Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo XXXIV - Di S. Maria del Castello, ossia antico Duomo di Ceva.

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Capo XXXIV - Di S. Maria del Castello, ossia antico Duomo di Ceva.

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Capo XXXIV - Di S. Maria del Castello, ossia antico Duomo di Ceva.
Capo XXXIII - Seconda soppressione della Collegiata. Capo XXXV - Della nuova Chiesa, ossia Duomo attuale.
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CAPO XXXIV.


Di Santa Maria del Castello ossia
antico Duomo di Ceva.


Non si conosce più dove precisamente si trovasse l’antica chiesa collegiata del castello. Le più sicure memorie che si possano avere, si trovano nella relazione di visita pastorale fatta da monsignor Angelo Peruzzi vescovo Sarsinatese e visitatore apostolico li 3 marzo 1585.

Si premette in questa relazione che l’arciprete solo della Collegiata è incaricato della cura d’anime, fra le quali 4m. ammesse alla comunione (al giorno d’oggi non si calcolano che 2400).

Si dice inoltre che la chiesa della Collegiata intitolata S. Maria de Castro era in un sito solitario lontana dalle abitazioni, isolata da qualunque anche piccola casa, e per evitar inconvenienti e scandali, ordinò che le di lui finestre fossero munite d’inferriata.

Si passa alla rivista degli altari, e parlando dell’altare maggiore ricorda una pratica andata ora in disuso, quale si era di amministrare la comunione pasquale in un calice, e di dar da bere vino in un vaso di vetro, con raccogliere obblazioni dai comunicati in un piccolo bacile. Le donne venivano comunicale a parte.

[p. 190 modifica]In Pascale sacra communio ministratur in calice, et vinum datur in vase vitreo et bacinula circumfertur prò obblationibus colligendis ab ipsis communicatis, et mulieres partim communicantur.

Questa chiesa oltre l’altar maggiore ne conteneva ancor i seguenti:

1° L’altare di S. Michele; 2° quello dei SS. Crispino e Crispiniano spettante alla compagnia dei calzolai; 3° di S. Agata e Biagio una volta di S. Nicola Tolentino; 4° di S. Stefano proprio della famiglia Franco; 5° l’altare di S. Vincenzo, a cui s’unirono le cappelle di S. Eligio, di S. Antonio, di S. Maria, quello detto della Rogiarina e quello di S. Maria detta la petita e se ne formò un canonicato, al quale furono in seguito unite le cappelle di S. Maria della guardia che era fuori di Ceva, quella del Corpus Domini nella piazza della città, quella dello Spirito Santo che fu distrutta dalla innondazione. Fra tutte formavano un reddito di settanta scudi d’oro pel canonico che ne era al possesso; 6° quello di S. Catterina; 7° l’altare dei Santi Giovanni Battista ed Antonio della famiglia Gagliardi; 8° finalmente l’altare dei Santi Giacomo e Cristoforo di patronato dei Marchesi di Ceva.

Trovò il visitatore apostolico tutti questi altari mancanti degli arredi necessarii, ed alcuni pieni di ossami ed affatto indecenti.

La chiesa poi tutta screpolata con un pessimo pavimento senza confessionali e con una sacrestia minacciante rovina, dimodochè era evidente il bisogno di fabbricarne un’altra più comoda per la popolazione e più decorosa per la città.

Dai decreti emanati in tale occasione si scorge che questa chiesa era molto oscura, senza volta eccetto l’altare maggiore, ed alcune cappelle, che i sepolcri erano mal chiusi, ed esalanti grave fetore, e che le pareti erano ingombre d’armi gentilizie: Et ne deinceps parietes Ecclesiæ deturpari contingat decrevit arma omnia et insignia in eis affixa pænitus removeri, et in futurum nullatenus affigi sub pænis arbitrariis.

[p. 191 modifica]Visitò quindi il cimitero attiguo alla collegiata che trovò aperto e senza croce nel mezzo, e gli fu fatto presente che ben sovente i cadaveri venivano dissotterrati da bestie: Humana corpora sæpius ab animalibus dehumata. Decretò per conseguenza che fosse tosto munito della necessaria cinta a spese della Comune sotto pena di cento scudi, e della scomunica in subsidium.

A complemento di questa visita congregò il Capitolo che era composto dei seguenti individui:

L’Ill. Sig Roberto dei marchesi di Ceva, arciprete con un reddito annuo di cento ottanta scudi d’oro.

Il Rev. D. Antonio Giogia, primo canonico col reddito di cento scudi d’oro.

Il Rev. D. Giovanni Rizio, secondo canonico col reddito di cinquanta scudi d’oro.

Il Rev. D. Bernardino Rossi (Rubeus) terzo canonico col reddito di 40 scudi d’oro.

Il Rev. D. Gasparo Chiavelli, quarto canonico col reddito di 60 scudi d’oro.

Il Rev. D. Gerolamo Barberis, dottore d’ambe leggi e vicario foraneo col reddito di 60 scudi d’oro.

Erasi eretto un sesto canonicato, ma per essere composto di Cappellanie di Patronato laicale, non vollero i patroni rinunziare ai loro diritti sulle medesime, e quest’erezione non ebbe alcun effetto.

Si faceva allora l’intiera officiatura, e si faceva colle decime una massa per le distribuzioni; ma non si sa per quanto tempo abbia durato. La messa conventuale e quella festiva si cantavano per turnum.

La sacrestia non aveva alcun reddito, ed il vescovo visitatore vi applicò i redditi della cappella di S. Giovanni in Laterano che era stata distrutta dall’inondazione.

Stabilì capo del Capitolo l’arciprete a cui dovevano i canonici tam in Ecclesia quam extra obedire sub pœnis etiam pecuniariis ab ipso iudicandis, et sacristiæ ecclesiæ applicandis.

[p. 192 modifica]Rinnovò il decreto già in altra visita emanato di tener quattro chierici tonsurati oltre il sacrestano, pel servigio della chiesa. Due da pagarsi dall’arciprete perchè investito del benefizio di S. Giovanni del Bosco, e gli altri da pagarsi in comune e proporzionatamente al reddito di ciascun canonico.

Ordinò pure che fosse fabbricata una casa attigua alla parrocchia per uso di chi aveva cura d’anime.

Si parlò della traslocazione della detta chiesa, ma attesa la gravezza della spesa si limitò il visitatore ad intimare al municipio di farvi le necessarie riparazioni sotto pena di ducento scudi d’oro da applicarsi alla medesima e della scomunica in subsidium.

Quantunque monsignor Peruzzi dichiarasse la sacrestia di questa Collegiata sprovvista di reddito, risulta però da un’antica carta, in data delli 27 maggio 1498 che sotto il regime dell’arciprete Robaldi aveva diritto alle seguenti prestazioni o canoni.

1.° Giovanni Trabucco, per una terra che possedeva ai Poggi doveva pagare ogni anno alla chiesa di S. Maria de Castro quattro stara di ottimo formento per le ostie e particole necessarie a detta chiesa.

2.° Matteo Leoni, per una vigna che godeva in Costa doveva somministrare sei stara di vino per la messa.

3.° Bernardo Vigliasso, per una casa che godeva nella contrada Franca, doveva provvedere nella novena dell’Assunta dieci libbre di cera bianca.

4.° Antonio Sardo, per un’altra casa che godeva nella stessa contrada, doveva provvedere ogni anno libbre diciotto d’olio per la lampada.

5.° La chiesa di S. Maria delle Grazie per fitto d’uno stabile, tre lire di storace e quattro d’incenso nella vigilia di Natale.

6.° Bernardino Mantileri, per una vigna in Prione, tre stara di vino ottimo per le messe dei dì festivi.

[p. 193 modifica]7.° Ferrando marchese di Ceva per una vigna in Castellino, tre stara di vino bianco per le messe dei dì solenni fra l’anno.

8.° Pietro Chiavelli, per una pezza di terra che godeva nel Broglio, pagava soldi 20 pei ramolivi.

9.° La chiesa di S. Giovanni del Zerbo, per dieci giornate di bosco castagneto che godeva nel territorio di Ceva, doveva somministrare em. 12 castagne bianche nel giorno di S. Martino pel campanaro.

La stessa Chiesa in forza d’istromento 11 novembre 1388 rog. Buttini in Ceva doveva nel giorno di S. Giovanni pagare lo stipendio di due chierici tonsurati, e d’un Cappellano al servizio di questa chiesa.

10.° Antonio Sardo, un messale ed un camice in ogni anno.

11.° Vincenzo Pena doveva somministrare 6 emine di legumi, 6 di castagne e due misure di vino pei pellegrini che passavano per Ceva.

12.° Antonio Barberis doveva mantenere per sei mesi dell’anno il carbone pro taloneo quod tenetur in claustro majori prope sacristiam, e la legna necessaria per due chierici ed un Cappellano.

13.° Vincenzo Sartorio, libbre 20 d’olio d’olivo per la lampada nelle solennità.

14.° Giovanni Vigliasso, per una pezza di canapale presso i molini già propria della chiesa di S. Andrea ed ora della Collegiata, provvedeva le campane delle necessarie corde: Tenetur providere annuatim campanas S. Mariæ de funibus necessariis, e sei libbre di bambacio pro anima lampadarum.

15.° Finalmente il prevosto della parrocchia di S. Michele del marchesato di Ceva, doveva ogni anno venire ad assistere alle funzioni della Collegiata nel giorno dell’Assunzione di M. V. ed offerire all’arciprete una torchia di lib. 3 in signum clientelæ.

[p. 194 modifica]Tutte queste cose si fecero risultare in pubblico istromento per ordine d’un visitatore apostolico all’epoca suindicata: Rogato Bartholomeo de Amistate de Sancto Michaele pubblico notaio, regnante cristianissimo Francorum rege Lodovico.