La zecca di Bologna/Capitolo II

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CAPITOLO II.


La zecca nei periodi di Giovanni I Bentivoglio, dei Visconti, dei papi, di Sante Bentivoglio — Giovanni II Bentivoglio — Locazioni della zecca — L'incisore dei conii Antonio Magnani — La battitura del 1476 — Il corso delle monete a Bologna nel sec. XV — Il pri- vilegio dell'imperatore Massimiliano a Gio. II di coniar moneta — Le zecche bentivolesche di Covo e Antignate — Falsificatori e tosatori di monete nel sec. XV.


Il secolo XV è il più interessante per la nostra illustrazione, sia per l’abbondanza delle notizie documentate, che per il fatto di essere il secolo aureo per la numismatica, come per gli altri rami dell’arte italiana.

Nel 1401, ai 27 di febbraio, Giovanni I Bentivoglio, appoggiato dai suoi, dopo un combattimento in piazza, aveva occupato il palazzo della Signoria di Bologna e si era fatto nominare magnifico e potente signore. Il periodo che seguì fu tra i più tristi della storia cittadina: Bologna, divisa in Scacchesi e Maltraversi, non tollerò il nuovo giogo da cui la liberò, dopo un solo anno di signoria, l’esercito di Giangaleazzo Visconti: questi ricuperò così la città tolta già alla sua casa dal cardinale Albornoz. Giovanni perdette, col potere, la vita, nella battaglia di Casalecchio.

Del breve periodo del primo Bentivoglio, si conosce un rarissimo bolognino d’oro e un denaro, mentre l’officina era affittata a un Antonio da Montone.

Da un registro per le estrazioni delle monete, del 1401 e seguenti, rileviamo che di quei bolognini d’oro ne andavano 102 per ogni libbra di peso, secondo la lega bolognese, e di quelli d’argento ne andavano da prima lire 14 e soldi 9 per ogni libbra [p. 458 modifica]di peso e tenevano once 9, denari 22 di argento fino per libbra, mentre nel 1402 ne andavano lire 14 e soldi 10 e tenevano (a detta degli assaggiatori) once 10 di argento fino1. Questa differenza di peso nella stessa moneta a distanza di un anno solo ci prova una volta di piiì quanto fosse imperfetta la tecnica della fabbricazione delle monete nel medioevo, con gran fortuna de’ tosatori e falsificatori. All’estrazione delle monete eran presenti i difensori dell’avere e dei diritti della Camera o uno da essi delegato, il difensore della società del cambio della città, tre cambiatori, il rettore della società degli orefici con uno o pili membri della società, e uno de’ soprastanti alla zecca. L’officina, in quel tempo, era ancora in una casa della parrocchia di Santa Tecla di Portanuova.

Alla morte di Giangaleazzo Visconti la duchessa Caterina, vedendo sfasciarsi il suo stato, venne ad accordi e cedette la città alla chiesa (1403). A Innocenzo successo papa Gregorio XII, di casa Correr di Venezia (1406-1409), si coniarono nuove monete di rame. Ai 10 dicembre 1406 il Legato ordinava che, causa la riduzione successiva dei piccoli che reclamava una moneta spicciola più grossa, si coniassero nuove monete da due denari, dette quattrini (perchè a imitazione di quelli di Milano che ne valevano quattro), portanti l’imagine di S. Petronio da l’un lato e le chiavi decussate dall’altro.

La scarsezza di documenti per questi primi decenni del secolo ci vieta di entrare in particolari sulle battiture precedenti al periodo di Eugenio IV. È noto che la storia cittadina bolognese di quel [p. 459 modifica]tempo è piena di lotte intestine e vicende tristi. Sollevazione della plebe a mo’ dei Ciompi (11 maggio 1411), deposizione dei magistrati e distruzione della fortezza di Galliera, rivincita e ritorno dei nobili, ricaduta la città sotto i pontefici (14 agosto 1412). Nuove rivolte poco dopo ed elezione della città a repubblica, con a capo Antongaleazzo di Giovanni Bentivoglio (1420): rinacquero le vecchie fazioni sotto i nomi di bentivolesca e cannesca. Finalmente la città ricadde sotto la chiesa, governata allora da Martino V (Colonna 1417-1431). Del 2 ottobre 1412 ci rimangono i capitoli relativi agli ufficiali deputati al cumulo delle monete dal Comune, approvati dal luogotenente del Legato2. Al breve periodo di libertà appartengono probabimente alcuni bolognini d’argento, senza alcun segno di signoria, che descriveremo a suo luogo. Ai primi anni del governo di Martino V vanno ascritte invece le monete d’argento col motto BONONIA MATER STVDIORVM e le chiavi decussate poste fra una colonna coronata e un leoncino, pubblicate dal Bellini.

Eugenio IV (Condulmiero, 1431-1447) nel periodo in cui tenne Bologna battè monete d’oro, d’argento e di mistura: le prime fatte a mò di zecchini di Roma, le seconde, i grossoni, con S. Pietro e S. Paolo ben note. Di queste coniazioni rimangono esemplari e memoria in un bando3 e i nomi dei [p. 460 modifica]coniatori Vicizosco (?) e Tommaso Lodovici per una coniazione di L. 5000 in un mandato della Tesoreria (Giornali 1437 1° sem. 27 febb.).

Nel maggio del 1438 altre sorprese nella disgraziata città. Favorito da molti cittadini che preferivano la signoria del Visconti a quella troppo severa del legato, Francesco Piccinino entra in città colle truppe milanesi, saccheggia il palazzo pubblico mal difeso dalle scarse truppe del papa, s’impadronisce del Castello di Galliera e proclama la signoria del Visconti sopra il bolognese4.

A questo tempo appartengono probabilmente alcune monete bolognesi d’argento e di mistura coll’impresa viscontea da un lato.

Le angherie e le violenze raddoppiarono sotto il nuovo governo e a desolare la città si aggiunsero le lotte, fino allora assopite ma non spente, delle fazioni. La parte bentivolesca, numerosissima, pose le sue speranze su Annibale, figlio naturale di Antongaleazzo e che militava allora sotto l’Attendolo: questi venne e s’impadronì della città (1443). Ma i Canetoli, partigiani dei Visconti, insorti a ribellione, pugnalarono Annibale e misero a sacco la città. La vittoria rimase ai bentivoleschi che si elessero a capo Sante Bentivoglio, il quale prese il primato della città a 22 anni (1446). Questi fu uno dei mighori signori di Bologna: acquetò le fazioni e definì la lunga controversia col papato mediante i capitoli approvati da Nicolò V e che fissarono il limite fra il potere [p. 461 modifica]pontificio e le franchigie municipali (22 agosto 1447). La signoria di Sante, che durò 16 anni, nominalmente dipendeva dalla chiesa. Le monete di questo periodo fino al suo successore Giovanni II portarono quindi l’arma del pontefice e le sue insegne.

A garantire il buon andamento dell’officina monetaria il legato pontificio si riservò per l’avvenire la nomina di un suo rappresentante che si trovasse presente all’estrazione delle monete d’oro, d’argento e di rame5.

Di un progetto di coniazione nel 1449 ci lasciò ricordo il Zanetti (ms. 6 — VI I strumenti di Zecca) che trascrisse un atto del 24 ottobre di quell’anno che qui riassumiamo:

I. 16 Riformatori, considerando il gran pregiudizio per l’ommissione fatta in passato di batter moneta, massime per l’abuso grande d’essersi introdotte monete forestiere di lega inferiore ed a prezzi incongrui al loro intrinseco, deputarono soprastanti alla Zecca Nicolò Sanuti e Bartolomeo di Mino Rossi per anni cinque dal 1 gennaio 1450 coi patti e capitoli seguenti:

Che nessuno fuori dei due detti potesse batter o far batter monete.

Che la Camera fosse obbligata a pagare la pigione d’una casa atta alla Zecca.

Che si deputasse un Guardiano e il soprastante da salariarsi dalla Camera di Bologna che gli somministrasse anche il sale necessario a 20 soldi la corba.

Che si dovessero battere bolognini alla lega usata cioè a oncie 9 o denari 22 e avere denari due di peso per libbra di tolleranza; e i quattrini a once una e denari 22 e avere denari due per libbra di tolleranza. E che dei bolognini ne andassero alla libbra di peso L. 17.4 che sono all’oncia a ragione di soldi 28 1/2 e avere soldi due di bolognini per libbra di peso di tolleranza. E che tutti i bolognini e quattrini dovessero essere di peso bene ordinati. E che di quattrini ne [p. 462 modifica]dovesse andare alla libbra di peso L. 3.18 e avere soldi 2 per libbra di peso di tolleranza.

Che non si potesse estrarre dalla città o contado di Bologna oro o argento in verga e monete forestiere, ecc., che pel transito di argento in verga o monete forestiere occorresse il permesso dei due detti sovrastanti; che chi volesse mettere argento in Zecca pagasse per libbra lordo di peso soldi 12 di fattura e soldi 6 di affinatura, ecc.

Che si battessero piccoli alla stampa usata e alla lega dei quattrini che ne andassero L. 3.19, alla libbra di peso con denari 2 di tolleranza e soldi 2 di tolleranza per libbra.

Che dopo due mesi da tal battitura si bandisse la moneta forestiera che non fosse della bontà della bolognese. Che si pagasse il salario di L. 7 il mese a un garzone per stare continuamente sopra i maestri di Zecca. Che dei bolognini ne andassero all’oncia soldi 29. I bolognini d’oro che si batteranno essendo di bontà, lega e peso dei due Veneziani come tali si spendessero (Appr. 21 genn. 1450).


E qui incominciamo ad avere notizie degli incisori delle monete. Tra le denunzie dei forestieri che venivano a domiciliare a Bologna, sotto le date 4 marzo e 6 aprile 1451, troviamo i nomi di Pietro di Bertolino Maestri da Reggio, incisore di monete e di Nicolò di Francesco Ferini da Firenze maestro di Zecca e pratico anche della tecnica perchè è detto nel documento ch’egli venne a Bologna per lavorare in Zecca6. Se però costoro furono realmente applicati subito all’officina, l’opera loro dev’essersi limitata a raccomodare vecchi ponzoni o tutt’al più a rifare quelli per qualche moneta piccola, perchè del 1° periodo di Sante Bentivoglio non conosciamo moneta d’oro o d’argento e quelle attribuitegli da qualcuno sono invece del tempo di Giovanni II, come ci assicurano i capitoh, che riporteremo a suo luogo. Nel 1455 erano bensì maestri di Zecca un Benedetto di Antonio del Montone e Bartolomeo Mino Rossi tra i [p. 463 modifica]quali era insorta certa questione relativa a monete coniate7, ma non è chiaro se si trattasse di coniazioni recenti e dell’officina bolognese. Frattanto a Bologna avevano corso monete forestiere di ogni sorta e un bando del 1° luglio 1459 prescriveva che non si potessero spendere i nuovi pecchioni dalla palma di Milano per più di otto quattrini l’uno e i bolognini marchesani per più di cinque8.

Pochi mesi prima della morte di Sante Bentivoglio si affittava la Zecca a Lodovico Canonici orefice bolognese, che s’impegnava a coniare bolognini d’oro e d’argento9. E sono di questo secondo periodo di Sante Bentivoglio alcune monete che rimangono corrispondenti alle descrizioni incluse nei capitoli: sono poche perchè, pochissimo tempo dopo, la locazione, in causa della improvvisa morte di Sante, fu ripetuta con altri capitoli e con altre persone. Oltre la nomina del Canonici fu fatta quella dei sovrastanti nelle persone di Giovanni Guidotti e Giovanni Bianchetti e di un terzo, (di cui ignoriamo il nome) scelto dal legato: al custode Carlo Bargellini si assegnarono L. 5 mensili. Si stabilì (secondo una consuetudine comune ad altre Zecche italiane, che trova spiegazione nella diffidenza dei tempi giustificata dalle frequenti adulterazioni e asportazioni delle monete) che il luogo dell’officina sarebbe stato scelto dal Comune in luogo centrale e facile a sorvegliarsi. Le coniazioni del 1463, da farsi dal Canonici, comprendeva bolognini d’oro, bolognini d’argento grandi e piccoli, quattrini e denari piccoli.

I bolognini d’oro dovevano essere stampati «che da uno lado li sia suxo sam pietro apostolo in piedi [p. 464 modifica]cum litere intorno che dicano Sanctus petrus apostolus con doe arme pichole da i piedi zoe del populo e del legato. Et da laltro lato uno Lione dritto cum le bandiere de la croxe overo cum larma del papa cum litere intorno che dicano Bononia docet. Su li quali ducatj siano arme del papa et de monsignore e signi de li maestre de ceche (sic) posti in luogo dove dicano li soprastanti predictj. „ Il peso sarebbe stato di 18 carati: ne sarebbero andati alla libbra 103, la lega di 23 car. e 3|4; la mercede ai locatari era fissata in soldi 38 per ogni libbra di peso nel caso che qualche privato portasse oro in zecca.

I bolognini piccoli d’argento dovevano esser stampati così: «da un lato li sia intorno scripto e stampato Bononia cum la dieta · A · in mezo et da laltro lato li sia intorno scripto docet et nel mezo li sia uno lione dricto cum la bandiera de la croxe nelle zampe denanzi» (e una nota in margine aggiunge: «overo che da un lato dicha Bononia, e da laltro dicha mater studiorum»). Ne sarebbero andati «a la unza di pexo al più bolognini 34 et ala libra di pexo bolognini trecento novantasie " alla lega di once nove e cinque sesti di argento fino per libbra di peso con un sesto di rimedio per libbra.

I bolognini grossi d’argento dovevano «essere stampatj di queste insegne zoe da uno lato li debia essere scolpito Sam Petronio cum la città de Bologna in mano e de intorno li siano queste littere: Sanctus Petronius Bonon. epischopus cum duj circulj intorno. Et da laltro lado li debia essere uno lione cum la bandiera comò ha el bolognino doro cum littere intorno che dicano Bononia mater studiorum cum duj circulj dintorno.» Tali grossi valevano quattro bolognini d’argento.

I quattrini sarebbero stati alla lega di once una e denari 22 di argento fino per libbra di peso e [p. 465 modifica]once 10 e denari 2 di rame con rimedio di 2 denari d’argento fino per libbra10. Con tali impronte: «da un lado li sia sam Petronio a sedere cum duj circulj intorno cum littere che dicano Sanctus Petronius et da laltro lado li debia essere le chiave in croxe cum duj circulj intorno a le diete chiave cum littere che dicano de Bononia

I denari piccoli sarebbero pure stati alla lega di oncia una e denari 22 di argento fino per libbra di peso e once 10 e denari 2 di rame con rimedio di 2 denari d’argento fino per libbra. Le impronte sarebbero state: «da uno lato li sia larma del comune de Bologna zoe larma cum la croxe e gigli cum duj circulj intorno la dieta arma cum littere che dicano Bononia et da laltro lato debia essere uno Lione dricto cum la bandiera del comune cum la croxe dentro et cum duj circulj intorno cum littere che dicano Bononia docet»11.

II contratto di locazione prosegue prescrivendo l’obbligo pel Canonici di tenere un registro gelosamente custodito per notarvi la quantità d’oro e argento che entrerebbe o sortirebbe dall’officina: di pagare i garzoni: di custodire sotto chiave in una stanza sorvegliata da un custode i ponzoni: e stabilisce i particolari relativi al saggio delle monete, alle richieste dei privati, all’esenzione dai dazi da parte del locatario per introdurre in città oro e argento in materia prima, ecc. Poco dopo una grida stabiliva che si era fissato che i nuovi bolognini d’oro sarebbero del peso di 18 carati cum dimidio e che i denari piccoli dovrebbero essere spesi e accettati [p. 466 modifica]dai dazieri, e dai gabellieri coll’aggio di 20 denari per libbra d’argento12.

Il Canonici però non si attenne sempre alle condizioni stabilite. Nel giugno dello stesso anno, appena incominciata la battitura, gli assaggiatori riferivano che 83 libbre di denari piccoli erano stati trovati calanti, perchè alla lega di un’oncia e soli denari 19 e 3|4. Per quella volta si permise che le monete sortissero ugualmente di zecca, nonostante ciò che era prescritto, ma si condannò il maestro di zecca a pagare 40 soldi alla fabbrica di S. Petronio13.

Questa coniazione dunque è uguale a quella del successivo 1464 e perciò abbiamo voluto intrattenerci nei particolari del contratto. Quanto ai prodotti delle due battiture, il lettore ne troverà le descrizioni in seguito.


Sante Bentivoglio moriva il 1° ottobre 1463 e veniva eletto a suo successore Giovanni II, figlio di Annibale, che prese il titolo di Gonfaloniere di Giustizia, massima carica dello Stato14. Solo in seguito Paolo II lo nominò presidente a vita dei Riformatori, (nei quali fin dal 1447, pe’ famosi capitoli di Nicolò V era stata trasfusa tutta l’autorità del governo bolognese, e il loro numero fu portato a 21, pur essi a vita, e divisi in due sezioni che governavano alternativamente per 6 mesi).

Il periodo di Giovanni II, gran mecenate e che non trascurava occasione per atteggiarsi a padre della patria, (sull’esempio dei signori della vicina Ferrara, dalla quale chiamò artisti a schiere per far rifiorire in Bologna l’arte e specialmente la pittura, sulla quale sorse presto gigante Francesco Francia) è [p. 467 modifica]d’interesse speciale anche per noi e non fu considerato ancora sotto l’aspetto che ci siamo proposti.

Troveremo di quel periodo una produzione di medaglie e monete veramente eccezionale: cosichè pèlla loro finezza e bellezza questi prodotti, sparsi nelle nostre collezioni, possono stare a confronto colle migliori cose del genere del rinascimento. L’abbondanza dei documenti e le notizie di nuovi incisori di questo periodo porgeranno quindi, lo speriamo, non piccola ragione di soddisfazione ai cultori degli studi numismatici.

Al principio della signoria di Giovanni II venivano pubblicate alcune gride: una contro quelli che portavano oro e argento non monetato fuori di Bologna: un’altra che prescriveva che si bandissero dagli scambi monete basse forestiere: una terza che ordinava che i fiorini del Reno non si potessero spendere nè ricevere per più di 42 bolognini purché di buon conio e di peso di 18 carati e 2/3 15.

Il contratto di locazione della zecca del 4 aprile 1464 per cinque anni ai mercanti cittadini Paolo di ser Marco de’ Lupari e Giovanni di Boncompagno Federici è stato pubblicato dall’Argelati e non differisce in sostanza da quello dell’anno precedente, di cui ci siamo intrattenuti. È anch’esso in italiano, meno il proemio, il titolo dei primi capitoli e la sottoscrizione del cancelliere16. Le monete e le [p. 468 modifica]relative impronte rimasero le stesse stabilite l’anno prima. Seguirono altre gride d’indole varia: per limitare il valore dei pecchioni milanesi, in corso a Bologna, a otto quattrini l’uno: per comminare pene ai falsificatori e tosatori di monete, sempre numerosi qui, come dovunque: per stabilire che le monete tosate si dovessero accettare per 1/3 di meno del valore solito e che i ducali veneti fossero ridotti a soldi 57 e i fiorini a 56 (11 ottobre 1470): i grossi fiorentini e i grossetti del cavallotto essendo stati riconosciuti di non giusto peso furono messi a soli 20 quattrini i primi e a nove i secondi (2 dicembre 1473).

Allo scadere del termine fissato coi due locatari, il contratto, nel 1468, fu rinnovato coi medesimi17, ma per un termine minore, perchè il 2 novembre 1472 si cedeva l’officina a Lodovico Canonici che questa volta l’assumeva a nome dell’intera società degli orefici. Questi si affittarono la zecca per cinque anni e s’impegnarono a coniare alla solita stampa e lega per cento fibre di monete d’oro fino ogni anno e trecento d’argento: quanto alla moneta bassa ne avrebbero coniato quello che sarebbe ritenuto necessario: avrebbero scelto il locale dell’officina in luogo pubblico e al soprastante avrebbero dato un soldo per ogni libbra di moneta d’oro coniata, e denari sei per ogni libbra d’argento, oltre la provvigione assegnatagli dal Comune: in caso di guerre, malattie contagiose o altre disgrazie avrebbero, (secondo l’uso) abbandonato la zecca e si sarebbe dichiarato sciolto il contratto. Questa ultima riserva trova la ragione nel fatto che in quei tempi una città colpita da uno di quei flagelli, allora tanto comuni, veniva a trovarsi isolata e abbandonata dalle popolazioni finitime e tanto più dalle classi [p. 469 modifica]commerciali e dai mercanti forestieri che apportavano il loro oro alle zecche per cambiarlo in moneta. Un foglio aggiunto a quello da cui riassumiamo i capitoli accettati dagli orefici contiene alcune altre clausole d’indole generale, relative al maestro dei conii, che sarebbe stato homo sufficiente e pratico cum bone sigurtade, agli assaggiatori, alla decisione da lasciarsi al rettore dell’arte degli orefici in casi di controversie sulle coniazioni, ecc.18. Quanto al compenso fu poi stabilito che i locatari avrebbero ricevuto soldi 22 per ogni libbra di moneta d’oro coniata, soldi 11 per ogni libbra di moneta d’argento e di denari piccoli.

Il Canonici, orefice bolognese della cappella di S. Tomaso del Mercato, fu artista certamente di valore perchè servì più volte il Comune e i privati in oggetti d’arte. Pochi anni dopo aver assunta la zecca, egli era scelto dagli Anziani per fabbricare un bronzo e un bacile d’argento da presentarsi a Giovanni della Rovere19. Ma è noto che la tecnica dell’incidere i ponzoni per fabbricar monete richiedeva una pratica diversa da quella dell’orefice, fosse anche medaglista: questi fondeva i suoi prodotti, il magister cuneorum incideva varii ponzoni dai quali ricavava l’intero conio e il lavoro era altrettanto geloso che difficile20. Ciò spiega perchè anche questa volta il Comune affidò, con contratto 4 novembre 1472 di cui rimane l’originale, la parte tecnica nell’officina monetaria ad Antonio di Battista Magnani che il documento chiama «virum habilem, aptum, idoneum, praticum, et expertum » nella coniazione [p. 470 modifica]delle monete. Ce ne sarebbe d’avanzo per riconoscere a prima vista in questi l’artista che alcuni anni dopo fabbricava i bei conii dei bagattini per la zecca di Reggio-Emilia insieme a Giacomo Martelli21 se il fatto d’esser ricordato come figlio di Marco in una lettera del Martelli ai sovrastanti reggiani, non ci lasciasse in dubbio. Il fatto di trovare che in entrambi i casi abbiamo presente un incisore di conii, e collo stesso nome e cognome ci lascia supporre che ci troviamo realmente di fronte alla stessa persona e che l’errore del patronimico possa ascriversi al Martelli.

Senza insistere sulla questione ricorderemo che l’Antonio di Battista Magnani, ricordato nell’atto 4 novembre 1473, aveva due fratelli, Matteo e Giacomo, che lo aiutavano nel lavoro. Per allora essi non rifabbricarono di pianta nuovi conii perchè per alcuni anni le impronte non furono mutate e si seguitò a battere colle solite di cui parlammo.

Nel maggio del successivo anno 1474 i soprastanti alla zecca ricevevano dal Comune tremila lire, da servire per l’acquisto della materia prima per la battitura iniziata22.

Ed ora veniamo al grande mutamento ideato nel regime monetario di Bologna nel 1476, il più notevole certamente in quel tempo, di cui e la mancanza fin qui di documenti e di alcuni prodotti, tra cui i doppi ducati d’oro allora per la prima volta ordinati, furon certo le ragioni principali del silenzio degli storici e degli studiosi sull’argomento.

Ne trovammo i lunghissimi e dettagliati capitoli in un fascicolo di 15 pagine di carattere minutissimo: portano l’indicazione sola dell’anno: 1476. Il [p. 471 modifica]fascicolo è del tempo, benché lo scritto non sia che una copia. Non vi è nominato il nuovo locatario perchè evidentemente il documento doveva avere carattere di perpetuità ed ha tutte le forme di un vero decreto destinato a rimanere. 11 fatto che alcuni prodotti di quella progettata monetazione non rimangono, lascia sospettare che dessa non sia mai stata realmente effettuata e che il documento che abbiamo dinnanzi non rappresenti appunto altro che un progetto. Certo è che non molto tempo dopo si eseguì una diversa battitura di cui descriveremo i prodotti. Ad ogni modo crediamo necessario esporre sommariamente nelle sue linee generali il progetto del 1476, di molto interesse per la storia della moneta nel quattrocento.

I capitoli comprendevano la coniazione di bolognini d’oro, doppi bolognini d’oro, bolognini d’argento, grossi da due bolognini d’argento, grassoni d’argento da soldi quattro, mezzani o mezzi bolognini da sei denari piccoli, piccoli e quattrini. I bolognini d’oro erano in tutto uguali ai precedenti della coniazione del 1463.

I doppi bolognini d’oro o doppi ducati avrebbero portato da una parte le figure del S. Petronio seduto colla città in mano e le parole sanctus Petronius de Bononia episcopus " cum duj circulj intorno cum la soa granadura de fuora „: e dall’altra parte il solito leone rampante collo stendardo comunale " in uno compaso „ e intorno il motto Bononia mater studiorum " cum li soi doj circulj de intorno. „ Ne sarebbero andati " a lunza de pexo quatro e sete ventequatroeximi zoe 4 7/24 a lunza de pexo e pixi trenta sete e ventinove cintotrieximi luno carati 37 29/103 et che ne vada a la libra de pexo cinquantauno e mezo de numero e che vagha luno ducatj duj doro da Bologna. „

[p. 472 modifica]I bolognini d’argento avrebbero avuto tali impronte: da un lato la. parola Bononia colla lettera A finale nel mezzo " cum duj circolj de intorno cum la soa granadura „ e dall’altro il leone rampante collo stendardo comunale e intorno il motto mater studiorum. La lega era la solita di once nove e 5/6 di argento fino per libbra ma ne andavano " a lonza de pexo al più trenta trj bologninj et a la libra ne va da quatrocentotrentaduj al più. „

I bolognini grossi dovevano avere da un lato il Santo a sedere e le parole Sanctus Petronius all’intorno: dall’altro il leone rampante col vessillo entro uno compasso e il motto Bononia docet con due circoli e la granatura.

La lega era la stessa dei bolognini piccoli " e che ne vada a lunza de peso desesete (17) e mezo e pixi luno caratj nove e uno setimo e che ne vada a la libra de pexo doxento diexe in fino in undexe al più de numero e vaglia luno bolognini duj d’argento. „

I grossoni d’argento da soldi quattro portavano: da un lato il S. Petronio seduto colla città in mano e intorno la frase Sanctus Petronius Bononia episcopus con due circoli e la granatura e dall’altro lato un leone rampante col vessillo comunale e il motto preferito Bononia mater studiorum con due circoli e la. granatura. La loro lega era la stessa dei bolognini piccoli, avvertendosi " che ne vada a lunza de pexo otto e trj quarti e pixi luno caratj desedoto (18) e duj setimj, che ne vada a la libra di pexo centocinque de numero insino in centocinque e mezo al più, che vaglia luno bologninj quatro de argento „ ecc.

I mezzani da mezzo bolognino l’uno (6 denari piccoli) avrebbero avuto questa stampa; da un lato il Bononia coll’A finale nel mezzo come nei bolognini [p. 473 modifica]descritti e dall’altro il solito leone rampante colla bandiera e intorno la parola docet con due circoli all’ingiro e la granatura. La lega era la stessa dei bolognini e ne andavano " a lunza de pexo al più setanta oto de numero e non più ma si . . . . . (sic) e a la libra novecento trentasej mezanj de numero. „

I piccoli avevano le stesse impronte di quelli della battitura del 1463 " a la lega de una onza e denari dodexe de argento fino per libra de peso e unza diexe di dodexe di ramo senza remedio alcuno zoe che tiegna almeno unza una e mezo de argento fino per libra di pexo. „ Ne andavano alla libbra L. 4, s. 6.

I quattrini avevano pure le stesse impronte di quelli antichi " a la liga de unza una d. vinte per libra de argento fino zoe unza una e cinque sextj de argento fino per libra de peso e unze diexe e de. quatro de ramo. „ Ne andavano alla libbra L. 4, s. 19 1/2 al più23.

Di tali monete non rimangono nelle principali collezioni quelle con impronte nuove, allora progettate: le altre sono comuni a quelle della coniazione del 1463. Per questo ci pare che il nostro sospetto che la coniazione progettata nel 1476 non abbia avuto luogo o almeno interamente, non manchi di fondamento. Ne le notizie che stanno tra questa data e il 1489, epoca di nuova coniazione, accennano affatto alle nuove monete. Certo è invece che si continuava a stampare moneta bassa pei bisogni continui del commercio, perchè un ordine del 24 dicembre 1479 stabiliva che si distruggessero i quattrini ultimamente sortiti di zecca, perchè mal eseguiti e si rifacessero24. Sappiamo inoltre che in quegli anni in Bologna correva molta moneta ferrarese25.

[p. 474 modifica]E qui diamo luogo a un’osservazione che vien naturale dall’esame dei documenti del tempo. In mezzo a tante disposizioni sulle battiture delle monete e sul loro corso non troviamo nessun accenno a quella giurisdizione che la Chiesa si era riservata su tutti i rami della pubblica amministrazione, compresa l’officina monetaria, ramo importantissimo e fonte di lucro pei governi d’allora: giuridizione che Giovanni Bentivoglio stesso aveva riconosciuto al principio della sua signoria. E la ragione va trovata nella storia interna della città stessa e nel carattere della signoria che il Bentivoglio, uomo astuto come ce lo mostrano i documenti, aveva in suo pugno. Una tal signoria, potente più che non sembri, era basata sopra un partito estesissimo che riconosceva di fatto, mai di nome, nel suo capo un vero principe: la politica di questi consisteva nel conservare e rispettare in apparenza tutte quelle forme esterne di libertà cittadina che poche provincie avevano allora: il gonfaloniere di giustizia, i sedici Riformatori, divenuti in seguito ventuno, il formulario di libertà, ecc. Egli non voleva essere che prior tra i magistrati, ma in realtà egli era tutto e quelli non erano che sue creature. Da tale indeterminatezza dei confini delle reciproche guarentigie derivò la forza di Giovanni II, che prima che l’invasione di Carlo Vili gli facesse perdere il solito sangue freddo e la chiaroveggenza, governò sapientemente e seppe entrare in tutti i negozi importanti della penisola. Peccato che la perdita dell’archivio bentivolesco costringa gli studiosi a ricercare altrove la traccia di quel grande uomo di stato e mecenate, sicchè la sua figura non può sortirne così nitidamente scolpita come si vorrebbe!

Il potere della Curia romana su Bologna in quel tempo era quasi nullo: il legato non influiva per niente sulla pubblica amministrazione. È quindi [p. 475 modifica]naturale che anche nelle cose relative alla zecca non vi fossero contestazioni di sorta, nessuno potendo ostare agli ordini diretti del consiglio di libertà condotto da Giovanni. Questi, fedele al suo proposito ed ossequente a parole al pontefice, aveva rinunciato persino a far riprodurre la propria immagine nelle monete, il che gli sarebbe riuscito facile e a noi certo più gradito. Solamente più avanti, come vedremo, si valse di quella facoltà ch’egli, ghibellino d’idee e d’intedimenti, ottenne facilmente dall’imperatore Massimiliano.

Nell’ottobre del 1489 i Riformatori, dopo aver deciso di far coniare monete d’oro, d’argento e di rame, nominavano tre di loro per stabilire le modalità della nuova battitura. I capitoli furono presentati il 3 novembre, ma nemmeno questa volta, vi è ricordato il nome del nuovo appaltatore. L’officina fu ceduta per un triennio col patto che vi si coniassero trecento libbre d’argento di grossoni e grossetti, pagando alla Camera soldi due e denari due per ciascuna libbra: per l’oro (alla lega e stampe consuete) cinque soldi per libbra di peso d’oro lavorato, per quattrini e denari piccoli tre soldi per libbra. L’appaltatore avrebbe poi sborsate L. 100 a Giovanni Bentivoglio per pigione della zecca, e avrebbe presentate buone sicurtà26. Le coniazioni si succedevano dunque, con frequenza: ciò trova spiegazione nello sviluppo anche commerciale che Bologna andava prendendo, favorita dalla sua posizione che accoglieva lo sbocco degli scambi di quasi tutta l’alta Italia. Molte gride, l’una dopo l’altra, regolavano il corso delle monete di Venezia, Milano, Firenze, Genova, Siena, Ferrara, Mantova, Lucca, e [p. 476 modifica]vietavano ai forestieri di asportar l’oro da Bologna27.

Ricordiamo qui le principali gride pubblicate in quel tempo sul corso delle monete forestiere a Bologna:

una del 6 febbraio 1462 che regolava la valuta dei grossoni fiorentini e senesi e stabiliva che i pecchioni di Milano andassero in ragione di quaranta al ducato; un’altra del 4 dicembre 1473 che ordinava che per l’avvenire dei grossoni fiorentini e grossetti del cavalletto ne andassero uno per nove quattrini. Il 24 settembre 1474 si stabiHva tassativamente che le seguenti monete non si accettassero negli scambi che pei seguenti valori:

" li Grossoni de Milano da larma cum la testa per bolognini sei et dinari duj luno zoe . . bol. 6. d. 2 luno

" li Grossi de Sancto Ambruoso à cavallo per bol. quatro et den. sei luno zoe .... bol. 4. d. 6 luno

" li Grossi dalle Sechie per bol. duj et d. octo luno zoe bol. 2. d. 8 luno

" li Grossi da Santo Ambruoso cum li armati per bol. duj et dinarj sei luno zoe ..... bol. 2. d. 6 luno

" le monede vechie de Lombardia tose o non tose non vagliano et non siano se non per argento rotto

" li Graici bonj per octo dinarj luno zoe bol. o. d, 8 luno

" li Grossi fiorentinj bonj et non tosj per bol. trj et dinarj quatro bol. 3. d. 4 luno

" li Grossi ferraresi chiamati cavalitti per bol. uno et d. octo luno zoe ..... bol. i. d. 8 luno

" li tronj venetiani bonj et non tosi per bol. nove zoe . . . . . . . . . bol. 9 luno

" li mezi tronj et marcellj venetiani per bol. quatro et dinarj sei luno zoe „ . . . bol. 4. d. 6 luno28

C’interessa ricordarne una del 27 febbraio 1490 che stabiliva che per l’avvenire 14 grossoni, un bolognino e tre denari piccoli equivalessero a un ducato [p. 477 modifica]d’oro largo del valore di lire tre e soldi due e così s’intendesse di ventotto grossetti e un bolognino e tre denari piccoli, come di cinquantasette bolognini e tre denari piccoli, purché tutte le monete fossero al conio bolognese e ogni ducato fosse del peso di carati 24629.

Vedemmo che la zecca era stata data per tre anni a una nuova persona nel novembre 1489: ma per ragioni che ignoriamo, il contratto fu sciolto dopo un solo anno e l’ufficio, il 23 dicembre 1490, fu affidato per un triennio ad Ambrogio Serafini.

Questi si obbligava: a battere grossoni in ragione di 111 1/2 o tutt’alpiìi 112 per ogni libbra di peso, grossetti in ragione di 223 1/2 o 224 al più per libbra di peso o ducati d’oro nel caso che fossero richiesti da qualche privato che portasse oro in zecca:

di più quattrini e denari piccoli alla lega di once 1 1/2 per libbra di peso e ne andassero lir quattro e soldi dieci alla libbra: promettendo di battere col suo proprio argento detti grossoni e grossetti per una somma non minore di 500 lire: e lir cinquanta d’oro, di seguitare a pagare l’affitto del locale al Bentivoglio, ecc.30.

A questa coniazione ne seguì un’altra nel 1494, di quarti di ducati: 31 di questi più due grossetti avevano il peso di una libbra: 115 grossi d’argento del valore di soldi 40 d’argento pesavano una libbra: così 460 bolognini: e si sarebbero dovuti coniare almeno 1/3 in bolognini della somma totale31. Il locatario era di nuovo il Serafini, perchè i documenti ce lo ricordano ancora nel 1496.

In questo tempo Giovanni II, in ricompensa [p. 478 modifica]della sua lunga devozione e attaccamento alla causa dell’impero, riceveva dall’imperatore Massimiliano di Germania favori e privilegi, sui quali conviene che c’intratteniamo un poco. Con privilegio del 19 ottobre 1494 l’imperatore concedeva a Giovanni e al figlio di questi, Annibale, di essere annoverati fra i conti del sacro palazzo, dava loro facoltà di creare cavalieri, notai e giudici ordinari, di legittimare e nobilitare figli naturali (e Giovanni ne aveva parecchi), di aggiungere al proprio stemma l’aquila imperiale, di coronare d’alloro dottorale legisti, artisti, poeti e medici, e finalmente concedeva loro «facultatem cudendi seu cudi faciendi monetas in civitate Bononiae stampe, cunei, nominisque vestri ubicumque locorum cum omnibus juribus, privilegis, praeminentijs, exemptionibus, praerogativis, immonitatibus, quibus aliis tales fabbricatores et magistri monetarij in Imperialibus fabricis et cecchis vocentur et fruuntur32„. Il Bentivoglio si valse tosto del privilegio e fece battere le note monete con effigie e insegne proprie. Il Gozzadini aggiunge ch’egli nel 1497 fece fabbricare un palazzo destinato all’officina monetaria nel luogo medesimo ove sorge l’attuale fabbricato del 1578 circa. Ma nelle nostre ricerche non trovammo la riconferma di questa notizia: i contratti di appalto ricordano solamente che i maestri di zecca pagavano l’affitto della casa che occupavano al Bentivoglio e non è improbabile che l’officina fosse a poca distanza dalla piazza, nelle cui vicinanze era stata per tanto tempo, fin dal secolo XIII.

A quale artista appartengono le belle monete del periodo di Giovanni II?

Son note le parole del Vasari nella biografia [p. 479 modifica]del grande artista bolognese Francesco Raibolini detto il Francia: " ma quello di che egli si dilettò sopramodo e in che fu eccellente fu il fare conij per medaglie; nel che fu ne’ tempi suoi singularissimo, come si può vedere in alcune che ne fece dove è naturalissima la testa di papa Giulio II che stettono a paragone di quelle di Caradosso. Oltre che fece le medaglie del signor Giovanni Bentivoglio che par vivo.... Tenne continuamente, mentre che e’ visse, la zecca di Bologna e fece le stampe di tutti i conj per quella, nel tempo che i Bentivogli reggevano, ecc.33 „.

Solamente la scoperta di un documento che sembra assicurare che il Francia eseguì i conii a incominciare dal 1508 e non prima, pose in dubbio l’asserzione del Vasari, troppo facile ad accettare senza vagliarle le notizie sentite dire su gli artisti che non erano più del suo tempo34. Riporteremo il documento parlando delle coniazioni del tempo di Giulio II e frattanto aggiungiamo che alcune notizie che ricaviamo dai documenti venuti alla luce nelle nostre ricerche e che il fatto di non trovar mai ricordato il Francia nelle carte della zecca al tempo dei Bentivoglio sembrano confermare che almeno non tutte le monete bentivolesche si possono attribuire al Francia.

Nell’anno in cui Giovanni II fece battere le nuove monete colla propria effigie, la zecca era affittata ad Ambrogio Serafini che la tenne fin verso il 1497. Il locatario aveva probabilmente dato l’incarico al maestro dei conii, già a’ suoi stipendi, di lavorare per la zecca finche durasse la locazione e se il Bentivogho avesse imposto il Raibolini, i mandati ne [p. 480 modifica]farebbero cenno. Da un partito del 30 gennaio 1495 apprendiamo che l’orefice Pietro di Matteo dal Gambaro fu nominato ad cunium et ceccam per fare i saggi delle monete. Dovrebbesi ciò intendere nel senso che egli fabbricasse anche i conii? 35. Allo scadere poi del contratto col Serafini, nel 1498, la zecca bolognese fu ceduta per tre anni all’orefice Antonio Magnani, probabilmente fino allora incisore dei conii, già in tale ufficio molti anni prima che lasciò la sua iniziale in alcuni grossi di quei tempo e che anche per la zecca di Reggio aveva prestato l’opera sua, come vedemmo. Il Magnani si obligò a coniare per l’avvenire i ducati d’oro alla lega di denari 23 e 3/4 almeno, in ragione di denari 24 per oncia di oro puro e del peso di carati 18 e 6/13 almeno36. Ci rimane un rendiconto del 1495 da cui (oltre rilevarsi che dal Gennaio al 16 Maggio di quell’anno si erano coniate tante monete pel valore di ducati 10200) risulta che le paghe dei principali operai della zecca erano le seguenti, per ogni libbra di monete stampate:

per l’assaggiatore (Pietro di Matteo del Gambaro) s. 1
per gli operai addetti alle stampe s. 2
per l’operaio che eseguiva la battitura s. 1, d. 6
per l’incisore o maestro da le stampe s. 1 37.

Dopo che il Magnani ebbe assunta la zecca non si trova più cenno del maestro incisore dei conii, perchè egli riunì in se le due qualità di locatario e incisore, caso molto frequente allora e che nella stessa zecca Bolognese si ripetè dopo allora molte [p. 481 modifica]volte, come vedremo. Per tuttociò ci par dunque giusto ritenere che almeno una parte delle belle monete bentivolesche, cioè quelle coniate dopo il T49S si debbano all’orefice Antonio Magnani, artista i cui noti prodotti della zecca reggiana per finezza e bellezza dei ritratti possono ben stare a pari colle cose del Francia38. Era del resto il tempo in cui quasi ogni orefice era grande artista e solo la mancanza di notizie contribuì ad attribuire a pochi fortunati gran parte dell’opera d’altri contemporanei ignoti. Aggiungiamo che le nostre ricerche negli archivi bolognesi per appurare la paternità delle monete di Giovanni II non diedero che il risultato che abbiamo riferito, cosicchè propendiamo a credere che se pure il Francia fabbricò i conii di alcune, forse quelle bellissime del 1494 col Maximiliani imperatoris munus, non dovette eseguirli nel locale della zecca, ma nel suo [p. 482 modifica]studio o nel palazzo Bentivoglio e per incarico diretto e privato di Giovanni. Di tutte queste splendide monete, veri carnei, degni davvero del Caradosso, il lettore troverà le descrizioni più avanti.

Ed ora due parole sulla questione delle tanto discusse monetazioni che sarebbero state ordinate da Giovanni II in Lombardia, ne’ suoi feudi di Antignate e Covo. La questione fu trattata in uno scritto inserto nel Periodico di numismatica e sfragistica (Anno II, fasc. III) dal valente numismatico cav. Damiano Muoni. Egli la esaminò diligentemente, partendo da quanto avevano affermato il Muzzi, lo Schiassi, il Litta che principalmente ne scrissero, ma le sue ricerche in proposito non poterono approdare a nulla e finì coll’attenersi a quanto ne disse lo Zanetti nel ms. da noi ricordato, della biblioteca comunale di Bologna. Lo Zanetti, ripetendo vecchie affermazioni, scrisse infatti che il Bentivoglio «il 4 gennaio 1495, cominciò a stampare danaro facendosi fare i conii da Francesco Raibolini, detto il Pranza, orefice e pittore celebre bolognese e non solamente ne’ suoi castelli di Antignano e Covo, donatigli dal duca di Milano; ma eziandio come vogliono alcuni, in casa sua propria.» — Quanto all’intervento del Francia abbiamo già detto ciò che ne pensiamo: aggiungeremo che, per tutto quanto risulta dai documenti, dubitiamo forte che monete di Giovanni II siano state battute altrove che a Bologna, dove la zecca aperta e la facilità di ottenere bei conii non consigliavano certo il Bentivoglio a valersi fuori del proprio stato di quel diritto sovrano a cui, per ragioni politiche, egli teneva tanto.

Con queste coniazioni si migliorarono talmente le impronte che riuscì in seguito difficilissimo ai falsificatori e ai tosatori di monete imitarle o alterarle.

[p. 483 modifica]Infatti non si trova quasi più cenno di tale inconveniente nei documenti bolognesi posteriori al 1490. E ciò fu certamente di gran sollievo al governo e ai privati, fino allora afflitti da quella piaga, del resto comune a tutti gli stati d’Italia.

E prima di abbandonare per sempre questo argomento diamo una scorsa alle notizie più salienti che vi si riferiscono. I bandi contro i falsificatori o tosatori di monete furon sempre numerosissimi nel Medio Evo. Ma a Bologna il male fu più frequente o almeno più tollerato nel quattrocento: i provvedimenti per estirparlo restarono lettera morta finche nel 1472 i Sedici Riformatori decretarono il bando per quei malfattori, stabilendo inoltre che non si potesse far loro grazia se non si ottenessero per ciò in Consiglio almeno 11 voti bianchi sopra 1639. L’anno dopo si riformavano ancora le provvigioni dirette allo stesso scopo, tenendo sempre fermo il bando come pena principale. Ma i falsificatori di monete trovavano proseliti in tutte le classi sociali: artisti, commercianti, popolani, operai addetti all’officina. Non rifuggì dal ricorrere a questo mezzo ignominioso di lucro lo stesso Aristotile Fieravante, il celebre ingegnere ricercato da governi e da principi: nel Giugno del 1473, mentre era al servizio del papa, a Roma, fu arrestato, dietro denuncia di falsificazioni commesse tempo prima, e i Riformatori bolognesi stabilivano all’unanimità di privarlo dell’ufficio di ingegnere del Comune e del relativo stipendio40. Si pubblicarono nuove pene di bando promettendo grossi premi in denaro ai denunciatori e a chi consegnasse alla giustizia i falsari41. I quali non si diedero per vinti e molti andarono altrove a [p. 484 modifica]fabbricar monete al conio bolognese: il 21 Aprile 1477 gli Anziani scrivevano al Duca di Ferrara pregandolo di punire quelli che si trovavano nel suo stato42. Non essendo sufficienti le pene in vigore vi si aggiunse la tortura e nel 1479 pena ignis. Lo stesso Giovanni Bentivoglio pubblicava ripetutamente un avviso promettendo un premio di 50 ducati a chi fosse riuscito a catturare un falsario matricolato che da lungo tempo eludeva le ricerche più attive dei birri del podestà. Finalmente il colpevole fu agguantato, e il Bentivoglio gli fece pagare di sua borsa, come prima punizione, la somma promessa43. Altra volta fu scoperta una società di malfattori garzoni della zecca che sottraevano monete e furono tutti condannati44. Fu pubblicato un altro bando comminante una multa di 100 bolognini d’oro a chi fosse dichiarato reo di sbolzonare monete: metà di questa somma sarebbe andata al denunciatore45. Non finiremmo più se volessimo accennare ai casi anche principali, taluni dei quali curiosissimi, di cui trovammo memoria nelle serie di carte bolognesi del sec. XV.

Ma siccome tale argomento non interessa che poco a noi, incalzati da troppo lungo cammino, ci contentiamo di averlo ricordato nelle sue linee generali e proseguiamo nella nostra storia.

Dei primi anni del cinquecento ci rimangono, oltre le dichiarazioni dei saggiatori, (le poche di questa serie, quasi tutta mancante) i capitoli di una [p. 485 modifica]nuova locazione del 1502 in cui non è fatto il nome dello zecchiere: da quelli rileviamo che si batterono ancora le solite monete d'oro, d'argento e di rame ai soliti conii e lega46.

Più importanti sono i capitoli della successiva locazione del 30 giugno 1506. L'officina fu affidata a Napoleone Malvasia per cinque anni: egli prometteva di battere ogni anno (oltre le somme commesse da privati) libbre 500 di quarti, grossoni, grossetti e bolognini della lega consueta, e 20 d'oro; l'affitto dell'officina monetaria era portato a L. 120 annue, coi soliti obblighi di pagare operai, tagliatori, incisore, manovali, di tenere i registri in ordine ecc.47.

E quella fu l'ultima locazione del periodo bentivolesco.





Note

  1. Tutte le citazioni di documenti sottintendono per l’avvenire l’indicazione: Archivio di Stato di Bologna. Negli altri Archivi della regione, nei quali non mancammo di far ricerche, non trovammo quasi nulla.
  2. Comunale, Libro Fantaccini, c. 66 e 67.
  3. " Per parte del Reverendissimo in Cristo padre e signore Monsignore misser Daniel per la Dio gratia Vescovo di Concordia, Governadore de la cita contado e distretto di Bologna per la Santa Romana ghiesia e per lo Santissimo in Cristo padre e signor nostro Misser Eugenio per la divina providentia papa IV. Se fa noto e manifesto a tutte e zaschune persone che novamente se batte per ly condusedurj de la Cecha de Bologna Monede de Ariento a la liga de Bologna ly quali se chiamaran grosoni de papa ly quali hano da una parte la ymagine di misser Sam Petronio e de laltra parte le chiave cum larma del prefato santissimo nostro signore misser lo papa tra esse, e valeno e vole el ditto R.mo padre misser lo governadore che se spendano e debiani spendere per zaschuno in la ditta cita, contado e distretto de Bologna per dinari trenta de pizoli overo quindese quatrini de Bologna de moneda de ditti pizoli overo quatrini. Al nome de Dio e de Bologna. „ (Comunale, Uff.° di zecca. Busta 1.a Decreti).
  4. S. Muzzi, Annali della città di Bologna. Bologna, 1842, Vol. IV.
  5. Comunale, Partiti. Vol. I, c. 46, r.
  6. Arch. cit.
  7. Arch. notarile di Bologna, Rog. Domenico Amorini, 1455, 3 Nov. filza 8, n. 285.
  8. Arch. di Stato cit. Zecca, B. I. (Decrefi).
  9. Partiti, 1463, 9 febbraio, v. doc. VI.
  10. Da ogni libbra si ricavavano 4 lire ed 8 soldi al più cioè denari 960 più 96 che sono 1056, ma non è espresso chiaramente che ognuno ne debba contenere 2 e quindi che il loro peso debba essere doppio dei denari piccoli di cui si parla dopo.
  11. Zecca, loc. cit.
  12. Partiti, 5, v. 44, r.
  13. Ibid., c. 34, r.
  14. Gozzadini, Op. Cit.
  15. Partiti, 17 aprile, 19 maggio, 24 maggio 1464 e Zecca B. 1, (Decreti).
  16. F. Argelati, De monetis Italie, t. IV. Importanti osservazioni nel campo economico da questo documento posto a raffronto con altri pure relativi alla zecca bolognese trasse il prof. G. Salvioni nel suo scritto citato La moneta bolognese e la traduzione italiana del Savigny (Atti e Memorie della R. Dep. di Storia Patria per la Romagna, III serie, Vol. XII). Preziosissima vi è l’unita tavola della moneta bolognese dal 1191 al 1464 che crediamo utile tener presente anche pe’ nostri studi e che riportiamo in appendice.
  17. Alidosi, Operette, v. 3.
  18. Zecca. B. 3. (Locazioni, ecc.) e Archivio Notarile di Bologna, rog. Curialti Matteo, filza 1, n. 113.
  19. Mandatorum, 19, c. 135, v.
  20. Vedasi in appendice il doc. VII importante per conoscere la tecnica del coniar monete e dove sono enumerati tutti gli arnesi che a ciò occorrevano.
  21. F. Malaguzzi-Valeri, La zecca di Reggio Emilia. (Rivista italiana di numismatica. Anno VII, fasc. II-III-IV, 1894).
  22. Partiti, 7, c. 166, v.
  23. Zecca. B. 3.
  24. Partiti, 19, c. 163, v.
  25. Zecca. B. 2 (decreti, 1484, ecc.).
  26. Zecca. B. 3. (Affitti, ecc.).
  27. Zecca, B. 1. (Decreti).
  28. Zecca, B. 1. (Decreti).
  29. Partiti 11, c. 10, r. e Zecca. B. 1, (decreti).
  30. V. doc. VIII e IX.
  31. Partiti 11, c. 104, r. 13 febbr. 1494.
  32. G. Gozzadini, Memorie per la vita di Giovanni II Bentivoglio, pag. 106, ecc. e doc. LXII, ivi.
  33. Vasari, Vite. Ediz. Milanesi. T. III.
  34. L. Frati, Delle monete gettate al popolo, ecc.
  35. Alcuni anni prima, dal 1461 in poi, un m.° Corredino orefice coniava le perline (tessere) per la distribuzione delle farine ai poveri nel Natale (V. anche Mandati 19 dic. 1461, ecc.).
  36. Partiti, 20 dic. 1498, 11, c. 167, r.
  37. Zecca B. 1. (Decreti, ecc.)
  38. Ad escludere che, come qualcuno sarebbe disposto a credere, quelle monete bentivolesche potessero ritenersi opera di Sperandio da Mantova vale (oltre i documenti) la considerazione che nel 1494, quando incominciò quella battitura, Sperandio già da quattro anni non si trovava più a Bologna. L’ultimo suo lavoro in questa città fu la medaglia di Catalano Casali eletto Protonotario nel 1490. Dopo quest’anno non troviamo più sue tracce colà. Nelle nostre ricerche trovammo il suo nome tra i poveri, cui il Comune faceva elemosina nel Natale, negli anni 1486, 1487, 1488. Interessante è un documento che trovammo tra le Riformagioni del Comune, che riguarda Sperandio da Mantova e il Francia. Un Giacomo di Gillo, mercante di stoffe e velluti, si era fatto fare nel 1474 dal nostro Sperandio una medaglia portante da un lato l’effigie propria e il motto Iacobus Lilius bononiensis delitiarum specimen e dall’altro una ninfa suonante la cetra " cum certis adminiculis „ ornamentali e le parole effectu ut nomine potest: opus Sperandei, MccccLxxiiij. Quattro anni dopo l’artista non era ancor stato pagato, ed essendo insorta questione sul prezzo fra i due, la cosa fu portata innanzi agli Anziani che chiamarono ad arbitro il Francia: questi, il 21 agosto 1479, esaminò diligentemente la medaglia " et consideratis que considerando fuerunt „ ne fissò il prezzo in tre ducati d’oro larghi. (Arch. di Stato di Bologna. Com. Riformagioni, 21 agosto 1479). La medaglia non è ricordata nè dall’Armand, nè dall’Heiss, nè crediamo se ne conosca alcun esemplare.
  39. Partiti, 7, c. 81. r.
  40. Partiti, 7, c. 145, c. 167, v.
  41. Ibid. c. 178, e segg.
  42. Istrumenti e scritture: ad ann.
  43. Partiti, 8. c. 112, v.
  44. Zecca, (B, 1 Decreti, fascicolo senza data del sec. XV).
  45. Ibid. senza data. Per notizie su questo argomento vedi la serie dei Mandati dal 1462, 1467, 1472, 1473, 1474, 1481, 1486, ecc. come dall’indice.
  46. Zecca B. 3 (Affitti, ecc.).
  47. Partiti 12, c. 79, r. e Zecca B. 3 (Affitti, 1506)