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132 timoleone



SCENA SECONDA

Timofane, Demarista, Echilo.

Demar.   O figlio;... ahi lassa!...

che festi, o figlio? A confermarti taccia
di tiranno, tentare opra potevi
peggior tu mai? ne freme ogni uom; per sempre
tolto ti sei del tuo fratel l’amore.
Ahi lassa me! chi può saper qual fine
uscir ne debba?... Il tuo verace amico,
Echilo, anch’ei ne mormora: ne piange
la tua madre pur anco. Ahi! che pur troppo
è ver, pur troppo! perigliosi e iniqui
disegni covi, e feri rischj affronti;
la benda, ond’era a tuo favor sí cieca,
mi togli al fin tu stesso.
Timof.   Onde l’immenso
tuo duol? perché? qual te ne torna danno?
D’amistade, o di sangue Archida forse
t’era stretto! Ben vedi, or del non tuo
dolor ti duoli.
Demar.   A me qual danno? Quanti
tornar ten ponno...
Echilo   E assai tornar glien denno.
Demar. E lieve danno il pubblic’odio nomi,
quand’io teco il divido? e il tremar sempre
una madre per te? d’altro mio figlio
l’odio acquistar per te? fra voi nemici
in eterno vedervi?...
Timof.   E voi pur odo,
benché non volgo, giudicar col volgo?
Tu co’ tuoi detti, io colla mano imprendo
a cangiare il fratello. Archida avria,
finch’ei spirava aure di vita, in lui
contro me l’odio e l’ira ognor transfuso: