Opere (Lorenzo de' Medici)/VII. Capitoli/Capitolo I.

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I. Capitolo dove eccito ed esorto me medesimo.

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I. Capitolo dove eccito ed esorto me medesimo.
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I

Capitolo dove eccito ed esorto me medesimo.


     Déstati, pigro ingegno, da quel sonno,
che par che gli occhi tua d’un vel ricuopra,
onde veder la veritá non ponno:
     svégliati omai; contempla ogni tua opra
quanto disutil sia, vana e fallace;5
poi che ’l disio alla ragione è sopra.
     Deh pensa, quanto falsamente piace
onore, utilitá, o ver diletto,
ove per piú s’afferma esser la pace.
     Pensa alla dignitá del tuo intelletto,10
non dato per seguir cosa mortale,
ma perché avessi il cielo per suo obietto.
     Sai per esperienzia quanto vale
quel ch’altri chiama ben, dal ben piú scosto,
che l’oriente dall’occidentale.15
     Quella vaghezza, ch’agli occhi ha proposto
Amor (e cominciò ne’ teneri anni),
d’ogni tuo viver lieto t’ha deposto.
     Brieve, fugace, falsa e pien d’affanni,
ornata in vista, ma poi crudel mostro,20
che tien lupi e delfin sotto i be’ panni.
     Deh pensa, qual sarebbe il viver nostro,
se quel, che dee tener la prima parte,
preso avessi il cammin, qual io t’ho mostro.

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     Pensa, se tanto tempo, ingegno ed arte25
avessi vòlto a piú giusto disio,
ti potresti or in pace consolarte.
     Se ver’ te fussi il tuo voler piú pio,
forse quel, che per te si brama e spera,
conosceresti me’, s’è buono o rio.30
     Dell’etá tua la verde primavera
hai consumata, e forse tal fia il resto,
fin che del verno sia l’ultima sera,
     sotto falsa ombra e sotto rio pretesto
persuadendo a te, che gentilezza,35
che vien dal cuor, abbi causato questo.
     Questi tristi legami oramai spezza:
leva dal collo tuo quella catena,
ch’avvolta vi tenea falsa bellezza:
     e la vana speranza che ti mena,40
leva dal cor, e fa il governo pigli
di te la parte piú bella e serena:
     e sottometta questa alli sua artigli
ogni disir al suo voler contrario,
con maggior forza e con miglior consigli:45
     sí che sbattuto il suo tristo avversario
non drizzi piú la venenosa cresta,
ma resti servo vile e mercenario.
     Quattro venti in mar fanno ogni tempesta,
percotendo la nostra fragil barca,50
da coste, poppa, prua, che mai non resta.
     Questi la fanno d’ignoranzia carca,
tal che convien che per perduta corra,
ch’esser dee d’ogni ben albergo ed arca.
     Con questo tristo incarco par che scorra,55
e ne’ piú cari lochi, ove star suole
le cose preziose e la zavorra.
     Il primo vento, che percuoter vuole
il disiato legno, è vana spene;
da prua il corso le interrompe e tole.60

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     Da poppa assai piú furiosa viene
con grande impeto e forza la paura,
che in gran travaglio il miser legno tiene.
     Da costa il ben, che al mondo poco dura,
vana letizia, che percuote forte65
la barca, e falla in mar poco sicura.
     Dall’altra costa in simigliante sorte
è il presente dolor, che molto strigne:
questo fa nostra vita parer morte.
     Or l’un, or l’altro d’esti venti pigne70
il tristo legno in sí crudel procella,
or tutti insieme, or di lor parte il cigne.
     Questi la vista della fida stella
tolgono al buon nocchier: di tanta nube
ricuopron l’aria, ch’era chiara e bella.75
     Onde convien che doloroso cube,
lasciando il legno in discrezion dell’onda:
che par ch’ognor se lo inghiottisca e rube.
     E se grazia divina non v’abbonda,
che ’l buon nocchier risurga attrito e morto,80
parmi che ’l mar giá lo ricuopra e asconda.
     Veggolo in van chiamar, o sperar porto,
e in van pentirsi quei, che cagion funno
di prendere il cammin mortale e torto.
     Perché il giusto voler del gran Nettunno85
raro si piega a’ prieghi di colui,
ch’è d’ignoranzia e di malizia alunno.
     Deh prendi esemplo per lo danno altrui,
o ver pel tuo: perché, giá in simil briga,
puoi veramente dir: — Ancora io fui. — 90
     Sei ancora, e sarai, insin che striga
il tuo veloce curro quel che siede,
ove seder dovrebbe fido auriga.
     Il disio nostro, se piú ha, piú chiede,
e come non ha fin, non ha quiete.95
Non si può ben posar, chi mai non siede:

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     ma quanto piú l’insaziabil sete
ricorre al tristo fonte che la spenga,
tanto piú cresce, insin che passi Lete.
100 Questo convien che per ragione avvenga.
L’alma creata alle perfette cose
non par contenta a imperfezion si tenga.
     Onde convien che cerchi, e mai non pose,
fin ch’ella trovi quel, ch’al fin desia,
che lei per segno al suo balestro pose.105
     Ma spesse volte, mentre che s’invia
scorta da trista e da inimica guida,
pria che truova il suo ben, cade tra via.
     Dunque convien ben guardi in cui si fida,
ed a chi dia del suo cavallo il freno,110
pria che ’n cercar o in camminar s’intrida.
     Bisogna ben conosca il troppo o il meno:
ché di lá o di qua di tal confine
mai non si truova il vero ben a pieno.
     E benché il suo proposito e ’l suo fine115
sia buono, e quasi avvenga in ogni mente,
pur si va per diverse discipline.
     Sono infinite vie e differente,
e quel che si ricerca, solo è uno:
però si truova sí difficilmente.120
     Un picciol sasso per la via, un pruno,
chi si attraversi al piè fragile e lento,
di sí suave cibo il fa digiuno:
     onde gli avvien di poi contrario evento;
ché l’anima pigliando l’altra volta,125
pruova per bene ogni crudel tormento.
     In quest’ambage inviluppata e involta,
tanto pena a vedere il vero lume,
che la virtú visiva al fin gli è tolta:
     cosí convien sempre arda e si consume,130
perché il dominio del natural corso
per lunga usanza ha preso il rio costume.

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     Però per me, se al mio danno ho corso,
pria che la trista usanza in te piú possa,
che non potrebbe il ragionevol morso;135
     pria che cavi a te stesso quella fossa,
nella qual poco dopo tristo caggia
per mai piú non cavarne se non l’ossa;
     guarda il celeste Sol, che splende e raggia,
guarda che dolce frutto da lui cade,140
che null’altro li piace chi l’assaggia.
     Deh lascia le calcate triste strade,
e volgi gli occhi a cose eterne e belle,
tanto piú belle, quanto son piú rade;
     non di falsa bellezza, come quelle,145
ornate, che t’han dato tanto affanno,
e ’l sentier tolto, che guida alle stelle.
     Le tue operazion vergogna e danno,
queste di qua quiete e gloria eterna
dopo il grieve cammino all’alma fanno.150
     Ben è cieco colui che non discerna,
quanto sia differente loFonte/commento: Edimburgo, 1912 splendore
del sol dal falso lume di lucerna.
     Dir piú non mi permette il mio ardore.
Sol ti soggiungo questo per espresso,155
che, s’alcun ben disia, o cerca il core,
     non lasci sé giamai sanza se stesso.