Meganira (1834)/Atto terzo

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Atto secondo Atto quarto
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ATTO TERZO


SCENA PRIMA

Alcippo, Logisto, Selvaggio.

Alc. Godo ben, che venuti
     Siate a pigliar diletto
     De’ nostri giochi; ma non taccio il vero;
     Parmi, Logisto, che si disconvenga
     A gentil giovinetto
     Mirar l’altrui valore,
     E del suo non far prova;
     Se forse teco s’accompagna Amore
     Pensa quanto gradito ed ammirato
     Alla tua bella Ninfa
     Sei per farti vedere
     Di fronde vincitrici incoronato.
Log. Consento al tuo consiglio,
     E per cammino io stimolai Selvaggio
     A porsi in paragone
     De’ veloci cursori;
     Ei di sperar vittoria ha gran cagione;
     Rapidissimo piede,
     Infaticabil lena,
     Poco ch’ei s’affatichi
     Non lascia suo vestigio in sull’arena;
     Ma io quale speranza

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     Posso aver di corona,
     Se contra gli avversari
     Poco arò di possanza?
     E cosa giusta non sperar mercede,
     Se virtù n’abbandona.
Sel. Io vo’ sudare in corso,
     Certo che il mio nemico
     Un caldo e spesso fiato
     E per trarre dal fianco,
     Pria ch’ei mi vegga stanco;
     E s’io non vincerò, le turbe folte
     Che ci riguarderanno,
     Diranno maggior lodi al vincitore,
     Ma me non biasmeranno;
     Or tu, che ci conforti
     A travagliar negli onorati giochi,
     Alcippo, che farai?
     Vincesti tanti premj
     Forse nel tempo andato,
     Che ne sei sazio omai?
Alc. lo son per ricoprire
     Le guancie di rossore,
     Ma pur dirò: i premj miei, Selvaggio,
     Non ti potrei contare,
     Cotanti furo; il singolar valore
     Dell’altrui gioventute
     Non ha mai per addietro
     Lasciato in questi monti
     Apparir mia virtute;
     Un anno io ricercai
     La palma infra cursori,
     Ma di più si leggier Clorindo apparve,
     Che fece in mezzo al campo apparir lenti
     Tutti noi, che superbi,
     Nome avevam, come il proverbio dice,
     Di contrastar co’ venti:
     Altra volta provai,
     Mia forza e mia ventura
     Co’ lottatori, e pur sotto Peloro
     In sulla terra andai: ultimamente
     Presi a scagliar da lungi il pal di ferro,
     Ed un certo Efialte
     Ci spogliò d’ogni loda;
     Costui sì maneggiò quel peso grave
     Come con rozza mano
     Lieve canna maneggia
     Un robusto villano.
     Rimarrebbe a provarmi
     Contra i saettatori;
     Ma non vo’ ricercar più disonori.
Log. Il tuo sì schiettamente ragionarmi
     Sarà cagion, Alcippo,
     Che teco parlerò sinceramente;
     lo per li nostri monti
     Guadagnai fra gli arcier tante corone,
     Ch’omai mi si econvien più disiarne;
     Però vo’ farti un dono,
     Col qual sicuramente
     Diman rimirerassi
     Cotesta amica fronte incoronarsi;
     Or stammi ad ascoltare.
Alc. A tuo grado favella,
     Io m’acconcio ad udire, e son sicuro
     Che dirai cosa graziosa e bella.
Log. Volgonsi omai quattro anni,
     Che per accompagnare Alcimedonte
     Feci stanza in Tessaglia,
     Egli v’andò sbandito
     Perch’uccise nei boschi di Liconte
     Per error Licofrone;
     Colassù dimorando io mi fei certo
     Di ciò ch’aveva udito;
     Io voglio dir siccome in quella parte
     Molto fiorisce il pregio,
     E d’ogni incanto la mirabil’arte.
Alc. Così parlarsi intende;
     Nelle scienze orrende
     Han color gran diletto.
Log. È vero; ma fra gli altri era una maga
     Di peregrina fama,
     Astieropea si chiama,
     Costei più di una volta
     Vidi cangiar nel volto della Luna
     I candidi colori,
     E con un cavo ferro,
     Che di sua man percote
     Farla gir per lo ciel colma d’orrori,
     Vidila sul terreno
     Tutto coperto di mature spiche
     Far correr cotal nebbia,
     Che in un momento a meno
     Venne la messe desïata, e tanto
     Alle campagne noce
     Solo col suon della terribil voce;
     Questo vidi io: ma per la bocca altrui
     Era io fatto sicuro,
     Ch’ella spesso soleva a suo talento
     Chiuder la sua persona
     Per entro un nembo oscuro,
     E gir per l’aria lunge,
     Rapida come il vento:
     È general credenza,
     Che con la forza de’ secreti accenti
     Ella frena ed arresta
     Il corso de’ torrenti.
Alc. Tale è la fè del vulgo,
     Ma le teste canute
     E gli uomini discreti,
     Che credean di cotanta meraviglia?
     lo per certo, Logisto,
     Credo che chi non crede ad ogni fama
     Con senno si consiglia.
Log. Io non vo’ contraddire,
     Odi pur: questa maga accese il core
     Per mia bellezza; ella così dicea;
     E ciò ch’io le chiedea per mio diletto,
     Mentre là dimorai,
     Non mi negò giammai;
     Venne al fin l’ora ch’io dovea tornarmi
     A’ monti di Liconte,
     Ed ella a ripregarmi
     Con ogni forza, ch’io
     Le campagne paterne
     Riponessi in obblío, e ch’io facessi
     Mia patria le Tessaliche foreste;
     Oltra calde preghiere
     Ella meco facea forti promesse,
     Non di cose leggiere
     Ma d’ogni sforzo della sua virtute
     Non ch’altro, ella volea farmi godere
     Eterna gioventute;
     lo stetti alquanto in forse, e finalmente

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     Elessi il dipartire:
     Paventai suoi terribili secreti,
     Ella non s’opponendo
     Alle mie ferme voglie
     Così mi prese a dire:
     È dover, che partendo
     Porti con esso teco
     Cosa alcuna di me, che ti rammenti
     Come sei stato meco;
     E che dell’amor mio faccia memoria;
     Dunque piglia quest’arco
     E questa mia faretra;
     Di qui spera, Logisto, eterna gloria;
     Quadrel non scoccherai, che fuor di segno
     Posi giammai suo volo
     Si con studio il composi, e si vegghiai
     Nelle grandi arti mie, quando il temprai;
     Così fatto presente
     Ella mi fece, e non mi fece inganno,
     Che non mai tesi l’ammirabil arco
     Che secondo il desire
     Entro il segno proposto
     Nol vedessi ferire,
     Questo vo che diman nella gran festa
     Per te s’adopri, Alcippo.
Alc. Cosa di gran stupore
     Hai narrata Logisto, alla tua fede
     Parmi diritto accompagnar la mia,
     Ma stimerei bugia,
     Se questa veritate altri narrasse.
Log. Non creder di leggiero,
     Ecco nelle tue man gli strali, e l’arco,
     Or prendi a saettar qual segno vuoi,
     Così con gli stessi occhi
     Vedrai gli effetti suoi.
Alc. Per entro quelle macchie
     Vedi levarsi al ciel quella grand’elce?
     Il più sublime ramo
     Vo’ che vada a trovar questo quadrello.
Log. Non percotere in quello,
     Lieve prova sarebbe
     Ferir ciò che tu scorgi;
     Prendi la mira nel suo tronco ascoso
     Di tanti vepri, e vedi
     Se con giusta ragione
     A mie parole credi.
Alc. Eccomi ad ubbidirti
     Oh che volo! oh che suono!
     Un fulmine sembrò che l’aria fende,
     Spera indarno vittoria,
     Logisto, quello arciero,
     Che col signor di questo stral contende.
Log. Va per entro quel bosco,
     E ripiglia il quadrello,
     E guarda se percosse
     Là dove l’inviasti.
Alc. Attendetemi, io vado.
Log. A me via più son care
     Le corone d’Aleippo, e più desio,
     Che s’onori suo nome,
     Che non desiro che s’onori il mio.
Sel. Già mille arcieri hai vinto,
     Poco crescer di pregio;
     Ma bel pregio d’amore
     È coronar la fronte dell’amico
     Con corona d’onore.
Log. Ecco Alcippo pensoso,
     La grande meraviglia il rende muto.
     Che ritrovasti Alcippo?
     La mia lingua è fallace?
     O pur l’arco ha pigliato un novello uso?
     Onde per te si tace?
     Tu mi sembri confuso.
Alc. Ne tu, nè l’arco mente;
     Ciò che non mai pensai
     Veduto han gli occhi miei;
     Andiamo a ritrovar la nostra gente.