Pagina:Alfieri - Rime scelte, Sansoni, 1912.djvu/168

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140 rime varie


24 Quand’ella a farsi gigantesca arriva.
Di quant’io dico1 un bell’esempio or danno
Questi tuoi Galli a libertà vicini,2
27 Perché forse il servir logorat’hanno.3
Qui non s’ode altro piú, grandi e piccini,
Uomini e donne, militari e abati,
30 Tutti soloneggiando i Parigini
Non s’ode altro gridar che «Stati Stati»:
Onde, se avran gli Stati e mente e lena,4
33 Cesserà, pure, il regno dei soldati.
La trista gente onde ogni Corte è piena,
Mormora pure; e fra se stessa spera
36 Che risaldar potrassi la catena.5
Quel che avverrà nol so: ma trista sera
Giunger non puovvi omai, che vie men trista
39 Della notte non sia che in Francia v’era.6
Io frattanto, cui l’alma non contrista
Né stolta ambizïon né avara sete,7

42 Traggo mia vita dolcemente mista


  1. 25. Di quant’io dico, che la Necessità impera su tutti.
  2. 26. A libertà vicini, prossimi a riconquistare la libertà.
  3. 27. Logorat’hanno, sono stanchi dal lungo servire, non ne possono piú.
  4. 28-32. Il discorso procede opportunamente disordinato, a indicare l’agitazione nella quale si viveva in quei giorni a Parigi, ma il senso di esso è lampante. — Soloneggiando, sentenziando come tanti Soloni. — «Stati stati»: tutti erano esultanti perché Luigi XVI, con lettera del 24 gennaio 1789, aveva finalmente ordinata la convocazione di quegli Stati generali che dal 1614 nessun re aveva piú convocati. Allorquando l’A. scriveva all’amico Chénier, mancavano ancora 23 giorni alla data stabilita per la prima riunione, ed egli fremeva nell’attesa del grande avvenimento non meno degli altri; il 14 marzo scriveva (non però che la inviasse) a Luigi XVI una lettera, esortandolo «ad afferrare l’occasione che si presentava di conquistare la gloria piú vera e durevole a cui un uomo possa aspirare; di anticipare tutto ciò che il popolo gli avrebbe domandato, di distruggere, lui per primo, l’odioso dispotismo che si era esercitato in suo nome». — Mente, se sapran governarsi con saggezza, lena, se avran forza di resistenza. — Il regno dei soldati: fra tutte le tirannie, fors’anche piú della sacerdotale, l’A. odiava quella militare: vegg. a tal prop. la sat. 14ª e si legg. le segg. parole del cap. 7° del l. I della Tirannide: «La moderna milizia, colla sua perpetuità, annulla nelle moderne tirannie l’apparenza stessa del viver civile; di libertà seppellisce il nome perfino; e l’uomo invilisce a tal segno, che cose politicamente virtuose, giuste, giovevoli, ed alte non può egli né fare né dire né ascoltar né pensare».
  5. 36. Che si potrà tornare alla condizione di prima.
  6. 37-39. In modo analogo l’A. aveva scritto alla madre il 25 ottobre 1788: «Qui si sta in grande aspettativa di questi Stati generali, che si aduneranno al prossimo gennaio, ed è da sperare che riordineranno un poco le cose pubbliche, che sono veramente all’ultimo grado di dilapidazione». A questi versi l’A. appose la seg. nota, che è nell’edizione di Londra, MDCCCIV: «Confesserò che qui io sbagliai grossamente, stimando il mal governo e la tirannia della Francia eretta a monarchia assoluta non potessero mai accrescersi: ma non era dato forse ad uom libero e puro il prevedere e poter vedere gli effetti della oligarchia dei pessimi».
  7. 40-41. Il Tasso (Gerus., lib. VII, 10):
    Né cura o voglia ambizïosa o avara
    Mai nel tranquillo del mio petto alberga