Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XX

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Primo Periodo - XX. Ritirata

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Capitolo XX.

Ritirata.


Altre faccende, e ben serie, ci aspettavano alla Laguna. L’avanzarsi dei nemici, grossissimi per terra, ed il contegno prepotente con cui si eran trattati i Caterinensi, spinsero alcune popolazioni a sollevarsi contro la Repubblica, e fra gli altri il paese di Imiriù, situato al fondo del lago verso libeccio.

Il generale Canabarro mi diede l’esoso incarico di sottomettere quel paese, e per gastigo saccheggiarlo.

[p. 61 modifica]Fui quindi obbligato di adempiere al comando, ed anche sotto un governo repubblicano è ben repugnante il dover ciecamente ubbidire.

La guarnigione e gli abitanti avevano fatto dei preparativi di difesa verso il lago. Io sbarcai a tre miglia di distanza a levante, e li assaltai improvvisamente dalla montagna, cioè alle spalle. Sconfitta ed in fuga la guarnigione, fummo padroni di Imiriù.

Io desidero per me, ed a chiunque non abbia dimenticato d’esser uomo, di non esser obbligato a dar sacco. Credo che, per quanto vi sieno delle prolisse relazioni di tali misfatti, impossibile sia narrarne minutamente tutte le sozzure e nefandità. Io non ho avuto mai una giornata di tanto rammarico e di tanta nausea dell’umana famiglia! Il mio fastidio e la fatica sofferta, in quel giorno nefasto, per raffrenare almeno le violenze contro le persone, furono immensi, e vi pervenni, credo, a forza di sciabolate, e non curando la mia vita; ma circa alla roba d’ogni specie non mi fu possibile evitare un disordine terribile. Non valse l’autorità del comando, nè i ferimenti usati da me e da pochi ufficiali non domi dalla sfrenata cupidigia. Non valse la voce espressamente sparsa, che il nemico tornava alla pugna più numeroso di prima, e sorpresi così sbandati ed ebbri ne avrebbe fatto un macello, se fosse veramente comparso.

Nè tutto ciò era falso, poichè i nemici vedevansi sulle alture, ma non ardirono attaccarci. Nulla valeva a trattenere gl’insolenti saccheggiatori; e disgraziatamente quel paese, benchè piccolo, era riccamente provvisto d’ogni genere, massime di bevande spiritose, essendo esso un deposito che provvedeva parte considerevole degli abitatori dei monti. Di modo che l’ubriachezza fu generale.

Si noti che io non conoscevo la gente meco sbarcata, per la maggior parte di nuova leva ed indisciplinatissima. Certo se si presentavano cinquanta nemici in tale circostanza ad attaccarci, noi eravamo perduti.

Infine con minaccio, percosse ed uccisioni si [p. 62 modifica]pervenne ad imbarcare quelle fiere scatenate. Imbarcaronsi anche alcune botti d’acquavite e commestibili per la divisione, e ritornossi alla Laguna.

Per dare un altro saggio della classe di gente ch’io comandavo in quella spedizione, valga il fatto seguente. Un sergente tedesco molto stimato dai soldati era stato ucciso ad Imiriù. Io ordinai fosse seppellito, ma siccome altro da fare avevano i militi, col pretesto che quel prode meritava d’esser portato alla Laguna ove ricevere un’onorevole sepoltura, il cadavere del sergente fu imbarcato. Passeggiando io sulla tolda del bastimento, e vedendo luce nella stiva, ove alloggiava la maggior parte della gente, mentre in viaggio, vidi il seguente spettacolo: il sergente tedesco, alto e corpulento, disteso nel centro d’una folla di gente le cui fisionomie avvinazzate eran tutt’altro che gentili, e su quei ceffi poi riverberandosi il chiaro d’alcune candele di sego, piantate nel collo di bottiglie collocate sulla pancia del cadavere, facevan l’effetto di certi demoni rappresentanti giocatori d’anime a tre sette o a briscola. E tali me li ricordo ancora quei depredatori dei poveri abitanti d’Imiriù giocando sulla pancia del cadavere d’un loro compagno il prodotto dei loro furti.

Intanto la vanguardia nostra col colonnello Teixeira ritiravasi davanti al nemico che si avanzava da settentrione celeremente e fortissimo.

Nella Laguna principiavasi a passare i bagagli della divisione sulla sponda destra della Barra, e presto bisognò pensare a passar la truppa.