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ne. Nell’una trovansi i puri prodotti della Natura. Nell’altra gli studiati raffinamenti dell’arte. Or avvi oggi Nazione più culta, e più brillante dell’Inglese?

Se poi s’aggiunge il riflesso dell’enfasi naturale dell’Idioma Inglese, cresce assai più la ragione per lo compatimento di questo mio rozzo lavoro. Il traslatare da una lingua enfatica ad un altra che nol sia, è molto dura cosa. Succede allora l’assioma delle Meccaniche. Quanto vuol guadagnarsi di forza nella Versione, tanto dee perdersi di luogo, e di tempo. Quindi la prolissità, ed in seguela la scipidezza.

Or a tutto ciò vuolsi riflettere prima di giudicare della presente Versione; in cui non senza particolar fatica si è studiato di essersi Fedele, ma non privo all’intuito della troppa necessaria vaghezza. Non son’io dell’openion di coloro i quali vorrebbono così smunta la Poesia Pastorale, che sentisse ancora del pecorile. Imitar la Natura è pur cosa laudabile; ma farlo con eccesso ha del vizioso, e sa del pedante.

L’altra mia fatica è stata quella dell’assistenza ai torchi, i quali non avvezzi a premere caratteri Brettoni, con un nojoso cigolio cercavano isfuggire, per così dire, l’insolito travaglio. Ed in ciò non debbo defraudare del suo merito il Gentilissimo Sig. Abbate D. Niccola Starace, il quale per effetto della bell’indole del suo cuore, solendo = meae


esse