Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/110

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Gina andò via a testa bassa, silenziosa e tetra. Nell’ingresso incontrò Isabella che rientrava coi bambini, tutti infangati, ma ridenti e caldi.

— Non mi toccate, — disse sottovoce, sfuggendoli; — se no vi attacco l’influenza.

E si lavò le mani; poichè le pareva che davvero la peste l’avesse sfiorata e resa immonda e pericolosa.


La serata fu triste.

Invano i fratelli, nonostante il divieto della madre, andavano ogni tanto a molestare Pietro e ad offrirgli da bere; egli sembrava veramente malato, ed in fondo lo era: se la madre si avvicinava al lettuccio, a lui pareva di vederne gli occhi, freddi e duri, guardarlo dall’alto come quelli di un giudice che, pure senza prove, è sicuro della colpa dell’accusato: allora avrebbe voluto gittar via le coperte, gridare e difendersi, ma non poteva; la coscienza gli legava le membra e la lingua.

Finalmente il chiasso che si faceva in cucina cessò; i fratelli andarono a dormire,