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196 l’aridosia


Erminio. Che non è grossa?

Marcantonio. Meglio ancora.

Erminio. E che meglio? Padre mio, non mi so imaginare altro di meglio.

Marcantonio. Fiammetta tua ha fatto un bel putto.

Erminio. Oh misero a me! Questa è la peggior nuova ch’io potessi avere.

Marcantonio. Lasciami finire. E, perché la non è ancor j monaca, come sai, che non ha fatto professione, la priora vuol che tu la pigli per moglie.

Erminio. Eh! Voi volete la baia.

Marcantonio. Gli è quel ch’io ti dico: con questo, che mezza la ereditá sia tua e mezza delle monache; che ti tocca, (y in ogni modo, piú di cinquemila scudi.

Erminio. Questa mi par tanto gran cosa ch’io duro fatica a crederla.

Marcantonio. Ah! ah! Credi tu ch’io volessi la burla di te in una cosa a questo modo? E piú lá ti dico: che, quando tu non la volessi, ti sforzerebbe a tórla; che tu non te ne potresti difender, secondo le leggi.

Erminio. Oh Dio! Padre mio, chi è piú di me felice? E sta ella bene?

Marcantonio. Benissimo.

Erminio. E chi ha menato la pratica?

Marcantonio. Io, che, com’intesi che l’aveva partorito, subito me ne andai dalla priora: che la trovai piú superba che un toro e l’ho lassata come uno agnello; e abbiamo concluso questa cosa.

Erminio. Oh padre mio! Quanto vi son, per questo, obligato! Piú che se m’avessi adottato un’altra volta.

Marcantonio. Manderemo domattina a levarla di lá, che la vi sta a disagio.

Erminio. Oh Dio! Che mutazion è stata questa in un punto! Dove io ero infelicissimo, e temevo d’ora in ora di divenire piú infelice, son diventato felicissimo: tanto ch’io non muterei lo stato mio a quel d’un principe.