l’avversario. Alla fine il toro con i fianchi squarciati, rotolò al suolo rimanendo immobile per alcuni istanti.

Le grida frenetiche dei giavanesi lo fecero balzare nuovamente in piedi. Quasi subito due nuovi combattenti entrarono nel circo. Era un’altra tigre e un grosso toro. I quattro animali si avventarono l’uno sull’altro. Ben presto una densa nuvola di polvere nascose i combattenti agli occhi dei guerrieri. Alcune volte, da quella nuvola, si vedevano le code delle tigri o le corna aguzze dei tori. Altre volte ne uscivano dei muggiti di dolore e ruggiti feroci.

I giavanesi, in piedi, con le armi in mano, si agitavano confusamente, inebbriati da quella lotta. Dopo pochi minuti quella nuvola di polvere si diradò e lasciò vedere l’esito della pugna.

Uno dei tori, quello che aveva i fianchi squarciati, rantolava in un canto, nuotando in un lago di sangue. L’altro bufalo, pure ferito orribilmente, era ancora in piedi e guardava ferocemente le due tigri, le quali, stese l’una presso l’altra, sembravano esauste di forze.

– Aizzatele! Aizzatele! – gridarono allora i guerrieri.

Tosto furono portati dei bacini ripieni di betel mescolato ad una polvere giallastra chiamata dagli indigeni gorrik, la quale rende gli animali così furiosi da avventarsi contro tutto ciò che incontrano. Due uomini presero il betel e lo gettarono sulle ferite dei tori, mentre due altri scagliavano contro le tigri fastelli di paglia incendiata.

L’effetto fu pronto. Bufali e tigri, ruggendo di rabbia e di dolore, si slanciarono con un ultimo sforzo gli uni sugli altri in mezzo al fumo e alle fiamme dei fastelli di paglia.

L’entusiasmo dei giavanesi era al colmo. Tutti, con moto istintivo, avevano impugnate le armi e si erano lanciati nel circo, gridando a squarciagola. Indi, tutti uniti, con Diepo-Nigoro alla testa, che non avea potuto resistere all’entusiasmo generale, si erano avventati contro gli animali che continuavano a battersi accanitamente.

Tutti quegli uomini, ebbri d’entusiasmo, urtandosi l’un l’altro e gridando, si precipitarono sugli animali, crivellandoli coi loro kriss. Diepo affrontò pel primo il toro e gl’immerse il pugnale nel collo, rovesciandolo morto al suolo.

Indi, dominando le grida dei guerrieri e i ruggiti d’agonia delle belve, tuonò:

– Basta! Basta!

Tosto fra quei trentamila guerrieri si operò un movimento d’una precisione senza pari. Tutti i kriss rientrarono nelle cinture, indi si formarono i battaglioni, e tutta l’armata insorta, con Diepo-Nigoro alla testa, fece ritorno all’accampamento.