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atto terzo 131
Demar.   Ahi! che mi narri? Oh cielo!

Or piú che pria lontana infra i miei figli
fia la pace; o in eterno è rotta forse.
Misera me!... Che mai farò?...
Echilo   Ti volgi
dov’è il buon dritto, e del poter di madre
avvalorati. Ammenda al suo delitto
non so qual v’abbia, che a placar lo sdegno
del suo fratello, e di Corinto basti:
ma pur, s’ei cede, e il rio poter si spoglia,
raggio per lui di speme ancor mi resta.
Timoleon, fratello gli è; pur troppo
congiunto e amico a lui son io: d’ingiusti
taccia ne avrem; pur forse ancor salvarlo...
Ma, se indurito appieno ha il cor perverso
nella nuova tirannide di sangue,
trema per esso tu.
Demar.   Che sento?
Echilo   Io, cieco
troppo finor su i vizj suoi nascenti,
fui dall’empie arti sue tenuto a bada.
Benché tardi, mi avveggo al fin ch’è l’ora,
ch’io seco cangi opre, linguaggio, e affetti.
Demar. Deh! l’udiam pria... Chi sa? forse... Il tuo sdegno
io giá non biasmo;... né sí atroce fatto
difender oso;... ma ragion pur debbe
averlo spinto a ciò. Finor suo brando
nei cittadin piú rei cadea soltanto:
tremendo, è ver; ma sol tremendo a quelli,
ch’empj, biasmati, ed impuniti stanno,
perché ogni legge al lor cospetto è muta:
tal fu finora; il sai...
Echilo   Donna, se l’odi,
temo che udrai ragion piú scellerata
che non è il fatto.
Demar.   Eccolo.