Gianni. E per che conto usa ei fingere
esser un altro? Alamanno. Tel dirò. E’ dubita
non esser amazzato; e’ ha grandissima
taglia dietro, per ciò che a un omicidio
si trovò d’un de’ primi di Cicilia.
E ’n questo stato stará fin che piaccia
a Dio: che so che tuttavia si pratica,
per mezzo d’un suo amico, di levargliela
e di rimetterlo, un di, nella patria;
dove soleva aver anco una rendita
di secento fiorin, di cui ha perdita
fatta, e riaver forse potrebbela. Gianni. Or dich’i’ ben che gli ha ragion da vendere
a far a questo mo’. Ma perché domine
si chiama e’ piú Bernardo che Girolamo
o Matteo o altro nome? e perché Spinola
piú presto che Rosaio? Alamanno. Oh! oh! Dirottelo.
Gli ha preso questo nome, che gli ha in Genova
un grand ’amico che cosí si nomina. Gianni. Come? Alamanno. Non odi tu? Bernardo Spinola,
che fu figliuol d’un mercante di credito
grande. E questo è quello che procaccia
di levargli la taglia e nella patria
ridurlo. Gianni. Ben. Alamanno. Or io in questo termine
mi truovo. Quando gli avea la Lucrezia
giá in pugno, e’ s’è partito; che giá lettere
gli aveva scritto ed ella esser prontissima
a compiacergli gli rispose, in caso
ch’e’ la pigliassi per sposa legittima.
E di tutto è la fante consapevole. Gianni. Ben, be’, la cosa è molto in lá.