La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XXV

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Libro secondo
Capitolo XXV

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Avevo in questo mio castello un giuoco di palla da giucare alla corda, del quale io traevo assai utile mentre che io lo facevo esercitare. Era in detto luogo alcune piccole stanzette dove abitava diversa sorte di uomini, in fra i quali era uno stampatore molto valente di libri: questo teneva quasi tutta la sua bottega drento innel mio castello, e fu quello che stampò quel primo bel libro di medicina a messer Guido. Volendomi io servire di quelle stanze, lo mandai via, pur con qualche difficultà non piccola. Vi stava ancora un maestro di salnitri; e perché io volevo servirmi di queste piccole istanzette per certi mia buoni lavoranti todeschi, questo ditto maestro di salnitri non voleva diloggiare; e io piacevolmente piú volte gli avevo detto che lui m’accomodassi delle mie stanze, perché me ne volevo servire per abituro de’ mia lavoranti per il servizio del Re. Quanto piú umile parlavo, questa bestia tanto piú superbo mi rispondeva: all’utimo poi io gli detti per termine tre giorni. Il quale se ne rise, e mi disse che in capo di tre anni comincierebbe a pensarvi. Io non sapevo che costui era domestico servitore di madama di Tampes: e se e’ non fussi stato che quella causa di madama di Tampes mi faceva un po’ piú pensare alle cose, che prima io non facevo, lo arei subito mandato via; ma volsi aver pazienzia quei tre giorni; i quali passati che e’ furno, sanza dire altro, presi todeschi, italiani e franciosi, con l’arme in mano, e molti manovali che io avevo; e in breve tempo sfasciai tutta la casa, e le sue robe gittai fuor del mio castello. E questo atto alquanto rigoroso feci, perché lui aveva dettomi, che non conosceva possanza di italiano tanto ardita che gli avessi mosso una maglia del suo luogo. Però, di poi il fatto, questo arrivò; al quale io dissi: - Io sono il minimo italiano della Italia, e non t’ho fatto nulla appetto a quello che mi basterebbe l’animo di farti, e che io ti farò, se tu parli un motto solo - con altre parole ingiuriose che io gli dissi. Quest’uomo, attonito e spaventato, dette ordine alle sue robe il meglio che potette; di poi corse a madama de Tampes, e dipinse uno inferno; e quella mia gran nimica, tanto maggiore, quanto lei era piú eloquente e piú d’assai, lo dipinse al Re; il quale due volte, mi fu detto, si volse crucciar meco e dare male commessione contro a di me; ma perché Arrigo Dalfino suo figliuolo, oggi re di Francia, aveva ricevuto alcuni dispiaceri da quella troppo ardita donna, insieme con la regina di Navarra, sorella del re Francesco, con tanta virtú mi favorirno, che il Re convertí in riso ogni cosa: per la qual cosa, con il vero aiuto de Dio io passai una gran fortuna.