Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/435

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profugiorum ab ærumna 429


In base a queste varianti mi pare impossibile ricostruire con sicurezza lo stemma dei codici. Ho voluto segnalarle minutamente perché dimostrano una situazione assai più complessa di quella suggerita dalla lettera di Carlo Alberti, e perché mettono bene in rilievo le difficoltà che insidiano la costituzione di questo testo. Il codice A corretto dall’autore dovrebbe darci la garanzia di un testo attendibile e autorevole, ma dal confronto con L1 pare più che probabile che la copia A rispetto all’originale fosse già corrotta; ed è strano, sebbene non incomprensibile, che l’Alberti non se ne sia accorto e che non sia intervenuto per sanarla. L’errore nostro forse può essere di credere che egli pensasse a dare a quest’opera (e non solo a questa) un assetto definitivo su un unico codice. I fatti paiono dimostrare invece che non se ne preoccupasse molto; anzi che forse correggesse più di una copia in tempi diversi. Riesce difficile altrimenti spiegarsi nei rapporti tra A e L1 perché quest’ultimo rispecchi soltanto la metà all’incirca (numericamente) delle correzioni autografe fatte su quello. Nel caso degli altri codici la mancanza di qualche correzione potrebbe forse attribuirsi a trascuratezza di copisti, ma l’indipendenza per molti lati di L1 sembra escludere assolutamente l’applicazione al caso suo di un simile ragionamento. Il problema si riduce dunque a questo: mettendo da parte i passi riportati solo da L1 che forse risalgono alla stesura originale, quale sarebbe il testo voluto dall’autore, A o L1, o A + L1? Risolvo il problema qui a favore di A, che ha il merito di essere almeno una versione che sappiamo con certezza curata dall’autore (anche a dispetto degli errori che contiene). Il presente testo dunque si fonda su A; include quei passi di L1 che paiono caduti dalla stesura originale, ma non i piccoli ritocchi evidenti in questo codice (elencati sopra, p. 426 sgg.); per la risoluzione dei singoli problemi suscitati dal confronto di A con gli altri codici mi sono affidato al raziocinio. Se il mio raziocinio non corrisponde a quello del lettore, egli avrà nell’apparato almeno gli elementi necessari per dissentire.

In questa opera, a differenza delle altre sue opere volgari, l’Alberti cita in latino passi di poeti antichi, ed essi costituiscono, insieme con altre citazioni classiche in volgare, un problema particolare che meriterebbe più lungo discorso in altra sede. Delle citazioni latine alcune corrispondono ai testi volgati, altre a determinate o determinabili tradizioni manoscritte (generalmente del ’400), altre ancora o sono da attribuire alla cattiva memoria dell’Alberti oppure ad un suo voluto rimaneggiamento, per servire ai propri scopi, di testi che conosceva benissimo. Il Bonucci, quando gli riusciva di trovarne le fonti, rimediava