Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/329

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atto primo 317

          Alamanno. Consigliami,
          adunque, ora tu quel che far debbia
          in questo caso. I’ pensa’ che fra quindici
          giorni ei tornasse, e son passati i sedici
          giá due volte.
          Gianni. I’ vo’ dirvi quel che subito
          m’è venuto nel capo. V so che scrivere
          sapete....
          Alamanno. Diavolo anche ch’i’ non sappia!
          Gianni. ...e contrafar la mano.
          Alamanno. Al possibile;
          che non è man ch’i’ non sappia benissimo
          ritrar, che scritta da quel proprio paia.
          Gianni. Buono. Questo mi piace. Or dunque, scrivasi
          da voi una lettera che paia
          di mano di Bernardo, o di Giulio,
          che vogliam dir.
          Alamanno. Di Bernardo, di grazia.
          Non dir ma’ «Giulio». Questo si sdimentichi
          da te in tutto e per tutto.
          Gianni. Perdonatemi.
          Non lo dirò ma’ piú.
          Alamanno. Or avertiscivi,
          ch’emporta.
          Gianni. Al savio un sol cenno è bastevole.
          Alamanno. Or be’, che ho io a dir in questa lettera?
          Gianni. Come siate tornato e che gran numero
          di danar vi trovate....
          Alamanno. Verisimile
          fia questo, perché gli andò per riscuotere,
          come t’ho detto.
          Gianni. Or udite.
          Alamanno. Be’, seguita.
          Gianni. ...e che vo’ siate ascosto acciò non trovivi
          il padron.
          Alamanno. Dunque, lo vuoi ladro fingere?