Le campane (Poe-Ragazzoni 1896)

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Edgar Allan Poe 1849 1896 Ernesto Ragazzoni Indice:Garrone-Ragazzoni - Edgar Allan Pöe, Roux Frassati, Torino, 1896.pdf Le campane Intestazione 12 giugno 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Edgar Allan Pöe


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LE CAMPANE




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Pöe passò la primavera del 1849 a Lowel, e fu qui, in casa di un amico, che egli compose il suo famoso poema Le Campane, poema che una volta di più dimostra la versatilità del suo ingegno ed il suo talento di verseggiatore.

Le Campane hanno nell’originale un valore fonetico che nella versione non può essere interamente serbato, ed infatti le fantasticherie mirabili dell’autore sono qui così abilmente ricamate fra le combinazioni dei ritmi e dei suoni, così finamente intrecciate, che il lettore, a un certo punto, non sa più se lasciarsi guidare dalla magia della concezione o cullare dal fascino dell’armonia, finchè abbarbagliato davanti a quel miracolo di equilibrio poetico è costretto ad esclamare con Byron:

«One shade the more, one shade the less
Would half impair the nameless grace».

(Un’ombra di più, un raggio di meno avrebbero guastata quella grazia senza nome).

La storia di questo poema è curiosa. Nella sua forma e disposizione attuale non venne pubblicato che dopo la morte di Pöe: quando la prima volta fu dato alle stampe nel Sartain’s Magazine esso non constava che di 18 versi:

LE CAMPANE

(Canzone.)

     Oh le campane! senti le campane,
          le allegre campane nuzïali!
          e le campane piccole d’argento!
          Che melodia magica s’eleva
          da ogni pulsazione argentina

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     delle campane, delle campane, delle campane,
                                  delle campane!
     Le campane! Ah! le campane!
          le pesanti campane di ferro!
     Senti il rintocco funebre delle campane
               senti il rintocco! —
     Che tetra canzone squilla
                    dalla loro gola
             dalla loro gola profonda!
     Come rabbrividisce l’anima alle note
     che escon dalla gola malinconica
     delle campane, delle campane, delle campane
     delle campane, delle campane!1


È interessante studiare il progressivo sviluppo di una idea nella mente di un uomo di genio.

Pöe, lavoratore instancabile, paziente cesellatore di parole come il Flaubert, mai contento dell’opera propria, trovò che il suo lavoro, così com’era, non rispondeva [p. 207 modifica]pienamente alle esigenze del suo intelletto d’artista. Vi tornò sopra. Sei mesi dopo, inviava all’editore del Sartain’s Magazine una nuova edizione del poema, più ampliamente svolto, più finemente ritoccato; ma, non ancora soddisfatto, tre mesi più tardi inviava un’altra versione.

Fu l’ultima.

Era la vigilia della sua morte e colle Campane Poë aveva detto la sua ultima parola.




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Le Campane




I.


Oh! senti le slitte coi loro sonagli!
                         Sonagli d’argento!
                         Che pura allegria
effonde la loro festosa armonia
                         nel buio e nel vento!
E come essi squillano, tintinnan, tentennano
                         per l’aere sperso
intanto che gli astri dal cielo ne accennano
e pare che brillino d’un raggio più terso!
E ascolta! in cadenza, su un metro, su un unico
                         ugual ritmo runico
                         gli allegri tintinni
                         non quetansi mai!
                                   mai! mai!
               ma in inni, ma in inni
                         continui e gai
si levano, e un soffio par quasi sparpagli
per tutto, e sonagli, sonagli, sonagli,
per tutto un tintinno, un tinnir di sonagli!

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II.


Oh! senti le campane nuziali,
               Campane d’oro!
Che allegra sinfonia di madrigali
               lanciano in coro
               sul mondo!
E senti come alzandosi e abbassandosi
strepitando s’intendono e rispondono!
e come, a quando a quando, inebbriandosi
               di suoni, in un giocondo
crescendo si confondono e si fondono!
e dànno! dànno! dànno l’alma al suono!
Oh! quell’onda di note d’oro fuso.
               e tutte in tono,
               senti come in confuso
cogli olezzi si culla all’aria bruna,
               sotto la luna!
Ed ogn’eco a sua volta in rime strane
               ripete la gazzarra
               delle campane
                              e narra
                              contento
                              al vento
               l’incantamento
che stringe in questa raffica bizzarra
e campane, e campane, ognor campane
tanti osanna, tant’inni di campane!

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III.


Campane a martello! campane a martello!
               Campane di rame!
                         che orrende
                         leggende
               di stragi e di fame
nel rombo insistente del lor ritornello!
Com’atre, all’orecchio glacial della notte,
               ruinando dirotte
               a botte su botte,
raccontan la storia del loro spavento!
Ma troppo comprese d’orror per parlare
le tristi, intontite, non sanno che urlare
                         che urlare!
               che urlar fuor di tono!
e in un gareggiare feral col frastuono
del fuoco e del vento,
               l’un l’altre s’incitano,
               e come a un assalto
               s’addoppian; s’invitano
               più in alto più in alto!
                         più in alto!
               a spinte, su spinte,
quasi ebbre, nel folle terror d’esser vinte!
               di non poter mai,
                         mai, mai,
trovar pur un eco — pur uno — a quei lai!
E ascolta! Campane! Campane! Campane!
               Campane a martello!

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Il loro terror narra certo un immane
                         flagello!
Oh! come esse squillano, rimbomban, martellano!
               e appellano e appellano!
               e appellano aiuto!
               E al lor suono roco,
               al lor suono acuto
               l’orecchio distingue
il flusso e il riflusso lontano del fuoco!
               Se avvampa o s’estingue!
               Se crolla o se s’alza,
nel flusso e riflusso del nembo che incalza
               così le campane!
nell’ira che tanto martella, tempesta
                         le strane
                         campane!
               che grandina e pesta
campane e campane! campane e campane!
che stringe in un vortice orrendo ed immane
così tanto e tanto tonar di campane!


IV.


          Oh! il rintocco freddo e lento
          della squilla funerale!
                    Che agonia!
          che sottil malinconia
          in quel ritmo sempre uguale!
          Come piene di spavento,
          nel silenzio della notte,

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          le campane così rotte
          ci singhiozzano il memento!
          E ogni voce che s’invola
          dal metallo che hanno in gola
                    è un lamento!
          E i lontani, ohimè, i lontani
                    campanari,
          che, appiattati a lume spento
                    sugli arcani
          campanili solitari,
                    dànno al vento
                    simil voce,
          provan certo qualche atroce
          compiacenza a premer, tetri,
          sovra il cuor di tanti oppressi
          su quel metro lutulento!
          Ma gli ossessi — quegli ossessi! —
          non son donne! non son uomini!
          Niun li cerchi! niun li nomini!
                    Sono spetri!
          Ed è il re, il re lor, che volle,
                    volle — il folle! —
          intonare in così strane
          rime il suon delle campane!
          e cantarsi per diana
          (accentando il métro — l’unico
          métro — sovra un ritmo runico)
                    quel peana!
          quel peana di campane!
          È il re loro che vaneggia,
          che si dondola, folleggia

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          fra le corde, che dà al vento
                    quel lamento!
          quel lamento di campane!
          Ed ei strilla! ghigna! e in festa
          (mantenendo il métro — l’unico
          métro — sovra un ritmo runico)
          danza, ridda e mai s’arresta!
                    mai! mai! mai:
          tutto in giubilo a quei lai!
          a quei lai delle campane!
          Oh! il suo cuor si gonfia certo
          a quel requie, a quel concerto
                    di campane!
          Ed ei scande il métro — l’unico
          métro — sovra un ritmo runico!
                    scande! scande!
                         scande!
          scande! e batte la misura
          sempre, in tempo, su quell’unico
          ostinato ritmo runico!
          E a cercar le fibre umane
          via pel ciel s’allarga e spande
          come un soffio di paura
          quel singhiozzo di campane!
                    quelle arcane
          vibrazioni di campane!
                    quel lamento
                    ferreo, lento,
          di campane! di campane!
          di campane! di campane!

E. R.

Note


  1. The bells! hear the bells!
    the merry wedding bells!
    the little silver bells!
    How fairy-like a monody there swells
    from the silver tinkling cells
    of the bells, bells, bells
    of the bells.
    The bells! ah! the bells
    the heavy iron bells!
    Hear the tolling of the bells!
    Hear the knells!
    How horrible a monody there floats
    from their throats —
    from their deep-toned throats!
    How I shudder at the notes
    from the melancholy throats
    of the bells, bells, bells!
    bells!